nuovomanualecatechista

Nuovo manuale del Catechista, mons. G. Perardi, L.I.C.E., Torino, 1939. Dio è uno solo? Come si chiamano le tre Persone della santissima Trinità? Dio è uno solo, ma in tre Persone eguali e distinte, che sono la santissima Trinità. Come si chiamano le tre Persone della santissima Trinità? Le tre Persone della santissima Trinità si chiamano Padre, Figliuolo e Spirito Santo. Spiegazione. - 1. - Vi è un Dio solo: Egli stesso ce lo ha rivelato. Nella S. Scrittura si leggono a ogni passo espressioni con cui il Signore parla come Dio unico: «Dio ha creato... Dio disse... Dio fece... pose Adamo... comandò ad Adamo di non mangiare... chiamò Adamo... disse ad Adamo...». Diede i comandamenti cosi: «Io sono il Signore Iddio tuo» (Esodo, XX, 2; Deuteronomio, V, 6). «Ascolta, o Israele: il Signore Dio nostro è un Dio solo» (Deuteronomio, VI, 4). E per mezzo d’Isaia dice: «Io sono Dio e non v’è Dio alcuno fuori di me» (Isaia, XLVI, 9), e S. Paolo: «Sappiamo che l’idolo è un niente nel mondo, e non v’ha Dio, se non un solo» (I ai Corinti, VI, 11, 4). Anche la ragione, il buon senso, ci dicono che le divinità dei pagani non sono Dio. Essi adoravano come Dio il sole, la luna, le statue, gli animali, ecc. La ragione ci dice che queste cose non sono Dio, ma semplici creature; e che esse pure sono soggette a Dio e da Lui dipendenti. 2. - Com’è avvenuto che gli uomini adorarono come Dio creature materiali? - A misura che gli uomini si allontanarono dal bene e si abbandonarono al male, conobbero meno Dio, ne ebbero un’idea meno nobile, a Lui pensarono meno. E quando nei pericoli dovettero pure sentire un Essere superiore, incominciarono a riguardar Dio il fulmine, le tempeste, poi le cose utili. E quanto più si degradarono nella vita morale, tanto più bassa si fecero l’idea di Dio e si crearono divinità da cui nulla avevano a temere per la vita e condotta loro pessima. I pagani, quindi, infelici, riconobbero tanti Dei, di cui il Profeta disse con ragione: «(Sono) lavoro delle mani degli uomini; hanno bocca, né mai parleranno, hanno occhi e mai non vedranno, hanno orecchie e non udiranno, hanno narici e son senza odorato. Hanno mani e non palperanno, hanno piedi e mai non si muoveranno» ( Salmi, CXIII, 12-15). - I pagani adoravano creature materiali, quando non adoravano come vero Dio il demonio medesimo. Essi erano infelici! Ma non vi sarà nessuno tra noi, che non riconosca il solo vero Dio? Tutti, certamente, dite di riconoscerlo; ma in pratica può accadere che non sia così, poiché il Dio del cuore è quello che si ama, e a cui si obbedisce. Amate e ubbidite a Dio? Allora lo riconoscerete per Dio vostro. Amate invece il peccato, la superbia, la disobbedienza, le cose cattive? le praticate? In tal caso sono queste il vostro Dio, quello che servite, e non più Iddio creatore. (Dell’idolatria ne parleremo in seguito). 3. - Dio è in tre Persone. Dio è uno solo: ma Egli è in tre Persone uguali e distinte. - 1) In Dio sono tre Persone distinte. Due persone sono distinte quando una non è l’altra. Così padre e figlio sono due persone: il padre non è il figlio; il figlio non è il padre. In Dio, uno nella natura, sono tre Persone realmente distinte, cioè il Padre, il Figliuolo e lo Spirito Santo. Sono realmente distinte, e perciò il Padre non è il Figliuolo, il Figliuolo non è lo Spirito Santo e lo Spirito Santo non è né il Padre, né il Figliuolo. La SS. Trinità sta appunto in ciò che in Dio vi sono tre Persone uguali e distinte e che le tre Persone della SS. Trinità, distinte tra loro, non sono tre Dei, ma un Dio solo. - 2) Le tre Persone in Dio sono uguali. Le persone della terra non sono uguali tra loro; esse differiscono per la statura (chi è alto, chi piccolo), per la forma (chi è bello, chi brutto), per le qualità (chi è sano e chi è malato, chi è zoppo e chi è cieco, ecc.), per l’ingegno, ecc. In Dio invece le tre Persone sono perfettamente uguali. Non diciamo che sono uguali nella statura, ecc., perché non hanno corpo, ma sono uguali nella loro natura spirituale, nelle loro perfezioni; esse sono ugualmente perfette, hanno ogni perfezione senza difetto e senza limiti. 4. - Le tre divine Persone si chiamano Padre, Figliuolo e Spirito Santo. Ognuna di esse ha il suo nome proprio: Padre è il nome della prima; Figliuolo quello della seconda; Spirito Santo quello della terza. - Generalmente la SS. Trinità è rappresentata con tre figure: un vecchio venerando (il Padre principio della divinità), alla sua destra un uomo (il Figliuolo che si è fatto uomo), al di sopra di loro una colomba (lo Spirito Santo che si manifestò con questa forma). - (Della SS. Trinità si riparlerà in seguito al N. 37 e seg.). Pratica. - Non ci basti credere che c’è un solo Dio; riconosciamo la sua autorità e i suoi diritti su di noi. Egli ci ha creati, e perciò noi dobbiamo vivere sottomettendo pienamente la mente e volontà nostra alla Sua col conoscerlo, amarlo e servirlo. - Pensate ai pagani che non sanno che c’è un Dio solo.

Dio premia i buoni e castiga i cattivi, perché è la giustizia infinita. Spiegazione. - 1. - Procurate di intendere bene questa risposta, perché il suo insegnamento vi premunisce contro molte cose che vi accadrà di sentire nel mondo. Dio premia i buoni e castiga i cattivi perché è la giustizia infinita. Il bene merita premio, il male punizione. Dio che non solo è giusto, ma è la giustizia infinita, premia i buoni col Paradiso e castiga i cattivi con l’Inferno; Egli non sarebbe giusto se non premiasse i buoni che lo hanno amato e servito e che hanno faticato e sofferto per Lui, e se non punisse coloro che Lo hanno gravemente offeso. Provereste ben fatto che un padre lasciasse ugualmente i suoi beni a due figliuoli dei quali uno gli fu sempre ubbidiente, rispettoso, laborioso, l’altro invece sempre ribelle, scialacquatore di gran parte del patrimonio e che avrà tentato persino di uccidere il padre? Sarebbe ben fatto, che in punto di morte, il padre chiamasse i due figliuoli e dicesse loro: «Mi siete ugualmente cari: divido tra voi i miei beni, abiterete insieme nella casa mia»? Quello che non sarebbe ben fatto da parte di un padre terreno, non lo fa certo il Padre celeste, Dio. 2. - Dio è giustizia e perciò deve rendere realmente secondo che ognuno merita, premio o castigo. Che cosa accade nel mondo? Vi sono degli uomini dati ad ogni empietà, ladri e assassini, uomini che riescono a nascondere i loro delitti e riscuotere il rispetto dei galantuomini. Sarebbe giusto Dio se lasciasse impuniti questi delitti? Vi sono uomini che soffrono ogni pena per la giustizia, che sono vittime dell’iniquità altrui: derubati, calunniati, uomini che si fanno poveri per assistere e aiutare i poveri, uomini che praticano eroicamente tutti i loro doveri anche sacrificando la vita. Sarebbe giusto Dio se non li premiasse nell’eternità? (Cfr. anche N. 97). 3. - La verità che qui ci espone il Catechismo, è quella che spiega molte cose: 1) molti si atteggiano a miscredenti perché appunto temono Dio giustizia infinita; per sentirsi liberi nei loro disordini si sforzano di persuadersi che Dio non esiste; se lo ripetono per convincersi; 2) ed è per questo che il vero credente sarà sempre un galantuomo; egli sa e crede di dover un giorno rendere conto di tutto il suo operare a Dio giustizia infinita; si sforza di vivere in modo da meritare premio e non condanna. Invece il miscredente quanto più o riesce a persuadersi che non c’è Dio giusto o almeno a dimenticarlo, non pensarlo, tanto più si sentirà libero a secondare le passioni e i piaceri e i vantaggi a scapito di ogni onestà. Pratica. - Dio è la giustizia infinita e perciò premia tutto il bene e punisce ogni male [...] nell’eternità. Non abusiamo della Sua bontà e misericordia, per non cadere sotto i flagelli della Sua giustizia punitrice. Esempi. - Le due braccia. - Il filosofo Democrito diceva che vi sono due mezzi per governare gli uomini: Premiare i buoni e punire i cattivi. Ciro chiamava, il premio e il castigo, le due braccia del Sovrano. - È veramente così; anche il Signore ha due braccia, e con esse premierà e castigherà gli uomini secondo i loro meriti. Le ingiustizie. - Nulla è così evidente come le ingiustizie che trionfano sulla terra. Quanti ladri riescono a godersi impunemente i beni rubati, quanti buoni perseguitati, calunniati, oppressi! Osservate i tiranni ed i martiri; questo terribile quadro che si perpetua e che in molte forme si rinnova e riproduce. Se Dio non premiasse gli ultimi e non punisse i primi, sarebb’Egli ancora giusto? E per la Sua giustizia, può Egli non punire i cattivi e non premiare i buoni? Pensiero del premio e della pena. - Ci sono di coloro che vorrebbero che si facesse il bene e si evitasse il male non per la speranza del premio o pel timore del castigo, ma solo pel culto del bene e per sentimento umanitario. Osservò giustamente il nostro D’Azeglio: «Sarei curioso di sapere perché farei quello che non mi piace, fuor dell’idea di un premio e di una pena nella vita futura. Fuori di tale idea, tutto si riduce ad una questione attuale d’impunità: cioè imparare a fare quello che mi piace in modo che non mi procuri in altro modo dispiaceri. Che cosa dovrò dunque dire, qual ragione addurre all’allievo, onde non faccia quello che gli piacerebbe, e diventi un galantuomo? Gli avrò a dire che bisogna esserlo, se si vuol far fortuna? Mi riderebbe in viso, fosse pure a balia! Gli avrò ad esporre le tesi socratiche: Non esservi altro bene che il giusto, né altro male che l’ingiusto? ecc. Riderà più di prima. Bisogna, adunque, che raccomandi la morale ad un dogma!» (I miei Ricordi, Cap. VIII). Il pensiero che consola. - Il pensiero di Dio giusto e misericordioso che vuole dare il Paradiso a coloro che lavorano per meritarlo, è il pensiero che consola i giusti in punto di morte. Ecco Leonardo da Vinci che dice spirando santamente: «a Mi duole solo di non aver vissuto con abbastanza timor di Dio e con maggior amore del prossimo!». E Silvio Pellico: «Al Paradiso, al Paradiso!... È per me un gran conforto morire dopo aver potuto espiare le mie colpe sopra la terra!». E S. Vincenzo de’ Paoli: «Fratello, non vi scandalizzate, se non mi vedete prepararmi a questo passaggio. Son venti anni che Dio mi dà la grazia d’addormentarmi col pensiero di non risvegliarmi più». E Federico Ozanam: «Perché dovrei temere? Ho amato tanto Gesù!». I veri saggi sono coloro che intendono la vera condizione della vita di quaggiù, raffigurata in questa parabola. Un principe, vedendo molti fanciulli poveri trascorrere oziosa la giornata, li chiamò a sé e disse loro: «Amo vedervi lavorare ed essere buoni. Chi lavorerà e obbedirà ai miei famigli, dopo un po’ di tempo verrà ammesso nel mio castello a far parte della mia famiglia». Quei fanciulli ascoltarono meravigliati; tutti promisero di lavorare e ubbidire, tanto più che il lavoro era leggero e i famigli erano buoni. Ma dopo qualche giorno alcuni, poi altri, preferirono di tornare alla vita oziosa; e furono pochi quelli che perseverarono e che, trascorsi pochi anni, vennero ammessi alla vita del castello. Quali fanciulli sono stati saggi? - Applicate questa parabola a voi stessi e alla vita vostra in rapporto a Dio che ce l’ha data e ci ha chiamati al Suo servizio. Fulminato mentre ruba. - Nel mese di ottobre 1916, in Torino, alcuni ladri penetrarono nell’officina dei fratelli Scrivano per rubare. Questi, gli Scrivano, perché già derubati altre volte, avevano collocato fili elettrici in modo che aprendosi la porta dessero l’allarme e continuassero a far suonare il campanello anche dopo che fosse nuovamente chiusa la porta. A quest’allarme, uno dei ladri afferrò i fili per strapparli, ma rimase fulminato dalla corrente elettrica. - Quanti infelici muoiono nell’atto del peccato, e chiunque pecca si espone al pericolo di morire nell’atto stesso in cui pecca o in stato di peccato mortale.

I cattivi che non servono Dio e muoiono in peccato mortale, che cosa meritano? R. - I cattivi che non servono Dio e muoiono in peccato mortale, meritano l’inferno? Che cos’è l’Inferno? R. - L’Inferno è il patimento eterno della privazione di Dio, nostra felicità, e del fuoco, con ogni altro male senza alcun bene. Spiegazione. - 1. - Dio ci ha creati affinché ci applichiamo a conoscerlo, amarlo e servirlo; se noi lo facciamo, Egli ci premierà col Paradiso che è il premio dei buoni. Che cosa avverrà, invece, di coloro che non sono buoni, non vogliono né conoscere, né amare, né servire Dio? Ci insegna il Catechismo che i cattivi i quali non servono Dio e muoiono in peccato mortale, meritano l’inferno, vanno all’inferno. Il Catechismo, dicendoci che meritano l’inferno coloro che non servono Dio e che muoiono in peccato mortale, ci fa intendere che se uno si pentisse sinceramente dei suoi peccati anche in punto di morte, si salverebbe. Ma non illudiamoci; non è cosa facile, supposto che se ne abbia tempo, pentirsi in punto di morte. Per sincero pentimento bisogna detestare quello che si è fatto, amare Iddio che si è tanto offeso; bisogna cambiare volontà. Per coloro poi che vivono nel peccato, lusingandosi di convertirsi in punto di morte, vi è la terribile minaccia di Gesù Cristo: «Mi cercherete e non mi troverete... mi cercherete e morrete nel vostro peccato» (S. Giovanni, VII, 34; VIII, 21) e la sentenza dello Spirito Santo: «Pessima è la morte nel peccato» (Salmi, XXIII,21). - Sull’esistenza ed eternità dell’inferno, vedi N. 103. 2. - Che cos’è l’inferno? Esso è l’opposto del Paradiso. - 1) Il Paradiso è il godimento eterno di Dio; l’Inferno è il patimento eterno della privazione di Dio. L’uomo è creato per Dio. Solamente dopo la morte conoscerà bene questa verità; allora sentirà il bisogno di Dio che ora non può neppure intendere. Chi commette il peccato, volge le spalle a Dio, si separa da Dio. Se muore in peccato, Dio nell’eternità lo separerà da Sé per sempre. Ora noi non possiamo immaginare quale sia il tormento dell’anima priva di Dio dopo averlo veduto e conosciuto come suo vero Bene. Per apprezzare un bene, bisogna conoscerlo; come il cieco non conosce le bellezze della natura, come il sordo non sa che cosa sia l’armonia della musica, come il montanaro non istima lo splendore di una reggia, come il fanciullo non conosce il valore dei diamanti, così noi ora non possiamo intendere come Dio è ogni bene e il solo vero bene dell’anima per il quale è creata, e perciò non possiamo intendere quale sarà il tormento del dannato privo della vista di Lui per sempre, dopo che l’ha veduto e conosciuto. L’uomo è creato per vedere e godere Dio nell’altra vita, e perciò nell’eternità Dio sarà un bene dovuto all’uomo e a lui necessario, come è dovuto all’occhio il vedere, all’udito l’udire. L’uomo, perdendo Dio nell’eternità, sentirà di aver perduto il Bene che gli è necessario, di cui ha bisogno assoluto, perchè creato per possederlo; la perdita eterna di questo Bene infinito sarà il suo eterno tormento. - Perdendo Dio, il dannato perde ogni bene, perchè Dio è il sommo e il solo Bene, e nell’eternità fuori di Dio non ci sarà altro bene. - 2) Inoltre l’inferno è il patimento del fuoco. Gesù Cristo lo ha detto molte volte; le sue parole sono tutte verità: a) Egli, insegnando il dovere di soffrire qualunque cosa per evitare l’inferno e di troncare perciò a qualunque costo ogni occasione cattiva, pericolosa, diceva: «Se la tua mano, o il tuo piede ti è di scandalo, troncalo e gettalo via da te: è meglio per te giungere alla vita monco e zoppo, che con due mani o due piedi esser gettato nel fuoco dell Inferno... (S. Matteo, XVIII, 7-9). È meglio per te giungere alla vita così monco, che andartene con tutt’e due le mani all’inferno in fuoco inestinguibile, dove... il fuoco non si estingue» (S. Marco, IX, 42-43) - b) Annunziando la sentenza che pronunzierà contro i reprobi al giudizio universale così la riferì: «Via da me, maledetti, al fuoco eterno...» (S. Matteo, XXV, 41) - c) E finalmente ci volle mostrare, nel ricco Epulone, un’anima dannata che dall’inferno grida: Spasimo in questa fiamma; e domanda invano la carità di una sola goccia d’acqua. Il peccatore abbandonò, sulla terra, Dio per le creature; nell’inferno Dio abbandonerà il peccatore, e una creatura, il fuoco, sarà strumento della giustizia di Dio per punirlo. 3) Col fuoco nell’inferno si soffre pure ogni male senza alcun bene. Dio è il Sommo Bene e perciò chi gode Dio gode in Lui ogni bene. L’Inferno è il patimento della privazione di Dio e perciò di ogni male senz’alcun bene. Ora non possiamo immaginare tutti i mali uniti assieme, senza alcun bene, perchè sulla terra ogni male è lenito da qualche bene. Pensate solo che nell’inferno il dannato, privo della vista di Dio, tormentato dal fuoco, e da ogni male, deve soffrire la compagnia dei demoni, di tutti i malvagi, l’odio che lo lacera, il rimorso che lo rode, e i pensieri dolorosi: Che cosa ho perduto col Paradiso?... furono nulla i piccoli godimenti che mi han meritato l’inferno... eterno! Mi costava poco salvarmi... con minori sacrifici sarei in Paradiso. 4) Finalmente il colmo dei tormenti dell’inferno è l’eternità. Come il Paradiso è il godimento eterno, così l’inferno è l’eterno patimento. La eternità è il colmo di tutti i patimenti: soffrire e sapere che si soffrirà così per sempre. Non avete mai veduto dei condannati alla galera a vita? Com’è doloroso il loro lamento: Non uscirò più di qui; sarò sempre qui condannato alla medesima pena. E non si tratta che di pochi anni, perchè la vita finisce presto; l’eternità invece non avrà mai fine. Noi ora misuriamo il tempo coi giorni e colle ore; nell’eternità non vi sarà passaggio o successione di tempo: ma solamente l’ora attuale, il presente che non avanza e non cambia mai. Dell’eternità potete formarvi una pallida immagine con queste figure: immaginate che alcuno debba bere una goccia d’acqua ogni mille anni e asciugar così tutti i mari; o togliere ogni mille anni un granello di sabbia, e così distruggere tutti i monti; o levare un filo d’erba ogni mille anni, e ridurre così a deserto tutta la terra... Qual numero sterminato di anni dovranno trascorrere! Passeranno e l’eternità sarà sempre da principio, poiché essa non avrà avanzato di un punto essendo l’immutabile presente. Pratica. - Il Signore non ci ha creati per condannarci all’inferno ma per darci il Paradiso; non costringiamolo col peccato a mandarci all’Inferno. - Se nella nostra vita, per sventura, abbiamo commesso dei peccati mortali, ammiriamo e ringraziamo la misericordia di Dio che ci ha risparmiato l’inferno da noi meritato. Non restiamo un istante in peccato mortale e non commettiamolo mai più, perchè ci espone al pericolo di dannarci per sempre. - Dinanzi a noi stanno due vie: quella del Paradiso, e quella dell’Inferno. Per quale vogliamo camminare? - Quando il demonio tenta d’indurvi al peccato, riflettete: Per la meschina soddisfazione che mi promette, vorrò rinunziare al Paradiso e meritare l’inferno?... espormi al grave pericolo di andare all’Inferno e di restarvi per sempre? - Temete l’inferno e il peccato che solo vi può far condannare. Esempi. - Il ricco Epulone. - Gesù Cristo raccontò questa parabola: C’era un ricco che ogni giorno banchettava allegramente, e c’era un povero, Lazzaro, malato e piagato, il quale giaceva alla porta del ricco sospirando almeno le briciole della mensa; e nessuno gliene dava. Morì il povero, e dagli Angeli fu portato nel seno di Abramo; morì anche il ricco e fu seppellito nell’inferno. Di là vide la felicità di Lazzaro e pregò Abramo di mandargli appena una goccia d’acqua per lenire il bruciore dei suoi tormenti. Ma Abramo gli rispose di ricordare ciò che aveva goduto nel mondo, e come un abisso insuperabile li separava. Replicò lo sventurato pregandolo almeno di mandare Lazzaro ai proprii fratelli per avvertirli affinché essi pure non venissero in quel luogo di tormenti. E Abramo gli rispose: «Hanno Mosè e i Profeti: ascoltino quelli». Replicò l’altro: «No, padre Abramo, da vero, se un morto andrà da loro, faranno penitenza». Ma gli disse: «Se non ascoltano Mosè e i Profeti, nemmeno crederanno se risuscitasse uno da’ morti» (S. Luca, XVI, 19-31). Ecco, quindi, le due scene. Nel mondo il ricco si godei ogni piacere e bene; non ebbe pietà dei bisognosi, e non si commosse dello stato miserando del povero Lazzaro. Lazzaro, privo di tutto, amava il Signore e soffriva rassegnato. - Nell’eternità, Lazzaro ebbe in premio il Paradiso, l’Epulone, l’inferno come punizione. Nell’Inferno non ebbe più nessun bene, neppur una goccia d’acqua. - Coloro che dicono che per credere all’inferno vorrebbero veder un dannato, ebbero già la risposta dal Signore che fece dire da Abramo: Chi non crede alla Sacra Scrittura, a Gesù Cristo e alla sua Chiesa, non crederebbe neppure se vedesse un dannato, griderebbe all’illusione, alla suggestione, ecc. - E del resto, talora Dio permise l’apparizione di dannati che ricordassero la propria triste sorte ai vivi. (Vedi Esempi del N. 104). La rete e la pesca. - Gesù ricorda con un’altra parabola l’inferno per i cattivi: «Il regno dei cieli inoltre è simile a una rete gettata in mare, che ha preso ogni sorta di pesci; allorché quella fu piena, tirarono a riva e, sedutisi, misero quelli buoni nei canestri e buttarono via quelli marci. Così sarà alla fine del mondo: verranno gli Angeli e separeranno i cattivi di mezzo ai giusti: e li getteranno nella fornace del fuoco. Ivi sarà pianto e stridor di denti» (S. Matteo, XIII, 47-51). Quarant’anni di regno! - Elisabetta, sciagurata regina d’Inghilterra, pregò un giorno Dio con questa bestemmia: «Dammi quarant’anni di regno ed io rinunzio al tuo Paradiso». Dio gliene diede quarantatrè; e l’empia regina si godé il mondo, seminò di stragi le contrade d’Inghilterra, fece tanti martiri tra i Cattolici, e morì con tutte le apparenze della riprovazione. E il popolo credette per lunghi anni intravederne l’anima dannata e sentirne nella notte i gemiti lungo le sponde del torbido Tamigi scorrente ai pie’ della triste torre di Londra dove aveva gettato, fatto gemere e spasimare tra indicibili torture tanti fedeli di Gesù Cristo. Essi spasimavano tra le torture, ed essa godeva trascinando l’Inghilterra all’apostasia, all’errore. A che cosa le giovarono le soddisfazioni del trono? e a che cosa le giovano ora, dopo centinaia d’anni? Quarant’anni di godimenti mondani; rinunzia a un’eternità di godimenti in Dio. Qual contrasto tra la quantità dei godimenti avuti quaggiù e quelli rinunziati di là, e la loro durata! Mercantessa pessima. (Vedi altri Esempi al N. 104).

Che cosa è il Paradiso? R. - Il Paradiso è il godimento eterno di Dio, nostra felicità, e, in Lui, di ogni altro bene, senza alcun male. D. Chi merita il Paradiso? R. - Merita il Paradiso chi è buono, ossia chi ama e serve fedelmente Dio, e muore nella sua grazia. Spiegazione. - Dio ha creato l’uomo perché in questa vita lo conosca, lo ami e lo serva, e perché lo goda poi per sempre nell’altra in Paradiso. Che cos’è il Paradiso? 1. - Per intendere un po’ che cos’è il Paradiso (poiché noi deboli creature non possiamo intenderlo esattamente) considerate che in sostanza esso è il premio che Dio darà ai buoni. Chi dà un premio, lo dà non solo proporzionato al merito di colui al quale lo accorda, ma anche alla propria grandezza e bontà. Dandoci il Paradiso, Dio ci darà un premio proporzionato alla Sua grandezza e alla Sua bontà. Quanto dev’essere dunque grande e prezioso il Paradiso se è degno di Dio! Io non sono capace di dirvelo, di descrivervelo. San Paolo, dopo essere stato rapito fino al cielo, scriveva poi così, ripetendo le parole d’Isaia: «Né occhio vide, né orecchio udì, né entrò in cuor dell’uomo quali cose ha Dio preparato per coloro che lo amano» (I Corinti, II,9). Un povero montanaro, osservando la sua capanna di paglia e di legno, non potrebbe mai formarsi un’idea dello splendore di una sala reale. Così noi non possiamo farci un’idea del Paradiso, perché le più splendide bellezze di questa terra, in suo confronto, sono immensamente meno di quello che sia la più umile capanna in confronto della più splendida sala reale. Nessuna cosa quaggiù, neppur la più splendida, può rappresentarci lo splendore del Paradiso. È facile dire ciò che il Paradiso non è e ciò che non vi si soffre; ma come dire invece ciò che esso è, e ciò che vi si gode? 2.- Tentiamo tuttavia, seguendo le parole del Catechismo, di farcene una qualche idea. Il Paradiso è: 1) il godimento eterno di Dio, nostra felicità. Goder Dio che è nostra felicità, ecco il Paradiso. Per intendere ciò bisognerebbe poter conoscere quello che è Dio, e come Dio è l’unico vero nostro Bene. Su questa terra si vedono e si godono molte cose belle e buone. Tutto quello che vi è di bello e di buono, non è che piccola partecipazione dell’infinita bellezza e bontà di Dio. - In Paradiso si starà con Dio, si vedrà Dio, si godrà Dio. Egli, che è l’infinita bellezza, ricchezza, bontà, il sommo Amore, riempirà e appagherà tutti i nostri desideri, le nostre aspirazioni, perché Egli, che è infinitamente felice, ci farà partecipi della Sua stessa felicità; - 2) Il Paradiso è ancora il godimento, in Dio, di ogni altro bene - questa parola altro è di troppo, non essendoci, fuori di Dio, altro bene - senz’alcun male. Dio è il sommo Bene: e godendolo si parteciperà a tutti i beni che ora non possiamo neppure immaginare. Dio è infinitamente perfetto e senza mescolanza di male, e perciò in Paradiso si gode ogni bene senza soffrire né temere nessuno dei mali che ci rendono infelici su questa terra, come infermità, tristezze, malinconie, incertezze, fame, sete, ecc. Ci dice lo Spirito Santo: «In Cielo non più fame, non più sete, non più calore o fatica» (Isaia, XLIX,10); «Asciugherà Iddio dagli occhi loro tutte le lagrime e non vi sarà più morte, né lutto, né strida, né dolore vi sarà più perché le prime cose sono passate» (Apocalisse, XXI,4); - 3) Il Paradiso è godimento eterno... Ecco quello che costituisce la corona della felicità del Paradiso. Essa non avrà più fine. Il limite di tempo, nel possesso di un bene preziosissimo, sarebbe già principio d’infelicità; e in Paradiso non vi sarà che gioia e contento, per sempre. 3. - Il Paradiso è un premio. Nella scuola il maestro dà forse il premio a tutti? No, ma solo a quelli che lo meritano collo studio e colla condotta. Così Dio dà il Paradiso ai buoni, cioè a chi lo ama e lo serve fedelmente, e che inoltre muore nella Sua grazia, nella Sua amicizia, senz’alcun peccato mortale. Il che significa che se taluno, dopo aver amato e servito fedelmente Dio per molti anni, lo offendesse gravemente e non ritornasse in grazia di Lui, non andrebbe in Paradiso. La grazia (come si dirà più chiaramente ai NN. 68 e 270) è un dono soprannaturale di Dio che ci rende santi, amici e figli adottivi di Dio; è come una nobiltà soprannaturale che ci eleva sopra la nostra semplice condizione di uomini. Coll’essere buoni noi, colle sole nostre forze naturali, non potremmo meritar il Paradiso; lo meritiamo colla grazia che Dio ci ha conferito nel Battesimo, per la quale le nostre opere buone acquistano merito pel Paradiso. Per andare in Paradiso bisogna morire in grazia di Dio. I buoni hanno tutto da sperare, poiché vivono in grazia di Dio, mentre i cattivi hanno tutto da temere vivendo in sua disgrazia. Pratica. - Ognuno attende con tanti sacrifizi e lavori a farsi un buon stato quaggiù, a guadagnare beni incerti, che poi si possono perdere da un giorno all’altro, che non possono mai rendere felice nessuno poiché non appagano il cuore, e che, in ogni modo, bisogna abbandonare presto per la morte. - Pensate invece, prima di tutto, a guadagnarvi il Paradiso. Questa è la cosa più importante, la sola veramente necessaria. - Ogni giorno che trascorre vi avvicina alla morte; vi avvicini pure al Paradiso. Esempi. «Buono pel Paradiso». - Mons. Tissot, Vescovo di Visigapatam in India, era venerato da tutti, insieme ai suoi Missionari e Suore pel loro spirito di sacrificio. Un giorno il capo della missione protestante si lamentava con lui perché i suoi ministri, pur lautamente pagati, dopo un po’ di tempo se ne tornavano in patria, e i convertiti tornavano al paganesimo; e domandava perché nessun Missionario pensava mai a tornarsene. E il Vescovo, sorridente, rispondeva: «Io ho un mezzo che non avete voi protestanti: voi date denari e beni; io invece dò loro fatiche, privazioni, ma con una specie di cambiale: Buono pel Paradiso». Due nidi. - Due uccellini andarono una mattina di primavera a costruire il loro nido. Uno di essi trovò un albero e fabbricò il suo nido fra i rami di esso. Era un posto davvero delizioso: i fiori riempivano l’aria con la loro fragranza; un ruscello mormorava ai suoi piedi, e le acque tremolavano e luccicavano al sole, riflettendo di notte le stelle scintillanti sul cielo turchino. Ma una notte scoppiò un furioso temporale, e le acque scorsero minacciose prima per il letto del torrente, poi ne varcarono le rive, invasero la campagna circostante e sradicarono anche gli alberi che le fiancheggiavano. Anche l’albero su cui l’uccello aveva fatto il nido fu portato via, e la povera casuccia fu distrutta. L’uccello aveva pensato solo ai giorni sereni e alle notti placide e quiete. L’altro uccello salì fra le rocce e costruì il nido nel crepaccio di una vecchia rupe. Ben presto il nido fu pieno di vita. Il temporale che aveva devastato la valle soffiò pure intorno alla vecchia rupe, ma non poté smuoverla. Al mattino tornò a risplendere il sole e la casa dell’uccello fu salva. - E noi, dove eleviamo il nostro edificio spirituale? Fra i verdi rami di puramente umane amicizie, nell’amena valle della vita, presso il ruscello dei piaceri terreni, dove spirano i soavi profumi; oppure fra le rocce, sulla rupe dei secoli? Costruiamo solo per i giorni sereni, o anche per le inondazioni e le tempeste? (D. A. Cojazzi). La beatitudine. - La sorella di san Tommaso d’Aquino gli domandò un giorno: «In che consiste la eterna beatitudine?». «Mia cara sorella, le rispose il Santo, non potrai saperlo se non in quel giorno in cui l’avrai guadagnata ed ottenuta. Essa è una cosa sì consolante e deliziosa, che tutta la sapienza umana è incapace ad esprimerla».

Che cosa è  il Paradiso? Chi merita il Paradiso? Dal Nuovo manuale del Catechista, mons. G. Perardi, L.I.C.E., Torino, 1939. SS n° 14, p. 6 - 7

Dio ci ha creati per conoscerlo, amarlo e servirlo in questa vita, e per goderlo poi nell’altra, in Paradiso. Premesse. - 1° Per intendere bene questo insegnamento è necessario premettere e ben intendere che Dio ha creato l’universo intero, e quindi anche l’uomo e anche noi, principalmente per la Sua gloria esterna. Essere infinito e perfettissimo, esistente a sé e da sé e per se stesso, Egli non poteva proporsi altro fine. E come Egli ha creato tutto per la Sua gloria, così tutte le creature hanno per fine principale ed essenziale di glorificare Dio, di rendergli gloria. - 2° Osservate come ogni cosa può avere vari fini secondari: ad es. il sole ha per fine secondario d’illuminare e riscaldare la terra, l’acqua di dissetarci e di mantenere alla terra la fecondità e la vita ai viventi. Al di sopra di questi fini c’è l’ultimo, il supremo, che è lo stesso per tutte le creature: rendere gloria a Dio. Così anche l’uomo ha molti fini particolari: ognuno ha il suo speciale: l’operaio che lavora, per procurarsi il necessario alla vita; lavorando si propone di compiere l’opera o la cosa propria del suo lavoro. Egli però ha sempre lo scopo generale di guadagnare per vivere, per provvedere alla famiglia e al proprio avvenire. Si studia per imparare, per prepararsi alla scuola, all’esame in fine di anno, per imparare. Ma sopra tutti questi fini l’uomo deve sempre avere in vista l’ultimo, il supremo, quello che è il vero e definitivo per cui Dio l’ha creato, cioè glorificarlo. - 3° Nella Sua bontà infinita, creando, Iddio non si è proposto come fine ultimo solo la Sua gloria, ma anche il bene delle creature intelligenti; si è proposto di renderle eternamente felici con Sé; ed ha legato tra loro i due fini, quello della Sua gloria e quello della loro felicità o beatitudine, per cui essi non si separano più. Glorificando Dio, l’uomo raggiunge la propria beatitudine, e non la può raggiungere se non glorificando Dio. - 4° Ogni essere glorifica Dio secondo la propria natura, in modo diverso dagli altri esseri. Il sole, ad es., con l’illuminare e riscaldare; l’acqua col mantenere alla terra la fecondità e agli esseri la vita, la terra col produrre il necessario alla vita, ogni pianta col produrre il frutto suo proprio. Così l’uomo deve glorificare Dio in conformità della propria natura, delle proprie attitudini, del proprio stato; e anche in proporzione della capacità delle potenze personali che Dio gli ha accordato. Da queste premesse possiamo facilmente intendere il grave e importantissimo insegnamento di questa risposta che bisogna considerare con grande attenzione. Spiegazione. - L’uomo, dunque, deve glorificar Dio, poiché fu creato per questo fine principale, e deve glorificarlo coll’impiegare per Lui le proprie potenze e capacità. Orbene, che cos’ha l’uomo? Egli ha una mente, un cuore o volontà, e la persona intera. L’uomo deve dunque impiegare pel Signore, per glorificarlo, la propria mente, il proprio cuore o la propria volontà e, quindi, la vita che ne dipende, la sua attività. 1. - Conoscerlo. Colla mente l’uomo conosce: conosce le cose, la verità. Dio è l’Essere Primo e Supremo, Creatore e Signore, Egli è Verità. Dunque in prima l’uomo deve studiare di conoscere Dio, e ciò che riguarda Dio, la Sua natura, le Sue opere, e la Sua volontà. Colla mente l’uomo glorifica Dio, quando la indirizza a conoscerlo quanto lo può su questa terra. Noi, come già si disse, possiamo conoscere Dio in due modi: col lume della ragione e col lume della fede. Conosciamo Dio col lume della ragione e col lume della fede, studiando il Catechismo. 2. - Amarlo. Conosciuto un bene, naturalmente lo si ama. Dio è il sommo Bene e la somma Autorità; dobbiamo quindi amarlo col sottomettergli la volontà nostra, col volere ed amare ciò che Egli vuole ed ama; e ripudiare ciò che Egli non vuole e proibisce. 3. - Servirlo, ossia compiere effettivamente, nella nostra vita, la volontà Sua. Noi ameremo e serviremo Dio coll’osservare i Comandamenti, col praticare la religione, coll’indirizzare tutte le nostre azioni, anche le più materiali, a Suo onore e gloria, ossia allo scopo di fare la volontà Sua e glorificarlo. L’ubbidienza è sempre la grande prova di amore verso i genitori come verso Dio. 4. - Dio, come Creatore, ha su noi ogni diritto; Egli quindi avrebbe potuto esigere da noi il servizio che gli dobbiamo senza esserci debitore di nessuna ricompensa. Per pura Sua bontà invece si è degnato di destinarci come premio di averlo conosciuto, amato e servito in questa vita, la grazia di goderlo poi per sempre nell’altra vita, cioè in Paradiso. Vi sono molte cose che su questa terra ci recano godimento; i godimenti più preziosi sono quelli del cuore; amare i genitori e i parenti, ed esserne riamati, è una delle gioie più care. Quando un buon fanciullo sente dirsi dalla mamma: «Sei buono, e io sono contenta e ti voglio bene», prova un godimento che non si può esprimere a parole. Ebbene, Dio ci ha destinati a essere felici, a godere non solo tutti i beni, ma Lui stesso, nel Suo santo amore in Paradiso. Pratica. - Godere Dio in Paradiso è il premio che il Signore serba a coloro che in questa vita lo conoscono, lo amano e lo servono. Dovete dunque risolvere seriamente di trascorrere sempre la vita nell’amor di Dio e così rendervi degni di vederlo e di goderlo per sempre in Paradiso; questa è la sola cosa veramente necessaria. - Pensiamo agl’infelici che non conoscono il vero fine della vita; tra essi vanno i Missionari per istruirli Esempi. - A che serve la vita? - È il problema grave per tutti, pei credenti come pei miscredenti; il problema che assilla necessariamente ogni uomo che ragiona. Eppure è il problema che molti uomini - saggi e prudenti in tutto il resto - respingono da sé quasi con terrore. Non vogliono saperlo, anzi temono questo perché. Riferiamo una pagina magnifica che con tanto cuore il Card. Maffi, dopo il primo tentativo di suicidio dell’infelice Prof. Ardigò nel 1916, il quale lamentava, oppresso da quel problema: «a che serve la vita? lasciatemi morire!», scrisse: «Strano! Sulle sudate pagine una luce candida e tranquilla gli piove la vicina e amica lucerna; dal calamaio beve copioso l’inchiostro la penna, che poi dolce e rapida, sotto il dominio della sua mano, scorre e imprime sulla carta; - ed il filosofo sa a che gli servano la lucerna, il calamaio, la mano, la penna, la carta: non sa a che gli serva la vita ! - Il freddo, il calore, un bisogno di ristoro lo molestano? E aggiunge o leva degli abiti che lo rivestono; e modera, colle imposte, l’aria e il sole alle finestre; e ad una mensa siede, che convenientemente lo riconforta: - e il filosofo sa come gli abiti e la casa e il cibo gli servano a mantenere, a proteggere, a rinnovare la vita: non sa però a che gli serva la vita! - Sa che serve la notte al riposo, il giorno al lavoro; che servono le vacanze a ristorare le forze; l’anno scolastico agli studi, la prima età a crescere, la giovinezza all’educazione, alla cultura... Sa a che servano le frazioni, le età della vita; non sa a che serva l’intera, tutta la vita! Sa a che serva quanto è intorno lui; non sa a che serva lui! Sa che un rasoio può servire a troncare una vita; ma non sa il valore, il perché, la ragione della vita che si tronca; e questo dopo più di cinquant’anni d’insegnamento, dopo novant’anni di vita! E domanda di poter nel suo sangue annegar la sua vita, come cosa incresciosa, inutile, ingombrante, perché non sa a che serva la vita!». - Due anni dopo, l’infelice riuscì ad ammazzarsi! L’epitaffio dello stolto. - Un cortigiano di Borgogna, durante la sua vita non aveva mai pensato seriamente al suo fine, né alla salute dell’anima sua. Vi pensò, invece, seriamente (e, Dio voglia, in tempo) in punto di morte. Anzi, a rendere gli altri più saggi, dispose nell’ultima ora della sua vita che sulla sua tomba si incidesse questa iscrizione: «Qui giace uno stolto che è partito dal mondo senza avere ben conosciuto il perché ci fosse venuto». - Quanti, pur troppo, vivono e muoiono senza pensare al loro fine, senza sapere perché siano vissuti e dove vadano! Pellegrini e ospiti. - Un pellegrino chiese una sera ospitalità in un castello. Avutone rifiuto poiché, gli disse il castellano, il mio castello non è albergo, il pellegrino gli rivolse tre domande: «Prima di voi chi abitava il castello?... E prima di vostro padre?... E dopo di voi chi lo abiterà?». E soggiunse: «Se ciascuno di voi abita solo per breve tempo questo castello e se ciascuno lascia tosto il posto al successore, non è esso un albergo e non siete voi ospite? Pertanto, invece di impiegare le vostre ricchezze solo per ornare questo castello che vi dà ricovero per breve tempo, usatene anche per far del bene ai poveri e così vi preparerete una stabile dimora in cielo». Per mangiare riso. - Domandava un missionario ad un cinese che godeva nomea di saggio: «Ma perché siete al mondo?». Il cinese gli rispondeva: «Per mangiar riso». Voi ridete; ma quanti cristiani in mezzo a noi adottano, in pratica, il sentimento del cinese: Vivono per mangiare e bere, per accumulare roba, e talora per guazzare nel fango come certi animali che diciamo immondi. Perché lavorate? - Un giorno san Filippo incontrò alcuni giornalieri e li domandò perché lavorassero. E avuta la risposta che lavoravano per guadagnarsi il pane, per mantenere la famiglia, soggiunse loro: «Sta bene lavorare per guadagnare il pane e per mantenere la famiglia, ma bisogna anche lavorare per guadagnare il Paradiso: pane e Paradiso, se no, voi perdete il frutto principale delle vostre fatiche». Nota Apologetica. Il fine dell’uomo. 1° Nulla è così importante come ben conoscere il proprio fine e tendervi con tutte le forze. - 2° È doloroso constatare come molti uomini che studiano le più minute cose della vita e del creato, le loro proprietà, non si preoccupino poi per nulla del proprio fine, non si curino di sapere donde vengono, perché sono in questo mondo, e dove vanno. - 3° Altri dicono che ci siamo per godere. No; tant’è che i beni di natura non sono di tutti e che nulla appaga il cuore umano: non le ricchezze (quanti riescono a conseguirle? L’immensa maggioranza vive in povertà), non gli onori, non la scienza e neppure i piaceri sensibili. - 4° Quando una cosa non serve al suo fine, se ne fa getto; se avessimo la vita per godere, poiché essa ci dà molti dolori più che piaceri, quasi tutti la dovremmo violentemente troncare. - 5° Se ci fossimo per godere, sarebbe lecito e onesto ciò che procura soddisfazione, godimento, e quindi anche il furto, l’assassinio ecc. - 6° Il vero e solo godimento che soddisfa il nostro cuore è di vivere facendo la volontà di Dio e di possedere così la pace e la tranquillità della coscienza, il pegno della felicità immancabile, nel godimento di Dio nell’altra vita.

Per qual fine Dio ci ha creati? Dal Nuovo manuale del Catechista, mons. G. Perardi, L.I.C.E., Torino, 1939. SS n° 13, p. 6 - 7

Dio ha cura e provvidenza delle cose create, e le conserva e dirige tutte al proprio fine, con sapienza, bontà e giustizia infinita. Spiegazione. - 1. - Dopo averci insegnato che Dio è nostro Creatore, che noi siamo perché Dio ci ha creati, il Catechismo ci ha fatto conoscere molte cose intorno a Dio e alle Sue perfezioni; ora esso ci trattiene sui rapporti, se possiamo usare questa parola, che vi sono tra Dio e le cose create, e specialmente tra Dio e gli uomini, ossia sul fine (ragione, motivo) per cui Dio ha create tutte le cose e gli uomini e su quello che sarà degli uomini che corrispondono e di quelli che non corrispondono al loro fine. 2. - In questa prima risposta il Catechismo ci insegna che Dio, Creatore di tutte le cose, non le abbandona a se stesse, ma ne ha cura e provvidenza, cioè le conserva e dirige al proprio fine, con sapienza, bontà e giustizia infinita. Per Provvidenza s’intende l’azione costante di Dio sull’universo, per cui conserva le cose da Lui create - il che equivale ad una continua creazione - e dirige ognuna di esse al suo fine particolare, e l’universo intero al fine inteso nella creazione. L’ordine, la finalità e la costanza delle leggi naturali sono la miglior prova del governo e della Provvidenza divina nel mondo fisico, poiché se il mondo fosse in balìa del caso non ci sarebbe nessun ordine e nessuna costanza nell’operare della natura. Lo stesso si deve conchiudere dalla considerazione dell’ordine, della finalità e della costanza dell’operare della natura nel regno vegetale, animale, nel qual ultimo si rivela specialmente per  il mirabile istinto particolare a ogni specie di animali. È proprio di ogni intelligenza operare per un fine e far tendere al fine proposto le proprie opere. Dio è spirito infinitamente sapiente; ogni opera Sua tende al fine stabilito. Negare la Provvidenza, dire che Dio abbia abbandonato il mondo al caso, è negare Dio, è negare tutti i suoi attributi di sapienza, di potenza, di giustizia, di bontà. 3. - Dio, infinita sapienza, ha creato le cose assegnando un fine generale a tutte le creature e ad ognuna di esse un suo fine particolare; non c’è cosa che non abbia il suo fine, voluto da Dio anche se noi non lo conosciamo sempre. Dio, infinita bontà, ha poi stabilito un fine superiore per le creature intelligenti: la loro felicità in cielo; infinita potenza, fa che questo fine a qualunque costo si raggiunga da chi lo vuol conseguire; infinita giustizia, vuole che il fine generale, che è la Sua gloria, sia raggiunto, e premierà tanto più generosamente quanto furono maggiori le difficoltà superate dalle creature intelligenti per cooperare al conseguimento di quel fine, e castigherà coloro che rifiutarono di corrispondervi. Dio ha segnato realmente un fine speciale a ogni creatura: al sole d’illuminare e riscaldare la terra; all’acqua di soddisfare ai bisogni degli uomini, innaffiando la terra, ecc; alla terra di produrre il necessario, se lavorata, alla vita degli uomini. Ogni cosa corrisponde al fine per cui fu creata: il sole illumina e riscalda la terra; l’acqua corre al mare, si eleva in forma di vapore nell’atmosfera, donde ritorna nuovamente in forma di pioggia o di neve sulla terra, alimentando i fiumi e le numerosissime correnti sotterranee che portano la fecondità e la vita alla terra e agli uomini; la terra, coltivata, ci nutre; gli animali seguono infallantemente l’istinto avuto; tutte le creature, ognuna nel suo stato particolare, raggiungono il fine che Dio ha loro assegnato. Noi non conosciamo sempre il fine di ogni cosa; quante cose per lunghi secoli furono riguardate come inutili, e solo più tardi si riuscì a capirne i vantaggi che se ne potevano ritrarre! Pratica. - Quanto è grande la provvidenza di Dio! Affidiamoci ad essa con abbandono filiale, facendo però di cuore ciò che Egli vuole da noi. - Mentre tutte le cose rispondono fedelmente al fine per cui Dio le ha create, non sia mai che noi, ribellandoci alla volontà di Dio, abbiamo a rompere questa mirabile armonia e perciò vogliamo anche noi e facciamo sempre e unicamente quello che Dio vuole da noi. Esempi. - Confessione di Coppée. - La sofferenza, nei disegni della Provvidenza, ha anche lo scopo di ricondurre a Dio l’uomo che se n’è allontanato o impedirgli di allontanarsi. Scrisse il Coppée nel suo libro Saper Soffrire: «a Uno dei miei amici, brillante poeta, dalla mente fantastica e sognante, che si era fatta una fede a sé tutta umana e filosofica, mi confidava, poco fa, la disfatta della sua fede filosofica. Sì, mi diceva egli, ho trascorso dieci anni della vita illudendomi che al di là non c’è nulla, che tutto è sogno e fantasia. Il mio sistema andava magnificamente; io era felice. Ma, poche settimane or sono, la mia fanciulla cadde ammalata; il dottore scuoteva il capo... ed io mi sono allora inginocchiato con mia moglie a pregar un Dio buono, un Padre celeste, il solo che poteva salvarmela in questo mondo o ricongiungerci nell’altro. D’allora, continua Coppée, io considero già questo mio amico come una recluta della grande famiglia di Cristo. E altri torneranno... verranno punzecchiati, diretti, spinti, avvertiti da una sofferenza fisica o morale che arriva all’improvviso per dir loro: Sono l’inviato di Dio che vi vuole con sé... per la vostra felicità e fortuna nella vita eterna che ben presto vi attende». Santa Teresa del Bambino Gesù aveva così ben compresa la missione provvidenziale della sofferenza cristianamente accettata, che diceva giornata perduta la giornata trascorsa senza sofferenza. Poco prima di morire diceva ancora: «Vi ringrazio, o Signore, di avermi fatta passare pel crogiuolo di tante sofferenze!». La risposta della madre. - La tempesta aveva portato via tutto il raccolto di un paese e la disperazione gravava in una famiglia di agricoltori, i quali bestemmiavano contro la Provvidenza. La vecchia madre disse: «Siete cattivi, figli miei, siete villani verso Dio. La tempesta vi ha portato via il grano, la biada, l’avena, il fieno e ne avete un grande danno; ma voi siete ancora vivi. Il temporale non vi ha portato via la vista, le mani, le braccia, la casa, i campi, e col lavoro e con l’economia in tre anni vi rifarete dei danni. Durante la mia vita, molte grandinate hanno scombussolato questa casa, ma in essa non è mai mancato il pane. Iddio è padrone dell’avvenire». Un figlio le rispose: «Non avete tutti i torti, o mamma, ma la tempesta è una cosa che non va e Iddio...». E la vecchietta: «Quante cose non vanno bene, o figlio mio ; non va la bestemmia: eppure bestemmiate. Non va la profanazione della festa: eppure voi passate le feste in campagna o all’osteria. Non va la scostumatezza, lo scandalo: eppure troppe volte io debbo chiudermi le orecchie ai vostri sozzi discorsi. Le tempeste, o cari, lavano un poco le famiglie non più pulite...». È proprio così. Due cortei funebri. - Due uomini vennero a morire nella stessa casa, lo stesso giorno: uno al primo piano, l’altro, su in una squallida soffitta. Al primo - vissuto come il ricco Epulone tra le ricchezze e i piaceri della vita e morto senza prete e senza Dio - si fecero solenni funerali. Tutta la città vi prese parte. L’altro, buono e povero come Lazzaro, venne, dopo, accompagnato in chiesa da pochi congiunti piangenti e preganti. Un eremita di passaggio nella città e testimone dei due successivi cortei, ne mosse lamento col Signore quasi che non fosse giusta la Sua permissione. E Dio, allora, gli mostrò due schiere d’angeli, invisibili al pubblico, una delle quali accompagnava il cadavere del povero, e l’altra ne portava al cielo l’anima beata, mentre invece i demoni si erano frammisti al primo corteo e lo guidavano. - Qual corteo vorreste per voi?...  La Provvidenza. - In molte maniere, anche con miracoli strepitosi, Dio manifesta la sua Provvidenza, come vediamo nel Cottolengo a Torino, detto la «Piccola Casa della Divina Provvidenza», che accoglie e mantiene ben ottomila ricoverati ai quali non è mai mancato il necessario. Ma là si prega sempre Dio. Nota apologetica. La Provvidenza e i mali. Sono prosperati i malvagi? - L’insegnamento che il Catechismo ci dà in questa risposta, apre la via a una questione: «Come si può conciliare l’opera della Provvidenza di Dio coi mali così gravi e numerosi che colpiscono tanti uomini?». Ed è vero che i cattivi sono temporalmente, materialmente più fortunati? 1.- Quanto alla prima questione considerate: 1) L’esistenza del male fisico, sia che provenga dalla cattiva volontà degli uomini, sia da altre cause o disgrazie, non dice nulla contro la Provvidenza. Sono buone le leggi naturali anche se da esse ne conseguono talvolta dei danni e del male alle creature ; è cosa in sé buona il fuoco che brucia, anche se talvolta degenera in incendio. E non sarebbe conveniente che Dio intervenisse sempre con azione diretta e soprannaturale per impedire conseguenze e cattive e funeste. - 2) Per dire che le disgrazie, le sofferenze, i mali terreni, in una parola il dolore - sotto qualunque forma si presenti e qualunque ne sia la causa immediata - si oppone alla Provvidenza, bisognerebbe dimostrare che impedisce all’uomo il conseguimento del suo ultimo fine. Invece, se viene sopportato con rassegnazione e pazienza, diviene il mezzo più sicuro per conseguirlo. Se il fine della vita fosse il godere terreno, il dolore terreno sarebbe un controsenso; esso non può essere spiegato se non lo si considera in relazione alle ultime finalità della vita. - 3) Del resto bisogna ricordare che il disegno di Dio sulla vita terrena dell’uomo è stato guastato dalla colpa; che ora l’uomo nasce in stato di peccato, portando le conseguenze del peccato dei progenitori - che peccarono non come individui, ma come principio e padri di tutta l’umanità - di cui Dio rispettò la libertà come la rispetta in noi e negli altri uomini, l’abuso della quale porta sofferenze che la Provvidenza sa indirizzare al conseguimento dell’ultimo fine dell’uomo; che incorporati a Gesù Cristo per il Battesimo non possiamo pretendere di avere su questa terra una condizione di privilegio mentr’Egli è il crocefisso; che le sofferenze debbono lavorare in noi più perfetta l’immagine di Gesù crocefisso che a tutti dice: «Chi vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda ogni giorno la sua croce e mi segua» (San Matteo  XVI,24; San Luca IX, 23). 2.- Quanto all’altra questione, e che cioè i malvagi siano più fortunati dei buoni, riflettete: 1) I cattivi e i buoni partecipano ugualmente dei beni e dei mali terreni; questi sono comuni a tutti; onde si vede che dei buoni taluni sono ricchi, taluni sono poveri; taluni fortunati, altri sfortunati. - 2) Vi sono dei beni proprii dei cattivi. Il ladro che riesce a farla franca, acquista certamente beni materiali; godrà dell’ozio, dei divertimenti e piaceri a cui si abbandona; ma d’altra parte i malvagi hanno pure mali loro proprii: come ad esempio in generale le prigioni, certe gravi e diffuse malattie, la disunione in famiglia, lo scialacquo dei patrimoni, ecc. - 3) Se Dio li prospera in qualche cosa, non è certo in premio delle loro colpe, ma di talune virtù ed opere buone che non potrà premiare nella eternità e per invitarli a pentimento e conversione.- 4) Così non lascia nella sventura il giusto perché tale, ma in punizione delle colpe in cui anch’egli cade, come esercizio più perfetto di virtù, come mezzo di distacco più perfetto dal mondo e di maggior merito pel paradiso. Giuseppe Giusti osservava: «Io, che non nego la Provvidenza, credo che Essa dia appunto i solenni insegnamenti del dolore a chi è capace di sentirli, perché dal dolore, dal solo dolore nascono le grandi cose, e sorgono i forti caratteri, come il flore dalla spina. Nella gioia, l’uomo è sbadato, imprevidente, infecondo; le belle qualità dell’animo e della mente o non sono, o non si palesano negli uomini felici: una sventura le fa scintillare, come l’acciaio la pietra focaia» (Epist., vol. I, p. 126). E al giusto stesso bene spesso la virtù fu via alla fortuna terrena, come a Giuseppe il casto, a Davide, a Tobia, ecc. - 5) Non si può giudicare della Provvidenza in rapporto alla condizione dei buoni e dei cattivi quaggiù, se non si parte dalle verità essenziali che qui siamo in stato di prova; che giustizia perfetta Dio la farà di là; che qui si semina e di là si raccoglierà; che molte sventure e povertà sono conseguenza di colpe proprie o altrui. Dio tollera le cause prossime come le cause remote del male; nella sua Provvidenza indirizza tutto al miglior bene di ogni persona. Fortunato chi sa prendere e accettare tutto in rapporto all’ultimo suo fine. Osservava il Mamiani stesso: «Se il mistero del male è cupo e doloroso, per noi havvi una parola taumaturga che ne sperde le apparenti contraddizioni, e riconduce nella mente e nel cuore la serenità e la pace. Io vo’ dire la suprema parola, Immortalità. Che peso hanno, di grazia, tutti i mali fisici e le sofferenze di questa vita a comparazione della vita immortale avvenire? Quei mali e quei patimenti, a petto di una durata senza termine, sono mere adiacenze di un ordine subalterno e parziale, e apparecchi e preformazioni così indeclinabili quanto transitorie» (Filosofie delle Scuole, Roma, 1875, p. 215. - Cf. anche a pag. 73 Sull’Istruzione religiosa). - Con quanta ragione cantava G. Salvadori: «Gioite, o giusti! Inutile dolore non è per voi la vita; vinta è la morte ond’è spezzato il cuore da una pietà infinita. Il luminoso Spirito soave che ascoso in voi v’affina muta il dolore paziente e grave in melodia divina».

Dio ha cura delle cose create? Dal Nuovo manuale del Catechista, mons. G. Perardi, L.I.C.E., Torino, 1939. SS n° 12, p. 6 - 7

Dio può far tutto? R. - Dio può far tutto ciò che vuole: Egli è l’Onnipotente.

D. Dio può fare anche il male? R. - Dio non può fare il male, perché non può volerlo, essendo bontà infinita [ma lo tollera per lasciar libere le creature, sapendo poi ricavare il bene anche dal male]. Spiegazione. - 1. - Vi è accaduto, certamente più di una volta, di voler fare una cosa e di non riuscirvi, di non poterla fare; è quello che accade a tutti gli uomini, anche ai più grandi e potenti. Noi possiamo fare molte cose; ma quante cose desideriamo di fare e non possiamo! Ciò non accade a Dio; Egli può tutto quello che vuole. Per fare una cosa a Lui basta volerla; e perciò è detto l’Onnipotente, cioè che può tutto quello che vuole. 2. - Il Catechismo non dice semplicemente che Dio può far tutto in modo assoluto, ma solo che Dio può far tutto ciò che vuole; e ci spiega con un esempio che Dio non può fare certe cose perché non può volerle. Egli non può volere il male, e perciò non può farlo; e non può volerlo perché contrario alle sue perfezioni e specialmente alla sua infinita bontà. Egli è Bontà infinita, ossia è bene infinito, è infinitamente buono. Ma bene e male non possono star insieme come non possono stare caldo e freddo, bello e brutto. Volere e poter fare male non è perfezione, ma difetto; e in Dio, che è l’Essere perfettissimo, non vi sono imperfezioni. Che ciò non sia impotenza ma perfezione lo si intenderete meglio con un esempio. Il dolore è sofferenza. Ora se noi potessimo non soffrire, non diremmo che ciò è impotenza, ma perfezione. Così cadere ammalati è imperfezione; e se taluno potesse non cadere malato diremmo non già che egli non può una cosa, cioè ammalarsi, ma che ha una preziosa perfezione, un prezioso dono. Il male è come una malattia spirituale; e Dio che è perfettissimo non può soffrire nessun male, e perciò non può né volere né fare il male. - Inoltre Dio non può fare ciò che implica contraddizione, che una cosa sia e non sia, che sia bianca e insieme sia nera, ne ciò che è contrario alla verità. 3. - Il Catechismo soggiunge che Dio tollera il male per lasciare libere le creature. Noi godiamo di molti beni di cui taluni abusano, per esempio il cibo, il vino, i sensi del corpo. Il male che proviene da tale abuso non è imputabile a Dio, autore e donatore di quei beni, ma all’individuo che, invece di usarne bene, ne usa in male. Sarebbe conveniente che Dio, perché non accadessero tali abusi, non ci donasse quei beni? Certamente no. - Il dono più prezioso che Dio ci ha fatto è l’intelligenza, e la libertà che ne è dote e che consiste nel poter scegliere tra una cosa e un’altra, fare in un modo o in un altro. Così noi possiamo fare il nostro dovere, lavorare, studiare, ubbidire; ma potremmo anche, abusando della nostra libertà, non farlo, stando in ozio, disubbidendo. Sarebbe conveniente che Dio, per impedire questo male, l’abuso del dono della libertà, privasse tutti gli uomini di questo eccellente dono mettendoli in condizione di far necessariamente o per istinto ciò che fanno, come se fossero macchine o animali? 4. - Il Catechismo ci dice infine che Dio lascia libere le creature sapendo ricavare il bene dal male. Solamente Dio è capace di ottenere ciò, ossia di ricavare bene dal male. Non potete ora intendere perfettamente questa verità; potete però formarvene un’idea. Dio ricava il bene dal male nelle creature stesse. Ad esempio: taluno abusando della sua libertà e della sua forza ci fa soffrire. Ebbene, se noi sopportiamo con rassegnazione tali sofferenze, Dio le indirizza a nostro vantaggio e merito per il cielo. La crudeltà dei tiranni ha creato i martiri; la povertà e le miserie hanno procurato gli eroi della carità e dell’amore che si sacrificano per il prossimo. Come dai veleni più potenti i medici hanno saputo, ricavare medicine preziose ed efficaci, così Dio da tutto il male sa ricavare gran bene per chi lo soffre. Persino nel peccatore Dio ottiene un bene. Se il peccatore riconosce il suo torto, se ne pente e ne domanda perdono, Dio esercita su di lui la Sua bontà e la Sua misericordia, perdonandolo. Se il peccatore muore impenitente, Dio manifesta su di lui la Sua giustizia che nell’inferno trionfa del male col punirlo, e dei suoi nemici ostinati castigandoli. Pratica, - Dio è onnipotente e perciò può far tutto ciò che vuole. Quindi, se voi fate male, Dio può punirvi anche nell’atto stesso, può in quello stesso momento chiamarvi al suo tribunale. Pensateci! Ardireste lottare senz’armi contro un gigante armato? Ebbene, pensate che se peccate, lottate contro Dio onnipotente. Dio, che è infinita bontà, non può far male perché non può volerlo; noi, purtroppo, possiamo anche far male, ma dipende da noi. - Proponiamo di non far mai male, e ricorriamo sempre a Dio, perché ci sostenga onde non lo facciamo mai. - Se accade che taluno ci faccia del male, procuriamo di uniformare la volontà nostra a quella di Dio, ed Egli farà che quel male ridondi a nostro bene spirituale, a merito per il Paradiso. Esempi. - La potenza di Dio. - Dio ci manifesta la sua immensa potenza nella creazione. Egli ha creato tutto dal nulla; tutto, dal granello di sabbia sino al diamante, dal filo d’erba sino alla quercia maestosa, dal più piccolo insetto sino alla balena ed all’elefante, dalla stilla di rugiada all’oceano, dai corpuscoli che appena si vedono sino alle gigantesche montagne della terra e agli smisurati corpi celesti che, sostenuti e guidati dalla sua mano, pendono dalla volta del firmamento e compiono i loro giri al disopra del nostro capo. L’aria che respiriamo, tutto ciò che vive e si muove per lo spazio sterminato, tutti gli spiriti che abitano in cielo e tutti i viventi della terra, e tutte le forze e tutte le leggi poste al creato per la sua conservazione, tutto, tutto è opera della potenza di Dio. Fermate la vostra attenzione nel firmamento. Chi può contare le stelle? Chi può misurarne la grandezza? Non temo nulla. - «Non temo nulla, neppure la morte», diceva uno spirito forte (?) fiero del suo ardire. « Io, invece, temo Dio - gli rispose un saggio; - e poi temo dell’uomo che non teme nulla, dell’uomo che non teme Dio! ». - Sì, bisogna aver timore dell’uomo che non crede e perciò non teme Dio; non temere Dio è vivere senz’alcun freno e non aver orrore di nessun delitto. Per gl’individui come per le nazioni, il timor di Dio è fondamento di sapienza e di saggezza, e l’amore e il rispetto di Dio sono principio di felicità vera e di virtù. I Re della terra da soli. - Disse saviamente un buffone, quando a Filippo II, che lo minacciava se non eseguisse una cosa che gli aveva comandata vantando la propria potenza: «Che farebbe Vostra Maestà se tutti i suoi sudditi si accordassero insieme a dirle di no?». E disse una grande verità, perché i Re della terra non possono, da sé, più di quello che può un uomo qualsiasi, e solo possono per altrui mezzo. In tutto, essi, abbisognano dell’opera altrui: hanno bisogno di essere serviti. Potenza di Dio. - Il Cardinale Baronio nei suoi Annali racconta che Clotario, disfatto dalla malattia, diceva a quelli che l’attorniavano: «Quanto è grande la potenza del Re del cielo, che abbatte sì facilmente i superbi Re della terra!».

Dio può far tutto? -  Dio può fare anche il male? Dal Nuovo manuale del Catechista, mons. G. Perardi, L.I.C.E., Torino, 1939. SS n° 11, p. 6 - 7

Dio è sempre stato? R. - Dio è sempre stato e sempre sarà: Egli è l’Eterno. Spiegazione. - 1. - Noi esistiamo solo da pochi anni; io esisto da circa... anni; voi soltanto da pochi... dieci, dodici, ecc. Fra alcuni anni (supponiamo anche cento), noi non vivremo più, tutti saremo morti. Così non accade di Dio. Egli è sempre stato e sarà sempre. Non v’è stato e non vi sarà mai alcun tempo in cui Dio non sia. Egli è l’Eterno. 2. - Per intendere bene ciò è necessario che conosciate e intendiate queste tre parole che si riferiscono all’esistenza e che hanno diverso significato: mortale, immortale, eterno. Si dice mortale tutto quello che una volta non esisteva, che ha cominciato ad esistere e specialmente ciò che ha vita ma che un giorno morrà; tali sono le piante, gli animali, il nostro corpo. Si dice immortale quello che una volta non esisteva, che ha cominciato ad esistere, ma che non avrà fine, che non morrà, che non cesserà mai di esistere. Sono immortali gli Angeli e l’anima nostra. Finalmente si dice eterno chi è sempre stato e sempre sarà, chi non ha cominciato ad essere perché è sempre stato, e non cesserà mai di essere perché sempre sarà. Dio solo è eterno, perché Egli solo non ha avuto principio e non avrà mai fine, è sempre stato anche prima di tutti i tempi, e sarà sempre. Pratica. - In qualche modo Dio ci ha resi partecipi della sua eternità, poiché ci ha data l’anima immortale; essa non morrà mai, esisterà per sempre, e perché un giorno Egli risusciterà anche il nostro corpo; lo risusciterà perché, dopo, non muoia più e duri immortale come l’anima. Dio vorrebbe averci allora con Sé nella gloria. Siamo dunque buoni, per meritare di vivere poi con Lui la vita immortale e partecipare alla sua vita eterna.

Dio sa tutto? R. -Dio sa tutto, anche i nostri pensieri: Egli è l’Onnisciente. Spiegazione. - 1. - Noi possiamo sapere molte cose. Talune le sappiamo perché le vediamo; altre perché le abbiamo imparate o studiando o per il racconto fattoci. Ma quante cose non sappiamo! Quante verità non conosciamo e non conosceremo mai! Quanto più un uomo acquista nuove cognizioni, tanto meglio conosce che sono ben più numerose quelle che gli mancano. Ciò non accade a Dio. Egli sa tutto, e perciò è detto l’Onnisciente, cioè Colui che conosce tutto. - Tutte le cognizioni che gli uomini, anche i più dotti, riescono ad acquistare mediante lunghi studi, in confronto della scienza di Dio, sono meno che la luce d’una piccola lucciola in confronto della immensa luce che il sole spande sul creato. I veri dotti sono umili; riconoscono e confessano che è nulla ciò che sanno in confronto di ciò che non sanno. Solamente quelli che sanno poco ne menano vanto, poiché non hanno neppure idea di ciò che essi non sanno. 2. - Vi sono però cose che gli uomini non possono affatto sapere: i pensieri e i sentimenti altrui, se non sono manifestati in qualche modo. Dio invece conosce i nostri pensieri anche i più nascosti. Tutto ciò che ognuno di noi pensa, Dio lo conosce; a Lui non possiamo nascondere assolutamente nulla di quanto facciamo o pensiamo. Inoltre Egli conosce tutto l’avvenire, anche quello che gli uomini liberamente faranno. Egli sa tutto, conosce tutto, è l’Onnisciente a cui perciò nulla né del presente, né del futuro, può essere nascosto, occultato. Pratica. - Ci accade spesso di fare cose cattive perché siamo persuasi che nessuno le sappia. Ricordate che Dio sa e conosce tutto, anche quello che pensate e desiderate. La solitudine, i nascondigli, la notte, le tenebre non impediscono a Dio di conoscere le nostre azioni. - Talvolta il solo timore che gli altri, che i genitori, i superiori sappiano ciò che fate, vi trattiene dal fare cose cattive; Dio, infinitamente grande, potente e buono, sa sempre tutto quello che fate. Che Dio possa sapere sempre buone e sante le vostre opere ed essere contento! Esempi. - Ciò che so. - Aristotele, celebre e sapientissimo filosofo dell’antichità, i cui libri anche ai giorni nostri sono ammirati e studiati, intravedeva la grandezza e l’estensione della scienza, e diceva di sé: «Non so bene che una cosa sola, che cioè non so niente». I veri dotti sono umili; quelli che si vantano dotti e sapienti non capiscono neppure che ciò che sanno è proprio nulla in confronto di ciò che non sanno. I veri dotti ammirano e rispettano la scienza; i saputelli parlano sempre in nome suo, come padroni tentano di presentarsi quasi per esponenti di essa e coprire così la propria ignoranza presuntuosa. Il vero dotto è umile; l’ignorante invece è superbo. I raggi X. - È stata cosa mirabile la scoperta di questi raggi mediante i quali si può fotografare l’interiore dell’uomo, onde si scoprono le rotture delle ossa, i corpi ingoiati, ecc. La sapienza di Dio penetra sino all’intimo della coscienza e dell’anima, e conosce tutto, anche i pensieri. Guarda in su! - Un uomo stava per scavalcare un muro onde rubare e guardava attentamente d’ogni intorno per assicurarsi che nessuno lo vedesse. Lo osservò un uomo che si trovava su di un albero vicino, che gli gridò : «Guarda anche in su; c’è Dio che ti vede!». Perché pensate male nei vostri cuori? - In varie circostanze Gesù Cristo dimostrò di conoscere i pensieri altrui e l’avvenire. Un giorno gli venne portato un paralitico. Gesù gli disse : «Confida, figliuolo, ti sono rimessi i tuoi peccati». I Farisei pensarono tra sé che Gesù Cristo bestemmiasse, perché Dio solo può rimettere i peccati. E Gesù disse loro: «Perché pensate male nei vostri cuori?». Con questa domanda dimostrò di conoscere i loro pensieri; indi per mostrare che Egli aveva potestà divina di perdonare i peccati perché Dio, guarì il paralitico dicendogli: «Prendi il tuo letto e vattene a casa». Il paralitico si alzò guarito e se n’andò lieto e contento (San Matteo, IX). Uno di voi mi tradirà. - La sera precedente la sua Passione e Morte, Gesù Cristo predisse che sarebbe stato tradito da un suo discepolo. Disse agli Apostoli: «In verità vi dico: uno di voi mi tradirà». Mi negherai tre volte. - La stessa sera Gesù predisse agli Apostoli come nella notte tutti lo avrebbero abbandonato. Pietro protestò che neppure a costo della morte non lo avrebbe lasciato. Ma Gesù gli disse che egli stesso nella notte per tre volte avrebbe dichiarato di neppure conoscerlo, rinnegandolo persino con giuramento.

Dio è sempre stato? - Dio sa tutto? Dal Nuovo manuale del Catechista, mons. G. Perardi, L.I.C.E., Torino, 1939. SS n° 10, p. 6 - 7

Dio ha corpo come noi? R. - Dio non ha corpo, ma è purissimo spirito. Spiegazione. - 1. - Il Catechismo insegna che Dio non ha corpo, ma che è purissimo spirito. Quando diciamo spirito che cosa intendiamo? Intendiamo un essere che ha intelligenza e volontà libera, un essere che intende e che liberamente vuole. Vi sono molte cose o esseri che noi non vediamo ma che non sono spirito in senso rigoroso, come ad esempio, l’aria, i gas; essi non hanno né intelligenza né volontà. Così i nostri pensieri, i nostri desideri non sono né visibili, né sensibili; sono opera dello spirito, sono spirituali. - Dio non solamente è spirito, ma purissimo spirito, poiché Egli non è unito a corpo; è spirito che vive a sé e non già insieme ad un corpo. 2. - Oltre Dio vi sono altri spiriti? (Dico spiriti in senso rigoroso, da non confondersi colle cose a cui diamo impropriamente il nome di spirito per l’alcool che contengono). Sì, oltre a Dio vi sono altri spiriti e sono: gli Angeli e le anime nostre. Gli Angeli sono puri spiriti come Dio (non uguali, ma simili a Dio) perché essi non sono uniti a nessun corpo, né hanno corpo alcuno. Invece l’anima nostra è spirito, ma non puro spirito perché essa è unita al corpo, è creata per costituire, insieme al corpo cui è unita, un essere completo, l’uomo. 3. - Dio è purissimo spirito; tuttavia parlando di Dio usiamo certe espressioni per cui sembra che gli attribuiamo un corpo come abbiamo noi. Ad esempio diciamo: L’occhio di Dio ci vede; la mano di Dio colpisce i peccatori, e altre simili cose. Usando tali espressioni, non dobbiamo già figurarci che Dio sia come noi, col corpo, cogli occhi, colle mani; usiamo queste espressioni per significare in modo adatto a noi che siamo alla presenza di Dio, che Dio è giusto, che conosce tutto, che premia e castiga. Noi non sapremmo spiegarci in altro modo per significare che Dio vede, premia e che castiga; perciò, adattandoci al nostro modo di sentire e di dire, usiamo le denominazioni di mani, occhi, ecc. anche parlando di Dio, benché tali espressioni non siano esatte. Inoltre, per dare l’immagine di Dio, si ricorre pure a forme corporali, e si rappresenta nel modo con cui Egli si manifestò agli uomini; ciò facciamo, non già perché Egli sia quale lo si rappresenta, ma perché noi abbisognamo di figure sensibili, che valgano a destare nella nostra mente e rappresentarsi l’idea di Dio stesso che non possiamo vedere cogli occhi. Pratica. - Lo spirito è molto più nobile, più eccellente del corpo; noi oltre il corpo abbiamo anche l’anima che è spirito; per l’anima siamo creati a immagine e somiglianza di Dio che è purissimo spirito. Dobbiamo perciò pensare non solo al corpo ma anche e principalmente all’anima, che viene da Dio e tornerà a Dio, e studiarci di renderla sempre più bella e più ricca per mezzo delle opere buone che sono il suo ornamento. Esempi. - Di che colore è Dio? - In una pubblica riunione, un così detto libero pensatore, rivolgendosi al conferenziere, gli disse: «Reverendo, vorrebbe dirci di che colore è Dio?». Rispose: «Non solo ve lo dico, ma ve lo faccio vedere. Dio è un puro spirito. Osservate il colore dell’anima vostra, e vedrete il colore del buon Dio. Orbene, qual è il colore dell’anima vostra? è giallo o verde? Non mi rispondete?». - L’arrogante, da baldanzoso divenuto degno di compassione, tace, ed i vicini gli dicono: «Enrico, avresti fatto meglio tacere prima». Gli si sarebbe anche potuto domandare di che colore fosse la sua coscienza, la sua onestà.

Dov’è Dio? R. - Dio è in cielo, in terra e in ogni luogo: Egli è l’Immenso. Spiegazione. - 1. - Un giorno un Catechista domandò ad un buon fanciullo: «Sai dirmi un luogo dove vi sia Dio?». Il fanciullo, pronto, rispose: «Sapete forse dirmene uno ove Egli non sia?». Questo fanciullo aveva ragione, poiché Dio è dappertutto e quindi non c’è nessun luogo in cui Egli non sia. Dio è in ogni luogo, e dappertutto si manifesta: in cielo coll’ordine mirabile che vi fa regnare; in terra col farle produrre continuamente il necessario alla nostra vita; in tutto il creato coll’armonia stupenda che vi conserva, e coll’indirizzarlo al suo fine. Noi non siamo che in un luogo; ora, ad esempio, in questa chiesa. Mentre siamo qui non possiamo trovarci né a casa, né in iscuola, né in altro luogo. Dio invece è in cielo, e, nel medesimo tempo, è in terra e in ogni luogo, e perciò Egli è l’Immenso, cioè l’Essere che non ha limite o confine, e che quindi è in ogni luogo. Noi abbiamo un corpo, che è limitato e circoscritto, e perciò non possiamo essere che nello spazio occupato dal nostro corpo. Il mare è esteso, eppure ha un confine; è grande la terra, anche più grande il sole. Tuttavia essi hanno un limite; tutto l’universo è limitato. Solo Dio non ha limite alcuno perché Immenso. 2. - Se Dio è in ogni luogo, perché diciamo quasi sempre che è in cielo? ... Che di là ci vede e ci esaudisce? - Usiamo queste espressioni, non per dire che Dio è solo in cielo, ma perché là Egli si manifesta, si fa vedere agli Angeli e ai Beati che rende felici colla sua gloria e colla sua bontà. Pratica. - Noi non possiamo mai in nessun tempo e in nessun luogo sottrarci dalla presenza di Dio; siamo continuamente con Lui. - Questo pensiero ci animi a vivere sempre bene, a comportarci sempre con modestia e con purità; ci conforti nelle pene e nelle difficoltà. Il soldato, vicino al sovrano, si comporta rettamente e, se è in guerra, con generoso valore. Esempi. - Dio mi vede. - Il celebre nostro scrittore Alessandro Manzoni, da fanciullo, ebbe molta familiarità coi Cappuccini di Pescarenico, di cui frequentava il convento. Già vecchio, si dilettava di ricordare a qualcuno dei Cappuccini che godettero della sua amicizia, come egli fanciullo, una volta, nel convento di Pescarenico, lasciato libero dal suo custode, non poté trattenersi di andare a dare un’occhiata alla «stanza della frutta». Vi trovò delle belle mele e... allungò subito le mani. Ma in quel momento, guardandosi sospettosamente intorno, gli occhi gli caddero su un cartello appeso alla parete dove era scritto: Dio mi vede. «Quella scritta - narrava il vecchio Manzoni - mi mise addosso tanto improvviso sgomento che fuggii a gambe levate e fui per quella esperienza liberato per sempre dalla tentazione di allungare le mani». C’è Dio. - Un fanciullo diceva alla sorellina: «Ora in casa non c’è nessuno; io so dove la mamma ha nascosto una cosa buona; vieni, la prendiamo e ce la mangiamo tranquillamente». «No, non è vero che non ci sia nessuno - rispose la fanciulla; - c’è Dio che è dappertutto e io non voglio far male davanti a Lui». La fanciulla aveva ragione.

Dio ha corpo come noi? - Dov’è Dio? Dal Nuovo manuale del Catechista, mons. G. Perardi, L.I.C.E., Torino, 1939. SS n° 10, p. 6 - 7

Signore significa che Dio è padrone assoluto di tutte le cose. Spiegazione. 1. La parola Signore, come quasi tutte le altre parole del linguaggio umano (Così, ad esempio, la parola uomo ora esprime l’essere umano che è distinto da tutti gli altri, e abbraccia uomini, donne, fanciulli, ecc.; ora esprime il sesso e distingue l’uomo dalla donna; altra volta indica l’uomo adulto e lo distingue dal fanciullo; talora anche l’uomo in senso nobile, l’uomo di carattere. In questo senso si dice: Quello è un uomo!), ha vari significati: è titolo di rispetto verso una persona; può indicare il ricco; può esprimere la padronanza, signore, e cioè padrone. Dio è Signore in questi tre significati; qui, però, la parola Signore esprime ed indica la sua padronanza, l’essere Lui il Padrone. 2. Dio è veramente Signore, ossia il Padrone di tutte le cose, poiché Egli le ha create e quindi gli appartengono in vera proprietà più che non appartengano a noi le cose fatte da noi. Però il Signore non è detto solo Padrone di tutte le cose, ma Padrone assoluto; ossia Egli solo è il vero e supremo Padrone. Le cose che ci appartengono sono nostre, e abbiamo diritto di rivendicarle contro chi ce le volesse togliere; ma la padronanza nostra non è assoluta, essa è solo secondaria o relativa, cioè dipendente dalla padronanza assoluta di Dio. Egli è il Padrone principale e assoluto; noi siamo padroni solo secondari e dipendenti. Pratica. Delle cose nostre e di tutto, noi dobbiamo usare riconoscendo la padronanza suprema di Dio. Onde il ricco, più che padrone, deve riconoscersi usufruttuario e amministratore dei propri beni, e amministrarli quindi secondo la volontà di Dio, facendo cioè la debita parte ai poveri. - Date per le opere buone e per le missioni. - Noi stessi siamo liberi bensì (cf. n. 64), ma non indipendenti; liberi e perciò responsabili, ma dipendenti da Dio; in dovere perciò di riconoscere la Sua padronanza su di noi e volontariamente sottometterci a Lui. - E dobbiamo sempre usare delle cose come vuole Dio che ce le dà e non abusarne mai, né usarne per il male. Esempi. Dio ha pensato a me! San Francesco d’Assisi, dopo un faticoso viaggio con un compagno, frate Masseo, si assise all’ombra di un albero presso un ruscello di acqua fresca. Mangiando un po’ di pane, san Francesco prese a piangere. Richiesto del perché, san Francesco disse: «Piango pensando alla bontà di Dio che da tutta l’eternità pensò a noi; egli previde che saremmo passati di qui accalorati, stanchi e assetati; e ha disposto che trovassimo qui una pianta alla cui ombra riposarci e un’acqua così limpida e fresca per dissetarci. Piango pensando alla sua bontà per noi». Benefizi di Dio. Un Santo osservò: «Se, stanco da un lungo viaggio, tormentato dalla fame e dalla sete, ti lasciassi cadere spossato a piè d’una torre e qualcuno a te, languente, calasse dalla torre cibo e bevanda, non alzeresti gli occhi per ringraziare chi tanto amorevolmente si piglia cura di te? E che altro fa Iddio se non dispensarci senza posa i doni più preziosi dall’alto dei cieli? Qual cosa vi è che Dio non ci abbia dato per sua grazia speciale? Eppure, ahimè! il nostro sguardo si leva in alto così di rado, e pensiamo così poco a ricambiare d’affetto il Benefattore tanto generoso verso di noi!». Ciò che v’è di più bello al mondo. Un giorno, il celebre Brancks, che s’è immortalato coi suoi viaggi e con le sue scoperte, andò a far visita a Re Giorgio d’Inghilterra. Durante la conversazione, il Re chiese ciò che egli aveva visto di più bello nel suo giro del mondo: «Il Padrone dell’universo, Sire», rispose l’illustre scienziato. - Risposta tanto vera quanto sublime; nelle cose vedere il loro Creatore e Signore! - Esclamava il celebre astronomo Keplero: «Ti ringrazio o mio Creatore e Signore di tutte le gioie che mi hai fatto gustare nell’estasi in cui mi ha rapito la contemplazione delle opere della tua mano. La grandezza di queste opere io mi sono studiato di proclamare innanzi agli uomini; e ho posto ogni cura nel far loro conoscere quanta sia la tua sapienza, la tua potenza, la tua bontà». Nota apologetica. La Religione. Dalle verità spiegate scaturisce la religione. In che cosa essa consiste? Nel riconoscere e trattare Dio per quello che è. Egli è Creatore e Padrone nostro; dunque dobbiamo essere a Lui pienamente sottomessi, onorarlo secondo la Sua infinita grandezza, adorarlo, riconoscere la Sua padronanza e dipendenza nostra; ubbidirlo col fare la Sua volontà conosciuta sia col lume della ragione (legge naturale), sia col lume della fede (legge cristiana). Le cose materiali sono necessariamente sottomesse a Dio per le leggi di natura, le animate per l’istinto; l’uomo dev’essere soggetto a Dio per la libera intelligenza e il doveroso riconoscimento della padronanza di Dio a cui deve rendere onore. La religione è un dovere naturale che abbiamo verso Dio. Per fare a meno della religione, bisognerebbe che Dio non fosse nostro Creatore e Signore e noi non fossimo sue creature, che noi non gli appartenessimo totalmente; che Egli non fosse Padrone nostro assoluto. La religione quindi - oltre ad altri vantaggi di cui si parlerà altrove - serve ad adempiere al primo ed essenziale dovere che abbiamo verso Dio: riconoscerlo e trattarlo da Dio. Dalla stessa verità consegue pure che non solo l’individuo ma anche la società civile deve riconoscere ed adorare Dio perché Egli è Creatore dell’uomo individuo e della società. E quindi è un assurdo e un delitto quando lo Stato non vuole riconoscere Dio e si proclama areligioso, cioè alieno o indifferente ad ogni religione. Ciò che diciamo dello Stato dobbiamo ripetere della famiglia. Non solo tutti gli individui della famiglia, ma essa, come piccola società, deve riconoscere ed onorare Dio. Essa pure, come famiglia, appartiene a Dio che ne è il Creatore e perciò il Signore assoluto. Perciò i genitori hanno anche il dovere di educare religiosamente la figliuolanza. I figli prima che dei genitori sono di Dio; a Dio appartengono come Padrone assoluto e Padre; per Lui quindi debbono essere educati, e cioè al Suo amore, al Suo rispetto, alla Sua ubbidienza.

Che significa Signore? Dal Nuovo manuale del Catechista, mons. G. Perardi, L.I.C.E., Torino, 1939. SS n° 8, p. 6 - 7

Creatore significa che Dio ha fatto dal nulla tutte le cose. Spiegazione. 1. Dio non è solo l’Essere perfettissimo, è anche Creatore. è difficile intendere la creazione : Dio ha fatto il mondo dal nulla e cioè lo ha creato; ha fatto che il mondo esistesse senza usare di nulla, poiché nulla esisteva; ma non bisogna pensare che Dio abbia come preso il nulla e l’abbia come impastato per trarne le cose. Il nulla non è un esistente, è niente. - Per formarci una qualche idea di questo insegnamento, col pensiero riportiamoci indietro di tanti e tanti secoli, sino a quando non esisteva nulla di tutto ciò che ora esiste; non il mondo, non il sole, non le stelle; esisteva solamente Dio. Egli volle e fece che esistessero le cose che vediamo. Non essendovi nulla, Egli non ha potuto servirsi di nulla per fare che le cose esistessero; le ha create, cioè le ha, come si dice, cavate dal nulla. Lo Spirito Santo ce lo insegna: «Al principio Dio creò il cielo e la terra» (Gen. I,1); «Egli (Dio) parlò e furono fatte le cose; ordinò e furono create» (Sal. CXLVIII,5) - Gli uomini non possono creare ma solamente fare. Ad esempio: il falegname ha fatto queste panche, ma le ha fatte col legno; il muratore ha fabbricato questa chiesa, ma l’ha fabbricata con le pietre, coi mattoni, con la calce ecc., e così dite dello scultore, ecc. Sono potenti gli uomini; essi possono fare molte cose, ma la loro potenza è limitata; essi non possono creare nulla, neppure un filo d’erba. Dio solo può creare. Egli solo può fare che una cosa esista, mentre prima non esisteva, e fare che esista dal niente, cioè non servendosi d’altra cosa già preesistente. Perciò Egli solo è onnipotente; cioè può fare tutto quello che vuole. 2. Noi ammiriamo la potenza di Dio nella creazione. Occorre però notare che l’opera creatrice continua a svolgersi sotto i nostri occhi con un seguito di meraviglie che non destano più in noi l’ammirazione, solamente perché vi siamo abituati. La terra produce ogni giorno i suoi grani, i suoi frutti, le sue piante, le sue erbe. Ogni giorno milioni e milioni di esseri vengono alla vita per opera sua; essi crescono e si moltiplicano in virtù di una forza produttiva che viene visibilmente dalla prima sorgente di tutta la vita, dalla parola pronunziata da Dio: «La terra germini». è quindi una specie di creazione che continua. 3. Talvolta si dice di uno scultore, di un pittore, di un ingegnere che hanno creato un’opera d’arte. Con questo non s’intende di dire creazione vera e propria, ma semplicemente che nella statua scolpita, nella pittura, nell’edificio costruito hanno impresso così il loro genio da meritare all’opera, in senso improprio, la qualifica di creazione. Pratica. Creando le cose Dio sapeva a che cosa esse avrebbero servito... pensava quindi e voleva tutti i servizi, i vantaggi che da esse ci provengono. Se ci pensassimo di più! Come sentiremmo meglio la riconoscenza che gli dobbiamo quando usiamo di una qualsiasi cosa creata da Dio. Esempi. Creazione del mondo. Per mezzo di Mosè, Dio così ci espone la creazione del mondo: In principio Iddio creò il cielo e la terra, con tutto ciò che nel cielo e nella terra si contiene: e sebbene avesse potuto compiere la grand’opera in un solo istante, volle impiegarvi sei periodi di tempo, che la Scrittura santa chiama giorni. Nel primo giorno disse: Sia fatta la luce e la luce fu; nel secondo fece il firmamento; nel terzo dì separò le acque dalla terra; a questa comandò di produrre erbe, fiori ed ogni sorta di frutti; nel quarto fece apparire nel cielo il sole, la luna e le stelle; nel quinto dì creò i pesci e gli uccelli; nel sesto creò tutti gli altri animali, e finalmente creò l’uomo. Nel settimo giorno Iddio cessò dal creare, e questo giorno, che chiamò sabato, cioè riposo, comandò poi per mezzo di Mosè al popolo ebreo che fosse santificato e consacrato a Lui. Non dobbiamo già credere che Dio abbia creato il mondo in una settimana, che nel sesto giorno di questa settimana abbia creato l’uomo; Dio non creò il mondo in un attimo come ora lo vediamo, ma dopo creata la materia la fece ordinare e disporre nel corso di secoli innumerevoli, lunghi periodi geologici. Il racconto che per volontà di Dio ce ne ha dato Mosè, ha lo scopo d’insegnarci in modo sensibile, le più importanti verità religiose e di ricordarci i più essenziali nostri doveri. Le più importanti verità religiose, e cioè: 1° che Dio esiste; 2° che Egli non si confonde con le cose, ma ne è pienamente distinto e infinitamente superiore essendone Creatore; 3° che quindi ne è anche il padrone o signore assoluto; 4° che nessuna cosa è Dio; 5° che perciò Egli dev’essere riconosciuto, onorato e amato anche come benefattore, poiché da Lui ci viene tutto ciò che abbiamo di bene, che è Dio che fa sorgere il sole e produrre la terra. - Inoltre c’insegna che dobbiamo lavorare sei giorni della settimana e riposare il settimo per dedicarlo al suo culto e all’anima nostra. - C’insegna poi i più gravi doveri, e cioè che come nella creazione, Dio si presenta sotto la figura d’un operaio che lavora, che lavora ogni giorno e riposa la notte, che compie ordinatamente i suoi lavori tutti utili, che riposa dopo una settimana, così noi su questa terra siamo tutti operai, nessuno eccettuato, tutti dobbiamo lavorare nel nostro stato, che la notte va riserbata, per quanto è possibile, al riposo, che i nostri lavori debbono essere ordinati, utili e non di solo capriccio; che dopo aver lavorato per sei giorni dobbiamo riposare il settimo santificandolo e dedicandolo al culto verso Dio e al bene dell’anima nostra, e che finalmente dopo questa vita raffigurata in una lunga settimana di lavoro, riposeremo poi per sempre con Lui, felici, in Paradiso. Perché? Perché sì! - Una insegnante spiegava in classe come sono grandiosi gli astri, il sole, la luna, le stelle, e come sono sospesi nello spazio senz’appoggio... Nella classe scoppia un riso generale: «Ma, ma signora! Come fanno a star sospesi nello spazio? Perché non cadono?». E la maestra ride: «Adesso ve lo dico io perché non cadono ! State zitte zitte e... attente!». Un gran silenzio nella classe: tutti i musetti in su, tutti gli sguardi avidi rivolti alla signora. E la signora, con aria grave, scandendo le sillabe: «Perché?... perché sì!». Bella risposta! sembrano dire le fanciulle con la faccina grulla in atto di chi ingoia una delusione. Qualcuna protesta. «Come! Vi meravigliate?! E dimmi un po’, tu che più mostri di protestare: perché tu hai i capelli biondi, e la tua compagna di banco li ha neri?». La meraviglia cresce: «Oh bella; perché sono venuti così!». «E perché sono venuti così?». «Perché sì!» ed è la bimba stavolta che risponde così. «E perché la rosa è profumata e la camelia non lo è?». «Pesche sì!», rispondono tutte in coro. «E perché la stella alpina fiorisce in montagna, al freddo, mentre gli altri fiori generalmente preferiscono il tepore delle riviere?». «Perché sì! Perché il Signore... perché il Signore l’ha messa là, la stella alpina!». «Ah, ora sì, ci siamo! - esclama la maestra. - Il Signore l’ha messa là! Proprio così! E il Signore che ha fatto tutte le cose di questo mondo ha detto alle rose: Voi avrete un profumo delicato e delizierete con esso le genti; e alle camelie: A voi basterà la vaghezza dei vostri colori; e agli astri del firmamento: Andate, popolate gli spazi e... state su». E la stella alpina fiorisce in montagna perché il Signore vuole così; e la rosa mantiene il suo profumo perché il Signore vuole così; e gli astri... stanno su perché il Signore... vuole così; e tutte le cose create sono... come il Signore le vuole. Sicuro: in tutto l’universo noi vediamo la volontà, la sapienza e la potenza di Dio che è Creatore e Signore di tutto quanto Egli stesso ha voluto che fosse, e che si compiace di governare l’universo a modo suo. Ed Egli solo sa il perché di tutte le cose. Nota apologetica. La Creazione. Per negare l’opera creatrice di Dio, taluni increduli hanno fatto delle supposizioni e teorie che dicono scienza. La scienza è cosa grande e mirabile; ma purtroppo in suo nome si sono dette e si dicono e si scrivono molte sciocchezze per ingannare i semplici. Contro la creazione poi oppongono difficoltà con le quali intendono di negarne la possibilità. Dicono dunque: 1. Col nulla non si fa nulla. Certo, noi col nulla facciamo nulla perché siamo meschine creature; la nostra potenza è così limitata! E perciò per operare noi abbiamo sempre bisogno di qualche cosa; non possiamo compiere nessun’opera se non abbiamo qualche cosa su cui operare e gli strumenti adatti. Invece Dio, che è potenza infinita, non ha bisogno di nulla ed ha fatto esistere l’universo non usando di nulla. 2. Il mondo si è fatto da sé. Ma quello che non esiste non può operare. Osservate una casa, un campanile, una macchina; che cosa pensereste di chi volesse persuadervi che queste cose si sono fatte da sé? Come si sarebbe fatto il mondo? Per operare bisogna prima esistere. 3. Il caso ha fatto il mondo! Ma il caso è qualche cosa che esiste o non piuttosto una semplice parola? Avete mai visto il caso a fare qualche cosa? Una casa, un orologio... Potrebbe esso fare la «Divina Commedia»?, o anche semplicemente un orologio, una macchina, una radio, che sono immensamente meno del mondo? Il caso non esiste, non può dare esistenza alle cose, dare ordine al disordine, dare la vita alla materia, né l’intelligenza al semplice vivente. Come avrebbe stabilito il mirabile ordine dell’universo? 4. Il mondo è eterno. Ma un essere eterno, c’insegnano i filosofi, è un essere necessario, immutabile, infinito. Ora nessuna delle cose che costituiscono l’universo (né tutto l’universo complessivamente) è necessaria in se stessa, nessuna esiste per necessità intrinseca e potrebbe non esistere - tutto è mutabile, soggetto a mille vicissitudini, innovazioni, cambiamenti - tutto è finito. L’universo intero, come ogni cosa che lo costituisce, pur essendo immenso, è finito, limitato. 5. Sono le leggi, le forze di natura! Ma che cosa sono queste leggi e forze? Sono esseri sussistenti, intelligenti?... Come esistono esse e come operano? Gli increduli non si mettono mai decisamente il problema dell’origine prima delle cose; le suppongono esistenti e poi fanno ogni più arbitraria supposizione su di esse. Il problema dell’origine delle cose conduce necessariamente a Dio Creatore. Ed essi che ripudiano questa conseguenza, che aborrono da Dio, contro ragione dicono che il mondo come materia è sempre stato e che le sue forze e leggi hanno fatto il mondo colle sue bellezze, coi suoi esseri, colla vita e ordine che ammiriamo. Attribuiscono alle leggi - ma, e chi le ha fatte queste leggi così sapienti e precise? - le proprietà degli esseri intelligenti. Poveri ciechi volontari! come sono degni di pietà!

Che significa Creatore? Dal Nuovo manuale del Catechista, mons. G. Perardi, L.I.C.E., Torino, 1939. SS n° 7, p. 6 - 7

Perfettissimo significa che in Dio è ogni perfezione, senza difetto e senza limiti, ossia che Egli è potenza, sapienza e bontà infinita. Spiegazione. - 1. - Quante cose belle sono nel mondo; ma sono esse perfette? E quando diciamo perfezione, che cosa intendiamo? In generale noi diciamo che una cosa è perfetta quando essa ha tutto ciò che è richiesto dalla sua natura; è perfetto l’occhio che ha la capacità normale di vedere, l’orecchio di udire, la lingua di parlare. Questa perfezione però è relativa e limitata come lo sono tutte le perfezioni dell’uomo e delle cose e sovente ancora con qualche difetto. Relativa; l’occhio vede, ma non sente, ecc. Limitata; l’occhio vede ma solo ad una certa distanza e cose che abbiano una certa grossezza. Così ad es. l’occhio non vede il pulviscolo dell’aria, né i microbi dell’acqua, perché troppo piccoli. Le buone qualità che noi possiamo pensare in una creatura (qualità che talora diciamo perfezioni) sono sempre relative e limitate. Così, noi abbiamo l’intelligenza, ma non impariamo che a prezzo di fatiche e di studi; camminiamo, ma lentamente e stancandoci. 2. - Invece Dio è l’Essere perfettissimo; in Lui vi è ogni perfezione; ogni perfezione possibile e immaginabile, è in Dio, ed è senza difetti e senza limite; è in Dio, in modo infinito e senza neppure l’ombra di un qualsiasi difetto. 3. - Il Catechismo ci spiegherà in seguito (n. 6 a 11) le principali perfezioni di Dio; qui ne ricorda tre che, possiamo dire, costituiscono la stessa perfezione, e cioè: la potenza, la sapienza, la bontà. Anzi, notate come il Catechismo non ci dice semplicemente che in Dio vi sia la potenza, la sapienza, la bontà, ma che Egli è realmente potenza, sapienza e bontà infinita; cosa che è propria di Dio e noi sarà mai di nessuna creatura. 1) Potenza. Molti uomini, per un motivo o per un altro, sono potenti, come gli imperatori, i governanti, i condottieri di eserciti; la storia ricorda la potenza di grandi uomini, come, ad es. Napoleone, Carlo Magno, Annibale, ecc. Essi erano potenti ma non erano la potenza, e la loro potenza era nulla dinanzi a Dio; e soventi finirono di perdere anche quel po’ di potenza e morire oscuri e prigionieri. Dio invece è potenza infinita che regge e governa e domina l’intero universo e tutti gli uomini, anche i ribelli che un giorno proveranno come la potenza di Dio sia tremenda per i malvagi. 2) Sapienza. Essere sapiente è ben di più che sapere; è conoscere la stessa ragione suprema di tutte le cose, i loro legami e rapporti. Gli uomini, dopo lunghi studi, possono arrivare a qualche barlume di sapienza; Dio invece è sapienza infinita; sa tutto, conosce tutto, tutte le cose, le loro cause supreme; tutti i rapporti e legami che vi sono fra di esse. 3) Bontà. Vi sono molte persone buone ; ma non sono perfettamente buone. Anche in esse c’è qualche imperfezione. Quanta bontà c’era nei Santi, in don Bosco, nel Cottolengo, in santa Teresina, ecc.; ma essi non erano la bontà in persona. Dio, non solo è buono, ma è bontà, e bontà infinita. Dio è l’Essere perfettissimo; in Lui c’è ogni perfezione possibile e immaginabile, c’è senza difetti e senza limiti; Dio è potenza, sapienza e bontà infinita. Pratica. Quanto è dunque grande e amabile Dio; Egli è meritevole quindi di ogni rispetto e di tutto l’amor nostro. Dio vuole che noi gli rassomigliamo per quanto è possibile e partecipiamo un po’ alle stesse Sue perfezioni: alla potenza col praticare il bene e fuggire il male; alla sapienza con lo studio di ciò che lo riguarda e che ci è esposto nel Catechismo; alla bontà con l’amarLo e con l’essere buoni con tutti, col praticare i nostri doveri e fare del bene al prossimo. Quanto bene hanno fatto agli uomini i Santi che, secondo le loro forze, vollero imitare e riprodurre la bontà di Dio verso il prossimo. ESEMPI. - Dio di bontà. Nell’anno 70 sotto Vespasiano, il Senato di Roma discusse sul nome da darsi a Dio sommo. Varie furono le proposte: Dio della ricchezza, della forza, del piacere, ecc. Un autorevole senatore osservò che nessuno dei nomi proposti gli sembrava conveniente, poiché con essi non sarebbe mai stato riconosciuto Dio dei poveri, degli umili, dei sofferenti, che sono l’immensa maggioranza del popolo. Propose quindi di chiamarlo Dio di bontà! - Proposta giusta; Dio stesso aveva fatto dire da un Profeta: Quanto è buono il Dio d’Israele! - Potenza di Re. Quant’è limitata la potenza degli stessi Re! Canuto re di Danimarca era molto adulato dai suoi cortigiani che ne esaltavano la potenza come se tutto dovesse cedere ad essa. Un giorno il Re si trovava in riva al mare, quando gli si ripeté la parola adulatrice; allora egli si rivolse alle onde e, accostandosi ad esse, loro intimò: «Ritiratevi e non bagnatemi i piedi». Ma le onde continuarono il loro movimento bagnando anche il Re. Ed egli allora, rivolto ai cortigiani: «Vedete, disse, tutta la grande e illimitata potenza che mi attribuite? Essa vien meno dinanzi ad una piccola onda del mare; Dio solo è veramente potente». Sì, diciamolo anche noi: Dio solo è grande perché Egli solo è potenza infinita. - Dio è ordine, bellezza e amore! - Così ha magnificamente cantato un nostro poeta: Nell’ora che pel bruno firmamento comincia un tremolìo di punti d’oro, d’atomi d’argento, guardo e dimando: Dite, o luci belle, ditemi: che cosa è Dio? Ordine, mi rispondono le stelle. Quando all’April la valle, il monte, il prato, i margini del rio, ogni campo dai fiori è festeggiato, guardo e dimando: Dite, o bei colori, ditemi: cosa è Dio? Bellezza, mi rispondono quei fiori. Quando il tuo sguardo innanzi a me scintilla, amabilmente pio, io chiedo al lume della tua pupilla: Dimmi se ’l sai, bel messagger del core, dimmi: che cosa è Dio? E la pupilla mi risponde: Amore! (Aleardi).

Che significa perfettissimo? Dal Nuovo manuale del Catechista, mons. G. Perardi, L.I.C.E., Torino, 1939. SS n° 6, p. 6 - 7

Carducci. - Spesso è indicato come uno degli autorevoli negatori di Dio: pure anch’egli rese omaggio a Dio con parole ben eloquenti. In un discorso tenuto a San Marino (30 sett. 1894) diceva: «In repubblica buona è ancor lecito non vergognarsi di Dio; anzi da. Lui, Ottimo, Massimo, si conviene prendere i cominciamenti e gli auspici, come non pure i nostri maggiori dei Comuni, ma usavano gli antichi nostri di Roma la grande e di Grecia la bella..., né oltracotanza di scopi sequestrerà Dio dalla storia. Dio, la più alta visione a cui si levino i popoli nella forza di lor gioventù; Dio, sole delle menti sublimi e dei cuori ardenti... Guido Cavalcanti va cercando se Dio non sia, ma tra le arche dei morti; mentre Dante Alighieri ai morti ed ai viventi e ai non nati annunzia che Dio è e trionfa, lo annunzia col più alto dei canti umani, che solca con un fiume di luce la barbarie e la rompe... Ove e quando ferma e serena rifulge l’idea divina, ivi e allora le città sorgono e fioriscono; ove e quando ella vacilla e si oscura, ivi e allora le città scadono e si guastano». Ciò che Carducci, con tanta eloquenza, dice delle città (e dei regni) si deve ugualmente ripetere dei popoli e degli uomini singoli. II. - CHI E DIO. - 1. - Alla conoscenza di Dio arriviamo ugualmente come alla conoscenza della sua esistenza, col lume della ragione e con quello della fede. Però la fede ci fa conoscere cose a cui la sola ragione non arriva. Osservando quest’universo così bello, grande, magnifico, opera della sua sapienza, della sua potenza, pensiamo subito Dio immensamente più bello, più grande di tutte queste cose. Col lume della fede, poi, conosciamo il suo essere intimo, la Trinità delle Persone nell’Unità della natura. Il Catechismo ci espone in varie domande e risposte tutto ciò che possiamo sapere intorno a Dio. 2. - In prima, però, esso ci dice in breve chi è Dio, e cioè ch’Egli è l’Essere perfettissimo. Qui è necessario che intendiamo il significato della parola essere. Essere qui non è l’infinito di un verbo, è invece nome sostantivo e significa qualunque cosa che esiste. La terra è un essere; il sole, la luna, le stelle, una persona, ogni pianta, ogni fiore, ogni erba sono un essere. Un uomo o una cosa che esiste, è un essere. Dio pure è un Essere, ma non è un essere qualunque; è l’Essere assoluto, reale, sussistente da cui tutti gli altri ripetono la propria sussistenza. Da questo appare quanto siano assurdi i due opposti errori di miscredenti i quali non potendo totalmente ignorare e negare Dio, ne ammettono il nome ma in tali condizioni che non è più Dio: sono i Panteisti e gli Idealisti, a) I primi dicono che tutto è Dio; Dio e il mondo e gli uomini e le cose non sono distinti tra di loro; sono Dio, è Dio che in esse cose e persone in qualche modo si evolve, e quindi per essi tutto è Dio, e Dio è il tutto. - b) Gli altri negano che Dio sia un essere reale, sussistente; dicono che è una semplice creazione della nostra mente, una nostra idea; e quindi non è stato Dio a creare noi, siamo noi i creatori di Dio, noi che lo facciamo esistere nella nostra mente (Di questi errori non deve parlare se non il Catechista che ne ha la scienza e la capacità, e ad alunni che ne abbiano bisogno). Ecco a che cosa si riducono i grandi filosofi che temono Dio e lo negano pur avendo l’apparenza di ammetterlo. 3. - Il Catechismo ci dice che Dio non è un Essere qualunque, ma l’Essere perfettissimo, Creatore e Signore del cielo e della terra. Che cosa vogliano dire queste parole, il Catechismo ce lo spiega nelle seguenti risposte. Pratica. - Dio è l’Essere da cui vengono tutti gli altri, e anche noi! Rispettatelo dunque nella vostra mente coltivando un santo timore di Lui, e non fate come certi fanciulli che temono di tutto ma non di Dio, solo perché non lo vedono. Rispettatelo nel vostro cuore, nell’animo vostro amandolo sinceramente; rispettatelo colle opere compiendole per amore di Lui, non facendo mai nulla che gli possa dar dispiacere! Quanto sarà contento di voi Iddio se vi comporterete con questi sentimenti e quanto vi amerà e vi benedirà! ESEMPI. - Chi è Dio? - è la domanda più difficile; è facile dire ciò che Dio non è, dire che non è le cose materiali che vediamo, né le imperfezioni che esse hanno; non è Dio la terra, l’aria, il sole, il vento, gli astri. Ma chi può dire ciò che è Dio? Simonide. - Ai tempi di Gerone re di Siracusa, circa 300 anni prima di Cristo, viveva in detta città un celebre filosofo, chiamato Simonide. Un giorno il re gli domandò chi fosse Dio. Simonide chiese un giorno di tempo per rispondere ; poi due, e poi tre. Infine disse al re: «Non so dirti chi è Dio; più ci penso e più egli mi appare grande e meno trovo parole per esprimere ciò che la mia mente, appena intravede!». Il re si mostrò meravigliato che Simonide non riuscisse a dirgli in modo chiaro chi fosse Dio; ma egli non pensava che Dio è cotanto grande, mentre la mente umana, anche quella di un grande filosofo, è sempre piccola. Può forse il mare essere racchiuso in un vaso? e può, quindi, Dio essere capito dalla nostra piccola testa? - E come può la parola umana esprimere chi è Dio che è infinito? Sono Colui che sono. - Dio apparve un giorno a Mosè per affidargli l’incarico di liberare il popolo ebreo dalla schiavitù di Egitto; e gli parlò di mezzo a un roveto ardente. Mosè gli domandò chi fosse, qual nome avesse, per rispondere agli Israeliti che ne lo avessero richiesto. Il Signore gli rispose: «Io sono Quegli che sono: così dirai ai figliuoli d’Israele: Colui che è mi ha mandato a voi» (Esodo, III). Dio stesso dunque ci dice di essere Quegli che è, Colui che è, appunto perché Egli solo non deve a nessuno la Sua esistenza, Egli solo è a sé e per sé, mentre tutte le altre cose sono debitrici a Dio della propria esistenza. - Ed è quello che in un’apparizione disse a santa Caterina da Siena: «Io sono Colui che è; tu sei quella che non è», poiché sei unicamente perché io ti ho creata e ti conservo.

Chi è Dio? (Parte 4). Dal Nuovo manuale del Catechista, mons. G. Perardi, L.I.C.E., Torino, 1939. SS n° 5, p. 6 - 7

Panettiere. - è il solo mestiere di cui si fa parola nel Pater: «Dacci oggi il nostro pane quotidiano». Però questa preghiera si indirizza a Dio e non al panettiere; a questi si dice: «Vendeteci il pane». Dio solo ha dato a noi e al panettiere stesso, il pane. Per far del pane, il panettiere prende della farina; la farina si fa con del grano; per fare del grano ci vogliono terra, acqua, sole e ci vuole del frumento per seminare, frumento che Dio ha dato l’anno scorso, e su, di anno in anno, sino a quando Egli creò il primo frumento direttamente dalla terra, dal quale provenne poi tutto il frumento. Aviazione. - Da pochi anni abbiamo questa nuova creazione, frutto del progresso che naturalmente andrà perfezionandosi col tempo. L’aviatore! Egli vola attraverso lo spazio, s’innalza a migliaia di metri. Ma purtroppo, ancora spesso, un incidente del motore, un vento troppo forte... ed ecco il disastro. Ma guardate quanti altri da migliaia d’anni corrono lo spazio del cielo, e non cadono, non subiscono incidenti di motori... sono centinaia di migliaia, piccoli, piccoli, più grandi, grandissimi. Sono aeroplani viventi, sono gli uccelli del buon Dio. Fabbricanti d’aeroplani, quando riuscirete ad imitarli perfettamente?... Incrocio di strade. - Nelle grandi città, un agente incaricato regola la circolazione specie dove s’incrociano strade di grande movimento; dà segno di arresto ad una parte, di movimento all’altra, e poi ferma da questa e dà libera la via all’altra; regola il movimento dei veicoli d’ogni specie per evitare scontri e investimenti. Ma che cos’è ciò in confronto del movimento dei miliardi e miliardi d’astri? Dio ha segnato ad ognuno la via sua; ognuno la percorre fedelmente, esattamente; essi vanno, vengono, s’incrociano e non si urtano! Che magnifico regolatore è Dio! - La rassegna potrebbe continuare per delle ore. Ma non illudiamoci; oltre dei piccoli, Dio fa anche i grandi mestieri. Accenniamone appena alcuni. Dio è predicatore: parla all’anima nostra colle ispirazioni, colla coscienza, colla gioia e col dolore, coi benefizi e colle prove, cogli avvenimenti familiari e sociali. Predica sempre! Non addormentiamoci alla sua predica ! - Dio è medico che non solo ha creato tutte le medicine e ciò che serve a comporle, ma vorrebbe essere sempre medico che guarisce le anime nostre dalle loro malattie spirituali, anzi vorrebbe curarle sempre in modo da prevenirle; ed è persino medico della morte perché ci vuole salvare dalla morte eterna. - Dio è padre, il padre di tutti i padri, più buono di tutti i padri, padre di tutti gli uomini perché ha creato i primi padri e crea tutti i figliuoli. - Dio però è anche giudice che giudicherà tutti, ognuno in particolare, giudice giusto che non s’ingannerà, che conoscerà tutto e darà a ognuno ciò che si avrà meritato. Spiegazioni sciocche. - «Se vedo un corpo d’armata muoversi ordinatamente sopra un campo di esercizi militari; se odo un organo suonare una sinfonia, penso tosto al generale che dirige quei movimenti, al maestro che mi fa gustare quella sinfonia, e a nessuno passerà mai per la mente, che quei movimenti e quelle armonie siano opera del caso. E al caso si vorranno attribuire tutte le ineffabili armonie che il cielo e la terra ci fanno vedere ed udire senza intervallo? è impossibile; e la ragione e il senso comune protestano. - è la materia che fa tutto questo. - La materia fa tutto questo? Che cos’è questa materia? è cosa inerte, cieca, passiva; e ciò che è inerte, cieco e passivo crea l’ordine e opera per un fine? Io, tutti gli uomini insieme, che abbiamo vita e ragione, siamo impotenti a dare la vita e l’intelligenza alla materia, ad un solo moscerino; e la materia che non ha né l’una, né l’altra, la darà in tanta copia, in tutti i secoli e senza interruzione? è assurdo. - È la natura che fa tutto questo! - E questa natura è essa dotata d’intelligenza quale si esige a produrre tutte le meraviglie che vediamo nell’universo? Se sì, ammetto che sia la natura; voi la chiamerete natura, e noi la chiameremo col vecchio nome di Dio; avremo una differenza di parole, ma converremo nella sostanza. Che se per natura intendete la materia stessa, le cose tutte nel loro insieme, siamo da capo; dalla natura cieca, priva di ragione e di libertà, voi non caverete mai l’ordine, l’armonia, la vita, l’intelligenza e la volontà, come dalla pietra non caverete l’albero, né dall’albero l’uccello. - Sono le leggi di natura che producono questo magnifico spettacolo della vita e dell’ordine universale. - Leggi di natura? Ma come! leggi senza legislatore? effetti senza causa? L’idea di legge è una astrazione, che si concreta solo dall’intelligenza. Ci vuole sempre la mente che le concepisce, le ordina al fine, e la forza proporzionata che le applica. Noi pure ammettiamo le leggi di natura, e chi non le deve ammettere? Ma che cosa sono? Sono le forze continue che operano con una regolarità infallibile. Forze di chi? da chi applicate? Sono esseri ragionevoli, sussistenti per sé? È un sogno. Si giri e rigiri la questione finché si vuole, al governo di queste forze bisogna sempre mettere una mente moderatrice, di una infinita sapienza e potenza, giacché quello che essa fa, non lo potrebbero fare tutte le menti umane insieme congiunte». Così Mons. Bonomelli (Dio Creatore, Conf. III) che osservava pure: «Il nostro corpo è meno di un atomo rispetto alla terra, al mare, al sole, all’universo; eppure esso non è isolato, ma in intimo rapporto con tutta la natura. La terra gli dà il pane che lo nutre, e la terra è fecondata dall’acqua; e l’acqua cade dalle regioni dell’aria; e l’aria sostiene le nubi; e le nubi vengono dal mare e dai fiumi, ed è il sole che col suo calore le solleva e le porta sull’ali dei venti sopra la terra; e l’aria entra nei miei polmoni purificata dalle piante, e io la restituisco alle piante divenuta loro alimento opportuno. Sono un nulla nell’universo; eppure opero sopra di esso, ed esso opera sopra di me... tutto è legato con leggi semplicissime ed inflessibili: calore, moto, luce, aria, acqua, terra, vita vegetale, animale ed intellettuale, gli elementi tutti nelle loro forme e trasformazioni continue, tutto concorre a produrre l’ordine e l’armonia più perfetta e più stabile colla più sformata diversità di elementi, tanto che la stessa morte è la base della vita e le fornisce l’alimento; e si vorrebbe che tutto questo fosse l’effetto del caso, di forze cieche? L’ordine massimo dal caso, da forze ignote sempre e infallibilmente operanti!... Qualunque creatura, qualunque vivente ben studiato vi dice che vi è Dio; e non esagerava punto Galeno (medico, f 201) quando diceva: Datemi un cane ed io lo farò guaire il nome di Dio!».Quando si crede e quando si nega Dio. - È un fatto che molti si atteggiano e si dicono anche con ostentazione increduli, mentre in realtà non lo sono; essi mentiscono a sé e agli altri. Durante la grande guerra, specialmente quelli che la fecero e che erano esposti continuamente al pericolo di morte, manifestarono piena la loro fede in Dio e nella vita futura. Quella gioventù che pareva affatto incredula, in Italia come in Francia, si rivelò tosto credente e in gran parte anche praticante. Aldo Valori così commentava il fatto (su un giornale liberale di quei tempi: «Resto del Carlino», genn. 1916): «Certo, si può spiegare questa odierna sconfitta dell’incredulità religiosa col così detto «carattere eccezionale» del periodo che attraversiamo; ma qui appunto è il punto debole di codesta mentalità; perché è chiaro che le teorie sono buone, quando se ne può fare uso nei momenti supremi della vita; altrimenti esse devono contenere un germe indelebile d’errore. Se l’irreligionismo avesse del buono, dovrebbe metterlo fuori nell’istante del pericolo; e in apparenza non dovrebbe esser difficile persuadere tanta povera gente a scaricarsi della propria fede, come di cosa inutile e ingombrante quando si tratta soltanto di salvare la propria pelle. Invece succede precisamente il contrario: che il rischio della vita, l’impressione della strage, i dolori e le fatiche del corpo s’accompagnano con un gran rifiorire del sentimento religioso. Già si sa che molti atei si fanno il segno della Croce ad ogni scoppio di fulmine, durante un temporale, salvo a riderne quando è rispuntato il sole. Nelle guerre il fenomeno si riproduce più in grande e sebbene qualche spiritoso creda di poterlo spiegare con l’effetto della paura, è difficile credere sul serio che l’uomo sia più chiaroveggente nelle circostanze ordinarie e s’inchini poi grossolanamente quando espone la propria esistenza: cioè quando la consapevolezza del pericolo e il rassegnato pensiero della morte mettono la sua anima più a nudo». ...

Chi è Dio? (Parte 3). Dal Nuovo manuale del Catechista, mons. G. Perardi, L.I.C.E., Torino, 1939. SS n° 4, p. 6 - 7

La coscienza pure manifesta Dio. - Noi sentiamo una legge che c’impone di fare il bene e di fuggire il male, e quando noi facciamo una cosa cattiva, ne proviamo vergogna, ne sentiamo rimorso; è una condanna intima che proviene dall’anima nostra, cioè dalla nostra coscienza. Ciò avviene perché Dio, che esiste e ci ha creati, ha impresso nell’anima la cognizione del bene e del male, e una legge che ci fa sentire il dovere di fare il bene e di fuggire il male; la coscienza, eco di Dio, è un giudice che condanna in noi il male. - Nei pericoli, nei bisogni, tutti sono portati alla preghiera, perché sentono nel profondo dell’animo che Dio esiste e che Egli solo può aiutare, poiché Egli solo è al disopra e padrone di tutte le cose e della natura stessa e che tutto cede alla Sua volontà. Anche coloro che negano Dio, quando si trovano in pericolo o in grave necessità, generalmente Lo invocano. Il consenso universale conferma l’esistenza di Dio. - Tutti gli uomini in tutti i tempi hanno sempre riconosciuto e riconoscono Dio. Leggete la storia di tutte le genti e troverete che tutte hanno creduto Dio e hanno compiuto atti di culto per onorarLo e propiziarseLo. Già Plutarco (vissuto più di duemila anni or sono) diceva che si possono trovare popoli che non hanno case, né città, né abitazioni fisse, né monete, né leggi, ma che non si trova popolo alcuno che non creda, non riconosca e non onori Dio. Perché questo ? Perché il lume della ragione ha sempre, insegnato che al di sopra dell’universo c’è un Essere che lo ha fatto, lo governa e lo regge, giacché non ha potuto farsi, né governarsi da sé. - E perché Dio creando l’uomo gli impresse nell’anima (con alcune altre) anche questa verità; e quindi la credenza del-l’esistenza di Dio è una verità di cui può spogliarsi qualche uomo ma non un popolo, non una nazione. E quantunque gli uomini sentano che Dio è anche Giudice, lo hanno tuttavia sempre riconosciuto mentre avrebbero avuto convenienza o interesse a negarlo. Gli atei stessi involontariamente sono prova della verità a cui contraddicono. - Coloro che negano Dio si chiamano atei, cioè negatori di Dio. Di essi si deve osservare : 1) Nonostante tutti gli sforzi loro, essi sono pochi; e così deve essere, perché l’ateismo è contrario al buon senso e alla retta ragione. - 2) Sono quasi sempre l’orgoglio, l’ostinazione, le passioni, e specialmente l’impurità che spingono codesti uomini a negare Dio. De Maistre diceva: «Nessuno ha cessato di credere in Dio se prima non ha avuto bisogno di desiderare che Dio non esista». E voi stessi potete constatarlo in certi giovani: hanno incominciato a negare Dio quando sono divenuti viziosi ed ebbero troppi motivi per temere Dio. - 3) Quasi tutti coloro che a parole negano l’esistenza di Dio, in realtà credono che Dio esiste. Molti negano Dio per secondare l’andazzo, per paura delle beffe, per un vile rispetto umano; ma essi in realtà credono che Dio esiste, ed in punto di morte lo invocano. - 4) Coloro che negano Dio, tuttavia temono che esista e li punisca, come ne sono prova i sentimenti che manifestano in pericolo di morte. Sono pochissimi coloro i quali in vita dicono di non credere, che non si convertono, in punto di morte, se ne hanno tempo; col fatto riconoscono allora che la loro incredulità non era convinzione. - 5) Anche l’odio che hanno per Dio e la bestemmia con cui Lo disprezzano, dimostrano che essi Lo credono; non si odia, né si disprezza una cosa che si crede non esista. Perché bestemmiano essi? Perché odiano Iddio, a cui sentono di dover un giorno rendere conto della propria vita. -6) Inoltre, vi è un solo ateo che possa dire con sincerità di esser divenuto tale dopo serio e profondo studio? Non c’è nessuno che, studiata seriamente e con fine retto la questione della esistenza di Dio, l’abbia risolta in senso negativo. - 7) Infine, v’è un uomo solo che, divenendo ateo, non sia in pari tempo diventato vizioso? Uno solo che, cessando di credere in Dio, sia diventato migliore? No, non c’è. Anzi si nega Dio per essere o sentirsi liberi a peccare e vivere malamente secondo i propri piaceri e capricci. Ciò dimostra che la negazione di Dio è errore poiché l’errore porta al male; mentre la verità porta sempre al bene. -8) Aggiungete: Perché quasi tutti coloro che negano Dio, in punto di morte lo credono e invocano? E perché non c’è stato mai uomo che abbia creduto Dio in vita e l’abbia negato in morte? La Fede c’insegna che Dio esiste. - Dio si è rivelato «molte volte ed in molte guise» (Agli Ebrei, I,1) nei primi tempi per mezzo dei Patriarchi e dei Profeti, e più tardi per mezzo del Figliuol suo Gesù Cristo. La storia ci ricorda molte manifestazioni di Dio: nel paradiso terrestre ad Adamo ed Eva, poi a Caino, ad Abramo, ad Isacco, a Giacobbe, a Mosè, il quale in virtù di Dio compì molti e segnalati prodigi nella liberazione del popolo d’Israele dalla schiavitù d’Egitto; più tardi a Samuele e a molti giusti dell’antico Testamento. Infine si manifestò nella persona di Gesù Cristo: «Nessuno ha veduto mai Dio: l’unigenito Figlio che è nel seno del Padre, egli ce l’ha rivelato» (San Giovanni I,18). Egli ci ha parlato di Dio, delle tre divine Persone: del Padre, del Figliuolo, dello Spirito Santo. - Dio inoltre si è manifestato apertamente nel Battesimo e nella Trasfigurazione di Gesù Cristo. - Gesù Cristo è il Figliuolo di Dio fatto uomo. Tutte le ragioni che lo dimostrano Dio (N. 24), provano ugualmente l’esistenza di Dio. Pratica. - Non basta credere che c’è Dio, bisogna riconoscerLo con la vita e condotta, e perciò trattarlo da Dio. Tra noi, tutti credono in Dio; ma molti vivono come se Dio non fosse; non sia così di voi. RispettateLo sempre coll’essere buoni («Se mi amate, osserverete i miei comandamenti», dice il Signore (Gv. XIV,15). La bellezza del mondo rivela Dio. - «Supponiamo che taluni uomini siano sempre vissuti sotterra, in dimore belle e splendide, ornate di statue, di quadri e d’opere d’arte d’ogni .specie, che siano fornite di tutto quello che costituisce la ricchezza; supponiamo ch’essi non avessero mai udito parlare di Dio e che, aprendosi d’un tratto l’abisso, essi, dal loro soggiorno oscuro s’innalzassero sino a noi, alla superficie della terra. Contemplando la terra, i mari, il cielo, le nubi, i venti, il sole così grande e bello, che coll’effusione della luce e del calore fa nascere il giorno e dà vita alla natura, alle piante, ai fiori, agli animali, e nella notte contemplassero il firmamento, gli astri innumerevoli che lo adornano, la luna nelle sue fasi, nel suo corso, considerassero il sorgere e il tramonto di tutti quegli astri, la regolarità invariabile dei loro perenni e rapidissimi movimenti: dinanzi a questo spettacolo potrebbe sorgere in loro dubbio alcuno che non vi fosse un supremo Artefice di tutte queste opere? » (Nicolas, Studi filosofici sul Cristianesimo, lib. I, capo n. — Il pensiero, come osserva l’egr. Scrittore, è di Aristotele, citato da Cicerone, De Nat. Deor., lib. II, n. 37). Il «primo ingegnere». - Tommaso Edison, l’uomo delle mille invenzioni, si trovava a Parigi nel 1889, quando fu inaugurata la celebre torre Eiffel alta 300 metri e tutta costruita in ferro. Edison vi salì anch’egli per ammirare l’agilità e l’ingegnosità della costruzione e l’immenso panorama della capitale francese che di lassù si gode. Invitato poi a segnarsi sull’album che raccoglieva le firme dei più celebri visitatori, il grande inventore scrisse queste parole: «Al signor ingegnere Eiffel coraggioso costruttore di questo modello cosi gigantesco e originale dell’ingegneria moderna, un uomo che ha il più grande rispetto e la più grande ammirazione per tutti gli ingegneri compreso il primo di tutti: il Signore Iddio. - Tommaso A. Edison». E lesse ad alta voce, davanti ai presenti, quanto aveva scritto a gloria di Dio. I piccoli mestieri del buon Dio. - Ricordo d’aver letto in un libro del Duplessy un magnifico richiamo a Dio dai lavori e dai mestieri più comuni, richiamo che è la più semplice ma più eloquente prova dell’esistenza di Dio. Poiché è necessario un operaio per costruire una casa che non si fa da sé, come non sarebbe stato necessario un Creatore per fare dal niente il cielo e la terra e tutto ciò che vi è in cielo e sulla terra e per stabilirvi l’ordine e l’armonia ammirabile e sapiente che vi regna? Poiché Dio stesso nella creazione si è raffigurato in un lavoratore, vediamo i suoi lavori della natura che vengono sempre, specie dopo lunghi studi, copiati e imitati, benché molto imperfettamente, dall’uomo. Orologiaio. - Chi non ammira il mirabile meccanismo di un orologio? Con quanta sapienza, con quanta precisione l’orologiaio ha disposto ruote, ingranaggi, molle, lancette, onde segnare con precisione l’ora e il minuto. Ma che cos’è il più perfetto orologio in confronto del primo e perfettissimo orologio creato da Dio e costituito da stelle, pianeti, il cui movimento segna il tempo, gli anni, le stagioni, i giorni, ecc.? Ed è su questo orologio che si controllano gli altri ed esso non si ferma, non si guasta mai, non ha mai bisogno di alcuna riparazione. Qual potente e sapiente orologiaio è Dio! Giardiniere. - Egli coltiva i fiori; nel suo giardino se ne contano varietà splendide per delicatezza di coloritura, smaglianza e varietà di tinte, fragranza di odori. Certamente l’arte del giardiniere vale molto per i fiori. Ma il primo giardiniere è stato Dio ; Egli ha ideato e creato i fiori, Egli li ha fatti nascere dalla terra. Il giardiniere forma delle varietà, Dio solo ne ha creato le famiglie ed ha dato loro la virtù di riprodursi, di perpetuarsi sempre così belli, smaglianti e fragranti! ...

Chi è Dio? (Parte 2). Dal Nuovo manuale del Catechista, mons. G. Perardi, L.I.C.E., Torino, 1939. SS n° 3, p. 6 - 7

Dio è l’essere perfettissimo, Creatore e Signore del cielo e della terra. La questione che ci è proposta qui dal Catechismo, è la più alta e più grande tra tutte le questioni che si possano presentare alla mente dell’uomo. Una questione è tanto più alta e grande quanto più è alta la cosa che ne è oggetto; ora, Dio è infinitamente sopra tutte le cose e perciò la ricerca di ciò che è Dio è pure la ricerca più alta, più importante e più difficile. Ma questa domanda Chi è Dio che ci ha creati? ne presuppone un’altra: C’è veramente Dio? Perciò, prima di spiegare chi sia Dio, conviene che ci tratteniamo a considerare che realmente Egli esiste. Naturalmente per studiare ciò che è una cosa bisogna sapere che essa esiste; è impossibile voler sapere che cosa sia una cosa che non c’è. È così anche riguardo a Dio: Sapere che esiste, e poi che cos’è. Intendiamoci però: Noi tutti crediamo Dio che vediamo in tutte le opere del creato che ci parlano della sua gloria; ne trattiamo non per credere ma per avere la scienza della nostra fede e quasi toccare con mano che Dio esiste e si fa conoscere da tutti quelli che ricercano sinceramente la verità, che dinanzi a Lui non chiudono ostinatamente gli occhi per non vederlo. Alla conoscenza di Dio (sia per l’esistenza Sua come per ciò che Egli è) noi possiamo arrivare per due vie: per la via o col lume della ragione per la quale c’innalziamo col pensiero dalle creature al Creatore, dall’universo a Dio, come dall’effetto alla causa, dall’opera al suo fattore; e per la via o per il lume della fede o rivelazione, poiché Dio si è anche manifestato e fatto conoscere rivelandosi in modo soprannaturale, cioè mostrandosi ai Patriarchi, ai Profeti e, infine, nella persona stessa di Gesù Cristo. ESISTENZA DI DIO. Esponiamo brevemente le prove più semplici, che ci confermano l’esistenza di Dio. Il Catechista ne userà in modo adatto ai suoi catechizzandi, avvertendo bene che l’esistenza di Dio si deve dimostrare non per indurli a credere ma a conferma della credenza che già hanno di Dio e a premunirli da ciò che più tardi sentiranno dire da taluni mondani. L’ESISTENZA DEL MONDO (dell’universo) DIMOSTRA L’ESISTENZA DI DIO. La nostra mente, che in tutto, dagli effetti risale alla causa, dal mondo risale a Dio, e ne riconosce l’esistenza. Osservando una casa, una macchina, un orologio, voi argomentate subito che c’è stato un muratore, che ha fabbricato la casa, un meccanico che ha costruito la macchina, un orologiaio che ha fatto l’orologio. Così dall’esistenza del mondo noi argomentiamo che al disopra dell’universo c’è un Essere il quale ha dato l’esistenza al mondo. Come la casa, la macchina, l’orologio non hanno potuto farsi da sé, così meno ancora ha potuto farsi da sé il mondo, così grande, poiché quando diciamo mondo, intendiamo tutto l’universo, questa terra e tutto ciò che è nella terra (monti, pianure, mari, acque, piante, animali, ecc.), e tutti gli astri del firmamento, sole, luna, pianeti, stelle. Come ridereste di chi vi dicesse che la casa, la macchina, l’orologio si sono fatti da sé, così non merita che disprezzo e compassione l’affermazione che - allo scopo di negare Dio fattore dell’universo - dice che il mondo si è fatto da sé o che è sempre stato, che è eterno. Nessuna cosa del mondo ha in sé la ragione della sua esistenza; ognuna ripete la sua esistenza da un’altra, e così il mondo intero ripete la ragione della sua esistenza da un altro che l’ha fatto. Un qualunque essere, non necessario in sé, per una via magari lunga, fa ascendere all’essere primo, necessario, principio e origine di tutti gli altri. Nessuno degli esseri che vediamo è necessario, nessuno esiste necessariamente; e quindi tutti ci richiamano al pensiero di un essere superiore, necessario, da cui tutti gli altri provengono. L’ORDINE MIRABILE DELL’UNIVERSO DIMOSTRA DIO. Osservate ancora, ad esempio, una macchina ferroviaria. Voi vedete in essa molte parti di cui ognuna è diversa dall’altra: ruote, stantuffi, ecc.; ognuna ha il suo fine particolare. Tutte insieme in bell’ordine compongono la macchina che funziona e si trascina dietro un treno. Osservate pure un piccolo orologio: in esso vedete molte piccole cose: ruote, ingranaggi, lancette, ecc. Queste macchine vi dimostrano un’intelligenza che le ha ideate, studiate, in modo che ogni parte corrispondesse al suo scopo e che perciò la macchina funzionasse, e l’orologio segnasse le ore. Ora considerate di nuovo il mondo; in esso vedete un ordine più mirabile ancora di quello che si ammira in una macchina anche nella più perfetta. Il sole e tanti pianeti che si muovono intorno a lui nell’immensità dello spazio; la terra che gira in modo che il giorno succede alla notte, gira senza troppo avvicinarsi al sole chè ne saremmo bruciati, o allontanarsene troppo, chè morremmo tutti gelati. Le stagioni che si succedono regolarmente, le acque che vanno al mare e ricadono sulla terra dopo essersi vaporizzate, divenute nubi e di nuovo scioltesi in acqua. E quei milioni e milioni di stelle, immensamente più grandi del sole, lanciate nel vuoto, roteanti secondo leggi mirabilissime nell’immensità dello spazio! Qual ordine mirabile! Quella mente infinita che ha saputo ideare questo universo, stabilire e mantenere leggi così esatte, così precise, è Dio. Si ammirano i sommi astronomi che scoprono le leggi e i movimenti degli astri, e non si ammirerà Dio che le ha stabilite con infinita sapienza e le mantiene colla sua potenza? Si ammirano gli scienziati che ad esempio, come Marconi, scoprono nuove verità nella natura, e coll’elettricità fanno cose mirabili. Ma chi ha preparato tutte queste cose e le leggi che le regolano e che gli uomini scoprono solo dopo tanti studi? Ammiriamo gli aeroplani, gloria dei nostri tempi. Ma Dio non ha dato il modello, l’esemplare, non ne ha segnati i princìpi e le leggi regolatrici nel volo, degli uccelli? Coloro che riescono a spiegare i tesori dell’universo mostrano un’intelligenza straordinaria; e non è mirabilmente più straordinaria l’intelligenza di chi li ha ideati e costituiti? Osservate la più piccola cosa di questo mondo: un fiore, un albero, un filo d’erba, un organo del vostro corpo: l’occhio, l’orecchio, la lingua. Che mirabile armonia! Che organizzazione per la vita, la nutrizione (colla respirazione)! Che mirabile organizzazione per la riproduzione esatta delle immagini nell’occhio che si dilata o restringe secondo che deve vedere a maggior o minor distanza! Per la riproduzione dei suoni anche più delicati nel timpano acustico, per la formazione della parola con tutte le sue armonie!... Che mente per ideare tutto questo; e quale potenza per eseguirlo così perfettamente. Lo studio delle meraviglie che accompagnano il nostro corpo e le sue funzioni, i suoi movimenti, ci manifesta una mente superiore, infinita. Osservate ancora l’istinto che ogni specie di animale ha e conserva attraverso i secoli; chi ha insegnato all’usignolo i suoi mirabili e inarrivabili gorgheggi? All’ape a fabbricare così bene i suoi alveari, a ricercare nei fiori il miele così dolce? Chi insegna così esatta la geometria all’ape e agli uccelli nel fabbricare i loro nidi? Chi insegna al baco a fabbricarsi così mirabile il suo bozzolo intessuto con quel filo di seta così fine e forte? ...

Chi è Dio? (Parte 1). Dal Nuovo manuale del Catechista, mons. G. Perardi, L.I.C.E., Torino, 1939. SS n° 2, p. 6 - 7

Ci ha creato Dio. Avverta il Catechista che questa risposta non ha per scopo di proporci la vera idea della creazione per cui Dio ha tratto dal nulla gli esseri (cosa che farà al N. 4), ma solamente d’insegnarci la nostra origine da Dio, come da primo principio, ossia d’insegnarci che noi siamo, che esistiamo per opera di Dio. Spiegazione 1. Nel registro io leggo non solo il vostro nome, cognome e paternità, ma anche gli anni, cioè gli anni che ognuno di voi ha. Avere 9, 10, 12 anni che cosa vuol dire? Vuol dire che siete, che esistete da 12, 10, 9 anni solamente. E prima? Prima non eravate; non esistevate. Com’è dunque che ora siete e come siete nati? Ecco ciò che c’insegna con questa prima risposta, il Catechismo: Ci ha creato Dio, esistiamo perché Dio ci ha creati, perché Egli ci ha chiamati all’esistenza; Egli ci ha fatti nascere. Ci ha creato Dio, vuol dire che siamo debitori a Dio della vita, dell’esistenza che abbiamo. Dio ci ha dato la vita creandoci; se Egli non ci creava noi non esisteremmo; esistiamo perché Dio ci ha creati. Noi non eravamo; Dio ha pensato a noi, ha voluto che esistessimo e perciò ci ha creati. Spiegazione 2. Ma non dobbiamo la nostra vita ai genitori? Sì, ai genitori e a Dio. Osservate tutti gli esseri viventi, o anche solo i vegetali, le piante, le erbe, i fiori; essi vengono tutti dalla terra e dai loro semi, e tuttavia anch’essi sono creati da Dio poiché Dio un tempo molto lontano, quando non c’era nulla, creò la terra, le prime piante, le prime erbe e i primi fiori da cui provengono le piante, le erbe e i fiori che ora esistono e che noi vediamo. Creandoli, Dio ha dato loro la virtù di produrre i loro semi e per mezzo di questi, altre piante, altre erbe ecc., ed ha fatto sì che nascessero anche quelle che noi ora vediamo. Di queste, Dio non è creatore immediato; esse provengono direttamente da altre piante, da altre erbe, da altri fiori; ma ne è tuttavia creatore perché ha creato le prime colla virtù di riprodursi. La stessa cosa accadde di noi e di tutti gli uomini. Dio è nostro Creatore perché Egli ha creato i primi uomini dai quali ha fatto che altri nascessero, sino a noi, onde ascendendo su al padre, al nonno, al bisnonno ecc., si arriva al primo uomo. E quando nasce un bambino, è Dio che lo ha creato e fatto nascere; e Dio è vero e proprio nostro Creatore quantunque siamo debitori della vita anche ai nostri genitori. Non siamo debitori della vita solamente ai nostri genitori; tanto è vero che sono molti che vorrebbero avere dei figlioli e non ne hanno perché Dio non ne ha loro dati. Spiegazione 3. Per un altro motivo ancora diciamo che Dio è nostro Creatore. Tutti abbiamo padre e madre: tuttavia noi siamo debitori della vita principalmente a Dio, non solo perché Egli ha creato i primi uomini e ci ha fatti nascere, ma perché oltre al corpo, noi abbiamo anche l’anima, la quale è stata creata direttamente, immediatamente da Dio. Avendo Dio creato direttamente l’anima nostra che è la parte più importante di noi, che è quella per cui viviamo, Egli è, anche in senso rigoroso, nostro Creatore. Il nostro corpo vive per l’anima. L’anima, unita al corpo, gli comunica la vita. Essa, come impareremo, vivrà anche separata dal corpo; mentre il corpo separato dall’anima non può vivere, muore. (Si dimostrerà più avanti al n. 61 che, oltre al corpo, abbiamo anche l’anima, e al n. 62 che essa è immortale). Spiegazione 4. è grande questo pensiero: Mi ha creato Dio. Io non ero: Dio ha pensato a me e mi ha creato; Egli così grande e buono si è degnato di pensare a me, e mentre io non ero mi ha chiamato ad esistere. Dunque la mia vita è una grande e importante cosa, e io debbo perciò stimarla, amarla e usarla in bene.
Pratica. Qual pessima cosa non pensare che Dio ci ha creati e che a lui siamo debitori della vita. E quale sventura non saperlo, come accade a tanti che vivono in lontane terre tra popoli non credenti; pensiamo a loro aiutando colla preghiera e colle offerte i Missionari; e se Dio chiamasse qualcuno di voi a tale santo Apostolato, pensate che vi fa un grande onore e vi chiama ad una mirabile opera. Dio ci ha creati; dunque dobbiamo amarlo, essergli riconoscenti ed usare sempre della vita secondo la Sua volontà. Recitando le orazioni quotidiane, ringraziatelo di cuore di avervi creati, e proponete fermamente secondo la stessa preghiera: Vi adoro, mio Dio, e Vi amo con tutto il cuore. Vi ringrazio di avermi creato, fatto cristiano e conservato in questa notte. Vi offro le azioni della giornata, fa’ che siano tutte secondo la Vostra santa volontà per la maggior Vostra gloria. Preservatemi dal peccato e da ogni male. La Vostra grazia sia sempre con me e con tutti i miei cari. Amen; che tutte le azioni della vostra giornata siano secondo la Sua volontà e non secondo la vostra. E pensate quali siano le opere che specialmente vuole che voi le facciate, come Egli vuole e non più come vorreste voi. Esempi. Creazione del primo uomo. Dopo aver creato il mondo, il cielo e la terra, e tutte le cose che sono nel mondo, Dio disse: «Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza; ed egli presieda ai pesci del mare, e ai volatili del cielo e alle bestie, e a tutta la terra e a tutti i rettili, che si muovono sopra la terra». E creò l’uomo a sua somiglianza e lo fece così: Ne formò il corpo di terra; poi gli alitò in faccia un soffio di vita infondendogli un’anima ragionevole ed immortale. Iddio stesso diede al primo uomo il nome di Adamo, che vuol dire formato di terra, e lo collocò in un luogo di delizie, chiamato Paradiso terrestre. Appunto perché creato per l’anima ad immagine e somiglianza di Dio, l’uomo, quantunque più debole e meno agile di tanti animali, sfornito di ali per volare e di pinne per nuotare, è capace di dominare e di assoggettarsi tutti gli altri esseri e animali anche i più forti. Creazione della prima donna. Adamo però era solo. Volendo Iddio dargli una compagna e consorte, lo fece cadere in un profondo sonno e, mentre dormiva, gli tolse una costola, e da quella formò la donna, che presentò ad Adamo. Questi l’accolse con riconoscente affetto e la chiamò Eva, che vuol dire vita, perché ella sarebbe divenuta la madre di tutti i viventi. Sant’Agostino osserva che Dio non ha tratto la donna dalla testa dell’uomo perché essa non deve comandare, non dai piedi perché l’uomo non la deve disprezzare, ma dal cuore, perché la deve amare! Questo racconto della creazione della donna, fa intendere pertanto che la donna dev’essere sottomessa all’uomo, il quale è capo della famiglia (che quale capo, egli la deve reggere e governare), che la vera missione della donna è nella famiglia, che l’uomo deve amarla come se stesso, né mai trattarla duramente, e che deve provvederla del necessario alla vita nel modo stesso con cui egli provvede a se medesimo. La donna è simile e non uguale all’uomo; questi deve reggere la famiglia. Che cosa fa prima? Un giorno s’intavolò questa discussione: « Che cosa fu prima? L’uovo o la gallina?». Un tale rispondeva: «La gallina, perché è la gallina che fa l’uovo». «Ma la gallina, non nasce dall’uovo?». Quello non sapeva più che dire. Dio creò i primi viventi di ogni specie da cui si riprodussero quelli che sono ai giorni nostri ; creò anche una prima gallina che produsse uova da cui nacquero altre galline e uova. Così Dio è creatore di tutto ciò che anche ora vediamo.

Chi ci ha creato? Dal Nuovo manuale del Catechista, mons. G. Perardi, L.I.C.E., Torino, 1939. SS n° 1, p. 6 - 7