Ma e non sarebbe egli a credere, che i clericali veggano di mal occhio lo Statuto per i privilegi, che per essi furono loro levati? Niente meno. Imperciocché il solo privilegio, di cui vadano privi dopo lo Statuto, è il privilegio del foro; ma la conservazione di questo loro non preme gran fatto, come lo mostrarono chiaro allora, che si trattava di sopprimerlo. Tornate col pensiero a’ quei tempi, riandate le cose che si dissero nelle Camere dai clericali, esaminate l’indirizzo dell’Episcopato al Senato del Regno, e troverete che tutti i discorsi erano volti a persuadere le Camere, a rispettare il Concordato, che esiste tra Roma e Casa Savoia, e a non distruggerlo senza aver presa la necessaria intelligenza colla Santa Sede, come vuole giustizia ed il bene della società, il quale molto dipende dalla buona fede e dalla lealtà, con cui si osservano i patti. Dunque l’odio dei clericali contro lo Statuto esiste nella sola immaginazione dei liberali, i quali, quando vogliono spogliare la Chiesa dei suoi beni per questa colpa loro attribuita, se hanno per lo Statuto quella riverenza, di cui dicono mancare i sacerdoti, debbono a mente del medesimo formare loro un processo, convincerli dei loro demeriti verso lo Statuto, dimostrarli colpevoli prima di punirli colla sottrazione dei loro beni; altrimenti facendo, sono ingiusti, e operano contro quello Statuto medesimo, per cui vantano tanta tenerezza. Finalmente, se desiderate la confessione politica dei clericali, ve la fò per tutti, e non la sbaglio. I clericali non amano più una forma di governo che un’altra; essi sono disposti a conscienziosamente seguire ed obbedire a qualunque governo si succeda, purché ciò segua legittimamente, come legittimamente passammo dalla Monarchia assoluta alla costituzionale. Anche nei governi antichi repubblicani di Genova, Venezia, e altrove in Italia, i clericali si trovarono bene; e quelli Stati non caddero certamente per cospirazioni e rivolte dei clericali, che ne erano forse i più quieti e fedeli cittadini. Quello ch’essi domandano, si è, che la Religione sia rispettata, il decoro degli ecclesiastici mantenuto per il bene della Religione stessa e dei popoli, si promuova tra questi la moralità, senza di cui niuna nazione fiorisce, si metta un argine ai delitti, onde siano rari il più che si possa; e finalmente tutto questo si ottenga col minore possibile dispendio, sicché il danaro che i cittadini sudano a raccogliere per i loro bisogni, non si sciupi, non si disperda inutilmente, e i milioni non svaniscano, e non si sappia dove siano finiti. Questi sono i voti sinceri dei clericali: chi si sentirebbe il coraggio di respingerli, e nutrirne dei contrarli? Conchiudiamo, e ritorniamo là, donde siamo partiti. I beni della Chiesa non sono della nazione, non vi è motivo plausibile per toglierli a quella; epperò ben istanno le scomuniche stabilite dalla Chiesa stessa contro di coloro, che osino ai detti beni stendere la mano rapace.

Questione XXVII. Dal Catechismo cattolico sulle rivoluzioni, S. Sordi, De Agostini, Torino, 1854. SS n° 8, p. 5