Teologia Politica

Non c’è sorgente più inesausta di errori che l’abuso delle parole. Del prestigio delle parole se ne servono i perturbatori di ogni ordine, avendo sempre in bocca parole come Popolo, Progresso, Civiltà, Costituzione. Ma i vocaboli più nocivamente adottati furono e sono quelli dei liberali e dei socialisti: Libertà, Fratellanza, Uguaglianza. Vocaboli di dannata, massonica memoria. Concentriamoci criticamente sul Socialismo.

Il Socialismo promette di rendere l’uomo libero sciogliendolo dai vincoli sociali. A comprendere quanta fallacia e veleno si racchiudano in tale premessa, conviene rievocare alla mente la giusta idea di Libertà. La libertà, di cui è così dolce il nome e così raro l’uso, mentre l’abuso è così frequente, vuole che si adoperi in conformità al diritto naturale.

Ora essendo la natura dell’uomo ragionevole e perfettibile, allora egli segue la perfezione della libertà quando segue la ragione e, operando, si rende migliore. A ciò mirano le leggi sociali, tanto quelle che sono imposte dal Creatore, quanto quelle che sono prescritte dalle autorità da Lui derivate.

Dunque il Socialismo, sottraendo l’uomo da queste, annienta la libertà e sottopone l’uomo alla servitù degli istinti. Spostando, poi, questo concetto dal singolo individuo all’intera società, vediamo che il Socialismo, anche in quest’ultima, distrugge ogni idea di libertà, poiché ne assoggetta lo svolgimento al fato ineluttabile del progresso umanitario; perché, alla fin fine, incatena tutti gli individui sotto la tirannide dei pochi despoti che, dalla universale anarchia, sorgono a dominare. La storia su questo punto è in pieno accordo con la teoria.

Il Socialismo promette di far scomparire le disuguaglianze delle condizioni e delle fortune. Siffatta pretesa manca di base ragionevole e di possibilità pratica; quella varietà di differenze, difatti, non è effetto della violenza o del caso, ma disposizione provvidenziale che, per mezzo dei bisogni scambievoli, stringe i legami della società civile, come appunto dalle diversità e dal contrasto delle leggi cosmiche nasce l’armonia del mondo fisico. Pretendere di far scomparire le disuguaglianze di condizioni e fortune è una utopia contro natura.

Un sistema contrario, infatti, sarebbe impossibile, stante la disuguaglianza concreta di cui gli individui umani, astrattamente uguali, sono dotati. Onde la pretesa uguaglianza di condizioni e di fortune, dove pure si riuscisse a introdurre, non sussisterebbe che un solo istante e l’istante dopo, in forza della legge di natura, sparirebbe; per non parlare dell’ingiustizia che essa in sé svolgerebbe, remunerando in egual misura meriti e demeriti disparatissimi; e del danno che arrecherebbe alla società intera estinguendo ogni stimolo all’esercizio delle forze individuali.

I teorici del socialismo, ben conoscendo queste presse, si avvalgono di quelle fallaci promesse per illudere gli ingenui e per stabilire la propria dominazione. Sì, perché «tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri», scriverebbe Orwell.

L’unica verace uguaglianza che sia possibile agli uomini non è prodotta da altro che dalla religione di Gesù Cristo. Vera e prolifera uguaglianza, poiché armonica alla legge di natura, a meriti e demeriti, a premi e castighi, a diritti e doveri!

Infine, quanto alla fratellanza universale, essa - nell'ordine squisitamente naturale - non è altro che il risultato di due idee: la derivazione di un ceppo comune e l’unione di essi mediante relazioni di amore. Ciò definito, con quale faccia il Socialismo può vantarsi di promuovere la fratellanza, quando esso disdice o chiama in dubbio l’unità primigenia della specie umana ed insegna che l’amore di sé stessi è la sorgente di ogni moralità?

La sostanza è che i Socialisti per fratellanza umanitaria intendo una comunella di ladrocini e di sangue, con la quale intendono ammorbare il pianeta e diventare il flagello delle moltitudini. Il Socialismo, dunque, è il più crudele nemico della fratellanza; ed è anche, combattendo accanitamente Nostro Signore Gesù Cristo e la Sua Chiesa, mosso ad abbattere quel principio e quella fonte da cui la vera fratellanza unicamente nasce e prolifera.

a cura di CdP

Ispirato alla dissertazione del sig. D. G. Papardo, Acc. Relig. Catt., 21 di luglio 1853

Fra le istituzioni che si prodigano per la restaurazione e la conservazione dell’ordine internazionale, la Chiesa — supernazionale ad un tempo ed internazinale — deve avere un posto eminente. Essa appunto fra le incertezze e gli errori delle claudicanti filosofie può fornire sicure norme morali e solide basi al diritto: soprattutto essa diffonde lo spirito di (vera) fratellanza, ed educa le coscienze risvegliando e perfezionando quella sensibilità morale, che è la piattaforma di ogni ordine sia privato sia pubblico, sia nazionale sia internazionale.

Non basta, perché si stabilisca e perduri un ordine fra le nazioni, un nuovo e ragionale riassetto economico. Solo un’intelligenza obnubilata ed irretita nella filosofia marxista, per la quale l’elemento economico o, come altri direbbe, lo stomaco, determina e sorregge lo sviluppo integrale della civiltà, potrebbe assentire alla chimera di un ordine nella società che sia stabile e sicuro per la sola ragione che abbondino i mezzi di sussistenza. Sarebbe lo stesso quanto l’affermare che fra due coniugi, che costituiscono la giù piccola società che possiamo immaginarci, regnerebbe senz’altro l’ordine, ossia la concordia, l’amore, lo spirito di tolleranza e di sacrificio, alla condizione esclusiva di avere una buona dote.

Gli uomini abbattono l’ordine fino ad azzannarsi a vicenda sui campi di guerra per cause in cui gl’interessi materiali non sono predominanti, e talora esulano del tutto. «La storia ci dimostra che giammai uno Stato ha potuto fondarsi unicamente su basi economiche, senza che la popolazione fosse insieme legata da vincoli morali, ossia da un ideale comune».

Ciò che vale per una sola nazione, vale per ogni aggruppamento di nazioni: bisogna non solo una disciplina di rapporti economici, ma altresì un elemento comune che abbia forza di attrazione ed unifichi i voleri e, coi voleri, l’azione. L’economia non unisce le anime, ma i corpi. Ma è questa un’unione precaria, fatta di compromessi ed accamodamenti ben fragili; giacché per essere limitati i beni economici generano di continuo attriti ed intestine discordie.

«E’ nella natura stessa dei beni materiali, c’insegna Papa Pio XI, che la loro disordinata ricerca diventi radice di ogni male. Infatti da una parte non possono appagare le nobili aspirazioni del cuore umano... dall’altra parte (al contrario dei beni dello spirito, che quanto più si comunicano tanto più arricchiscono senza mai diminuire) i beni materiali quanto più si spartiscono fra molti, più scemano nei singoli... onde non possono mai né contentare tutti egualmente, né appagare alcuno interamente, e con ciò diventano fonte di divisione» ...

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Il concetto di comunismo è proteiforme ed ondeggiante. Nella sua accezione originaria, che è quella economica, comunismo importa un regime, in cui i beni, in tutto o pressoché in tutto, si attribuiscono alla collettività. La quale può avere un carattere privato, come la società domestica, la società professionale, culturale, economica, e allora si ha la proprietà comune ma particolare o privata; se la società è di natura politica — Stato, provincia, comune e simili — la proprietà che le si attribuisce è comune ma pubblica. La proprietà pubblica, detta talora collettiva, se non è di uso comune forma la proprietà patrimoniale dello Stato; nel caso inverso costituisce la proprietà demaniale. La prima è retta dal diritto privato, la seconda dal diritto pubblico. Nella sua significazione scientifica comunismo suole al presente indicare il marxismo, ossia il sistema inaugurato da Carlo Marx (1818-1883) che ha per sua base filosofica il materialismo, e mira più che ad interpretare il mondo a trasformarlo. Anima del sistema è l’interpretazione economica della storia, sicché non vi ha nulla in essa, che in ultima istanza non sia determinato da relazioni economiche. Leggi, costumi, guerre, istituzioni, letteratura, arte, politica, morale, religione, tutta insomma la civiltà nei suoi prodotti superiori non è che una soprastruttura determinata dalla soggiacente struttura economica. La causalità materiale dà la misura di tutti i valori. 

Nella sua portata sociale il comunismo designa quella corrente, la quale tende a ricostruire la società su base collettivista; ossia in guisa che tutti gli strumenti produttivi, con cui si può sfruttare l’altrui lavoro, vengano sottratti all’appropriazione privata e concessi alla comunità. Sul piano storico il comunismo ha avuto delle manifestazioni molteplici. Tracce di comunismo trovansi anche nelle più remote antichità, ma di un comunismo isolato, che non costituisce, come si volle far credere, una fase universale della primitiva civiltà agricola. Istituzioni a sfondo comunistico si hanno nell’antichità classica, come ci è dato rilevare da scrittori ellenici, segnatamente da Aristotile nella Politica. Si tratta di un comunismo, in cui esula la concezione della generale uguaglianza; di un comunismo sprezzante del lavoro manuale, limitato a classi privilegiate con esclusione dei lavoratori e degli schiavi. 

Si è avuto anche un certo comunismo religioso tanto fuori quanto dentro il Cristianesimo. Fra i primi cristiani di Gerusalemme sorse un "comunimo" spontaneo e parziale, "comunismo" ascetico, che non potè protrarsi a lungo, e si è riprodotto solo negli ordini religiosi e con ben diversi caratteri si è pure manifestato fra gli eretici, come gli Apostolici, i Circumcellioni, gli Albigesi, gli Anabattisti, i Catari, i Poveri di Lione. Non è mancato un comunismo letterario, che si è esaurito in racconti e costruzioni fantastiche di società comunistiche. Ad imitazione di Platone, che elaborò un piano di repubblica ideale, fondata su una comunione integrale, si sono molti altri scrittori esercitati a prospettare ordinamenti immaginari, in cui la esclusione della privata proprietà e la comunione dei beni costituiscono il talismano della felicità terrestre. Famosa in questo genere di letteratura è l'Utopia di San Tommaso Moro, il glorioso cancelliere di Enrico VIII d’Inghilterra, che meritò l’onore degli altari, avendo subito il martirio per essersi professato fedele alla Chiesa romana contro le ingiuste pretese del suo sovrano.

Come il Moro anche altri si sbizzarrirono a sognare strutture sociali a carattere comunistico, non senza qualche ripercussione, per alcuni almeno, sul comunismo contemporaneo. Segnaliamo II mondo dei savi di Francesco Doni, La repubblica delle api di Bonifacio, La città del sole del Campanella, La nuova Atlantide di Bacone ...  e molti altri. Di questo comunismo utopistico si sono avuti dei tentativi anche sul terreno pratico, dei quali la storia deve sopratutto ricordare quello dell’inglese Roberto Owen (1771-1858), che fondò nell’indiana (in America) la New-Armony. La fondazione doveva attuare la perfetta uguaglianza in base alla formula dell’ideale comunista: «Da ciascuno secondo le proprie capacità, a ciascuno secondo i propri bisogni». Contemporaneo dell’Owen fu il francese Carlo Fourier (1772-1837) che creò il Falanstero, comunità di quattrocento famiglie, che in fondo non era che una cooperativa integrale. Questo tentativo, come quello dell’Owen, doveva miseramente fallire, non fosse altro perchè destituito d’una base morale. Per il Fourier, infatti, le passioni sono volute da Dio, e devono lasciarsi a briglia sciolta; mentre per l’Owen l’uomo è il prodotto dell’ambiente, e se si perverte, si deve esclusivamente all’ambiente. Alla luce di questi principii i due utopisti respingevano ogni educazione etica nelle loro formazioni comunistiche. Di qui lo straripamento del costume col seguito dei contrasti e l’epilogo della dissoluzione.

Anche Luigi Blanc (1811-1862) sognò la soluzione del problema operaio non con la Nuova Armonia dell’Owen, né col Falanstero del Fourier, ma con les Ateliers Sociaux, ossia mediante cooperative di produzione formate di lavoratori con capitali forniti dallo Stato. L’Ateliers Sociaux nella concezione del Blanc sarebbe stata la prima cellula, onde per propagazione spontanea sarebbe sorto tutto un mondo collettivista. Data la sua superiorità sulle imprese individuali, l'Ateliers Sociaux ben presto avrebbe con la concorrenza scrollate o assorbite tutte le altre aziende, e così, in breve giro di anni, l’economia mondiale si sarebbe trasformata in economia comunista. Il sogno di Luigi Blanc svanì, col fallimento dei progettati cantieri sociali, che furono insufficienti alla ressa dei disoccupati, e si trasformarono in focolai di parassitismo e di agitazione politica.

Nel secolo scorso il comunismo, senza espellere del tutto gli elementi utopistici, ha per opera del Marx dismesso d’indugiarsi sui particolari disegni della folta e policroma genia dei minuti riformatori sociali, che vengono in blocco bollati col marchio di socialisti borghesi. Il marxismo, ossia il comunismo odierno, si stacca nettamente per alcune sue peculiari caratteristiche dalle forme anteriori del comunismo. Oggi esso dispiega un atteggiamento rivoluzionario; esso, infatti, intende abbattere i piloni su cui si è sempre sorretto l’ordine sociale, ossia la proprietà, la Famiglia, lo Stato, la Religione, per costruire sulle loro macerie una nuova convivenza, che attui il monismo materialistico con tutte le sue sequele. La sua è una dottrina totalitaria che intende affrontare e risolvere i fondamentali problemi dell'uomo e del cosmo. 

Oggi si distingue dal socialismo primieramente per il suo carattere rigidamente dommatistico, e per una più cieca fede nella futura e radicale palingenesi della società. Deciso nemico di ogni patteggiamento e compromesso, non tollera scrupoli d’alcuna sorta sui mezzi per raggiungere lo scopo e sui metodi di azione. L’illegalità e la violenza, la rivolta e la strage, il pugno implacabile o la mano tesa, nulla disdegna per assicurarsi il trionfo, non esclusa talora qualche concessione e limitazione transeunte, che non ne intacchino lo spìrito essenzialmente rivoluzionario. Il socialismo invece non è così intransigente e brutale, rifugge dal viaggiare sul treno lampo della rivoluzione, e preferisce per lo più la via, a suo credere più sicura e indubbiamente assai più comoda, dell’evoluzione, attuata mediante progressive riforme.

Il comunismo inoltre mira nell’uomo più il consumatore, donde la sua formula preferita: «A ciascuno secondo i propri bisogni»; mentre il socialismo, che rivolge particolare attenzione al produttore, adotta la formula: «A ciascuno secondo il proprio lavoro», formula che solo in via transitoria, in un primo tempo, viene tollerata dal comunismo. Ma se le due frazioni del movimento proletario divergono sui metodi, coincidono però sui fini. «L’intento prossimo dei comunisti, leggiamo nel Manifesto, è quel medesimo che è proprio a tutti gli altri partiti proletari: formazione del proletariato in classe, rovina della signoria borghese, conquista del potere politico da parte del proletariato». Secondo il Berdiaeff il comunismo non si distinguerebbe dal socialismo se non che per la riforma più esasperata. Se poi vogliamo appellarci ad un altro russo, ancora più autorevole in questa materia del Berdiaeff, al Lenin, diremo che il socialismo è la prima ed inferiore fase della società comunistica.

La sostanza teorica rimane identica nei due sistemi, ma poiché nella vita vissuta i principii erronei si sfaldano, bisogna notare che nel socialismo tendono ad attenuarsi o a diluirsi i principii della lotta classista, nel materialismo storico, dell’abolizione della proprietà. Di qui quei programmi del riformismo socialista che ha molti e molti punti d’incontro con i programmi dettati dai partiti dell’ordine. Ad ogni modo il socialismo è in discesa e non ha più il potere seducente di un tempo. Le ragioni sono ovvie: da una parte non può più levar la voce come una volta contro gli abusi del capitalismo, essendo stati soppressi i più gravi e manifesti: dall’altra parte esso è stato svuotato dai vari partiti, che nella politica sociale propugnano le più audaci riforme. Oramai il socialismo è assai logoro e non ha più nulla di nuovo da agitare come per l’addietro fra le folle popolari. La sua stessa pirotecnica verbale è stantia e somiglia in qualche modo al lampeggiamento innocuo delle notti estive.

Meno invecchiato parrebbe il comunismo e più ricco di immediate e mirabolanti promesse. D'altronde il fenomeno bolscevico, che è il primo esperimento marxista in grande stile, si considera dalla massa dei superficiali quale dimostrazione vivente della possibilità e dell'utilità per le nazioni di darsi una struttura sociale ed economica comunistica. E’ necessario in queste ore decisive per la restaurazione del Paese dissipare questi equivoci, che vorrebbero ingolfarci in un altro esperimento non meno totalitario e disastroso di quello che ci ha, tra continue ubbriacature, condotti all’estrema catastrofe. Bisogna dunque denudare il comunismo e disvelarne la profonda irrazionalità e le fondamentali contraddizioni; contraddizioni che hanno indotto l’insigne sociologo alemanno storiografo del capitalismo, il Sombart, a definirlo «un non concetto, un non senso, un cerchio quadrato, un ferro da cavallo d’oro, una fisica morale, una chimica sentimentale».

Se si tolgono al comunismo i paludamenti e le maschere, di cui lo ricopre la propaganda interessata, esso si risolve in un vuoto immenso. Il nostro lavoro vuol mostrare questo vuoto, che ha una quadruplice dimensione; giacche è il vuoto della concezione economica, il vuoto della concezione sociologica, il vuoto della concezione politica, il vuoto della concezione etico-religiosa.

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L’orrenda carneficina che l’esercito sovietico, con l’inganno d’una falsa tregua ed una vigliaccheria che non ha precedenti nella storia, ha consumato ai danni del popolo ungherese, ha suscitato in tutto il mondo civile un’ondata d’esecrazione, una condanna morale che non mancherà d’avere, come sta già avendo (vedi il caso Reale, la ribellione dell’on. Giolitti e degli intellettuali del P.C.I.), le sue conseguenze nello stesso campo comunista. Duecentomila soldati e cinquemila carri armati hanno aperto il fuoco non solo contro studenti e operai insorti a difesa delle loro libertà, ma anche contro la popolazione inerme, contro ospedali, donne e bambini. Perché tanta crudeltà e tanta ferocia? Perché tanto disprezzo della parola data, d’ogni impegno d’onore? A tutti questi interrogativi non c’è altra risposta che la prepotenza del bruto deciso, a costo di diventare assassino, a non lasciarsi sfuggire la preda. Perciò tanto più grave risuona l’ammonimento di Pio XII: «Le parole che Dio rivolse a Caino: ”La voce del sangue di tuo fratello grida a me dalla terra”, hanno anche oggi tutto il loro valore... ».

Sugli sviluppi dell’insurrezione dell’eroico popolo ungherese come pure sulla piega che prenderanno i fermenti che agitano la Polonia e gli altri paesi dell’Europa orientale, posti fino a ieri saldamente sotto il tallone di Mosca, è ancora prematuro fare delle previsioni. Ma quanto è accaduto è già sufficiente per formulare delle valutazioni di più meditato contenuto che non siano avventate ed inutili profezie o conclusioni opportunistiche ed interessate.

È chiaro che i recenti fatti d’oltre cortina costituiscono non solo una rivolta contro lo stalinismo e l’Unione Sovietica, ma sono la prova più evidente, anche dal punto di vista marxista, del fallimento del comunismo. Secondo il marx-leninismo la verità di una dottrina non è qualcosa che si dimostra in modo astratto con la perspicuità dei suoi principii, bensì dalla sua realizzazione concreta, tale essendo il significato della tanto decantata identità di teoria e di prassi. Alla prassi si sono sempre appellati tutti i comunisti, dai più grandi ai più piccoli, da Lenin a Stalin a Chruscev, da Gramsci a Togliatti a Banfi e Della Volpe. Ora è proprio la realtà che dà loro la più solenne delle smentite: sul piano dell’economia, dell’umanesimo e dell’egemonia politica...

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IL DOVERE DI OGGI. Ci siamo dati al servizio della Patria, sul piano dell’attività politica, con assoluta tempestività, subito dopo la caduta del regime fascista. Nell’estate 1943, non pensando di dover fondare un Partito, prendemmo contatto con i promotori di quello denominatosi 'Democrazia Cristiana’. Ne ha dato ampia testimonianza il senatore Giuseppe Spataro nel volume «I democratici cristiani dalla dittatura alla repubblica», edito dal Mondadori. Ci fu facile renderci conto che nella loro impostazione non era nulla di 'cristiano’ né di 'democratico'. Per questo, e per mirabile impulso del Generale Conte Paolo Piella, emiliano, demmo vita al CENTRO POLITICO ITALIANO, successivamente qualificato come 'Partito Cattolico di riscossa nazionale’. Nel dicembre 1943 ebbe inizio in Roma la diffusione clandestina del suo elaborato «Indirizzo Programmatico» dopo che ne era stato informato il Santo Padre Pio XII. Ne venne subito a conoscenza anche il De Gasperi il quale, anziché cercare una chiarificazione, già nel febbraio 1944 inserì in un suo scritto, ripubblicato come n. 2 dei 'quaderni della D.C.’, un violento e spregiativo attacco contro di noi. Ne riferiamo nelle pagine che seguono. Sono passati 34 anni durante i quali abbiamo sviluppato una ininterrotta ed intensa attività, partecipando anche, in varie occasioni, ad elezioni politiche ad amministrative. Fu del nostro Partito la Lista n. 1 nella circoscrizione di Roma-Latina-Viterbo-Frosinone per le votazioni del 2 giugno 1946. Contro i ritenuti errori di principii e di prassi, dei pretesi 'Cattolici' ascesi al Governo con Demomassoni e Socialcomunisti, presentammo due Denunzie al Sant’Offizio (1946 e 1947), che suscitarono molto clamore. Tuttavia, per la sopravvenuta unanime congiura del silenzio, e soprattutto per il pertinace appoggio che i Vescovi e la Stampa di dipendenza ecclesiastica hanno dato ai nostri avversari, siamo rimasti una esigua schiera. Ma TENIAMO duro. Perché?

De Gasperi ed i suoi seguaci vollero realizzare lo Stato moderno. Noi propugnavamo lo Stato cristiano. Quale la differenza? La Costituzione della Repubblica, votata a fine 1947 in pieno accordo tra Comunisti e Democristiani, testimonia cosa si sia inteso con la prima formula. Vi manca un qualsiasi riconoscimento della esistenza di una Legge obiettiva di Moralità e di Giustizia, vincolante anche i Poteri Legislativi. A maggior ragione vi è ignorato un DIO, Supremo Autore della Natura Umana, Fonte del Diritto, Sovrano e Padrone dell'Universo. Ogni Potere verrebbe dalla ’volontà popolare', quale si manifesterebbe attraverso 'libere’ elezioni di un Parlamento, nelle forme previste dalla Costituzione stessa. «Volontà» non soggetta a vincoli di Morale Naturale o di Legge Divina, ma di fatto imprigionata sotto la pesante cappa di una dittatura di Partiti. Gli Italiani ne hanno fatta larga esperienza.

Il CENTRO POLITICO ITALIANO parte invece dal convincimento che la Politica, settore dell’Etica, ossia della Legge Morale e del suo adempimento, è per ciò stesso una Scienza, la Scienza del BENE COMUNE, alle cui regole debbono attenersi Legislatori, Governanti e Sudditi. Di questa Scienza occorre una Cattedra specializzata e debitamente accreditata, a carattere universale, estranea a qualsiasi fazione. La riconosciamo nel solenne Magistero politico-sociale dei Pontefici Romani. E ciò non per persuasione di Fede, che pur ce ne dà una speciale conferma, ma a lume della semplice Ragione, per poco che venga seriamente affrontato il problema politico. E’ un tema più volte trattato nelle nostre pubblicazioni. 

Quale è il DOVERE di OGGI? E’ quello di sempre! Recare, ciascuno di noi, il contributo che ci è possibile alla instaurazione di un regime di PACE SOCIALE, interna ed internazionale. A questo scopo dobbiamo anzitutto combattere contro la nostra stessa ignavia e la nostra ignoranza riguardo alla vera essenza ed al vero contenuto della POLITICA. Questo 'quaderno’ e le altre pubblicazioni del CENTRO POLITICO ITALIANO, che ci possono essere richieste da ogni anima di buona volontà, vogliono aiutare, con semplicità di spirito e fraterna franchezza, ad 'aprire gli occhi’ sulle colpe finora incorse, sugli errori commessi, consapevoli o meno che possiamo esserne stati.

Avvertiamo subito che non siamo dei fanatici contro il 'pericolo comunista’. Esiste una situazione di gran lunga più grave realizzata da Democristiani e Comunisti insieme, nel correo silenzio di Vescovi, Clero e Cattolici (?) militanti, a conclusione della sorda lotta anticristiana ed antiumana di cui massimo responsabile, sul piano storico e politico, è stato ed è il Liberalesimo. E’ la SFIDA a DIO sulla cui base negli anni 1943/1947 è stato fondato il vigente regime statuale italiano, la attuale 'Repubblica’, per intenderci.

Dicono che Palmiro Togliatti sia morto da Cattolico. Dicono anche che la ambasciatrice 'personale' del Presidente della Repubblica Statunitense, presso la Santa Sede, esprimendosi una volta con entusiasmo di Credente col Papa Pio XII, in una implicita critica alla condotta del Pontefice, Lo abbia indotto ad esclamare: «Ma guardi che anche io sono un Cattolico!». Abbiamo detto che non facciamo, in questo 'quaderno', una questione di Fede, anche se in principalità ci rivolgiamo ai Cattolici militanti ed ai Vescovi. E perché no?, anche al Papa (nel 1977 sedeva sulla Cattedra il modernista e non Papa Paolo VI, ndr.). Ai Vescovi abbiamo clamorosamente chiesto che SI COMPORTINO da CATTOLICI.

Premesso questo, ci sia lecito domandare: — a quanti si professano democratici, se son proprio certi di esserlo, mentre non TUONANO contro la imperante, 'legalitaria', TIRANNIA PARTITOCRATICA, e non propugnano una soluzione legislativa che instauri un regime che meriti la qualifica da essi vantata; — a quanti mostrano voler servire gli interessi del Proletariato, sotto bandiera socialcomunista o consimile, perché non indirizzano la LOTTA di CLASSE verso un obiettivo di autentica GIUSTIZIA SOCIALE, quale è quella che or è un secolo fece propria il Partito Operaio Italiano, ed i Papi ripresero con la 'Rerum Novarum’, con la ’Quadragesimo anno' e successivi Documenti, e cioè la compartecipazione dei Lavoratori alla proprietà, utili e responsabilità delle Imprese; — agli ITALIANI, agli EUROPEISTI, agli INTERNAZIONALISTI potremmo rivolgere domande rispettivamente appropriate... E’ ovvio che riteniamo aver da parte nostra adempiuto, anche se in maniera imperfetta, alle esigenze per le quali ci siamo permessi invitare ad un ’MEA CULPA' le varie categorie di Italiani. SIAMO PRONTI a PERFEZIONARCI! Chiediamo collaborazione! da Osnago, il 27 novembre 1977 Prosegue nel PDF ...

Del Centro Politico Italiano abbiamo già parlato in numerosi articoli di teologia politica, esponendo alcune nostre riserve e/o precisazioni. Non ci ripeteremo. 

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Ci è stato più volte fatto l’invito di dedicare qualcuno dei nostri Quaderni Sociali alla confutazione esclusiva delle fandonie che spacciano di frequente i comunisti contro la Chiesa. Per appagare tale desiderio abbiamo compilato questo lavoro, in cui esponiamo le obiezioni che i predicanti staliniani ci hanno proposto per lo più nella stampa e segnatamente nei contraddittori che abbiamo sostenuto in pubbliche adunanze. Si tratta generalmente di affermazioni sfornite d’un qualsiasi cenno di prova o barcollanti sulle grucce di pietosi equivoci, quando non sono che smaccate menzogne e impudenti calunnie. Purtroppo la menzogna espressa con audacia e col sussiego d’una verità indiscutibilmente evidentissima, con la persistente ripetizione e l’allettante frasario trova facile assenso fra le intelligenze indifese. A disincagliare queste intelligenze è rivolto questo Quaderno, ma soprattutto esso è per uomini di azione, ai quali bene spesso riesce malagevole consultare i ponderosi volumi e rendersi conto delle inconsistenti falsificazioni del vero perpetrate dal comunismo. In questo scritto essi avranno un facile prontuario e una guida sicura per dissipare gli equivoci del marxismo militante e denudarne le insanabili contraddizioni. Roma, due febbraio 1959. L’Autore P. Angelo Brucculeri S.J.

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 Obiezioni del Comunismo contro la Chiesa

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II laicismo è l’assenza del motivo religioso dalle attività, dalle istituzioni e dagli ambienti dell’ordine temporale. Nelle proporzioni assunte oggi, è fenomeno tipico dell’epoca moderna. Le sue cause sono molteplici e complesse. Alcune affondano le sue radici nella storia; altre sono proprie dei nostri tempi. Presenta gradi e modi diversi; si ritiene però che possa ridursi a tre espressioni fondamentali: ateo, naturalistico, ereticale. Il laicismo è un fenomeno vasto e profondo: si estende a tutte le comunità umane ed è penetrato in tutti i settori della convivenza. Però sembra che abbia già toccato l’acme. L’attuale momento storico solleva interrogativi angosciosi ai quali gli uomini, impegnati a ricomporre i rapporti della convivenza, non possono dare una risposta rasserenante che facendo appello ai Valori dello spirito: Valori che trovano la loro obbiettiva consistenza soltanto nel vero Dio, trascendente e personale. di Pietro Pavan. Prosegue nel PDF ...

 

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1920. Un giovane romano, quindicenne di eccezionale levatura spirituale e passione culturale, precisa nel suo Diario «il sogno grande del Cattolico Italiano... riunire al seno immenso della Chiesa la smarrita pecorella d'Italia, la diletta mia Patria». Ed impegna a «combattere e pregare in modo da modificare il nostro Paese, il nostro Popolo, riavvicinandolo alla Sede gloriosa di Pietro» così da poter vedere «il Pontefice circondato da 40 milioni di Italiani ferventi Cattolici, governati da un saggio e Cattolico Governo, benedetto da DIO, scudo e difesa della S. Sede». 1942. Quel giovane, Sacerdote al servizio della Nunziatura Apostolica in Argentina, con l’animo straziato nella visuale della tragedia incombente sulla Italia, ottiene dal Direttore Spirituale il permesso di fare a DIO l'offerta della vita. La Divina Misericordia sembra prontamente accogliere questo slancio generoso, e Giuseppe Canovai, quasi oblazione santa, primizia di riscatto, del Clero Italiano, l'11 novembre termina a 37 anni il suo pellegrinaggio terreno esultando: « ... non avrei mai creduto fosse così bello morire!». 1943. Sorge in Roma un Partito denominatosi Centro Politico Italiano, ad opera di tre Cattolici vincenziani, con l’impegno statutario di realizzare nella politica italiana i Principii Cattolici. Ignari della aspirazione e dell’oblazione di Canovai, postisi sotto la Sua Intercessione presso l'Altissimo, formulano l'Appello dell'Alleanza Italiana, che qui ristampiamo, ed ammoniscono che «l’Italia si è sempre rialzata dalle sue sventure quando ha riamato DIO». Pionieri di un crescente numero di Laici dediti all'azione politica, animati da incrollabile fiducia nei destini del loro Popolo, concludono l’Appello invitando: «ITALIANI! Giuriamo al SIGNORE consacrando l’Italia al Suo Sacratissimo CUORE ed al CUORE IMMACOLATO di MARIA!». A cura dell'Avv. Carlo Francesco D'Agostino. Prosegue nel PDF ...

Del Centro Politico Italiano abbiamo già parlato in numerosi articoli di teologia politica, esponendo alcune nostre riserve e/o precisazioni. Non ci ripeteremo. 

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Consacrazione dello Stato al Sacro Cuore di Gesù ...

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Perché continuare a bendarsi gli occhi? Non è lecito appoggiare il male minore ed è doveroso negare il voto alla Democrazia Cristiana. Da l'Alleanza Italiana del 1-15 marzo 1972. A cura dell'Avv. Carlo Francesco D'Agostino. Ne abbiamo già parlato in numerosi articoli di teologia politica, esponendo alcune nostre riserve e/o precisazioni. Non ci ripeteremo. Prosegue nel PDF ...

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Perché Continuare a bendarsi gli occhi?

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Quaderni della Nuova Alleanza per un vero Risorgimento d'Italia. Politica Cattolica in contrapposto alla mistificazione democristiana. Statuto ed impostazione programmatica del Partito Cattolico Centro Politico Italiano, con commento e sviluppo dottrinale dell'Avv. Carlo Francesco D'Agostino, Anno Santo, 1975. Ne abbiamo già parlato in numerosi articoli di teologia politica, esponendo alcune nostre riserve e/o precisazioni. Non ci ripeteremo. Prosegue nel PDF ...

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Politica Cattolica Mistificazione Democristiana

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1) Repubblica Monarchica. 2) Le vendette della Storia. 3) Monarchia Democratica. 4) La parte del padrone. 5) Quel che va rimesso in centro. A cura del Centro Politico Italiano, Avv. Carlo D'Agostino, Roma, 18 luglio 1944. Prosegue nel PDF ...

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Monarchici Democratici Centristi

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Per inviare una donazione a Sursum Corda Cliccare qui. «Nessuno al mondo vorrà mai ammettere di essere avaro! Tutti negano di essere contagiati da questo tarlo che inaridisce il cuore. Chi adduce a scusa il pesante fardello dei figli, chi la necessità di crearsi una posizione solida... Quelli poi che sono avari più degli altri, non ammetteranno mai di esserlo, e il bello è che, in coscienza, sono proprio convinti di non esserlo! L’avarizia è una febbre maligna, che più è forte e bruciante e più rende insensibili» (San Francesco di Sales, «Filotea»). Per scaricare il PDF ocr cliccare qui.

Referendum, Plebiscito o Costituente? con altre aggiunte a cura del Centro Politico Italiano, Avv. Carlo D'Agostino, Roma, 12 luglio 1944. Prosegue nel PDF ...

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Referendum plebiscito costituente

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1) Le parole di Togliatti - Ercoli - Mussolini. 2) L’equivoco democratico-cristiano. 3) La dottrina politica cattolica. 4) L’ordine fa bene a tutti. 5) San Paolo e l’insegnamento dei Papi. 6) Il Centro Politico Italiano. Pubblicazione a cura del Centro Politico Italiano, Avv. Carlo D'Agostino, Roma, 12 luglio 1944. Prosegue nel PDF ...

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Esiste un partito cattolico

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Lumen de caelo. Pervenuti all'anno vigesimoquinto del Nostro ministero Apostolico, e meravigliando Noi stessi del cammino in mezzo a cure ardue e incessanti percorso, Ci sentiamo naturalmente tratti ad innalzare il pensiero a Dio benedetto, che volle concederCi fra tanti benefici anche una diuturnità di Pontificato che novera appena qualche esempio nella storia. Al Padre di tutti, a Lui che tiene in Sue mani il segreto della vita, salga quindi, come un vivo bisogno del cuore, l'inno del ringraziamento. Certo pupilla umana non può penetrar tutto il consiglio divino sopra così protratta e punto sperata longevità, e Noi qui non possiamo che adorare in silenzio: una cosa però ben sappiamo, ed è che, se Gli piacque e Gli piace di conservare ancora questa Nostra esistenza, Ci incombe un obbligo altissimo; di vivere cioè al bene e all'incremento dell'immacolata Sua sposa la Chiesa, e di non isgomentarCi dinanzi alle sollecitudini e alle fatiche, consacrando ad essa fin quest'ultimo avanzo delle Nostre forze. Prosegue nel PDF ...

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Il Testamento Del Papa Leone XIII

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Da «La Civiltà Cattolica», Quaderno 2277, 5 maggio 1945, Riccardo Lombardi SJ. Il 7 aprile il Ministro Togliatti tenne a Roma un discorso nella sala del Planetario per il secondo Consiglio nazionale del Partito Comunista Italiano. Vi trattò molte questioni, che riguardano il suo Partito nel momento attuale. Noi qui vogliamo considerare solamente i passi, dedicati ai rapporti fra i comunisti e la Chiesa; argomento sul quale lo stesso Togliatti ritornò anche pochi giorni appresso, nel discorso di chiusura del Consiglio. Le parole furono di lamento e di rimprovero verso la Chiesa, e passarono perfino ad adombrare non lievi minacce.

Nella Chiesa - disse egli - accanto a sacerdoti aperti alle nuove idee, «sappiamo che esiste una parte conservatrice e reazionaria la quale lotta apertamente contro di noi, e non su un terreno politico ma su un terreno nel quale a noi è diffìcile intervenire, come nelle prediche, nel fatto di rifiutare l’assoluzione di compagni, di rifiutare gli ultimi sacramenti al compagno il quale è morto nella sua fede comunista, e senza rinnegare la sua credenza religiosa. La questione è molto grave» (Nel discorso di chiusura il Togliatti ebbe anche a dire: «Ci riferiscono di un vescovo che minaccia di scomunica le donne nelle cui famiglie c’è un iscritto al nostro partito». Noi non citiamo nel testo tale dato, perché ci appare talmente assurdo, che crederemmo di fare un torto se attribuissimo a qualcuno il dubbio anche di un solo istante sulla sua verità).

Subito seguivano le minacce: «Noi riteniamo che i capi della Chiesa cattolica farebbero bene a riflettere seriamente alla convenienza che essi hanno a lasciare che fatti simili si producano ancora. Noi speriamo che essi abbiano il senso di responsabilità che li porti a comprendere che aprire oggi una lotta di religione in Italia sarebbe per il nostro paese una cosa fatale. Noi constatiamo che l'intervento di autorità ecclesiastiche per esercitare un terrore con mezzi spirituali contro un partito politico come il nostro, partito legale, partito di governo, partito che proclama i suoi obbiettivi davanti a tutti, questo intervento è una violazione delle norme le quali sono sancite nel Concordato tra lo Stato Italiano e la Chiesa Cattolica. Noi non abbiamo finora sollevato la questione del Concordato e non abbiamo intenzione di sollevarla; questo è un problema che il popolo italiano risolverà a suo tempo, quando esso si sarà liberato di tutti gli altri problemi che sono molto più urgenti e sarà risolto allora secondo la volontà della maggioranza del popolo, ma è evidente che questa linea che viene seguita da determinati reazionari dell’apparato ecclesiastico, ci costringe a porre la questione del Concordato. Ho espresso da questa tribuna con l’autorità che mi deriva dal fatto di essere il dirigente più qualificato e più autorevole del nostro partito, la speranza che venga posta fine da parte della Chiesa Cattolica ad una situazione simile».

Come ognuno sente, il tono di questo discorso è assai mutato da quello pronunziato dallo stesso Togliatti al teatro Brancaccio, il 9 luglio scorso: la «mano tesa» si è tesa a minaccia. Pensiamo che sia opportuno e in certo senso doveroso per noi, rispondere alle questioni impostate dal Ministro, raccogliendo nel modo più preciso quei concetti, che spiegano e giustificano l’atteggiamento della Chiesa. Lo faremo quindi il più chiaramente e brevemente possibile, salvo un eventuale ritorno con speciali articoli su quei punti particolari, che qui non potessero avere sufficiente discussione; e lo faremo in spirito di assoluta sincerità, persuasi che sopratutto in momenti come questi sia prezioso l’evitare ogni equivoco, anche se ciò debba sotto aspetti secondari riuscire penoso a qualcuno. Prosegue nel PDF ...

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Togliatti una Mano Tesa Minacciosa

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Colleferro, 4 dicembre 1970.

Come cittadino italiano mi sento triste per la legge in sé stessa e per il modo come a essa si è giunti.

I parlamentari divorzisti hanno preteso di procurare un gran bene alla nazione, tanto grande da dover farlo precedere a ogni altra riforma e da dovervi consumare giorni e notti in aula. In realtà le hanno procurato un gran male. Al popolo che chiedeva a gran voce giustizia sociale, pulizia morale in alto e in basso, case, scuole, ospedali, lavoro, essi – senza che ne fossero minimamente richiesti – hanno regalato una legge divorzista che è, per giunta, una delle peggiori finora esistente nel mondo. Con questa legge, infatti, si incoraggia la leggerezza nel contrarre matrimonio; si legittima e si premia l’infedeltà coniugale; si lasciano, invece, indifese le vittime innocenti dell’egoismo e della passione, la moglie e i figli. In una parola, la saldezza e sanità della famiglia italiana – uno dei pochi beni che ancora ci rimaneva – è stato miseramente dilapidato dai nostri legislatori.

I divorzisti hanno presentato la nuova legge come una conquista di civiltà e di progresso, come un’affermazione di libertà personale. Parole vuote, anche se speciose per i semplici! È puerile credere o far credere che l’Italia sia passata dalla barbarie alla civiltà soltanto in data 1º dicembre 1970, alle ore cinque del mattino, per quei pochi voti di scarto con cui il provvedimento è stato varato. La vera civiltà si misura su ben altro metro che sulla facoltà giuridica di divorziare! Il vero progresso si costruisce con ben altro materiale che con la legalizzazione del matrimonio a tempo determinato! Non alla vera libertà della persona umana si è spalancata la porta, bensì al libertinaggio! Ce ne accorgeremo ben presto. È successo già altrove che i primi a piangere in casa propria sulle conseguenze del divorzio siano stati gli stessi legislatori che lo avevano approvato!

E a proposito del come si è giunti alla legge, debbo aggiungere che “il modo ancor mi offende!” (DANTE, La divina commedia, Inferno, 5, 102). Da parte dei parlamentari divorzisti nessun serio approfondimento del problema; nessun esame critico delle ragioni altrui (bene spesso gli antidivorzisti hanno parlato in un’aula deserta!); nessuna onesta valutazione delle conseguenze già esperimentate nei paesi divorzisti, dove, statistiche alla mano, risulta nel modo più lampante che il divorzio non uno solo dei mali cui ci si illudeva di ovviare ha guarito, ma molti altri nuovi ne ha procurati.

Insomma, non la ragione ha prevalso, ma il puntiglio politico, la forza bruta del numero e la suggestione del rispetto umano. Al Senato sarebbe bastata la presenza in aula di tutti gli antidivorzisti (soprattutto dei cosiddetti Democristiani, ndr.), al momento della votazione segreta, perché la legge non passasse. Il che significa che al Senato i divorzisti sono stati moralmente battuti nell’unico momento in cui ha funzionato la coscienza personale dei singoli senatori, al di sopra degli ordini di scuderia dei partiti. Ma purtroppo, una volta imposta dai partiti divorzisti, e supinamente accettata dagli altri, la votazione pubblica, il rispetto umano ha avuto il sopravvento, aiutato in extremis da taluni risibili emendamenti che nulla toglievano alla legge della sua intrinseca brutalità. E così, certi partiti che si strombazzano come i paladini della libertà di coscienza, l’hanno tolta ai loro parlamentari e, pur di raggiungere l’intento del divorzio, hanno preferito farne dei robots che pensano in una maniera e votano nell’opposta!

Non mi soffermo sui disonesti silenzi circa il divorzio durante le campagne elettorali, per non spaventare i propri simpatizzanti. Non voglio ricordare le affermazioni fatte pochi anni or sono da noti uomini politici, e oggi rimangiate allegramente. Voglio invece sottolineare, come indice di malcostume, le ibride alleanze che hanno partorito il divorzio. Non vengano i liberali a parlare di repubblica conciliare o di anticomunismo, essi che si sono legati in connubio coi comunisti per realizzare la repubblica divorzista, e hanno consentito che la legge sul divorzio passi alla storia con l’etichetta di un binomio liberal-marxista! E i marxisti di tutte le tinte non vengano a cianciare di anticapitalismo, essi che non hanno disdegnato, per il divorzio, i voti determinanti dei capitalisti! Coerenza e lealtà diventano merce sempre più rara sul mercato della vita politica!

Ai primi che, occorrendo, sanno appellarsi alle ragioni per cui essi “non possono non dirsi cristiani“; ai secondi che, quando gli fa comodo, salutano in Cristo “il primo socialista del mondo“, io pongo una semplice domanda: Come la mettete adesso col Cristo del Vangelo, il quale ha detto: “ L’uomo non separi quel che Dio ha congiunto … Chiunque rimanda la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio in rapporto alla prima: e se una donna rimanda il proprio marito e ne sposa un altro, commette adulterio”? (Mc. 10, 9, 11-12; Mt. 19, 6, 9). Ve la sentite di accusare il Cristo del Vangelo come uno che, con l’indissolubilità coniugale, avrebbe comandato una cosa incivile e barbara, contraria al vero progresso del popolo?

Come cattolico, l’introduzione del divorzio in Italia mi addolora, anzitutto, per l’offesa pubblica recata a Dio e alla santissima legge, e poi per tutto quanto di ulteriore sfaldamento morale fatalmente ne seguirà.

Si è voluto umiliare la Chiesa cattolica nella sua dottrina e nella benefica funzione che essa, lo si voglia o no, ha esercitato nella storia del popolo italiano. Da tempo, si può dire da anni, il laicismo (la pretesa laicità, ndr.) e la massoneria, che lo ispira, attendevano la fatidica occasione. L’hanno finalmente trovata nel primo centenario della presa di Roma.

Non è ancora spenta l’eco dei discorsi ufficiali del 20 settembre scorso, quando si è detto che la celebrazione unitaria del centenario voleva essere il superamento di ogni steccato fra italiani, la fine di ogni guerra di religione. Ed ecco, invece, che una nuova breccia – altro che quella di Porta Pia! – una breccia insanabile nell’istituto vitale della famiglia è stata aperta col divorzio: una nuova guerra di religione è stata dichiarata dai divorzisti, che non potrà trovare mai una seconda conciliazione!

E, colmo di umiliazione per noi cattolici, tutto ciò accade con dei cattolici al governo (la cosiddetta Democrazia Cristiana, ndr.), anzi con dei cattolici diventati, da almeno venticinque anni, il perno insostituibile della vita politica democratica in Italia!

Bisogna onestamente dare atto ai nostri parlamentari che essi hanno parlato con scienza e coscienza encomiabili, a favore dell’indissolubilità del matrimonio. Ma una cosa rimane inspiegata, come mai essi, nonostante le molteplici occasioni offertesi in questi ultimi quattro anni, non abbiano adoperato l’unico mezzo veramente efficace, e onestissimo, per sbarrare il passo al divorzio: quello, cioè, di far sapere alla nazione, perché se ne traessero tutte le conseguenze, che i cattolici non sono disponibili, non possono essere disponibili per il governo della cosa pubblica quando gli eventuali compagni di viaggio domandano leggi che la loro coscienza ritiene dannose per il popolo e contrastanti coi principi morali e religiosi in cui essi credono.

Il peso di 13 milioni di elettori, che li hanno mandati in Parlamento proprio per la tutela di quei principi, doveva essere fatto valere nella sua giusta misura: anche e soprattutto in quelle circostanze, senza complessi di inferiorità e senza falsi timori di eventuali accuse di illiberalismo. La libertà dei divorzisti si sarebbe ben salvaguardata col mettere loro in mano lo strumento giuridico del referendum, mediante il quale essi, i divorzisti, se proprio ci tenevano al divorzio, avrebbero potuto interpellare il popolo sull’abolizione dell’articolo 149 del Codice Civile Italiano, statuente la indissolubilità del matrimonio (Codice Civile Italiano, art. 149. comma 1: “Il matrimonio non si scioglie che con la morte di uno dei coniugi”).

Invece, malauguratamente, le parti si sono invertite. Tutte le condizioni degli altri sono state accolte nella formazione dei vari governi: solo i cattolici non hanno posta e difesa la unica condizione che era ed è la ragione stessa del loro esistere di parlamentari cattolici. Perché non l’hanno fatto? Questo è l’interrogativo che nella sconfitta aggiunge amarezza all’amarezza. Il Signore non ci domanda di vincere, ma di combattere per la sua causa. Ma quando si soccombe anche solo col dubbio di aver trascurato pur uno dei mezzi onesti e utili, allora è il momento di fare il proprio esame di coscienza.

A un re francese del secolo XVI si attribuisce la frase: “Parigi val bene una Messa” (“Paris vaut bien une messe”: frase attribuita a Enrico IV). Speriamo che nel caso nostro risulti infondato il dubbio che i cattolici abbiano detto, a fatti se non a parole: “Un governo val bene il divorzio!“. Certo si è che fu escogitato l’espediente di distinguere tra un governo il quale, nonostante la maggioranza in esso dei cattolici, si dichiara neutrale su un argomento di tanta importanza come il divorzio, e una ibrida maggioranza parlamentare, antigovernativa per i 2/3 e governativa per l’altro terzo, che viene lasciata libera di adottare il divorzio e di violare il Concordato e poi, sul piano diplomatico, dal medesimo governo sedicente neutrale viene difesa e assolta per non aver commesso il fatto della violazione del Concordato! Un simile espediente non può tranquillizzare nessuno, perché esso rassomiglia troppo da vicino a quello di Ponzio Pilato, il pavido uomo politico che sacrificò l’innocente Gesù alla sua poltrona di governatore romano.

Con vero rammarico bisogna prendere atto che in molti cattolici italiani, dopo tale vicenda, anche se non soltanto a causa di essa, rimane gravemente scossa la fiducia nella capacità e volontà dei loro uomini politici di affermare i principii del Vangelo nella società, usando di tutti i mezzi onesti e possibili offerti dal regime democratico. Vedono con sgomento, questi cattolici, nella vicenda del divorzio il primo di una serie di altri possibili cedimenti, che il laicismo e la massoneria annunziano già come nuovi traguardi … di civiltà e di progresso: legalizzazione dell’aborto, denuncia del Concordato, abolizione dell’insegnamento religioso nelle scuole, sfratto dell’immagine del Crocifisso dalle aule, dai tribunali, dai pubblici uffici.

Come vescovo, ora che il fattaccio è purtroppo successo, devo tenere ai cattolici diocesani un discorso molto semplice:

a) Auspico e caldeggio l’iniziativa democratica dell’uso del referendum, che valga a far conoscere la vera volontà del popolo italiano circa il gravissimo problema del divorzio. Ormai questa è l’unica via legale capace di bloccare l’infausta legge, sia pure a distanza di un anno (Le macchinazioni di stampa corrotta, politici infedeli e dei modernisti protrassero i tempi del referendumi per svariati anni, con i risultati che tristemente conosciamo, ndr.). Ogni cattolico, pertanto, si farà un onore e un dovere di collaborare alla veloce riuscita dell’iniziativa. Anche coloro che, forse senza saperlo e volerlo, hanno favorito l’introduzione del divorzio in Italia votando per i partiti divorzisti, avranno l’occasione di riparare, in qualche modo, il male da essi già compiuto.

b) Nessun cattolico potrà mai in coscienza utilizzare la legge del divorzio per far sciogliere dalle autorità civili il proprio matrimonio religioso: neppure il coniuge incolpevole, tanto meno poi il coniuge colpevole, cui la nuova legge concede, in pratica, il ripudio della comparte innocente. “Bisogna ubbidire a Dio piuttosto che agli uomini” (Atti 5, 29), leggiamo nella Sacra Scrittura; e noi sappiamo bene che cosa comanda Dio circa l’indissolubilità del matrimonio. In ogni caso ci si ricorderà che Dio giudica le coscienze non in base alla legge civile italiana, ma in base alla legge incorruttibile del Vangelo. Il solo matrimonio valido tra cattolici è, e rimane anche dopo la legge divorzista, quello indissolubile celebrato di fronte alla Chiesa. Ogni altra unione, anche se consentita dalla legge civile, per la Chiesa non è né valida né lecita: sarebbe concubinato o adulterio. E quei cattolici i quali realizzassero tali unioni, si metterebbero essi stessi nella situazione di pubblici peccatori e, fino a che vi permangono, la Chiesa si vedrebbe costretta ad escluderli dai sacramenti e da altri riti sacri.

c) I fidanzati che domandano alla Chiesa il sacramento del matrimonio dovranno istruirsi, per riceverlo con maggiore serietà e consapevolezza: a tale scopo saranno aperti in diocesi degli appositi corsi di preparazione al matrimonio, con frequenza obbligatoria. Comunque, prima della celebrazione del matrimonio religioso, mediante una dichiarazione scritta, i nubendi dovranno espressamente escludere qualsiasi intenzione di voler in seguito usufruire della legge civile del divorzio. Una simile intenzione, infatti, invaliderebbe fin dall’inizio il sacramento, perché contraria a una delle proprietà essenziali del matrimonio.

Cari fedeli, la presenza di una legge civile divorzista costituirà da ora in poi una continua tentazione, un continuo invito al male per i cristiani d’Italia. Non ce n’era davvero bisogno; è già tanta la debolezza congenita dell’uomo; sono già tante oggi le occasioni peccaminose che gli rendono difficile la vita morale e religiosa. Ormai, soltanto in fede cosciente, illuminata e vissuta coerentemente, il cristiano potrà attingere la forza per superare la tentazione. È ciò che chiediamo, con umiltà e fiducia, alla misericordia del Signore, anche per l’intercessione della vergine martire che festeggiamo!

+ Luigi M. Carli, vescovo di Segni

Nell’articolo «Teologia Politica 135…», recentemente pubblicato sul nostro sito, si legge il testo della Lettera redatta ed inviata dal Cardinale Adeodato Piazza, patriarca di Venezia e Presidente della Commissione Episcopale Italiana, al presidente della D.C. Alcide De Gasperi e all’on. Attilio Piccioni. L’illustre Cardinale scrive il 24 aprile 1947: «Onorevole, sono dolente di dover esprimere, a nome mio e di tutto l’Episcopato Italiano, rappresentato dalla Commissione Episcopale a cui presiedo, e dell’Azione Cattolica Italiana, la più viva deplorazione per quei Deputati alla Costituente, appartenenti alla Democrazia Cristiana, i quali con il loro inqualificabile assenteismo, resero possibile nel resto della Costituzione la eliminazione della qualifica «indissolubile» dovuta al Matrimonio, aprendo il varco a future campagne ed eventuali leggi divorziste; ed inoltre l’affermazione di una assurda ed ingiusta parità giuridica e morale a favore della figliolanza illegittima, con gravi conseguenze lesive dell'unita e santità del Matrimonio. Gli assenti considerino se non abbiano insieme tradito la causa della religione e della famiglia cristiana e la fiducia dei loro elettori…».

Di cosa parla il Porporato? L’esclusione della indissolubilità del matrimonio nella Costituzione italiana è dovuta proprio all’assenteismo – verosimilmente volontario e concordato – di ben “37 colleghi” di De Gasperi, Piccioni, La Pira, Andreotti, eccetera … De facto la D.C. «apre il varco a future campagne ed eventuali leggi divorziste»: le profetiche parole del cattolico Adeodato Piazza non possono essere smentite.

A raccontarci i fatti è lo stesso, sofista e modernista, Giulio Andreotti su «Concretezza» del 1° maggio 1969, anno XV, numero 9. Il titolo dell’articolo è: «Per tre voti».

Oltre vent’anni dopo la cosiddetta Costituente, in Commissione giustizia della Camera dei deputati passa il «minidivorzio», secondo il progetto socialista-liberale e con i voti contrari dei soli democristiani. A chi domanda alla D.C. «come mai non avete fatto un vero e proprio ostruzionismo?», Andreotti risponde che «sarebbe stato un triplice errore». Elenco i presunti errori individuati da Andreotti:

1° «Innanzi tutto ci troviamo dinanzi ad un tema affidato alla libera valutazione del Parlamento, senza condizionamenti governativi …»; 2° «Contro i promotori di lontani e vicini ostruzionismi (governativi a detrimento del Parlamento, ndr.) noi abbiamo sempre montato l’opinione pubblica, all’insegna della funzionalità del Parlamento; con quale coscienza avremmo ora mutato opinione?». Un bel problema di coscienza! Problema che non esiste quando, con la propulsione laicista, la D.C. in ogni dove tradisce Dio, Cristo Re, la Chiesa ed i suoi elettori ignoranti; 3° La Commissione giustizia «sta portando avanti (altre importanti, ndr.) azioni legislative», quindi «in coscienza non ci sentimmo davvero di ritardare uno solo di questi disegni di legge». Un bel problema di coscienza! Problema che non esiste quando, con la difesa di sovranità popolare e separazione Chiesa-Stato, la D.C. in ogni dove tradisce Dio, Cristo Re, la Chiesa ed i suoi elettori ignoranti.

Veniamo al dunque. Il 23 aprile del 1947 il Parlamento, con votazione a scrutinio segreto, cancella l’indissolubilità del matrimonio dalla Costituzione. Voti favorevoli 194, voti contrari 191. Per tre voti…

Con una piroetta fatta di sofismi, eresia laicista e naturalismo massonico [Esempio: «Si noti che gli argomenti dei nostri colleghi si riferivano sempre a visioni umane (e non di parte religiosa) di sostegno alla stabilità della “famiglia società naturale”»], il maldestro Andreotti racconta i fatti.

Cito: «La sconfitta fu occasionale e fu banale la causa delle assenze: un collega era in… altra ala del palazzo con il mal di pancia; una collega era a fare da relatrice in un Congresso Eucaristico». Aggiunge: «Nessuno potrà sospettare che fossero criptodivorzisti i deputati democristiani occasionalmente (sic!, ndr.) assenti: Aldisio, Coccia, La Pira, Mattarella, Medi, Rapelli, Roselli, la Titomanlio, Vanoni, Zaccagnini». Nomi illustri, per i quali evidentemente l’indissolubilità del matrimonio in Costituzione non costituisce un imperativo categorico.

Andreotti conclude: «Ai giusti rimproveri per l’assenza, i 37 democristiani mancanti obiettarono che gli altri gruppi non avevano mobilitato, tanto che risultavano mancanti 27 comunisti (tra cui Boldrini, Dozza, la lotti, Li Causi, la Montagnana, Moscatelli, la Noce, l’uno e l’altro Paietta); 3 azionisti, 5 demolaburisti, 27 socialisti, 16 socialdemocratici, 14 liberali, 14 qualunquisti, 5 repubblicani storici e 23 di gruppi minori».

37 democristiani assenti per decidere sull’indissolubilità del matrimonio in Costituzione? Per Andreotti non costituisce un problema, dato che anche gli altri gruppi di atei, anticlericali, massoni e satanassi vari contavano molti assenti e nessun gruppo «aveva mobilitato» i suoi parlamentari. Molti di questi signori sono oramai al giudizio di Dio.

CdP

Concretezza

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Il presente testo è tratto dal volumetto «Un Vescovo contro la Democrazia Cristiana» edito dal Centro Librario Sodalitium di Verrua Savoia. Costa solamente 5 euro. Per acquistarlo cliccare qui. In alternativa consigliamo di fare una donazione all'Istituto Mater Boni Consilii che si occupa anche delle pubblicazioni del Centro Librario Sodalitium. Per inviare una donazione cliccare qui. L'avaro non va in Paradiso, spiega difatti l'Angelico che «l'avarizia è un peccato contro Dio, come tutti i peccati mortali: perché con essa per i beni temporali si disprezzano i beni eterni» (Somma Th., II-II-, 118, a. 1 ad 2).

Dalla Lettera del Card. Tommaso Pio Boggiani al Clero ed al Popolo di Genova

Le ragioni di questa Lettera

Quando le cose sono fuori del loro posto, si ha il disordine; il disordine produce la confusione e la confusione la perturbazione. Dove poi vi e la perturbazione, con molta difficolta si ottiene il bene, e certamente non si ottiene tutto quel bene che si desidera e per conseguire il quale si lavora. È quindi sommamente necessario che, per quanto sta da noi, le cose siano messe al loro posto, affinche si possa avere l’ordine, e con l’ordine la chiarezza, la quale tolga gli equivoci e dia ai volenterosi la possibilità di esplicare la propria azione in modo che essa non fallisca al suo scopo.

Ora è un fatto che, fin da quando apparve il Partito Popolare Italiano si ingenerò una grande confusione nelle idee e quindi nell’azione di moltissimi cattolici, i quali lo ritennero come partito cattolico e quindi come parte, o almeno come una esplicazione, di quella Azione Cattolica militante, che i buoni e zelanti cattolici, ubbidienti all'invito dell’Autorita ecclesiastica, hanno intrapreso per cooperare al ritorno della Società ai principii cristiani e a Gesù Cristo. E quantunque autorevoli voci si occupassero subito a mettere le cose in chiaro e ad esporre nella sua genuina realtà cosa sia il Partito Popolare Italiano, e, ultimamente ancora, replicati ammonimenti cercassero di ben chiarire la vera situazione del partito predetto di fronte all’Azione cattolica militante, pure, per un complesso di ragioni, che trovano in gran parte il loro appoggio sulla buona fede e sull’ignoranza da un lato, e sulla vanità e sull’interesse dall’altro, la confusione e l’equivoco continuano in un modo assai grave, e tale che “l’Azione Cattolica” propriamente detta, sarà gravemente danneggiata, ne sarà compromessa e verrà coinvolta in responsabilità le quali, oltre ad esporla a serii e pericolosi cimenti, le toglieranno tutta o grandissima parte della sua efficacia, e la renderanno sterile.

Così sempre avviene quando all’opera di Dio si mescolano le passioni e gli interessi umani; quando, mancando il vero spirito di fede e di obbedienza, si creano le transazioni, che sacrificano alle idee dell’uomo le idee di Dio; quando si zoppica un po’ da una parte e un po’ dall’altra, cercando di conciliare in nome di Dio ciò che precisamente in nome di Dio è inconciliabile. Ed è questo appunto il grande equivoco dei nostri giorni, equivoco in cui sono caduti e in cui cadono tanta ottima gente, anche del clero.

In presenza quindi di tanta confusione e di tanto pericolo, timorosi che la zizzania che l'inimicus homo sparge sopra il buon grano venga a soffocarlo e a rendere infruttuosi ed inutili gli sforzi che fa l’“Azione Cattolica” per i suoi nobilissimi e santissimi ideali; per rispondere alle replicate domande di consiglio e di direzione che tanti del Nostro Clero e del Nostro Laicato cattolico, sia maschile che femminile, Ci hanno rivolto, mossi unicamente dal dovere gravissimo che Ci impone il Nostro pastorale ministero, riteniamo necessario rivolgere in proposito una chiara e ben ponderata parola al Nostro Clero e Laicato, affinche ognuno, alla Nostra cura affidato possa comprendere la verità delle cose e seguire quella via che la verità impone.

Ben sappiamo che trattare di quest’argomento è cosa di natura sua assai delicata, come è delicato tutto ciò che tocca passioni ed interessi umani, come è delicato tutto ciò che richiede spirito di obbedienza e di sacrificio, come è delicato tutto ciò che penetra nell’intimo e nelle midolle del nostro essere per ricordarci ed intimarci il nostro dovere non sempre consentaneo alle nostre idee. Ben sappiamo tutto questo, e non Ci meraviglieremmo quindi, se questa Nostra parola venisse diversamente giudicata, venisse contradetta e non venisse accettata né seguita anche da parte di coloro che, come sono tutti quelli che si pregiano del nome di cattolici, hanno gravissimo dovere di accogliere gli insegnamenti e di seguire i consigli del loro Pastore. Ma non per questo possiamo tacere di fronte al Nostro dovere che Ci impone di parlare, e di fronte alla verità che ha diritto di essere predicata dal Pastore quando i fedeli suoi hanno il dovere di conoscerla: Non enim possumus aliquid adversus veritatem sed pro veritate (II Cor. XIII, 8): imperocché, non possiamo usare della potestà del Nostro officio contro di quello che è vero, buono e giusto, ma solo per lo stabilimento della verità, della virtù e per la salute delle anime.

Del resto sappiamo pure che, più o meno esteso, vi è sempre e dappertutto del buon terreno in cui è ben ricevuta e ben fruttifica la semente che vi getta il Padre di famiglia, e che, come dicono i libri santi, non mancano mai quelli i quali, se pochi o molti è il segreto della grazia di Dio, sono preordinati ad ascoltare, ad accettare e a seguire la parola di salute. Questo buon terreno sia grandemente esteso nella Nostra Archidiocesi, e siano numerosissimi i preordinati da Dio a ricevere una parola, che è l’eco della persuasione di una mente e del desiderio di una volontà, che altro non vogliono se non il verace bene delle anime e, in questo bene, la gloria di Dio.

L’Azione Cattolica militante

Che cosa sia l’Azione Cattolica propriamente detta, ossia militante, abbiamo chiaramente esposto nella Lettera dell’ultimo Natale, pubblicata nella Rivista Diocesana, nel numero di gennaio dell’anno corrente. Con essa, dicevamo allora, “i cattolici si propongono di riunire insieme tutte le loro forze vive, al fine di combattere con ogni mezzo giusto e legale la civiltà (se civiltà si può dire) anticristiana, e riparare per ogni modo i disordini gravissimi, che da quella derivano; ricondurre Gesù Cristo nella famiglia, nella scuola, nella società; ristabilire il principio dell'autorità umana come rappresentante di quella di Dio; prendere sommamente a cuore gli interessi del popolo, e specialmente del ceto operaio ed agricolo, non solo istillando nel cuore di tutti il principio religioso, unica vera fonte di consolazione nelle angustie della vita; ma cercando anche di riasciugarne le lagrime, di raddolcirne le pene, di migliorarne le condizioni economiche con ben condotti provvedimenti ed adoperarsi quindi perché le pubbliche leggi siano informate a giustizia e si correggano o vadano soppresse quelle che alla giustizia si oppongono; difendere infine e sostenere con animo veramente cattolico i diritti di Dio in ogni cosa, e quelli non meno sacri della Chiesa e del Papa”.

Aggiungevamo che quest’Azione è voluta e benedetta dalla Chiesa; che costituisce un vero Apostolato ad onore e a gloria di Gesu Cristo; che tutti i membri di essa debbono essere cattolici esemplari, convinti ubbidienti alla Santa Sede e di vera pietà; che detta Azione non deve fermarsi alle opere esteme e materiali, parte secondaria, ma che deve esplicarsi specialmente nella parte religiosa, fondamento e base di tutto il nostro benessere. Terminavamo col dire che quest’Azione deve stare sommamente a cuore di quanti avessero vero zelo della gloria di Dio e della salute delle anime, che in special modo dev’essere promossa dai Sacerdoti, e che quanti appartengono a quest’Azione debbono professare esplicitamente, e con le parole e con le opere, il loro amore, la loro obbedienza, la loro venerazione al Papa, Capo visibile della Chiesa e Vicario di Dio sulla terra, al Papa, unico vincolo per cui possiamo essere uniti alla Chiesa e a Gesu Cristo.

Le cagioni che diedero vita al “Partito Popolare Italiano”

L’idea sostenuta già da tempo da qualche pubblicista cattolico, che la conquista del potere fosse l’intento dell’azione sociale pubblica dei cattolici. I seguaci dei nuovi indirizzi, i quali, introdottisi, dopo l’abolizione dell’Opera dei Congressi nell’azione sociale cattolica, tentarono, poco a poco, sia per la condizione dei tempi, sia per altre molteplici e complicate cagioni, di volgerla in una specie di azione Politica. L’impulso di tante circostanze allettative, di grande peso sulla vanità dell’uomo, non ben fondato nella viva fede di Dio, e sull’interesse privato, non ancora vinto dal sincero amore di Gesù Cristo; circostanze poi sempre astutamente colorite dalle apparenze di un maggior bene religioso, sociale, domestico e civile. Lo specioso e in sé lodevole intento di trattenere la Società contemporanea dall’abisso cui ineluttabilmente da tempo va incontro, e che aveva dato occasione a sapientissime disposizioni della Santa Sede circa l’accesso dei cattolici italiani alle urne politiche, accesso regolato, oltre che dalle condizioni generali che debbono sempre ed universalmente reggere ogni azione anche politica dei cattolici, anche da certe speciali determinate condizioni. Le mutate condizioni, e certamente non in meglio, né prima, né durante, né dopo la guerra; i cresciuti e più generali mali; le peggiorate condizioni sociali, con il pericolo del generale sovvertimento e della rivoluzione anarchica. L’accalorimento delle passioni politiche, così nocive al giusto ed equanime giudizio delle cose, e l’oscuramento e la confusione delle idee, avvenuto, anche fra i cattolici, per l’infiltrazione del liberalismo assorbito senza alcun antidoto nelle aule delle pubbliche scuole, nella incauta e dannosissima lettura di giornali d’ogni colore, e nelle pubblicazioni sparse a piene mani da un patriottismo, quanto interessato altrettanto vuoto e fallace. Lo scarso spirito di fermo carattere cattolico, di disinteresse e di lealtà politica dei tanti che, per i primi, seppero trar profitto dalla condiscendenza dell’Autorita ecclesiastica; ma che non seppero affatto corrispondere nella coraggiosa difesa dell’ordine religioso e morale, specialmente in ciò che spetta alia divina missione, anche sociale, della Chiesa e del Pontificato Romano, e che, mostrandosi spogli e vuoti di ogni spirito di magnanimità, amavano di tirare o far tirare in mezzo, dopo d’averla sfruttata, l’Autorità ecclesiastica, addossandole abbagli ed errori, veri o supposti di chi aveva potuto avere da essa qualche mandato speciale onde poter poi predicare la opportunità e la necessità di svincolare da ogni dipendenza dalla predetta Autorità la loro azione politica. Le stesse difficoltà in cui alcuni degli eletti dai voti dei cattolici, e per il loro poco animo e per il conseguente imbaldanzimento degli avversari, si trovarono cacciati e strettamente vincolati, difficoltà di cui essi, con animo né sincero né generoso, cercarono di rigettare la responsabilità sull’Autorita ecclesiastica onde avere, anche da questa parte, pretesto di reclamare maggior libertà di azione. Tutte queste ragioni diedero vita al nuovo atteggiamento che, di fronte ai cresciuti e più generali mali, proclamando l’insufficienza di dispense particolari ristrette a luoghi e a persone determinate, ed affermando, stante la esigenza delle peggiorate condizioni sociali, il bisogno e l’opportunità di una generale derogazione alla legge che prima vietava ai cattolici l’intervento nella vita politica, troppo pericolosa in Italia, si concretò infine, non senza avere, di fronte all’Autorità ecclesiastica, tutte le apparenze di un fatto compiuto, nel nuovo partito che si chiamò Popolare Italiano.

Come fu accolto il nuovo partito dai cattolici

La apparizione del nuovo Partito Popolare Italiano, la cui costituzione veniva da qualche tempo prenunziata in modo quasi misterioso dai giornalisti liberali e dai loro amici, ai quali volentieri amavano di confidarsi gli ideatori, i compilatori e i fautori del nuovo partito, fu naturalmente accolta in diverso modo dai cattolici. Molti che, abituati a penetrare nell’intimo delle cose e a non lasciarsi ingannare dalle apparenze anche più speciose, videro nel fatto rinnovarsi alcun che della parabola del figliuolo prodigo e ne intuirono le naturali conseguenze, scrollarono addolorati il capo. E furono i più, se non per il numero certamente per la esperienza per la competenza e per la sincerità del loro amore alla Chiesa e alla Patria. Altri, più superficiali, colpiti dalla novità della cosa e dall’arditezza del fatto, salutarono con un sorriso di compiacenza non senza tuttavia un interiore sbigottimento sull’esito finale dell’avventura, la nuova falange che, con l’insegna degli antichi crociati, entrava per nuove e pericolose vie al conseguimento di un fine tanto desiderato e sospirato da tutti, quale e la cristiana restaurazione della Società. Altri si tennero in una via di mezzo, e senza accogliere il nuovo partito con eccessiva benevolenza o con esagerata diffidenza, scelsero di differirne il giudizio definitivo quando esso avesse dimostrato nella pratica ciò che fosse veramente. Costoro si posero, come essi stessi si espressero, “alla finestra”, a vedere cosa avrebbero fatto, dopo tanta liberazione, questi “fratelli parlamentari redenti”. Altri, più interessati per se stessi che al comune bene, solamente in secondo ordine zelanti, scorsero subito nel Partito Popolare una nuova e più sicura palestra per ascendere ed assicurarsi i benefici dell’ascesa, e lo proclamarono la facile, sicura e universale panacea di tutti i mali onde è afflitta la nostra povera Patria, e del nuovo partito si fecero paladini ed apostoli zelantissimi ed infaticabili.

Altri poi, più imprudenti, ma tratti alla schiettezza dall’ebrezza del felice risultato dei loro sforzi, vennero subito a dar ragione a quelli che all’apparizione del nuovo partito avevano crollato il capo, e lo cantarono come una grande vittoria sulle idee e sulle tradizioni retrograde, come uno svincolo dalla soggezione della Chiesa in materia civile, sociale e politica (quasi vi possa essere alcuna azione umana non soggetta all’ordine morale di cui, per divin volere, è custode, interprete e vindice la Chiesa), e lo salutarono come una liberazione interna, non meno giusta e non meno benefica di quella che, nel campo internazionale era stata conquistata dai fratelli italiani, cosidetti irredentiAltri infine, e fra questi il principale ideatore e compilatore del nuovo partito, dichiararono che il Partito Popolare era un provvidenziale provvedimento diretto a svincolare l’Autorità ecclesiastica (forse come la Chiesa era stata alleggerita dal peso del potere temporale perché fosse piu libera nell’esercizio del suo potere spirituale?) da ogni responsabilità nel campo politico, perché il nuovo partito, pure affermando la necessità di un restauro della Società sopra basi cristiane, non mette pero la religione come caratteristica di parte, cioé non prende né Dio, né Gesù Cristo, né la Chiesa, né il Papa a propria bandiera, ma la religione conserva solo come contenuto “di principale differenziazione del partito stesso dagli altri partiti che direttamente prescindono dal problema religioso”.

Così, e reclamando la libertà religiosa ugualmente per tutti i culti, si eviterà, affermano, ogni confusione che possa comunque vincolare la Santa Sede con l’operato del partito. Quasi che si possa propugnare ed operare il cristiano restauro della Società relegando di fatto in soffitta Dio, Gesù Cristo, la Chiesa e il Papa, e concedendo eguali diritti alla verità e all'errore! Oh! a quanta confusione di idee, a quanta inesattezza di linguaggio, a quanta mancanza di logica può la passione politica condurre uomini cattolici di professione e anche sacerdoti!

Come l'Autorità ecclesiastica accolse il nuovo partito

Quanto all’Autorità ecclesiastica, essa: — trovatasi, di fatto, di fronte alla comparsa del Partito Popolare— considerata la condizione angosciosa della Società contemporanea simile al colmo di una crisi nell’infermità, che sospinge ai rimedi piu risoluti ed estremi, ancorché pericolosi — considerato che oggidì gli inconvenienti e i pericoli di un suo intervento nel campo politico, o anche solo di una apparenza di sua partecipazione o connivenza, o consenso, diretto od indiretto in detto campo, sono oltremodo aggravati, e che, in ogni caso, anche quando non fosse stata ascoltata ed obbedita, avrebbe incorso, per l’apparenza contraria, come già erasi frequentemente avverato nel passato, il biasimo di colpe non sue, e, ancora più frequentemente, di fatti, di errori, di inesattezze dottrinali in cui non è difficile trascorrere a laici incompetenti; — atteso, d’altra parte, che una sua esplicita disapprovazione del nuovo partito, che si era di fatto affermato all'infuori di essa, o non sarebbe stata accolta, o avrebbe riversato sopra la Santa Sede tutta la odiosità di conseguenze dovute alla tristezza dei tempi, alla suscettibilità degli sconfessati e alla mala volontà dei nemici della Chiesa; — ammettendo come verace e leale il proposito espresso dagli ideatori e dai fautori del partito, di volersi ispirare ai principii del cristianesimo e porre la coscienza cristiana a fondamento e presidio della vita della Nazione; — vedendo affermato nel programma politico-morale del partito il sacro patrimonio delle genti cristiane e persuadendosi quindi, quale buona madre, che i nuovi uomini si presentavano animati da buone intenzioni: — l’Autorità ecclesiastica si tacque, e non contrastò a chi volle assumersi le gravissime responsabilità del nuovo atteggiamento e dell’entrata, con il nuovo partito, nell’arringo della vita politica in Italia, la libertà di incorrerle tutte a proprio suo rischio e pericolo. Essa si riserbò però naturalmente il diritto, perché è suo imprescindibile dovere, di intervenire autorevolmente quando la purezza della fede e della morale e i diritti della religione lo richiedessero. Posto così il fatto, non sconfessato dalla legittima Autorità ecclesiastica, dell’esistenza del Partito Popolare Italiano, era naturale che il Comitato centrale dell’Unione elettorale cattolica, cui fino allora era stata devoluta la direzione della partecipazione dei cattolici italiani alle urne politiche, e di cui veniva quindi a cessare lo scopo, presentasse le sue dimissioni, e che la Giunta Direttiva dell’Azione Cattolica Italiana le accettasse. In tal modo i cattolici italiani passavano ad un nuovissimo stato di cose, perché di fatto veniva lasciata alla loro libera iniziativa l’azione strettamente politica.

Il Programma del Partito Popolare

II programma del nuovo partito non poteva certamente superare il criterio tutto umano e la debolezza della mentalità di coloro che l’avevano concepito e condotto a vita. Esso, mentre da una parte non rappresenta tutto ciò che avrebbe dovuto essere apertamente voluto dalle giuste esigenze dei veri e sinceri cattolici, e tace assolutamente di questioni di cui i cattolici invocano e devono invocare la soluzione, dall’altra parte invece inchiude punti e rivendicazioni d’ordine morale, economico, sociale ed anche strettamente politico, a cui i cattolici non sono punto obbligati ad aderire in forza dei loro principii o della evidenza di logiche applicazioni dei principii stessi; ma ne debbono anzi, e per quelli e per queste, giustamente dissentire. Basti accennare a ciò che tocca le dottrine morali e sociali della Chiesa; all’invocazione della libertà religiosa per tutti i culti, ponendosi così apertamente con i liberali, nel riconoscere gli stessi diritti alia verità e all’errore: alla ricerca della paternità e al voto elettorale delle donne. Due punti, questi ultimi, certamente discutibili secondo le dottrine cattoliche, e perciò da non imporsi alle coscienze cattoliche, e che, non esenti da gravissime difficoltà anche nella pratica, non saranno certamente tali da poter proteggere e conservare l’integrità e la pace della famiglia, e la difesa di essa contro tutte le forme di divisione, di dissoluzione e di corrompimento.

Naturalmente, con un programma di tale natura, e con un appello informato non già alla nitida e sobria precisione del linguaggio cristiano, ma piuttosto al roboante, vuoto ed inetto frasario dei neologismi correnti; ispirato alla filosofia moderna; con inopportuni, e, in bocca di uomini che si professano cattolici e di sacerdoti, stolti accenni alla famosa, canzonatoria e ormai vieta sovranità popolare; con vaghe allusioni al bagaglio dottrinale del liberalismo e della democrazia vigente, e con la grave confusione quindi di idee, necessariamente sgorgante da un simile linguaggio; — ben poteva il segretario politico del nuovo partito, pur essendo sacerdote, proclamare ai quattro venti che il Partito Popolare apriva le sue porte a tutti, senza alcun riguardo alle opinioni che chiunque potesse avere, purché del partito si accettasse il programma. Dichiarazione questa, di una tale gravità che, mentre dimostra senz’altro, a chi ha occhi per vedere e intelletto per comprendere, la natura del Partito Popolare, avrebbe dovuto avere di per sé l’effetto di richiamare al nuovo partito tutti, eccettuati solamente i cattolici veramente degni di questo loro appellativo!

Natura del Partito Popolare

Da tutto questo, e a filo di stretta logica, procedono le seguenti conclusioni: le quali ci manifestano con chiarezza la natura del nuovo partito.

1.°) II Partito Popolare non è, non si chiama, e non si può in alcun modo chiamare partito cattolico. E ciò ancorché esso apparisca ideato e concretato da gente cattolica; compilato con qualche cosa di cattolicesimo, in quanto il suo programma è affermato sopra di un generico fondo cristiano; ed ordinato ad inscrivere nelle sue file specialmente i cattolici, ai quali, in tempi così difficili per essi e difficilissimi per la Santa Sede, (nel caso di un suo contrario atteggiamento in proposito) si è voluto ad ogni costo aprire un varco alla libertà della vita politica.

2.°) II Partito Popolare è un partito di natura sua aconfessionale. E tale fu dichiarato dai suoi stessi ideatori e creatori, i quali lo vollero costituito all’infuori di qualunque ingerenza della ecclesiastica Autorità; che lo dichiararono da essa indipendente; che esclusero positivamente di prendere a propria bandiera la religione, e che ne apersero le porte ai seguaci di qualunque fede. E così facendo, è necessario notarlo, essi si privarono della maggior forza ed efficacia che avrebbero potuto avere per conseguire il lodevole intento di riportare al cristianesimo l’ordine sociale, e si misero fra coloro che, sia pure con speciosi pretesti, di fatto però, realmente si vergognano di Dio e di Gesù Cristo, della Chiesa e del Papa. Né gli speciosi pretesti pei quali si adottò questa tattica, valgono a tranquillizzare la coscienza di chi è sinceramente e pienamente cattolico, né libereranno il partito da quella debolezza, che formerà tutta la forza dei suoi avversarii politici.

3.°) Con questa sbagliata ed infelice tattica, il Partito Popolare si mette, di fatto, fra coloro che nella vita pubblica prescindono da Dio. Perciò, nonostante il suo proposito di considerare la coscienza cristiana fondamento e presidio della Nazione, e di salvare tutto ciò che è sacro patrimonio delle genti cristiane, il Partito Popolare si guardera bene dal far sentire il nome santo di Dio nelle sue adunanze e nelle aule parlamentari, e anche quando si tratterà di sventare e di combattere gli iniqui progetti degli avversarii, anche quelli che sono una manifesta e sfacciata violazione della legge santa del Signore e di punti fondamentali della nostra fede e morale, come per esempio e il progetto di legge per il divorzio, addurranno sì ragioni umane, ma non avranno il coraggio di ricordare e di intimare apertamente il precetto di Dio, la cui forza, si voglia o no, sente nel suo intimo ogni uomo, sia pure liberale, socialista o massone.

4.°) II Partito Popolare, formatosi fuori del campo dell’Azione militante cattolica, non è quindi in nessun modo né il rappresentante né l’esponente della stessa nostra Azione Cattolica.

5.°) Per conseguenza i deputati eletti con i voti del Partito Popolare non possono presentarsi nelle aule legislative come rappresentanti dei cattolici, della quale rappresentanza né essi hanno il mandato, né, e sia detto con loro venia, hanno ancora dimostrato di possedere la capacità adeguata per poterlo legittimamente ottenere e fruttuosamente assolvere.

6.°) Infine al Partito Popolare non solo non è riconosciuto, ma è espressamente negato ogni e qualsiasi mandato di lavorare alla preparazione e alla formazione delle coscienze per l’opera di restaurazione cristiana della Società, opera che è propria dell’alta missione e tutta materna della Chiesa.

Gravità di queste conseguenze

Umilianti, ma necessarie conseguenze dell’ideale, tutt’altro che perfetto e generoso, che si ebbe nella costituzione del Partito Popolare. Proclamatosi partito politico aconfessionale, con un programma che può essere sottoscritto dai seguaci di qualunque dottrina e di qualunque fede, ai quali si sono quindi aperte le porte del partito stesso; privo della forza divina e soprannaturale che gli sarebbe venuta dall’accettazione e propugnazione esplicita di tutte le verità insegnateci dal Figliuolo di Dio, le uniche che possano rimettere veramente la Società sulle basi della giustizia, dell’ordine e della pace; il Partito Popolare si troverà naturalmente costretto da preoccupazioni tattiche, ora a silenzio, ora a concessioni, ora a compromessi che lo metteranno alla pari con qualunque altro partito di uomini, e dovrà di tutti gli altri partiti seguire i metodi, subire le imposizioni, partecipare alle sconfitte. Oggi dovrà associarsi ai liberali, domani ai massoni, poscia ai socialisti o a qualsiasi altra coalizzazione, secondo che la opportunità potrà suggerire; mendicando così da coalizzazioni umane quel sostegno che la propria debolezza gli rende necessario, ma che avrebbe potuto avere, sicuro e invitto, nella fortezza del carattere cristiano.

E con quali risultati si mendicheranno questi appoggi? Con quelli che sono riserbati a chi confida più nell’uomo che in Dio, cioé col riuscire infine ad essere lo zimbello dei partiti avversarii, che gli faranno provare le più amare disillusioni. È questa la fine riserbata a tutti quelli che per scopi politici fanno concessioni nel campo religioso, come lo dimostra in generale la storia della vita parlamentare di tutte le nazioni, e, in speciale per noi, la storia dei sette decenni della vita parlamentare italiana. Quale contegno adunque dovranno tenere i cattolici di fronte al Partito Popolare? Non è difficile rispondere dopo quanto si è premesso.

Le Associazioni Cattoliche e il “Partito Popolare”

Le Associazioni che fanno parte dell’Azione Cattolica militante non possono in alcun modo, senza distruggere se stesse, dare il loro nome al Partito Popolare. Questo punto è evidente e non può presentare alcun dubbio. E in questo senso sono le istruzioni autorevolmente date in proposito. Infatti: le Associazioni predette sono essenzialmente e apertamente confessionali, agiscono nell’ambiente di organizzazioni volute e benedette dalla Santa Sede, e sono da essa pienamente dipendenti e ad essa interamente obbedienti; — esse portano tutte manifestamente scritto sulla loro bandiera i nomi di Dio, di Gesù Cristo Redentore nostro, della Chiesa e del Papa; — esse fanno tutte esplicita professione di lavorare con l’esempio, con la parola, con le opere e con la preghiera per il trionfo dei diritti di Dio sugli individui, sulla famiglia e sulla Società, e per la rivendicazione e la tutela dei diritti della Chiesa e del Papa; — esse portano tutte nel loro cuore, con l’amore delle falangi degli antichi Martiri, il santo Vangelo in tutta la sua integrità, e propugnano con esso, senza alcuna restrizione, senza alcuna transazione, senza alcun compromesso con gli avversarii, l’avvento sulla terra, in tutta la sua pienezza, del regno di Dio Nostro Signore Gesù Cristo.

Come potrebbero, quindi, le Associazioni cattoliche dare il loro nome ad un partito politico che, se non è negazione, è però studiato e perfetto silenzio di tutto cio che per esse è vita? Come potrebbero esse, ordinate ad operare fuori e sopra qualunque partito, anelanti ad estendere la loro salutare influenza a tutti gli uomini, di qualunque partito siano, per tutti condurre a Gesù  Cristo, legare la loro azione a quella di un partito il cui programma annullerebbe il loro, e di cui dovrebbero quindi seguire e condividere le misere vicende? Come potrebbero esse, che debbono rispecchiare in sé l’azione superiore, tranquilla, pacifica, benefica di Dio, confondersi con un partito politico che le trascinerebbe e coinvolgerebbe nelle proprie responsabilità tutte umane, nei propri cimenti e negli odi, cui, per certa necessità di cose, ogni partito politico è fatto segno da parte dei suoi avversari? Come potrebbero più le Associazioni cattoliche compiere la propria missione, unendosi (che nel caso nostro vorrebbe dire sottomettendosi) ad un partito essenzialmente aconfessionale, sorto, di fatto, all’infuori dell’Autorità ecclesiastica, che agisce nel pericolosissimo campo della politica, padrone e libero di sé, e quindi con gravissimo pericolo di uscire dalla buona via, responsabile delle conseguenze dei suoi errori, e che, il proposito di lavorare per porre l’ordine sociale sopra basi cristiane, ha reso inefficace con un programma ispirato più al timore del mondo, che all’amore di Dio, di Gesù Cristo, della Chiesa e del Papa?

È adunque manifesto che le Associazioni cattoliche non possono dare il loro nome al Partito Popolare Italiano, ma che debbono anzi gelosamente evitare tutto ciò che puo avere anche solo l’apparenza di una partecipazione ai lavori del partito o un qualunque nesso od addentellamento con il partito stesso. E conseguentemente tutti i membri delle nostre Associazioni cattoliche, i quali occupano in esse un posto di superiorità, non possono e non debbono mai accettare e tenere nel Partito Popolare, nel caso che vi avessero dato il nome, una preminenza o un officio qualunque.

I cattolici individui e il “Partito Popolare”

Ma cosa dobbiamo dire quanto ai cattolici, considerati individualmente, in rapporto al Partito Popolare? Se consideriamo solo la liceità di partecipare alia vita politica e di accedere alle urne, il nuovo stato di cose pubblicamente creato in Italia con la costituzione del Partito Popolare, con la conseguente abolizione nella Unione elettorale cattolica e con la tolleranza, di fatto, della Santa Sede, certamente sono oggi liberi i cattolici italiani di entrare nell’arringo della vita politica, di accedere alle urne e di ascriversi a quel partito che la loro coscienza può giudicare meritevole della loro adesione e che, fra tutti gli altri, non potrebbe essere oggidì che il solo Partito Popolare, il quale, nonostante tutte le sue deficienze, fa almeno esplicita professione di lavorare per riporre l’ordine sociale sopra basi cristiane.

Ma debbonsi i cattolici consigliare a questo? Vediamo prima di tutto che cosa significa la parola consigliare, e poi manifesteremo chiaro il Nostro pensiero in proposito. Consiglio è: inquisitio de agendis et persuasio amicabilis. Consigliare quindi significa: dopo che con diligente ricerca della ragione si è trovato ciò che, tenuto conto di tutte le circostanze, conviene alla vita virtuosa dell'uomo in ordine ad un determinato fine, suggerirlo e proporlo a se stesso e agli altri, (agli altri per dovere, se di essi si ha cura e responsabilita, altrimenti per spirito di carità), perché sia tenuto per regola di azione in quel dato ordine di cose e in relazione a quel determinato fine, in modo da far comprendere che il suggerimento deve essere accettato, eseguito e praticato, se si vuole essere ragionevoli e virtuosi.

Orbene potrei io consigliare ai miei diocesani di dare il nome al Partito Popolare, cioé di entrare in un partito dove essi potranno trovarsi a fianco del liberale, del massone, del protestante, del nemico, del derisore della loro fede, del loro Dio, del loro Papa, poiché anche a tutti questi il partito ha di fatto aperto le sue porte? — Dove tutto si tratterà senza cominciare dal segno della croce e dalla preghiera? — Dove non si tollererà che si parli chiaramente dei diritti di Dio, anche sulla Società, e di quelli della Chiesa e del Papa? — Dove si farebbe difficolta a permettere di invocare la legge santa di Dio e di poggiarsi anche sopra di essa, per combattere gli iniqui progetti di coloro che vorrebbero sempre più allontanare il popolo da Dio? — Dove non si accetterebbe la proposta di rivendicazione di tutto ciò che sta di più a cuore dei veri e dei ferventi cattolici? — Dove chi si attentasse di alzare la sua voce in questo senso, sarebbe subito zittito? — Dove, a causa di tanti elementi eterogenei e di opposto sentire, dovranno talvolta assistere a sedute dalle quali può esulare ogni senso di cristiano ed educato contegno? — Dove, per disciplina ad un partito che non può ancora dare la necessaria garanzia di se stesso, né sempre quella dei suoi candidati, i cattolici potranno trovarsi nella necessita di dare il loro voto a persone che, sia per i loro principii sia per il loro carattere, non danno alcuno affidamento? — Dove dovranno talora assistere a certe transazioni, a certe tolleranze che ripugnano al senso cattolico, e vedere scambiarsi pubblicamente anche strette di mano fra capi del partito e persone nominatamente scomunicate dalla Chiesa?

Potrò io consigliare tutto questo ai miei diocesani, e dir loro che, se non seguono il mio consiglio, non agiscono da uomini ragionevoli e virtuosi? Certamente che no.

Ma allora, si dirà, che cosa dovranno fare i cattolici? Dovranno essi assistere impassibili ed inerti allo sfacelo della Societa, alla progressiva scristianizzazione del nostro popolo, alla rovina di tutti i nostri santi ideali? Naturalmente, se l’entrare nel Partito Popolare fosse l'unica via per ottenere i nostri santi intenti, si potrebbe forse ripetere l’invito che fin da principio alcuni egregi pubblicisti fecero ai cattolici dicendo loro: entrate nel Partito Popolare entrate, entrate. Ma questo non è; che anzi, un anno e più di vita del Partito stesso non ha ancora affatto potuto dimostrare che la sua via possa essere in alcun modo quella della salute. Che cosa debbano i cattolici fare per ottenere il restauro cristiano della Società, per impedire la ulteriore scristianizzazione del nostro popolo e per la vittoria dei santi ideali che stanno a cuore di tutti i buoni, essi ben lo sanno. Lo sanno dal Catechismo, lo sanno dalle spiegazioni del Vangelo e dalle istruzioni domenicali dei loro pastori, lo sanno dagli insegnamenti della Chiesa, dei Papi, dei Santi; lo sanno dalla storia, sempre grande scuola della vita umana. Tutti questi insegnamenti Noi abbiamo compendiato e ricordato ai Nostri diocesani nella Nostra Lettera pastorale intitolata “Per il ritorno della Società a Dio”, e loro indirizzata lo scorso aprile, sotto la data della festa del grande cavaliere di Gesù Cristo e patrono della Nostra Citta: San Giorgio.

Ma, potrà ancora alcuno dire, il gran numero degli stessi cattolici non comprende più oggidì quel linguaggio, mentre invece ben comprende, e volentieri segue, i nuovi insegnamenti che indirizzano ad una via più larga, più comoda, più conforme alle esigenze della vita moderna, la quale fa ormai a meno di quella austerità, di quel carattere, di quei sacrifici, di quella purezza di fede, di quella vivezza di senso cristiano, che formavano la vita e la felicità dei nostri padri. Purtroppo, questo è vero, ed è quello che rattrista grandemente. Ma, e lo si ricordi bene, non saranno sicuramente le nuove vie che porteranno alla vittoria dei santi ideali dei figliuoli di Dio. È inutile e stolta ogni illusione in proposito. Da quando cominciarono a piacere le nuove vie, cominciarono le rovine, che poi andarono ed ora vanno crescendo di numero e di gravità a misura che, camminando per le nuove vie, siamo andati e andiamo allontanandoci da Dio. Così sempre avviene quando si abbandona Iddio per seguire l’uomo.

Ma allora; che cosa dovremo dire di tanti buoni cattolici e di tanti del clero stesso che hanno dato il loro nome al Partito Popolare e che per esso lavorano? Se tutti quelli che, usando della libertà oggidì di fatto concessa ai cattolici italiani di scendere nel campo della vita politica, diedero o danno il loro nome al Partito Popolare, hanno dato o lo danno: — per impedire che gli elementi eterogenei, ai quali si sono aperte le porte del partito, lo facciano deviare anche da quella base cristiana sul quale esso ha formato il suo programma; — per impedire che ingerenze di governo, di banche, di giornali intervengano a disporre dei lavori del partito; — per affermare sempre più, nel partito, i principii schiettamente cattolici, e farli prevalere; — per introdurvi a poco a poco quella parte di schiettezza cattolica e di cattolico carattere che ancora gli mancano; — per indurre con il loro numero e con la loro franca energia, la Direzione del Partito a scegliere per candidati parlamentari uomini di fede, di disinteresse e di sacrificio, i quali comprendano l’altezza e la santità del loro mandato, e lo compiano alla presenza di Dio senza diserzioni, senza pusillanimità e senza debolezze; — per procurare infine che il Partito si spogli coraggiosamente di tutte le sue deficienze e manchevolezze, che porti palesemente impresso in fronte il Thau, segno dei figliuoli di Dio, e si renda così degno ed atto ad operare e conseguire il fine che afferma di essersi proposto, cioé il riordinamento sociale sopra basi cristiane; — se, dico, per tutti questi nobili e santi scopi hanno dato il lor nome al Partito tutti i cattolici, sacerdoti e laici, che vi entrarono, allora essi potrebbero anche essere lodati. Ma si ricordino bene tutti costoro, che non hanno fatto tutto con solo ascriversi al Partito Popolare, che anzi, come chiaro risulta da quanto si è detto, grande, difficile, coraggioso e costante lavoro hanno essi da compiere, se vogliono veramente meritare questa lode, e non rimanere un giorno amaramente delusi, confusi e pentiti.

Ma, si dirà ancora, nei tempi difficili in cui noi ci troviamo, se ci presentassimo nel campo politico a faccia aperta con tutto il programma cattolico, non ci ascolterebbero affatto e nulla mai noi potremo ottenere. Mentre invece, presentandoci per ora con un programma limitato che può essere accettato anche da altri partiti, noi comincieremo ad ottenere facilmente qualche cosa, e così potremo a poco a poco conseguire ciò che è l’intento nostro finale, l’attuazione cioé del completo programma cattolico. Noi giudichiamo quindi essere una necessità l’adottare questa forma amorfa e non fare ancora apertamente spiegare la nostra bandiera. A questa difficolta si risponde che, certamente altra fu la tattica usata dagli Apostoli e da tutti gli apologisti che, da Giustino in poi, affrontarono nemici e situazioni ben più tristi e più gravi di quelli che dobbiamo affrontare noi. Essi scendevano in campo a viso aperto, forti del nome di Dio e del suo Vangelo, non usavano reticenze, non venivano a compromessi, nulla aspettavano o temevano dagli uomini; ma, fermi nella fiducia che ponevano in Dio, nella santità della loro causa, ed animati dalla grande carità, che li portava a voler comunicare al loro prossimo i divini tesori della verità e della santità cristiana, combattevano con coraggio divino la divina causa E l’esito dei loro combattimenti, l’effetto della loro coraggiosa fortezza tutti lo conosciamo: il mondo divenne cristiano e tale per molti secoli si conservò.

Ora, la debolezza della nostra fede e la deficiente nostra carità ci hanno suggerito altre vie, e non solo da oggi. Sono le vie che diremo neutre, le vie che convengono ai timidi, ai poveri di spirito, ai mancanti di carattere. Sono anni che i timidi, i poveri di spirito, i mancanti di carattere sono entrati in queste nuove vie e vi combattono per la santa causa; ma con quale esito? Come si spiega che dopo tanti anni di lavoro e di sforzi, dopo tante pubblicazioni, tanti discorsi, tante opere di pietà e di carità, tanti annali di beneficenza, tante creazioni dispendiose, non si è ancora riusciti a rimettere la Società sulla buona via; ma siamo invece chiamati ad assistere alla più minacciante delle situazioni? Come si spiega che gli uomini più considerevoli, i pubblicisti e gli economisti più distinti, pur disponendo di tutti i mezzi della pubblica potenza, falliscono completamente nelle loro intraprese? Come si spiega che anche l’azione di coloro che per questo nobile scopo scendono nuovamente animosi nel campo, non ispira seria fiducia, quantunque essi si coprano del segno glorioso degli antichi crociati? Come si spiega tutto questo, quando sappiamo che dodici poveri Pescatori rinnovarono la faccia dell’universo, e che i Martiri e gli Apologisti portarono a Gesù Cristo gl’imperi e i regni, i popoli civili e i popoli barbari? Si spiega benissimo col solo dire che in tutto questo lavoro noi abbiamo abbandonato le vie insegnateci da Dio e ci siamo messi nelle vie che ci hanno suggerito gli uomini, vie che non sono sufficienti a condurci allo scopo. È questa la verità.

Vi e un’ultima difficolta. — Se noi, si dice, ci presentassimo nel campo della vita politica e nelle aule parlamentari con un programma apertamente e completamente cattolico, noi comprometteremmo gravemente la stessa religione, la Chiesa e la Santa Sede. Ed è appunto questo che noi vogliamo evitare. Noi, cattolici, intendiamo fare della politica come il commerciante cattolico fa del commercio. E come il commerciante, pure ispirandosi ai principii cattolici e seguendoli, non esercita però il suo commercio né in nome della religione né con una continua esplicita professione del suo Credo; così intendiamo di fare noi nella vita politica. Noi intendiamo di mettere le nostre forze a servizio della Società operando una politica a fondo cristiano; ma non vogliamo inceppare la nostra azione con dichiarazioni, professioni e programmi di fede religiosa, perché né crediamo di esservi obbligati, essendo la politica indipendente dalla fede religiosa, né pensiamo possa riuscire utile alla religione stessa, alla Chiesa e alla Santa Sede, perché dovremmo reclamare ciò che giustamente reclamano la religione, la Chiesa e la Santa Sede, e allora noi saremo ritenuti come mandatarii della Chiesa e della Santa Sede, e i nostri avversari potrebbero rivolgere contro di essa le loro ire e la loro violenza. Il che, come gia abbiamo detto, è appunto quello che noi vogliamo evitare.

Non è difficile rispondere a questa difficolta nella quale, in poche parole, vi è molta speciosità e moltissima, gravissima e pericolosissima confusione. Prima di tutto, è manifesto che i principii e gli insegnamenti del Vangelo, i quali costituiscono l’unica vera religione che è la Cattolica, non dipendono né dalla Chiesa ne dalla Santa Sede. Essi esprimono la volontà di Dio, superiore a tutti e a cui debbono essere soggetti tutti, anche quelli che pretendono di fare senza Dio; la Chiesa poi e la Santa Sede (che della Chiesa rappresenta il governo supremo) hanno il gravissimo dovere di conservare, difendere e proporre il Vangelo all’umanità, come unica via di bene e di salute per gli individui e per la Società. Quei cattolici quindi, che protestano di discendere nel campo della vita pubblica e politica con il programma di ricondurre l’ordine sociale sulle basi cristiane, debbono assolutamente proclamare a tutta voce, difendere con tutte le forze e far prevalere quanto è  possibile i principii del Vangelo, sotto pena di fallire al loro scopo. Ed i principii del Vangelo essi debbono proclamare, difendere e propugnare non già come li accettano e li spiegano, dopo d’averli fatti passare sotto la censura del loro giudizio privato, i Tedeschi, gli Inglesi, gli Americani e tutte le altre sette che rotto il vincolo della loro unione con la vera Chiesa di Gesù Cristo, amano tuttavia chiamarsi cristiane e dichiarano di seguire il Vangelo; ma così come il Vangelo è proposto e spiegato dal Magistero della Chiesa Cattolica Apostolica Romana, Magistero che si impernia nel Papa.

Questo è il dovere dei cattolici operanti nella vita pubblica, dovere loro imposto dalla natura stessa delle cose, cioé da Dio. Ora, nessuno che abbia sale di ragione potrà, conoscendovi come cattolici, quali vi proclamate, rimproverarvi che così da cattolici operiate, e credere seriamente che voi così operiate quali mandatari della Chiesa e della Santa Sede, e che per conseguenza voi con tale vostra azione le compromettiate. Questa è tutta paura vostra, paura purtroppo tenuta cara, perché vi pare che essa valga a dispensarvi legittimamente dai doveri gravissimi che vi siete assunto discendendo nel campo della vita pubblica e politica. Oh! ben lo sanno i vostri avversari politici, che cosa importi il dovere di vero cattolico, e, quantunque avversino le cattoliche dottrine, sono però essi stessi i primi ad esigere, e giustamente, che voi vi diportiate da cattolici, a dirvi che da cattolici dovreste parlare, e ve lo dicono appunto, quando cercando voi di guadagnarvi la loro benevolenza o di meritarvi la loro tolleranza con dichiarazioni e proteste di sapore più o meno liberale vi rinfacciano apertamente che non vi credono e vi chiamano ipocriti. Ben sanno i vostri avversari politici, che, se voi siete veramente cattolici, come vi proclamate, non potete abbracciare la facile teoria della duplice personalità una più o meno laica, ossia atea, nella vita pubblica, l’altra religiosa nella privata; che non potete non combattere tutte le inique leggi o gli iniqui progetti che alla cattolica dottrina si oppongono, e sanno che voi dovete ciò fare in nome di Dio, perché è Iddio che nel Vangelo ve lo comanda.

Ben sanno i vostri avversari politici, che se voi siete veri cattolici, come dichiarate di esserlo, dovete amare, desiderare e propugnare la libertà della Chiesa e quella del Papa; essi sanno che voi non potete e non dovete approvare il fatto compiuto di Roma strappata al Papa, il più grande errore storico, politico e sociale che si sia commesso da cinquant’anni in qua, come lo confessano tanti dei liberali stessi. Essi sanno, che se voi siete veri cattolici, dovete giudicare che la cosiddetta Questione Romana è più viva che mai specialmente dopo la triste esperienza della terribile guerra passata. Essi sanno pure che i cattolici, reclamando la libertà della Chiesa e del Papa, non osteggiano punto in alcun modo il bene di questa nostra Patria, ma che anzi ne promuovono il vero suo vantaggio, la pace e la tranquillità.

Imperocché è loro noto, e ne sono persuasi, checché ne dicano in contrario, che la Chiesa e il Papa, pure esigendo, come è di loro strettissimo dovere, la libertà che Iddio, capite bene, che Iddio ha loro dato, sono essi i primi, la Chiesa e il Papa, a volerla in modo che sia l’ltalia stessa a goderne per la prima, con ogni abbondanza e sotto ogni rispetto, i salutari e benefici effetti. E sanno pure che voi pensando, parlando ed operando così, voi compite il vostro dovere, dovere impostovi da Dio perché impostovi dal Vangelo. E non vi crederebbero se voi diceste altrimenti. Ben sanno ancora, i vostri avversari politici, che se voi non compite tutti questi doveri che vi siete assunti entrando come cattolici nella vita pubblica, né la vostra coscienza, né la Chiesa, né la Santa Sede vi potranno approvare; ma comprendono essi stessi che sarebbero stolti, se si ponessero a combattere di più la Chiesa e la Santa Sede, perche voi compite unicamente il vostro dovere di cittadini cattolici. Che, se cio facessero, sarà in realtà effetto, come sempre, della loro volonta perversa.

Diciamolo chiaramente: chi compromette la Chiesa e la Santa Sede è la vostra debolezza di carattere, e la mancanza in voi di vivo senso e di vivo spirito cristiano. Eh, via! Dite adunque piuttosto che non avete la piena cognizione del Vangelo o che non avete il coraggio di propugnarlo; dite che non avete il vero amore della Chiesa e del Papa, perché non li conoscete quali Iddio li ha costituiti nella pienezza dei loro diritti, e quali l’umanità tutta per tanti secoli li ha ammessi e rispettati; confessate apertamente la vostra debolezza e la vostra ignoranza, ma non cercate di nasconderla con scuse, che sono la vostra aperta condanna. Non vedete voi i partiti sovversivi con quanta forza, con quanta fermezza e chiarezza, con quanta perseveranza, propugnano le loro rovinose dottrine? Essi meritano la lode che si ebbe dal padrone il villico del Vangelo, e voi vi meritate il rimprovero del Signore: “Ed il padrone lodò il fattore fraudolento perché aveva operato con avvedutezza; conciossiaché i figliuoli di questo secolo siano, nelle opere loro, più avveduti, che non i figliuoli della luce” (S. Luc. XVI, 8).

Oh! ricordatevi sempre che i soli moventi degni che abbiano i figliuoli della luce, sono la ragione, la fede, la speranza e sopratutto la carità: e questi moventi, quando siano di buona lega e alquanto intensi, sono capaci di tali eroismi, che, innanzi ad essi, tutti i figli del secolo si possono andare a riporre, come è attestato da ogni pagina delle Storie Ecclesiastiche. Ma purtroppo, ed è questa la nostra grande sciagura, in questi nostri tempi, questi motivi santi e nobilissimi si sono illanguiditi e raffreddati, e quindi ne procede quell’operare rimesso, svogliato, difettoso, il quale, se non fosse sostenuto da puntelli naturali, che da molti purtroppo si ritengono ormai indispensabili, sarebbe addirittura nullo.

Che poi nell’azione politica si debba prescindere dalla religione, è un errore gravissimo in sé e pericolosissimo per le sue conseguenze. Certamente, il commerciante che nel suo commercio segue i principii della moralità e della giustizia cristiana, anche senza recitare dinanzi ai suoi clienti il Credo, ha compiuto tutto il suo dovere. Ma il cattolico che scende nel campo della vita pubblica e politica protestando di voler seguire e attuare il programma cristiano-cattolico, e nella sua azione prescinde poi dalla religione, non solo non compie il suo dovere, ma lo offende gravemente. Egli inganna se stesso, inganna il suo prossimo, e non inganna, ma si burla della Chiesa e di Dio. Prescindere dalla religione nella vita pubblica politica? Ma se voi, che vi dite cattolici, ricorrete a questo rifugio per salvare la vostra azione piu o meno amorfa, aconfessionale; come potrete combattere, come è vostro strettissimo dovere, l’errore oggi dominante, l’errore cui si debbono tutte le rovine che lamentiamo, cioé: la separazione dello Stato dalla Chiesa; lo Stato laico? Come potrete voi combattere tutti gli altri errori del liberalismo? Che cosa hanno sempre voluto e detto i liberali, se non questo: Liberta dalla religione nella vita pubblica e politica? Non sapete voi che ammesso comunque un principio, ne dovete assolutamente subire tutte le conseguenze? Né vale che ricorriate al Centro di Germania, di Germania nazione protestante, voi cattolici di Italia, nazione intimamente cattolica. D’altronde, il Centro fu glorioso finché ebbe uomini ubbidienti alla Chiesa e al Papa come un Windorst. Ma cessati i Windorst, dove è andato anche il Centro di Germania?

O cattolici italiani, leggete e studiate il Sillabo di Pio IX dove sono esposti e condannati gli errori dei liberali, dove potete imparare la via sicura che dovete seguire nella vita pubblica politica, e ritiratevi, ritiratevi da una via che non dev’essere la vostra: voi con le vostre teorie, speciose quanto volete, ma erronee di tutto punto, vi siete messi sopra di una strada che vi sembra bella, ma che in realtà il suo termine conduce alla morte.

Ammonimenti 

Quanto ho detto, e quanto ho esposto parlando del Partito Popolare non contiene in sé alcuna ironia od amarezza. Io proclamo solennemente che in mezzo ad un egoismo tanto universale, chiunque consacri il suo tempo, la sua mente, la sua opera e la sua vita al santo scopo di risanare la Società, ha diritto alla pubblica riconoscenza. Ed ancorché egli si inganni nella scelta dei mezzi, pur tuttavia anche la religione gli deve la sua benedizione ed i suoi incoraggiamenti. Ma chi dirà che essa non gli deve anche i suoi consigli ed i suoi ammonimenti? Chi dirà che essa non gli deve comunicare, anche a prova della sua simpatia, i suoi lumi ed i suoi insegnamenti? Orbene ecco il consiglio e l'avvertimento che io, non secondo ad altri nell’amore del mio Dio e del mio prossimo, do in proposito ai miei diocesani, al Clero e al Laicato. Sono i lumi che io, loro Vescovo, sento il dovere di portare loro, sono gli insegnamenti che essi hanno diritto di avere da me.

Non si dimentichi adunque mai; che lavorare per ricostruire sopra sane, e quindi cristiane, basi la Società, è una intrapresa che costituisce un vero Apostolato nel senso più stretto della parola, perche essa intende ed implica il trionfo della verità e della giustizia cristiana sul mondo, e quindi la gloria di Dio nella sua più pura e piu santa espressione. È quindi assolutamente indispensabile al successo dell’intrapresa, che tutti quelli che lavorano a questo scopo, lo facciano apertamente in nome di Dio, di Gesù Cristo e del Vangelo, senza di che non possono essere apostoli di Dio. Se quindi l’uomo che si pone a lavorare in questa intrapresa, non parla e non opera apertamente in nome di Dio; se non agisce come strumento docile di Dio; se non cerca decisamente il trionfo della volontà, e quindi della verità di Dio; se Iddio non entra se non solo in parte nei suoi calcoli, perché ve l’accompagnano pure il timore e il rispetto umano, o la vanità, o l’interesse, — allora non è piu un apostolato che si esercita, Iddio non vi riconosce l’opera sua, egli mirerà da lontano gli sforzi che gli uomini vogliono fare lontani da lui, e le sue benedizioni non scenderanno a coronare di santi frutti un’opera da cui esula la sua gloria.

Nulla vi e di piu chiaro nelle Sacre Scritture: Iddio non dà la sua benedizione né presta l’aiuto della sua potenza alla pusillanimità, all’egoismo e alla ingratitudine, che dell'egoismo è figlia primogenita. Guai se noi perdiamo di vista questi principii, dei quali è prima evidente conseguenza questa proposizione: Le battaglie di Dio bisogna combatterle in nome di Dio, mai in nome di un partito, qualunque sia il titolo che lo distingue. Iddio non ha partiti: egli è il Padre universale di tutti. Gesù Cristo non ha partiti: egli è il Maestro, il Salvatore di tutti. La Chiesa non ha partiti: essa è la Madre di tutti, che tutti amorosamente chiama al suo seno e a tutti tende le braccia. II Papa non ha partiti: Vicario di Gesu Cristo e Capo visibile della Chiesa, egli ha di Gesù Cristo e della Chiesa l’amore universale per tutti gli uomini; tutti egli chiama all’ovile, a tutti tende paternamente le braccia. E di quest’amore universale del Papa per tutti, non abbiamo noi avuto la prova evidente in questi anni della terribile guerra e delle terribili sue conseguenze? La parola stessa di cattolico che significa universale e che, rispecchiando in sé l’immensita di Dio, costituisce una delle note della Chiesa, non potrà mai essere l’aggettivo qualificativo di un partito. Vi sarebbe contraddizione nei termini.

Ogni partito inoltre, ricordiamolo bene, qualunque sia il suo nome, avrà piu o meno del buono, ma non rappresenterà mai tutto il bene. E come anche i più perversi partiti, poiché il male non può sussistere di per sé, ma è una privazione più o meno grande del bene, alcuna cosa di bene in sé sempre conservano; così anche i migliori partiti, appunto perché parte, anche quelli che sono più vicini al bene, di qualche bene saranno privi. Per questi motivi anche il nuovo Partito Popolare, pure sorto con nobili fini, non può rappresentare, appunto perché partito, né di fatto rappresenta, come fu gi fatto autorevolmente notare, tutto il bene, tutta la verità, tutta la giustizia, tutta la scienza, tutta la sapienza, tutte le dottrine sociali cattoliche, né tutti i sentimenti, né tutte le rivendicazioni del cattolico in quanto tale, nel tempo presente. II suo programma ha del buono, ma non ha tutto il buono; ha moltissime deficenze per poter essere detto buono; ha moltissimi equivoci per poter essere detto sicuro.

II vero cattolico non vi trova quindi tutto quello che deve volere; vi trova molto di ciò che non può volere; vi trova molto di discutibile. Condanno io adunque il Partito Popolare? Iddio me ne guardi. Nulla io condanno di ciò che in qualunque modo può cooperare per il bene, e che, in quanto può cooperare per il bene, merita lode. Ma affermo che la natura stessa delle cose, che gli insegnamenti della Scrittura, che l’esperienza della storia mi dicono e mi persuadono che non sarà per questo partito che la Società si farà cristiana, non saàa esso che darà ai figliuoli di Dio la santa esultanza di veder riconosciuto dalla Società il regno di Gesù Cristo. Nulla condanno di ciò che puo essere frutto di un nobilissimo desiderio, e che, in quanto tale, merita lode; ma vorrei che nessuno si smarrisse a metà via; vorrei che ognuno si desse tutto a Dio, a Gesù Cristo, alla Chiesa, al Papa; vorrei che tutti poggiassero più alto, che tutti fossero accesi di maggior amore di Dio, che tutti avessero la forza di consacrarsi al vero apostolato del Redentore, che tutti sentissero maggiormente il pregio di una vita applicata sinceramente, apertamente, interamente per il trionfo di Dio, di Nostro Signore Gesù Cristo, della Chiesa e del Papa.

San Luca ci narra (Act. Ap. XXVI, 28-29) che San Paolo, presentato incatenato in Cesarea al re Agrippa, si pose ad esporre con tale fermezza ed entusiasmo il Vangelo di Gesu Cristo, che il re gli disse: “Per poco, o Paolo, mi persuadi di farmi cristiano”. E San Paolo gli rispose: “Fosse piacere di Dio che, non solo tu, ma quanti sono ad ascoltare, tali diventino oggi, quale sono io, salve solo queste catene”. Così desidererei io vedere tutti i miei fedeli, Clero e Laicato, convertiti dal vero amore di Nostro Signor Gesù Cristo in altrettanti veri, zelanti, instancabili suoi Apostoli.

Si dirà che volendo l’ottimo si impedisce il bene? Miriamo, o dilettissimi, al fine cui dobbiamo tendere con questa nostra azione di santo apostolato. Nessun bene vogliamo che sia impedito, perché per il bene si va all’ottimo; ma è necessario che noi non cadiamo vittime delle illusioni, è necessario che evitiamo di rimanere sempre a mani vuote. In qual modo annunziò Nostro Signore Gesù Cristo la verità del Padre celeste? Forse attenuandola, perché gli Ebrei la ricevessero piu facilmente? In qual modo gli Apostoli annunziarono il Vangelo di Nostro Signore Gesù Cristo? Forse attenuandolo, o in parte solo, perché il mondo pagano si sottomettesse più facilmente al Salvatore? In qual modo i santi Martiri propugnarono le verità cristiane? Forse attenuandole, o in parte solo le difesero o le velarono, per liberarsi dai motteggi, dagli scherni, dai supplizi dei persecutori?

Oh! ricordiamoci sempre, o dilettissimi, che vi sono cose ed idee che non sono suscettibili di attenuazione, né di divisione, né di scissione. Tali sono i dogmi, tale è la morale, tale è Dio, tale è Gesù Cristo. Se voi non ricevete tutto ciò se non con restrizioni; se con restrizioni voi propugnate, difendete, rivendicate il programma cattolico, voi non otterrete che frutti ristretti e molto limitati, e non giungerete mai a riporre la Società sulle basi cristiane. Voi non avrete nelle vostre mani la causa di Dio e di Gesù Cristo, ma quella che voi stessi vi siete fabbricati; voi non sarete i generosi cavalieri, i santi apostoli di Dio e di Gesù Cristo, ma solo i poveri e miseri cavalieri ed apostoli delle vostre idee.

La dottrina cristiana, espressione della verità di Dio sulla terra, non puo essere divisa né scissa. Essa è la tonaca inconsutile, essa è tutta di un pezzo. Dio, Gesù Cristo, Chiesa, Papa, i diritti che Iddio ha dato alla Chiesa e al Papa, formano un tutto unito, un complesso di cose inseparabili, e, quello che è da tenersi ben presente, affatto indipendenti dalla volonta degli uomini. Volere solamente una parte di ciò che è volontà di Dio, volere solo un po’ di cristianesimo, e pretendere così di stare bene con Dio, di essere chiamati suoi soldati e suoi cavalieri, è cosa impossibile. In questa materia: o tutto o niente.

II Vangelo non contiene un solo capitolo, un solo versetto, che sia una superfetazione e che possa quindi essere a nostro piacimento tolto o trascurato. Voi chiamate il cristianesimo in vostro aiuto, voi proclamate di voler agire in nome dei principii cristiani, voi protestate di aver assunto questi principii a base e a norma della vostra azione politica sociale, economica. Bene; ma accettateli allora e prendeteli quali essi sono usciti dalla volontà e dalla mano di Dio. Iddio non vi permette di riformare la sua opera, di diminuirla, di aumentarla, di ritoccarla secondo le vostre idee. Facendolo, voi non avete più nelle vostre mani la causa di Dio, voi rompete l'unita che è madre della vita e della forza, voi introducete in casa vostra la divisione, la divisione vi uccidera, e l’uomo morto, voi lo sapete, non può dare la vittoria: egli è il vinto; non puo dare la vita: egli è inerte.

Eccovi, o miei cari, il grande equivoco dei nostri giorni, l'equivoco in cui, ripeto, sono caduti e cadono tanta ottima gente, anche del Clero. Si giunge, di fatto, a costituirsi giudici dell’opera di Nostro Signore Gesù Cristo, determinando secondo il nostro povero giudizio ciò che in essa ci è utile e ciò che non lo è; se ne assume una parte e se ne lascia l’altra; si aggiusta e si accomoda come a noi pare e piace. E che cosa ne avviene? Ne avviene necessariamente ciò che ho già indicato. Come non si segue la volontà di Dio che con restrizione e con riserve, così dall’opera nostra non si raccolgono che con restrizioni e con riserve i frutti che dovrebbero invece essere abbondantissimi.

Come noi andiamo a Dio obliquamente, così solo obliquamente egli viene a noi. Noi compiamo solo una parte del nostro dovere verso Dio, e così raccogliamo solo una parte dei benefici del cristianesimo. L’aiuto che Iddio ci dà, è giustamente limitato. Esso basta per non morire, ma è insufficiente per vivere. Noi languiamo, noi ci trasciniamo a stento. Noi abbiamo bisogno di respirare il cristianesimo a pieni polmoni, esso è il nostro ossigeno; se l’atmosfera in cui noi deliberatamente ci mettiamo è troppo debole, troppo rarefatta, o troppo corrotta, perché i principii cristiani vi sono troppo diluiti, noi vi vivremo con stento, e non vi ci muoveremo che con grande fatica. Non è questa forse la realta? O cristiani! O cattolici! ascoltate adunque il rimprovero del profeta Elia: E fino a quando zoppicherete voi dai due lati? Se il Signore è Dio, tenete da lui. Usquequo claudicatis in duas partes? Si Dominus est Deus, sequimini eum (III Reg. XVIII, 21).

Se voi credete a Nostro Signore Gesù Cristo; se egli è agli occhi vostri Dio; se voi giudicate che le verità ed i principii cristiani sono necessarii agli uomini e alle cose: non disputate con l’Altissimo, sottomettetevi a lui interamente, non vergognatevi di lui, non velate alcuna parte del segno che egli ha impresso sulla vostra fronte, affinché passando il suo Angelo non vi colpisca e renda sterile le vostre fatiche. Lo ripeto ancora una volta: Iddio non farà mai servire i suoi doni soprannaturali ad una causa che non sia la sua, e le moltitudini non accoglieranno che con diffidenza un apostolato, che può loro apparire inconsequente e perciò interessato.

Benedizione

Vi benedico di tutto cuore e prego il Signore perche “vi ricolmi di beni, vi dia a tutti un cuore per adorarlo e compiere la sua volonta con cuore grande e con spirito pieno di ardore, apra il vostro cuore alla sua legge e ai suoi comandi e vi dia la pace, ascolti le vostre orazioni, si plachi con voi e non vi abbandoni nei tempi cattivi” (II Macc. I, 2-5).

Genova, festa di San Giacomo Apostolo, 25 Luglio 1920.

+ T. R Card. BOGGIANI, Arcivescovo.

Notificazioni

Il Clero ed i partiti politici

Coerentemente a quanto abbiamo detto anche in questa Lettera, rinnoviamo la proibizione, già fatta e pubblicata nella nostra “Rivista Diocesana” dello scorso Maggio, a tutti e singoli i Sacerdoti e specialmente ai Parroci della Nostra Archidiocesi, di prendere PARTE ATTIVA nell’azione di qualunque partito politico, compreso il Partito Popolare, e di far quindi parte, sotto qualunque pretesto o titolo, delle rispettive direzioni, dei comitati, delle sezioni o di altri centri attivi e di propaganda, con qualunque nome essi si chiamino. E ciò per prevenire tutti i possibili equivoci e malintesi, che possono coinvolgere i Sacerdoti in genere e i Parroci in specie, in responsabilità e in odiosità che nuociano alla santità, alla libertà e all’efficacia del loro ministero; inconvenienti gravissimi, nei quali, per necessita di cose, cade il Sacerdote che, dimenticando la santità del suo ministero, si unisce agli agitatori politici. Molto più grandi, più santi e più gravi sono i doveri del Sacerdote e del Parroco. Una vita immacolata, disinteressata, superiore ad ogni sospetto, animata da spirito di pietà, di preghiera, di sacrificio e che dia quindi sempre il buon esempio a tutti; le opere di misericordia corporali e spirituali, esercitate secondo lo stato e la possibilità di ognuno; le opere del ministero ecclesiastico, specialmente la spiegazione del Vangelo, il Catechismo agli adulti, la Dottrina ai fanciulli, l’assistenza al confessionale e agli infermi: sono questi i mezzi efficaci della grande e santa politica che deve fare il Sacerdote, politica fatta in nome del Salvatore e per il bene di tutti, e che, diretta alla santificazione di ognuno e di tutti, deve necessariamente portare al risanamento della Società, se di risanamento la moderna Società è ancora capace. “Clerus nec agitationes nec multo minus seditione sparticipet, sed potius optima quaeque verbis et exemplo suadens, concitatos animos opportune tranquillet”. (Benedetto XV, nella sua recente Lettera all’Episcopato Veneto).

I locali delle Assodazioni cattoliche ed i partiti politici

Per tutte le ragioni esposte pure in questa Nostra Lettera, e specialmente per impedire che le nostre Associazioni Cattoliche vengano coinvolte nelle responsabilità e nelle odiosità in cui ordinariamente cadono i partiti politici, proibiamo a tutte le predette Associazioni della Nostra Archidiocesi di concedere i loro locali per le adunanze, conferenze, o per qualsiasi altro motivo, a partiti politici, compreso il Partito Popolare. I rispettivi RR. Parroci, gli Assistenti Ecclesiastici e la Giunta Diocesana debbono vigilare rigorosamente sull’osservanza di questa proibizione e riferirne tosto a Noi stessi ogni caso di trasgressione.

La “ Unione Popolare”

“Unione Popolare” fra i cattolici d’ltalia, per i suoi fini generali, comprende, promuove e rappresenta l'intera Azione Cattolica Italiana. Particolari attività sono organizzate e disciplinate da Unioni ed Opere Nazionali, tutte coordinate all’“Unione Popolare”, dalla quale attingono l’indirizzo programmatico comune. L’“Unione Popolare” ha per iscopo la difesa e l’attuazione dell’ordine sociale, e della civiltà cristiana secondo gli insegnamenti della Chiesa e gli indirizzi della Santa Sede: riunendo i cattolici italiani e coordinando le loro varie associazioni in un unico fascio di forze per l’adempimento di questo supremo dovere a tutti comune; educando la coscienza sociale, civile, morale e religiosa del popolo con la più ampia diffusione della cultura cattolica in forme adatte ad ogni grado di istruzione; promovendo l’organizzazione e l’incremento di ogni forma di azione cattolica. Quest’“Unione Popolare” è voluta, benedetta e raccomandata dal Papa; in ogni parrocchia vi deve essere il Consiglio o Gruppo parrocchiale di quest’Unione; ad essa debbono essere ascritti tutti i membri delle nostre Cattoliche Associazioni. Ecco un campo vastissimo, fuori d’ogni partito politico, nel quale il Clero può con tutto il suo zelo lavorare senza pericolo di uscire dalla retta via e di incorrere in responsabilità o in odiosità dannose al suo sacro ministero. Raccomando quindi vivamente quest’Opera a tutto il Clero e in special modo ai RR. Parroci. Ognuno di questi deve fondare nella propria parrocchia il suo Gruppo parrocchiale dell’“Unione Popolare”, tenerlo vivo e fervente, ed estenderlo per quanto piu è possibile. Nessun buon cristiano dovrebbe rimanere fuori, poiché è questo un mezzo facile ed efficace perché ognuno concorra, almeno in qualche modo, alla grande opera del restauro cristiano della Società. Moltissime parrocchie della Nostra Archidiocesi sono ancora prive del Gruppo dell’“Unione Popolare”. Gli ascritti all’Unione in tutta l’Archidiocesi, nel 1918 erano 3678, nel 1919 discesero a 3548. Troppo pochi in sé; pochissimi in confronto della Popolazione dell’Archidiocesi, oltre 600.000 anime; cattivo segno la diminuzione del numero degli ascritti.

Fine. Il presente testo è tratto dal volumetto «Un Vescovo contro la Democrazia Cristiana» edito dal Centro Librario Sodalitium di Verrua Savoia. Costa solamente 5 euro. Per acquistarlo cliccare qui. In alternativa consigliamo di fare una donazione all'Istituto Mater Boni Consilii che si occupa anche delle pubblicazioni del Centro Librario Sodalitium. Per inviare una donazione cliccare qui. L'avaro non va in Paradiso, spiega difatti l'Angelico che «l'avarizia è un peccato contro Dio, come tutti i peccati mortali: perché con essa per i beni temporali si disprezzano i beni eterni» (Somma Th., II-II-, 118, a. 1 ad 2). CdP

Lettera del cardinale Adeodato Piazza, patriarca di Venezia e Presidente della Commissione Episcopale Italiana, al presidente della D.C. Alcide De Gasperi e all’on. Attilio Piccioni. Venezia, 24 aprile 1947

Onorevole, sono dolente di dover esprimere, a nome mio e di tutto l’Episcopato Italiano, rappresentato dalla Commissione Episcopale a cui presiedo, e dell’Azione Cattolica Italiana, la più viva deplorazione per quei Deputati alla Costituente, appartenenti alla Democrazia Cristiana, i quali con il loro inqualificabile assenteismo, resero possibile nel resto della Costituzione la eliminazione della qualifica «indissolubile» dovuta al Matrimonio, aprendo il varco a future campagne ed eventuali leggi divorziste; ed inoltre l’affermazione di una assurda ed ingiusta parità giuridica e morale a favore della figliolanza illegittima, con gravi conseguenze lesive dell'unita e santità del Matrimonio. Gli assenti considerino se non abbiano insieme tradito la causa della religione e della famiglia cristiana e la fiducia dei loro elettori.

Con ossequio, Card. Piazza.

La guerra è uno tra i fenomeni sociali, che ha avuto nella storia il maggiore rilievo. Gli storiografi, soprattutto gli antichi, si sono preoccupati di prospettare, pressoché esclusivamente, gli eventi bellici, lasciando spesso nell’om­bra le vicende non meno e talora più importanti della vita dei popoli. Dal punto di vista sociologico la guerra è una delle più caratteristiche manifestazioni della lotta, che è inerente alla vita; lotta che non ha certo la significazione darvinistica della selezione e del trionfo degli individui e delle razze più riccamente dotate dalla natura, ma che importa una funzione vitale, con cui l’organismo individuale o col­lettivo mira a disfarsi degli antagonismi che ne pregiudi­cano lo sviluppo e a conquistare dei beni assimilabili e in qualche modo proficui. Un organismo qualsivoglia, sia l’insetto del prato o il leone del deserto, sorregge la sua esistenza attraverso la di­struzione e l’appropriazione di altri esseri, ciò che avviene sovente con la lotta. Anche l’uomo, come qualsiasi altro essere vivente, è un lottatore, e la sua vita è necessaria­mente un’arena e la sua naturale professione una tal quale milizia. Pur sotto questo aspetto «Militia est vita hominis super terram» (Iob. 7, 1). Ma tra il mondo semplicemente animale e quello umano corre un divario d’estrema importanza. Nel primo le for­me concrete della lotta sono fatalmente rigide, sempre identiche; nel secondo si modificano, e mentre alcune decadono altre risorgono; nel primo domina la fatalità dell’istinto, nel secondo la mobilità inventiva e creatrice dell’intelligenza. Dal punto di vista giuridico la guerra è un istituto universalmente ammesso quale mezzo estremo e risolutivo dei conflitti che sorgono fra gli Stati. Il Vattel la definisce: «Lo stato in cui si persegue con la forza il proprio diritto»; definizione non integra, giacché nell’accezione odierna la guerra ha un carattere pubblico, sicché la classificazione degli antichi internazionalisti, di guerre private e guerre pubbliche, è del tutto separata nel diritto moderno. Il Suárez con maggior precisione così definisce la guerra: Un conflitto esterno, contrario alla pace esteriore, allora propriamente si dice guerra, quando avviene tra due principi o due Stati; se invece avviene tra il principe e lo Stato si dice rivolta; se tra privati si dice rissa o duello: concetti tra i quali la differenza sembra più di forma che di sostanza. Per inviare una donazione all'Associazione cliccare qui.

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La moralità e la liceità della guerra

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La concordia - insegna Papa Pio XII nella «Orientalis Ecclesiae», 9.4.1944 - «Richiede unità di fede, unità di amore (verso Dio e verso il prossimo), unità di obbedienza». Nello stesso luogo asserisce: «Non è lecito, neppure sotto colore di rendere più agevole la concordia, dissimulare neanche un dogma solo: giacché, come ammonisce il Patriarca Alessandrino [San Cirillo d’Alessandria, ndR]: “Desiderare la pace è certamente il più grande ed il precipuo dei beni, però non si deve per siffatto motivo pretendere che ne vada di mezzo la virtù della pietà di Cristo”. Pertanto NON conduce al desideratissimo ritorno degli erranti alla sincera e giusta unità in Cristo, quella teoria che ponga a fondamento del concorde consenso dei fedeli solo quei capi di dottrina, sui quali tutte o almeno la maggior parte delle Comunità, che si gloriano del nome Cristiano, si trovino d’accordo; ma [conduce a Cristo] l’altra che, senza eccettuarne né sminuirne alcuna, integralmente accoglie qualsiasi verità da Dio rivelata [e dalla Chiesa definita, ndR]».

Questa infallibile sentenza del Pontefice è un’esplicita condanna al sistema dell’ecumenismo (cfr. «Condanne della Chiesa all’ecumenismo»).

Papa Pio IX nella «Si Divinus Magister» (15.11.1877) asserisce: «Dovete mantenere con Noi una perfetta unanimità di pensieri e di opere per ribattere gli sforzi dell’empietà e della ribellione ripudiando ogni estranea investigazione e contesa. Guidati da questa prudente determinazione, accoglierete con docilità e riverente ossequio, ed eseguirete con esattezza i Documenti ed i consigli di questa Santa Sede, e per tal modo facilmente eviterete le frequenti insidie di coloro, che sapienti agli occhi propri ed arogantisi l’arbitraria missione di consigliare e persuadere quello che essi temerariamente pensano doversi fare per condurre l’ordine e la pace, non pochi dei Nostri figli, anche fra i più devoti a Noi, allettati dallo splendore dell’ingegno e della dottrina, a poco a poco distolgono dall’usata riverenza pei Nostri ammonimenti: e rompendo con ciò l’unanimità, dividono le forze cattoliche, che dovrebbero, unite, tener testa ai nemici. Noi pertanto preghiamo Iddio che vi faccia continuare sempre a combattere per la giustizia con Noi e secondo gli avvisi di questa Cattedra di verità, e così meritare le grazie necessarie in sì difficile combattimento ed infine conseguire il premio preparato ai combattenti per una tale causa».

Insegna Papa Leone XIII nella «Immortale Dei» (1.11.1885): «Quanti vi sono degni del nome di Cattolici, è indispensabile che siano e si mostrino apertamente amorossimi figli della Chiesa: che rigettino da sé, senza punto esitare, tutto quello che è inconciliabile con tale professione: che volgano i politici ordinamenti, in quanto onestamente si può fare, a difesa della causa della verità e della giustizia: che si sforzino di ottenere che la libertà non trapassi mai i confini, assegnati dalle leggi della Natura e di Dio: che si adoperino a far ripiegare la presente società verso l’ideale della Società Cristiana». Una palese condanna alla cosiddetta laicità.

Ed ancora: «Nondimeno si badi soprattutto di conservare l’accordo dei voleri e l’unità dell’azione. Ed ambedue queste cose pienamente si otterranno, se ciascuno terrà in conto di legge le prescrizioni della Sede Apostolica, si porgerà docile verso i Vescovi, che lo Spirito Santo pose a reggere la Chiesa. La difesa della Fede Cattolica richiede assolutamente che nel professare le dottrine insegnate dalla Chiesa siano tutti d’un sentimento solo, e di una incrollabile costanza; e da questo bisogna star bene in guardia di non lasciarsi andare ad essere conniventi all’errore, o ad opporgli più debole resistenza che la verità non comporti».

Il Pontefice, è necessario precisarlo, indica le norme ordinarie di comportamento verso gli uomini Chiesa in una condizione che possiamo definire normale; ben differente dalle cinquantennali detestabili vicende che vedono la Chiesa ostaggio dei modernisti: i primi ad aver rifiutato la concordia, barattando la verità con gli errori.

Papa San Pio X ne «Il fermo proposito» (11.6.1905) afferma: «È soprammodo importante che i Cattolici procedano con esemplare concordia tra di loro; la quale peraltro non si otterrà, se non vi ha in tutti unità d’intenti».

Il medesimo Pontefice nel Motu proprio «Fin dalla prima» (18.12.1903) scrive: «Poiché le divergenze di vedute nel campo pratico mettono capo assai facilmente in quello teoretico, ed anzi in questo necessariamente devono tenere il loro fulcro, è d’uopo rassodare i principii onde deve essere informata [tutta] l’azione cattolica».

E Papa Pio XII nella «Cum proxime exeat» (12.3.1943) asserisce: «Con impegno ogni giorno maggiore sforzatevi di mantenere salda la concordia e l’unione degli animi, senza di che nulla può conservarsi a lungo, nulla tornare fruttuoso. Alimentate e rafforzate una strettissima unione con i Vescovi, e, sopratutto, con il Romano Pontefice, il che è sicuro pegno di successo. “Vi scongiuro... che diciate tutti lo stesso... che siate perfetti nello stesso sentire e nello stesso pensare”». Sta citando San Paolo, I Cor., I, 10.

Chiudo con Papa Pio XI in «L’annonce du VI Congrès» (2.9.1936): «Nel momento in cui le forze del male si riuniscono per meglio prendere il volo e slanciarsi all’attacco (…) è di stretto obbligo serrare le file. (…) I Cattolici non ignorano le fonti inesauribili di cui la Chiesa è fortunata depositaria per la soluzione di ogni questione sociale, morale, religiosa, in ogni tempo e in ogni luogo, grazie alle infallibili dottrine di Colui che solo ha parole di vita eterna e può, nella confusione delle idee e passioni che agitano la Società, ridare luce agli spiriti e pace alle masse. Le eterne verità (…) sono la migliore garanzia della perfetta modernità sociale del Cattolicesimo» (Cfr. «Dizionarietto di Dottrina politica dei Papi», Ed. L’alleanza italiana, 1960, Vol. 1, pag. 180 segg.).

a cura di Carlo Di Pietro da Il Roma 

La scorsa settimana abbiamo imparato che il «Sionismo» è quel movimento politico destinato a procurare ai Giudei (= ordinariamente coloro che seguono il «Talmud») uno Stato nazionale, indipendente e riconosciuto. Padre del «Sionismo» fu Teodoro Herzl. Suo maggiore finanziatore fu il barone Edmondo Rotschild. La prima guerra mondiale, con l’architettata caduta dell’Impero Ottomano, segnò un decisivo progresso per il «Sionismo organizzato». Determinante per la «Questione Sionista» fu la lettera del ministro degli Esteri inglese Lord Balfour a Lionel Rotschild: la nota «Dichiarazione Balfour».

Nel 1943 - il primo al «Congresso Sionista» data 1897 (Basilea) - la popolazione Giudaica della Palestina raggiungeva la soglia dei 539.000 individui, il 31,5% della popolazione totale e le proprietà della «Jewish Agency» - di cui si è già detto - ammontavano a 1.300 kmq., cioè il 17% del territorio. Per favorire maggiormente lo spirito nazionalista fu abbandonato lo jiddiš, definito «gergo da rigattieri», e si adottò come lingua nazionale l’ebraico classico della Bibbia. (…)

Davanti alle realizzazioni del «Sionismo», gli Arabi palestinesi incominciarono a rendersi conto che un (non riconosciuto) «Stato ebraico» non solo si andava formando, ma esisteva già sul loro territorio e che un poco alla volta ne sarebbero rimasti sopraffatti. Così incominciò la lotta tra i due gruppi, condotta con atti di terrorismo, di sabotaggio ed assassinii, cui i Giudei contrapposero un potente esercito clandestino, detto Haghānāh, (…) mentre l’Inghilterra oscillava abilmente tra una fazione e l’altra, pur simpatizzando - (almeno nelle apparenze) - per gli Arabi.

La seconda guerra mondiale (1939-45) segnò una pausa nella lotta, ma questa riprese più violenta alla fine del conflitto, dato che nel 1948 doveva scadere il «Mandato britannico». Si moltiplicarono i tentativi di conciliazione, si propose di prolungare il «Mandato britannico», permettendo l’immigrazione di 100.000 Giudei una volta per sempre, ma la proposta fallì per furore di popolo; così pure fallì la «Proposta Morrison» per uno Stato indipendente ripartito in due province. Comunque, l’Inghilterra annunciò che, appena scaduto il «Mandato», avrebbe abbandonato la Palestina nelle mani delle Nazioni Unite.

L’O.N.U. (31 agosto 1947) adottò il «Piano di spartizione in due Stati separati della Palestina», ma l’indomani ebbe inizio la lotta aperta in Gerusalemme tra Giudei ed Arabi e, il 15 maggio 1948, la guerra ufficiale contro la «Lega Araba» (Siria, Libano, Iraq, Transgiordania, Egitto ed Arabia) solidale con gli Arabi palestinesi. Il breve conflitto fu caratterizzato da accanimento e crudeltà, massacri e rappresaglie, da ambo le parti.

L’O.N.U. impose tre tregue, che non furono rispettate, anzi, lo stesso inviato dell’O.N.U. per la tregua, lo svedese conte Bernadotte, fu assassinato il 6 settembre 1948 da un gruppo di terroristi Giudei. Finalmente l’O.N.U. ingiunse ai belligeranti di concludere l’armistizio (16 novembre 1948), che in realtà «Israele» fece separatamente - con i vari Stati della «Lega Araba» - nella successiva primavera. «Israele» si trovava padrone di più di due terzi del territorio.

L’11 maggio 1949, l’O.N.U. ammise nel suo seno lo «Stato d’Israele».

Avendo ormai raggiunto lo scopo, dovrebbe dirsi finito il «Sionismo» nel senso originario della parola (= Movimento politico fortemente identitario e nazionalista con il fine di occupare - con ogni mezzo e stratagemma - la Palestina), ma resta ancora la questione di Gerusalemme, tuttora divisa tra i due contendenti (…). «Israele» esige Gerusalemme per capitale, gli Arabi non cedono; l’O.N.U. ha proposto l’internazionalizzazione della città ma la proposta non è stata finora eseguita (l’autore scrive negli anni ’50).

Il Papa Pio XII, preoccupato per la sorte dei Luoghi Santi, ha ripetutamente esortato le Nazioni ad attenersi alla soluzione di internazionalizzare Gerusalemme, essendo Città Sacra per un miliardo di uomini [all’epoca - prima del funesto “Vaticano Secondo” - il Cattolicesimo era ancora molto diffuso]. Egli ha enunciato chiaramente la sua ansietà per la sorte dei Luoghi Santi in tre Lettere encicliche, del 1° maggio 1948 [«Auspicia Quaedam»: lamenta le barbarie contro la Cristianità], del 24 ottobre 1948 [«In Multiplicibus Curis»: chiede il libero accesso ai Luoghi Sacri], del 15 aprile 1949 [«Redemptoris Nostri Cruciatus»: lamenta la distruzione di pacifiche dimore di comunità religiose], e nella Esortazione dell’8 novembre 1949 [«Sollemnibus Documentis» = chiede per la Palestina il trionfo della vera libertà e della giustizia].

Sebbene Giudei ed Arabi ripetutamente abbiano assicurato di voler rispettare i venerandi (= cattolici) Santuari, le profanazioni, distruzioni e minacce, cui furono soggetti, mostrano quanto siano fondate le preoccupazioni del Papa. [Cfr. «Enciclopedia cattolica», Volume XI, Colonne 713-716, Vaticano, Imprimatur 1° agosto 1953].

Anno 2018: da oramai settant’anni la Palestina non conosce tregua e la pacifica comunità cristiana, un tempo dinamica e numerosa, è ridotta a poco più dell’1%. Prima del 1946 era circa il 10%.

a cura di Carlo Di Pietro da Il Roma 

Il «Sionismo» è quel movimento politico destinato a procurare ai Giudei (per brevità = ordinariamente coloro che seguono il «Talmud», ndR) uno Stato nazionale, indipendente e riconosciuto. Si affermò al «Congresso Sionista di Basilea» (1897) nel quale Teodoro Herzl fece trionfare le idee esposte nel suo libro programmatico «Judenstaat» (1896). Già prima, le aspirazioni millenarie del popolo d’Israele a riavere la sua patria erano concretate, specialmente nell’Europa Orientale, in movimenti che promuovevano la cultura ebraica, la rinascita dell’ebraico come lingua nazionale e la colonizzazione della Palestina; ma tali piccoli tentativi non organizzati erano spesso utopistici.

Nel 1881 invece, sotto lo stimolo dei più sanguinosi «pogrom» (Russia meridionale), i movimenti si intensificarono e divennero più concreti. Gruppi di «Amanti di Sion» si costituirono in molte città per raccogliere mezzi e reclutare uomini per la colonizzazione della Palestina, dove furono fondate nel 1882 le prime colonie: è la fase della «Colonizzazione sporadica». (…)

Dopo un’intensa propaganda in tutto il mondo per infondere l’«ideale sionista» nelle masse, organizzare i futuri coloni, creare i principali strumenti per la ricostruzione, guadagnare le maggiori Potenze alla causa sionista, (Herzl) riunì a Basilea, il 29 agosto 1897, il primo «Congresso Sionista», cui parteciparono più di 200 delegati di ogni parte del mondo. Si fissò qui il «Programma di Basilea», fu fondata l’«Organizzazione sionista mondiale», con l’autorità suprema di un Congresso. (…)

Alla chiusura di questo Congresso, Herzl poté scrivere nel suo «Diario privato»: «A Basilea ho fondato lo Stato giudaico. Se oggi dicessi questo ad alta voce, mi risponderebbero scoppi di risa dappertutto. Di qui a 5 anni forse, in ogni caso di qui a 50 anni, ciascuno comprenderà». Allo scadere esatto dei 50 anni, nascerà lo «Stato d’Israele» e, l’anno seguente, la salma di Herzl entrerà in Palestina tra la venerazione del neonato «Stato d’Israele», che lo acclamerà «Padre della Patria».

Dopo il «Congresso di Basilea» si concentrarono nel movimento sionista tutti i movimenti similari, numerose organizzazioni e federazioni vennero fondate dappertutto. Herzl incontrò non poche difficoltà, anche presso i ricchi congeneri da cui sollecitava i mezzi finanziari, tanto che, vista la quasi impossibilità di ottenere la Palestina, dopo altri progetti, accettò la proposta del ministro delle Colonie inglesi Chamberlain che (gli) offriva l’Uganda. (…) Herzl morì nel 1904 (…) e nel 1907 il VII° Congresso propugnò, per iniziativa di Haim Weizmann, futuro primo «Presidente dello Stato d’Israele», il «Sionismo sintetico», che al programma politico di Herzl univa l’immediata colonizzazione pratica.

Con fondi messi a disposizione da ricchi finanzieri, come, per esempio, il barone Edmondo Rotschild, mediante collette annuali organizzate in tutto il mondo, si iniziò l’acquisto dei terreni in Palestina e la fondazione di «Colonie» nelle zone più fertili e strategicamente più importanti, in previsione dell’inevitabile reazione degli Arabi. Ondate successive di emigrati si riversarono in Palestina. (…) Dapprima l’immigrazione colonizzatrice fu disordinata e spesso diede scarsi risultati; nessun piano organizzato regolava l’immigrazione, nulla era preparato per accogliere i nuovi venuti che, per entrare, dovevano evadere una legge proibitiva della Turchia (1883) padrona della Palestina.

La prima guerra mondiale - (Enver, Talat e Cemal fuggono in Germania; l’Impero Ottomano perde la guerra; il popolo degli Armeni viene trucidato; la Turchia è di fatto smembrata, ndR) - segnò un decisivo progresso per il «Sionismo organizzato» e, il 2 novembre 1917, il ministro inglese degli Esteri Lord Balfour dichiarava in una lettera a Lionel Rotschild, presidente della «Federazione sionista inglese»: «Il Governo di sua Maestà vede con favore lo stabilirsi in Palestina di un “Focolare nazionale” (National Home) per il popolo giudaico e porrà in atto i suoi migliori sforzi per facilitare l’esecuzione di questo disegno».

Questa famosa «Dichiarazione Balfour» fu poi incorporata dalla «Società delle Nazioni» nel testo del «Mandato sulla Palestina» affidato alla Gran Bretagna (aprile 1922). Il l popolo giudaico, forte del diritto riconosciutogli, iniziò una «conquista invisibile» della Palestina, con successive immigrazioni sostenute da vari Comitati e dirette da un’organizzazione centrale, la «Jewish Agency», con le sue due branche: il «Corno della risurrezione di Israele» che provvedeva i terreni; e il «Corno della fondazione» che li distribuiva fra i coloni organizzati in forma di grandi Cooperative (…) molto somiglianti ai «kolkoz» sovietici.

Così, nel ventennio intercorso tra le due guerre mondiali, si ebbero le tre più importanti migrazioni delle cinque che conta tutto il «Movimento Sionista» dal 1882. Si frapposero difficoltà nel campo internazionale, ed in Palestina ripetute ostilità con gli Arabi, ma l’opera fu proseguita con tenacia. Venne acquistata a poco a poco la maggior parte dei terreni produttivi della Palestina. Prosegue la prossima settimana …

[Tratto da «Enciclopedia cattolica», Volume XI, Colonne 713-716, Vaticano, Imprimatur 1° agosto 1953].

a cura di Carlo Di Pietro da Il Roma 

L’usura è un male largamente diffuso nell’epoca contemporanea. Nelle Nazioni cosiddette laiche - ovvero nei luoghi in cui si pretende legiferare contro le disposizioni del divino Creatore e contro la legge di natura, come se Dio non esistesse - l’oppressione dei poveri e degli inermi è troppo spesso favorita da legislazioni inique: pertanto diventa ostico colpire l’usuraio come si dovrebbe e difficilissimo garantire la giustizia e l’ordine sociale. La «Teologia morale» Roberti-Palazzini (Studium, Roma, Imprimatur 1957, dalla pagina 1512) ci dice che l’usura è illecita e peccato grave.

Distinguiamo l’usura aperta: «quando viene espressamente richiesta per il prestito»; dall’usura nascosta: «quando è celata in un altro contratto, che contiene il prestito, per il quale si chiede il guadagno». L’usura formalmente è «un peccato contro la giustizia commutativa e perciò porta con sé il dovere della restituzione». Il peccato di usura è «uguale al furto, perciò la quantità della materia si determina nello stesso modo come nel furto».

Gli usurai sono, dunque, «obbligati per giustizia a restituire i guadagni avuti dall’usura ai debitori oppure ai loro eredi». Se questi eredi sono sconosciuti o sono deceduti, «gli usurai sono obbligati a distribuire il guadagno ai poveri o alle cause pie, e lo stesso dovere hanno gli eredi degli usurai secondo il valore dell’eredità». Chi, avendone la facoltà, non restituisce, non è realmente pentito e non può salvarsi. Lo stesso dicasi per altra tipologia di truffatori!

L’essenza dell’usura consiste «nell’accettazione del guadagno del puro prestito», o, in senso più largo, è «l’abuso dell’indigenza del prossimo. In questo senso si parla del prezzo usuraio, dei salari usurai». L’usura è proibita dal diritto naturale, poiché è «contraria alla giustizia commutativa». È un grave peccato «sia che si faccia il prestito ai poveri, sia che lo si dia ai ricchi. Se si tratta dei poveri, c’è in più anche un peccato contro la carità».

Il Concilio di Vienna (1315) stabilisce che «deve essere punito come eretico chi si ostina ad affermare che l’usura non è un peccato» (Denzinger, n° 479). Papa Benedetto XIV nella «Vix pervenit» (1745) definisce: «Quel genere di peccato che si chiama usura, e che nell’accordo di prestito ha una sua propria collocazione e un suo proprio posto, consiste in questo: ognuno esige che del prestito (che per sua propria natura chiede soltanto che sia restituito quanto fu prestato) gli sia reso più di ciò che fu ricevuto; e quindi pretende che, oltre al capitale, gli sia dovuto un certo guadagno, in ragione del prestito stesso. Perciò ogni siffatto guadagno che superi il capitale è illecito ed ha carattere usuraio». Ancora: «Il vizio vergognoso dell’usura è aspramente riprovato dalle Lettere Divine. Esso veste varie forme e apparenze per far precipitare di nuovo nella estrema rovina i Fedeli restituiti alla libertà e alla grazia dal sangue di Cristo; perciò, se (i Fedeli) vorranno collocare il loro denaro, evitino attentamente di lasciarsi trascinare dall’avarizia che è fonte di tutti i mali».

Il Codex iuris canonici del 1917 - ultimo prima della Sede formalmente vacante - al can. 1543 sanziona: «Se un bene mobile viene dato a qualcuno in proprietà perchè lo restituisca più tardi nello stesso genere, da questo contratto non è permesso accettare nessun guadagno ratione ipsius contracti». Solo in alcuni casi - quando, cioè, l’interesse diventa il giusto prezzo del servizio reso col prestito di capitali - non è illecito «di mettersi d’accordo su un guadagno ammesso dalla legge, eccetto che non consti che questo è immoderato» (Ivi.).

L’usura non è solamente un peccato, ma nel  mentovato Codex è considerata anche come delitto. Cito: «Un laico che è stato legittimamente condannato per omicidio, usura, rapina è escluso di diritto dagli atti legittimi ecclesiastici e da qualsiasi ufficio che possa avere nella Chiesa; inoltre gli resta il dovere di riparare i danni» (can. 2354 § 1).

Dicevamo - con il Roberti-Palazzini - che in alcuni casi è lecito un interesse: «Quattro circostanze esterne, cioè: danno emergente, lucro cessante, rischio della cosa, pericolo di dilazione, hanno valore economico e quindi possono, verificandosi di fatto, costruire altrettanti titoli al diritto di proporzionato compenso, oltre la restituzione della cosa. Soltanto titoli estrinseci al mutuo, quando davvero si verificano, possono giustificare il diritto-dovere degli interessi e determinarne la giusta misura». 

Come si è appreso, il Codex (can. 1543) «ammette dunque la possibilità di interesse, se lo esige un titolo giusto e proporzionato». Tuttavia «il Codex non stabilisce una norma precisa per indicare la misura dell’interesse; generalmente si può accettare come tasso lecito quello ritenuto tale dal giudizio comune degli uomini prudenti, in rapporto alle condizioni industriali e commerciali del luogo; al di là si ha l’usura».

La Chiesa - prima dell’occupazione dei modernisti - ha negato agli usurai impenitenti anche la degna sepoltura.

Papa Leone XIII ci dice che, nell’epoca moderna, «accrebbe il male un’usura divoratrice che, sebbene condannata tante volte dalla Chiesa, continua lo stesso, sotto altro colore, a causa di ingordi speculatori» (Rerum novarum, 1891). Attualmente interi Popoli - guidati ordinariamente da inetti governi che svolgono funzioni pressoché ragionieristiche - sono strangolati da “debiti usurai” contratti con moderne entità sovranazionali di dubbia legittimità e gestite da soggetti poco inclini al lavoro.

Carlo Di Pietro da Il Roma 

Preso atto delle premesse esposte nei precedenti articoli, veniamo ai principali danni che il moderno sistema economico - caratterizzato dalla dittatura dell’alta finanza, dall’avidità dei singoli e dalle utopie dell’apostasia socialista - arreca alle anime. Cito sempre il Sommo Pontefice Pio XI e la sua inappellabile Divini Redemptoris (15 maggio 1931): «Tutti restano quasi unicamente atterriti dagli sconvolgimenti, dalle stragi, dalle rovine temporali». Tuttavia, «se consideriamo i fatti con occhio cristiano, com’è dovere, che cosa sono tutti questi mali in paragone della rovina delle anime?».

Senza timore di apparire temerari, diciamo che «tale oggi (è) l’andamento della vita sociale ed economica, che un numero grandissimo di persone trova le difficoltà più gravi nell’attendere a quell’uno necessario all’opera capitale fra tutte, quella della propria salute eterna». Prosegue il Pastore d’anime: «Non possiamo contemplare con indifferenza tale sommo pericolo; che anzi, memori dell’ufficio pastorale, con paterna sollecitudine andiamo di continuo ripensando come recare ad esse aiuto, ricorrendo altresì allo studio indefesso di altri, che vi sono impegnati per debito di giustizia e di carità».

Cosa gioverebbe agli uomini, i quali «con più saggio uso delle ricchezze si rendessero più capaci di fare acquisto anche di tutto il mondo, se poi ne ricevessero danno per l’anima? (cfr. Mt., 15,26)». Che cosa gioverebbe «insegnare loro sicuri princìpi intorno all’economia, se poi si lasciano trascinare dalla sfrenata cupidigia e dal gretto amore proprio a tal segno che, pur avendo udito gli ordini del Signore, abbiano poi a fare tutto all’opposto!».

Fra le principali cause di questo danno spirituale dobbiamo annoverare l’evidente «defezione della vita sociale ed economica dalla legge cristiana e l’apostasia che ne consegue di molti operai - (ingannati dal Socialismo e dal Comunismo) - dalla fede cattolica». Questi mali hanno «la loro radice e la loro fonte negli affetti disordinati dell’anima, triste conseguenza del peccato originale che ha distrutto l’equilibrio meraviglioso delle facoltà umane; sicché l’uomo, facilmente trascinato da perverse cupidigie, viene fortemente spinto ad anteporre i beni caduchi di questo mondo a quelli imperituri del cielo».

Da questo nocivo atteggiamento scaturisce «una sete insaziabile di ricchezze e di beni temporali che, se in ogni tempo fu solita a spingere gli uomini a trasgredire le leggi di Dio e calpestare i diritti del prossimo, oggi, col moderno ordinamento economico, offre alla fragilità umana incentivi assai più numerosi».

Dato che «l’instabilità della vita economica - specialmente del suo organismo - richiede uno sforzo sommo e continuo di quanti vi si applicano, alcuni vi hanno indurito la coscienza a tal segno che si danno a credere lecito l’aumentare i guadagni in qualsiasi modo e difendere poi con ogni mezzo dalle repentine vicende della fortuna le ricchezze accumulate con tanti sforzi».

Questi facili guadagni: «Che l’anarchia del mercato apre a tutti, allettano moltissimi allo scambio e alla vendita, e costoro unicamente agognando di fare guadagni pronti e con minima fatica; con la sfrenata speculazione fanno salire e abbassare i prezzi secondo il capriccio e l’avidità loro, con tanta frequenza, che mandano fallite tutte le sagge previsioni dei produttori». Infine «le disposizioni giuridiche, ordinate a favorire la cooperazione dei capitali, mentre dividono la responsabilità e restringono il rischio del negoziare, hanno dato (pretesto) alla più biasimevole licenza; giacché vediamo che, scemato l’obbligo di (rendere chiari) i conti, viene attenuato il senso di responsabilità nelle anime, e, sotto la coperta difesa di una società che chiamano anonima, si commettono le peggiori ingiustizie e frodi, e i dirigenti di queste associazioni economiche, dimentichi dei loro impegni, tradiscono non rare volte i diritti di quelli di cui avevano preso ad amministrare i risparmi».

Né, per concludere, «si può omettere di condannare quegli ingannatori che, non curandosi di soddisfare alle oneste esigenze di chi si vale dell’opera loro, non si peritano invece di aizzare le cupidigie umane, per venirle poi sfruttando a proprio guadagno».

Tutti questi enormi inconvenienti - prosegue il Pontefice - «non potevano essere emendati, o piuttosto prevenuti, se non da una severa disciplina morale, rigidamente mantenuta dall’autorità sociale. Ma questa - (avendo apostatato dalla fede e scelto la cosiddetta laicità) - purtroppo mancò». Difatti, «avendo il nuovo ordinamento economico cominciato appunto quando le massime del razionalismo erano penetrate in molti e vi avevano messo radici, ne nacque in breve una scienza economica separata dalla legge morale; e, per conseguenza, si lasciò libero il freno alle passioni umane. Quindi avvenne che in molto maggior numero di prima furono quelli che non si diedero più pensiero di altro che di accrescere ad ogni costo la loro fortuna, e, cercando sopra tutte le cose ed in tutto i loro propri interessi, non si fecero coscienza neppure dei più gravi delitti contro gli altri».

I precursori di questa «via larga che conduce alla perdizione (cfr. Mt., 7,13)», trovarono comodamente «molti imitatori della loro iniquità sia per l’esempio della loro appariscente riuscita, sia per il fasto insolito delle loro ricchezze, sia per il deridere che fecero, quasi vittima di scrupoli insulsi, la coscienza altrui, sia infine schiacciando i loro competitori più timorosi». Prosegue …

Carlo Di Pietro da Il Roma 

Papa Pio XI - Divini Redemptoris (15 maggio 1931) - ci ha precedentemente insegnato che «nessuno può essere buon cattolico e contemporaneamente vero socialista». Ha altresì rivendicato, nel medesimo infallibile luogo, il suo dovere pastorale di «mettere in guardia - (quei cristiani concilianti, ndR) - dal danno gravissimo e imminente del Socialismo», ricordando loro che «di cotesto Socialismo è padre bensì il Liberalismo, ma l’erede è e sarà (sempre) il Bolscevismo».

Poste le premesse che abbiamo studiato nelle scorse settimane, Papa Pio XI adesso si rivolge a tutti quei cattolici disertori che - «con tanta aberrazione» - hanno preso posizioni favorevoli o di conciliazione con il Socialismo, pericoloso e camaleontico sistema, intrinsecamente incompatibile con la dottrina cattolica. Il Pontefice, rivolgendosi all’Episcopato del mondo intero ed a tutta la Gerarchia che ha pace e comunione con la Sede Apostolica, prosegue: «Da ciò, venerabili Fratelli, voi potete intendere, con quanto dolore vediamo, in taluni paesi specialmente, non pochi dei Nostri figli - di cui non possiamo persuaderci che abbiano abbandonato del tutto la vera fede e la buona volontà - aver disertato il campo della Chiesa per passare alle file del Socialismo: gli uni professandosi apertamente socialisti e professandone le dottrine; gli altri per indifferenza, o anche con ripugnanza, per aggregarsi alle associazioni che si professano o sono di fatto socialistiche».

Ancora: «Con paterna ansietà Noi andiamo pensando e investigando come sia potuta accadere una tanta aberrazione, e Ci sembra di sentire che molti di essi Ci rispondano a loro scusa: “La Chiesa e quelli che alla Chiesa si proclamano più aderenti, favoriscono i ricchi, trascurando gli operai e non se ne danno pensiero alcuno”: perciò questi hanno (ritenuto doveroso), al fine di provvedere a sé, aggregarsi alle schiere dei socialisti».

Papa Pio XI prosegue biasimando quegli avidi che si spacciano per cattolici: «Ed è questa, senza dubbio, cosa ben lacrimevole, venerabili Fratelli, che vi siano stati e ancora vi siano di quelli che, (pur) dicendosi cattolici, quasi non ricordino la legge sublime della giustizia e della carità, la quale non solamente ci prescrive di dare a ciascuno quello che gli tocca, ma ancora di soccorrere ai nostri fratelli indigenti come a Cristo medesimo (Lett. di S. Giacomo, c. 2); e, cosa ancora più grave, per ansia di guadagno non temono di opprimere i lavoratori». E c’è pure «chi abusa della religione stessa, facendo del suo nome un paravento alle proprie ingiuste vessazioni per potersi sottrarre alle rivendicazioni pienamente giustificate degli operai».

Arriva la condanna: «Noi non cesseremo mai di riprovare una simile condotta; poiché sono costoro la causa per cui la Chiesa, senza averlo (assolutamente) meritato, ha potuto avere l’apparenza, e quindi essere accusata, di prendere parte per i ricchi e di non aver alcun senso di pietà per le pene di quelli che si trovano come diseredati della loro parte di benessere in questa vita. Ma che questa apparenza e questa accusa sia immeritata ed ingiusta, tutta la storia della Chiesa dà testimonianza; e l’Enciclica stessa, di cui celebriamo l’anniversario (il 40° della Rerum novarum di Papa Leone XIII - sulla ricostruzione dell’ordine sociale, ndR), è la più splendida prova della somma ingiustizia di simili contumelie e calunnie, lanciate contro la Chiesa ed i suoi insegnamenti».

Infine il Sommo Pontefice rivolge un paterno invito a ritornare nella fede e nel grembo della Chiesa: «Per quanto provocati dagli insulti e trafitti nel cuore di padre, siamo ben lungi dal rigettare da Noi questi figli (disertori, ndR), sebbene così miseramente traviati e lontani dalla verità e dalla salvezza. Con tutto l’ardore anzi e con tutta la più viva sollecitudine li invitiamo a ritornare al materno seno della Chiesa. E Dio faccia che prestino orecchio alla Nostra voce!» I disertori ritornino «donde sono partiti, alla casa cioè del Padre e ivi perseverino dove è il loro proprio luogo, tra le file cioè di quelli che, seguendo gli insegnamenti di Leone XIII da Noi ora solennemente rinnovati, si studiano di restaurare la società secondo lo spirito della Chiesa, rassodandovi la giustizia e la carità sociale».

Atteso, dunque, che il Socialismo poggia soprattutto su queste calunnie, i disertori «si persuadano che non potranno mai trovare altrove una felicità maggiore, anche su questa terra, se non vicino a Colui che per amore nostro “essendo ricco, diventò povero, affinchè dalla povertà di Lui diventassimo ricchi” (II Cor., 8, 9), che fu povero e in mezzo alle fatiche fino dalla sua giovinezza, che invita a sé tutti gli oppressi dalla fatica e dalle afflizioni per dar loro un pieno conforto nella carità del suo Cuore (Mt., 11, 28); e che infine, senza accettazione di persone, richiederà di più da quelli ai quali avrà dato di più (cfr. Luc., 12, 48), e renderà a ciascuno secondo il proprio operato (Mt., 16, 27)».

Infine il Papa comanda il rinnovamento dei costumi, poiché «se consideriamo la cosa con più diligenza e più a fondo, chiaramente vediamo che a questa tanto desiderata restaurazione sociale deve precedere l’interno rinnovamento dello spirito cristiano, dal quale purtroppo si sono allontanati tanti di coloro che si occupano di cose economiche» altrimenti «tutti gli sforzi cadranno a vuoto, non costruendosi l’edificio sulla roccia, ma su la mobile arena (cfr. Mt., 7, 24)». Prosegue …

Carlo Di Pietro da Il Roma 

La scorsa settimana Papa Pio XI - Divini Redemptoris (15 maggio 1931) - ci ha spiegato le principali differenze fra Comunismo e Socialismo, le intrinseche incompatibilità col Cattolicesimo, concludendo con la sentenza: «Nessuno può essere buon cattolico e contemporaneamente vero socialista». Alcuni sostengono che il Socialismo, rispetto alla lotta di classe ed alla proprietà privata, sia realmente così mitigato e corretto da non aver più nulla che gli si possa rimproverare.

Risponde il Pontefice: «Ha con ciò forse rinunziato ai suoi princìpi, alla sua natura contraria alla religione cristiana? Qui sta il punto, su cui molte anime si trovano esitanti. E non pochi sono pure i cattolici, i quali ben conoscendo come i princìpi cristiani non possono essere né abbandonati, né cancellati, sembrano rivolgere lo sguardo a questa Santa Sede e domandare con ansia, che decidiamo se questo Socialismo si sia ricreduto dei suoi errori a tal segno, che senza pregiudizio di nessun principio cristiano, si possa ammettere e in qualche modo battezzare».

Arriva un’altra sentenza: «Ora per soddisfare, secondo la Nostra sollecitudine paterna, a questi desideri, proclamiamo che il Socialismo - sia considerato come dottrina, sia considerato come fatto storico, sia come “azione” - non può conciliarsi con gli insegnamenti della Chiesa cattolica. Giacché il suo concetto della società è quanto può dirsi opposto alla verità cristiana».

Spiega: 1) Secondo la dottrina cristiana, «il fine per cui l’uomo, dotato di una natura socievole, si trova su questa terra, è questo che, vivendo in società e sotto un’autorità sociale ordinata da Dio (cfr. Rom., 13,1), coltivi e svolga pienamente tutte le sue facoltà a lode e gloria del Creatore; e adempiendo fedelmente i doveri della sua professione o della sua vocazione, qualunque sia, giunga alla felicità temporale ed insieme alla eterna». Il Socialismo al contrario, «ignorando o trascurando del tutto questo fine sublime, sia dell’uomo come della società, suppone che l’umano consorzio non sia istituito se non in vista del solo benessere».

2) I socialisti deducono che «l’attività economica, nella quale essi considerano solamente il fine materiale, deve per necessità essere condotta socialmente. E da siffatta necessità, secondo essi, deriva che gli uomini sono costretti, per ciò che riguarda la produzione, a sottomettersi interamente alla società; anzi, il possedere una maggiore abbondanza di ricchezze che possa servire alle comodità della vita, è stimato tanto che gli si debbono posporre i beni più alti dell’uomo, specialmente la libertà, sacrificandoli tutti alle esigenze di una produzione più efficace».

3) Questo pregiudizio dell’ordinamento “socializzato” della produzione portato alla dignità umana: «Essi credono che sarà largamente compensato dall’abbondanza dei beni, che gli individui ne ritrarranno per poterli applicare alle comodità e alle convenienze della vita secondo i loro piaceri. La società dunque, qual è immaginata dal Socialismo, non può esistere né concepirsi disgiunta da una costrizione veramente eccessiva, e d’altra parte resta in balia di una licenza non meno falsa, perché mancante di una vera autorità sociale: poiché questa non può fondarsi sui vantaggi temporanei e materiali, ma solo può venire da Dio Creatore e fine ultimo di tutte le case». Pio XI ha appena citato la Diuturnum di Leone XIII (9 giugno 1881).

4) Che «se il Socialismo, come tutti gli errori, ammette pure qualche parte di vero (il che del resto non fu mai negato dai Sommi Pontefici), esso tuttavia si fonda su una dottrina della società umana, tutta sua propria e discordante dal vero cristianesimo. “Socialismo religioso” e “Socialismo cristiano” sono dunque termini contraddittori: nessuno può essere buon cattolico ad un tempo e vero socialista».

5) Tutte queste verità pertanto - continua il Pontefice - «da Noi richiamate e confermate solennemente con la Nostra autorità, si debbono applicare del pari a una totale nuova forma o condotta del Socialismo poco nota finora in verità, ma che al presente si va diffondendo tra molti gruppi di socialisti. Esso attende soprattutto a informare di sé gli animi e i costumi; particolarmente alletta sotto colore di amicizia la tenera infanzia per trascinarla seco, ma abbraccia altresì la moltitudine degli uomini adulti; per formare in fine “l’uomo socialistico”, sul quale vuole appoggiare l’umana società plasmata secondo le massime del Socialismo».

6) Sennonché - insiste - «avendo Noi spiegato già largamente nella Nostra enciclica Divini illius Magistri (31 dicembre 1929) su quali princìpi si fondi e quali fini intenda l’educazione cristiana, è tanto chiaro ed evidente che ad essi contraddice quanto fa e cerca il Socialismo educatore, che non occorre altra dichiarazione. Ma quanto siano gravi e terribili i pericoli che questo Socialismo porta seco, sembra che l’ignorino o non vi diano gran peso coloro che non si curano punto di resistervi con zelo e coraggio secondo la gravità della cosa. È Nostro dovere pastorale quindi mettere costoro in guardia dal danno gravissimo e imminente, e si ricordino tutti che di cotesto Socialismo educatore è padre bensì il Liberalismo, ma l’erede è e sarà il Bolscevismo».

La prossima settimana impareremo le condanne del Pontefice contro la diserzione di alcuni cattolici verso il Socialismo. Prosegue ...

Carlo Di Pietro da Il Roma 

Nelle precedenti settimane si è accennato alle cause del Socialismo, veniamo adesso alle sue trasformazioni. Papa Pio XI nella Divini Redemptoris (15.5.1931) rivendica la feconda lotta del sommo Pontefice Leone XIII contro i princìpi dottrinali e, dunque, contro tutto il funesto sistema che suole farsi chiamare socialista. Tuttavia, asserisce Pio XI, «ora (questo sistema) va diviso in due partiti principali, discordanti per lo più fra loro e (dichiaratisi) inimicissimi, ma pur tali che nessuno dei due si scosta dal fondamento proprio di ogni socialismo, e contrario alla fede cristiana».

Il Pontefice distingue in - Socialismo più violento o Comunismo; e - Socialismo più mite ma sempre contrario alla fede cristiana.

Prima forma di Socialismo, cito dalla Divini Redemptoris: «Un partito infatti del Socialismo andò soggetto alla trasformazione stessa che abbiamo spiegato sopra (ne ho parlato sul Roma la scorsa settimana, ndR), rispetto all’economia capitalistica, e precipitò nel Comunismo; il quale insegna e persegue due punti - né già per vie occulte o per raggiri, ma alla luce aperta e con tutti i mezzi, anche più violenti - una lotta di classe la più accanita e l’abolizione assoluta della proprietà privata. E nel perseguire i due intenti non v’è cosa che esso non ardisca, niente che rispetti: e dove si è impadronito del potere, si dimostra tanto più crudele e selvaggio, che sembra cosa incredibile e mostruosa. Di ciò sono prova le stragi spaventose e le rovine che esso ha accumulato sopra vastissimi paesi dell’Europa Orientale e dell’Asia». Prosegue: «Quanto poi sia nemico dichiarato della santa Chiesa, e di Dio stesso, è cosa purtroppo dimostrata dall’esperienza ed a tutti notissima. Non crediamo perciò necessario premunire i figli buoni e fedeli della Chiesa contro la natura empia e ingiusta del Comunismo; ma non possiamo tuttavia, senza un profondo dolore, vedere l’incuria e l’indifferenza di coloro che mostrano di non dar peso ai pericoli imminenti, e con una passiva fiacchezza lasciano che si propaghino per ogni parte quegli errori, da cui sarà condotta a morte la società tutta intera con le stragi e la violenza. Ma soprattutto meritano di essere condannati coloro che trascurano di sopprimere o trasformare quelle condizioni di cose, che esasperano gli animi dei popoli e preparano con ciò la via alla rivoluzione e alla rovina della società».

Dunque il Papa biasima il Comunismo, ma non risparmia l’anatema contro quei cosiddetti “liberali” - lo abbiamo imparato nelle precedenti settimane - che preparano la strada alla rivoluzione: oggigiorno l’evidenza storica può solo attestare quanto fu ed è verace l’oracolo del Signore.

Veniamo alla seconda forma di Socialismo, definito dal Papa «più mite ma sempre contrario alla fede cristiana», cito dal medesimo luogo: «Più moderato è l’altro partito che ha conservato il nome di socialismo; giacché non solo professa di rigettare il ricorso alla violenza, ma se non ripudia la lotta di classe e l’abolizione della proprietà privata, la mitiga almeno con attenuazioni e temperamenti. Si direbbe quindi che, spaventato dei suoi princìpi e delle conseguenze che ne trae il Comunismo, il Socialismo si pieghi e in qualche modo si avvicini a quelle verità che la tradizione cristiana ha sempre solennemente insegnate; poiché non si può negare che le sue rivendicazioni si accostino TALVOLTA, e molto da vicino, a quelle che propongono a ragione i (veri) riformatori cristiani della società».

Prosegue e precisa: «Tuttavia NON si deve credere che quei partiti o gruppi di socialisti, che non sono comunisti, si siano ricreduti tutti a tal segno, o di fatto o nel loro programma. No, perché essi per lo più, non rigettano né la lotta di classe (che è un male per l’ordine sociale, ndR), né l’abolizione della proprietà (che è una mostruosa violazione della legge di natura, ndR), ma solo la vogliono in qualche modo mitigata. Sennonché, essendosi i loro falsi princìpi così mitigati ed in qualche modo cancellati (o verosimilmente occultati, ndR), ne sorge, o piuttosto viene mosso da qualcuno, il dubbio: se per caso anche i princìpi della verità cristiana non si possano in qualche modo mitigare o temperare, per andare così incontro al socialismo e quasi per una via media accordarsi insieme. E (sono coloro) che nutrono la vana speranza di trarre a noi in questo modo i socialisti».

Arriva la sentenza del Papa: «Vana speranza, diciamo. Quelli, infatti, che vogliono essere apostoli tra i socialisti, devono professare apertamente e sinceramente, nella sua pienezza e integrità, la verità cristiana, ed in nessuna maniera usare connivenza con gli errori. Che, se veramente vogliono essere banditori del Vangelo, devono studiarsi anzitutto di far vedere ai socialisti che le loro rivendicazioni, in quanto hanno di giusto, si possono molto più validamente sostenere coi princìpi della fede cristiana e molto più efficacemente promuovere con le forze della cristiana carità».

Posta l’evidenza sulle manifeste incompatibilità fra Socialismo e Cristianesimo (ovvero Cattolicesimo), il Vicario di Cristo solennemente conclude: «Socialismo religioso e socialismo cristiano sono termini contraddittori e nessuno può essere buon cattolico ad un tempo (ossia contemporaneamente, ndR) e vero socialista». Prosegue…

Carlo Di Pietro da Il Roma 

Ciò che ferisce gli occhi - afferma Papa Pio XI nella Divini Redemptoris (15.05.1931)- è che «ai nostri tempi non vi è solo concentrazione della ricchezza (e disporre di ricchezza non è affatto un male in sé: “Non può esservi capitale senza lavoro, né lavoro senza capitale”, cfr. Rerum novarum, n. l5), ma l’accumularsi altresì di una potenza enorme, di una dispotica padronanza dell’economia in mano di pochi, e questi sovente neppure proprietari, ma solo depositari e amministratori del capitale, di cui essi però dispongono a loro grado e piacimento».

Questo potere - prosegue il Pontefice - diventa «più che mai dispotico in quelli che, tenendo in pugno il danaro, la fanno da padroni; onde sono in qualche modo i distributori del sangue stesso, di cui vive l’organismo economico, e hanno in mano, per così dire, l’anima dell’economia, sicché nessuno, contro la loro volontà, potrebbe nemmeno respirare».

Questa concentrazione di forze e di potere nelle mani di pochi uomini che hanno in odio il sudore della fronte (cfr. Genesi, III, 19), «che è quasi la nota specifica della economia contemporanea, è il frutto naturale di quella sfrenata libertà di concorrenza che lascia sopravvivere solo i più forti, cioè, spesso i più violenti nella lotta e i meno curanti della coscienza».

Questa innaturale concentrazione delle ricchezze e del potere «genera tre specie di lotte per il predominio: 1) Dapprima si combatte per la prevalenza economica; 2) Poi ci si contrasta accanitamente per il predominio sul potere politico, per valersi delle sue forze e della sua influenza nelle competizioni economiche; 3) Infine si lotta tra gli stessi Stati, o perché le nazioni adoperano le loro forze e la potenza politica per promuovere i vantaggi economici dei propri cittadini, o perché applicano il potere e le forze economiche per troncare le questioni politiche sorte fra le nazioni».

Le ultime conseguenze di questo spirito individualistico nella vita economica sono: 1) «La libera concorrenza si è da se stessa distrutta»; 2) «Alla libertà del mercato è sottentrata l’egemonia (della finanza)»; 3) «Alla bramosia del lucro è seguita la sfrenata cupidigia del predominio»; 4) «Infine tutta l’economia è così divenuta orribilmente dura, inesorabile, crudele».

A tutte queste funestissime conseguenze - insiste Pio XI - «si aggiungono i danni gravissimi che sgorgano dalla deplorevole confusione delle ingerenze e servizi propri dell’autorità pubblica con quelli della economia stessa». Per citarne uno solo tra i più importanti: «L’abbassarsi della dignità dello Stato, che si fa servo e docile strumento delle passioni e ambizione umane, mentre dovrebbe assidersi quale sovrano e arbitro delle cose, libero da ogni passione di partito e intento: a) al solo bene comune; b) alla giustizia (due verità oggettive, ndR)».

Nell’ambito delle relazioni internazionali, «da una stessa fonte sgorgò una doppia corrente»: 1) «Da una parte, il nazionalismo o anche l’imperialismo economico»; 2) «Dall’altra non meno funesto ed esecrabile, l’internazionalismo bancario o imperialismo internazionale del denaro, per cui la patria è dove si sta bene».

Essendo, pertanto, «l’ordinamento economico moderno fondato particolarmente sul capitale e sul lavoro, devono essere conosciuti e praticati i precetti della retta ragione, ossia della filosofia sociale cristiana, concernenti i due elementi menzionati e le loro relazioni». In questo modo, «per evitare l’estremo dell’individualismo da una parte, come del socialismo dall’altra, si dovrà soprattutto avere riguardo del pari alla doppia natura, individuale e sociale propria, tanto del capitale o della proprietà, quanto del lavoro».

Le relazioni fra capitale, proprietà e lavoro «devono essere regolate secondo le leggi di una esattissima giustizia commutativa, appoggiata alla carità cristiana. È necessario che la libera concorrenza, confinata in ragionevoli e giusti limiti, e più ancora che la potenza economica siano di fatto soggetti all’autorità pubblica, in ciò che concerne l’ufficio di questa». Infine «le istituzioni dei popoli dovranno venire adattando la società tutta quanta alle esigenze del bene comune cioè alle leggi della giustizia sociale (le leggi cristiane e della retta ragione, ndR); onde seguirà necessariamente che una sezione così importante della vita sociale, qual è l’attività economica, verrà a sua volta ricondotta ad un ordine sano e bene equilibrato».  

Orbene, Papa Leone XIII «adottò ogni mezzo per disciplinare questo ordinamento economico (capitale - lavoro, ndR), secondo le norme della rettitudine; sicché è evidente che esso non è in sé da condannarsi (altrimenti il venerando Pontefice non lo avrebbe semplicemente disciplinato, ma anatematizzato, ndR)». E infatti non è di sua natura vizioso: «Però viola il retto ordine, quando il capitale vincola a sé gli operai, ossia la classe proletaria, col fine e con la condizione di sfruttare a suo arbitrio e vantaggio le imprese e quindi l’economia tutta, senza far caso, né della dignità umana degli operai, né del carattere sociale dell’economia, né della stessa giustizia sociale e del bene comune».

Prosegue la prossima settimana: Il Pontefice, dopo averne smascherato le cause, spiega le ragioni dell’avvento del Socialismo: «Che nel perseguire i suoi intenti non v’è (malvagità) che non (usi), niente che rispetti: e dove si è impadronito del potere, si dimostra tanto più crudele e selvaggio, che sembra cosa incredibile e mostruosa».

Carlo Di Pietro da Il Roma 

Papa Leone XIII, di veneranda memoria, ci insegna nella Immortale Dei del 1° novembre 1890: «L’uomo è naturalmente ordinato alla società civile; poiché non potendo nell’isolamento (ordinariamente) procacciarsi da sé il necessario alla vita, né raggiungere la perfezione intellettuale e morale, per disposizione della divina Provvidenza nasce atto a congiungersi e a riunirsi con gli altri uomini, tanto nella società domestica quanto nella società civile, la quale sola può fornirgli tutto quanto basta perfettamente alla vita».

Poiché «non può reggersi alcuna società, senza qualcuno che sia a capo di tutti e che spinga ciascuno, con efficace e coerente impulso, verso un fine comune, ne consegue che alla convivenza civile è necessaria un’autorità che la governi: e questa, non diversamente dalla società, proviene dalla natura e perciò da Dio stesso». Per conseguenza: «Il potere pubblico per se stesso non può provenire che da Dio».

Il medesimo Pontefice, di imperitura memoria, asserisce nella Sapientiae Christianae del 10 gennaio 1890: «Tutta la natura sensibile, il possesso dell’energia e dell’agiatezza, (tutti quei i frutti del moderno progresso), se possono generare comodità e aumentare la dolcezza della vita, non possono soddisfare l’anima che è nata per destini più grandi e più alti. (…) Non si va a Dio con le tendenze e le esigenze del corpo, bensì con la conoscenza e l’affetto che sono atti dell’anima. È Dio, infatti, la prima e suprema verità, e la nostra mente non si pasce che di verità: alla santità perfetta e al sommo bene può aspirare e accedere soltanto la nostra volontà sotto la guida della virtù».

Ciò premesso: «Quanto (si è appena detto) dei singoli uomini, deve essere riferito anche alla società, sia domestica, sia civile. (La società non è stata creata) perché l’uomo la seguisse come un fine, ma affinché in essa e per essa trovasse gli aiuti adatti alla propria perfezione. Se la società civile persegue unicamente le comodità esteriori e il culto della vita nel lusso e nell’abbondanza; se ignora Dio nella vita amministrativa e non si cura delle leggi morali, essa devia terribilmente dal suo scopo e da quanto la natura prescrive: (allora) non può essere considerata società e comunità di uomini ma un ingannevole simulacro e parodia di società».

Ci avverte: «Germe della società è la famiglia e le sorti della società si formano in gran parte fra le pareti domestiche». Pertanto: «Coloro che vogliono strappare la società dal Cristianesimo, partono dalle radici e si affrettano a corrompere la famiglia».

Papa Pio XII, il 21 febbraio 1946, insegna al Sacro Collegio: «L’Apostolo dice dei Cristiani che non sono più “bambini vacillanti” dall’andatura incerta in mezzo alla società umana. Pio XI - nella sua Enciclica sull’ordine sociale Quadragesimo anno - ne traeva a conclusione che “ciò che gli uomini singoli possono fare da sé e con le proprie forze, non deve essere loro tolto e rimesso alla comunità; principio che vale ugualmente per le comunità minori e di ordine inferiore di fronte alle maggiori e più alte. Poiché ogni attività sociale è per sua natura sussidiaria; essa deve servire di sostegno per i membri del corpo sociale, e non mai distruggerli ed assorbirli”. Parole veramente luminose, che valgono per la vita sociale in tutti i suoi gradi, ed anche per la vita della Chiesa, senza pregiudizio della sua struttura gerarchica».

Papa Pio XII cita il suo predecessore, che nella Quadragesimo anno aggiunge: «È vero certamente e ben dimostrato dalla storia, che, per la mutazione delle circostanze, molte cose non si possono più compiere se non da grandi associazioni, laddove prima si eseguivano anche delle piccole». Tuttavia «deve restare saldo il principio importantissimo nella filosofa sociale: che siccome è illecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le forze e l’industria propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere a una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare». Dunque insegna che «l’oggetto naturale di qualsiasi intervento della società stessa è quello di aiutare in maniera suppletiva le membra del corpo sociale, non già distruggerle e assorbirle» (15 maggio 1931).

Quindi il Pontefice usa Leone XIII: «Se un rimedio si vuole dare alla società umana, questo non sarà altro che il ritorno alla vita e alle istituzioni cristiane (dalla Enciclica Rerum novarum, n° 22, 15 maggio 1891). Giacché questo solo può distogliere gli occhi degli uomini affascinati e al tutto immersi nelle cose transitorie di questo mondo, e innalzarli al cielo: questo solo può portare efficace rimedio alla troppa sollecitudine per i beni caduchi, che è l’origine di tutti i vizi. Del quale rimedio chi può negare che la società umana non abbia al presente un sommo bisogno?».

[Cfr. anche Dizionarietto di Dottrina politica dei Papi (Ed. L’alleanza italiana, 1960, Vol. 1, pag. 176 segg.)].

Si è parlato brevemente della collettività naturale e civile, della sua natura e dei suoi fini: contro i conati del fu Socialismo, oggi spirito del cosiddetto “Catto-Comunismo” ossia Modernismo sociale.

Carlo Di Pietro da Il Roma 

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