Che regola avrà dunque a tenere l’umana giustizia? Imitare per quanto può la Divina. Dio, secondo l’ordine della Sua sapienza talvolta immediatamente punisce di morte gli empi a sollevamento dei giusti; e tal altra concede loro spazio di penitenza, secondo che ciò vede giovevole ai suoi eletti. Non altrimenti, a proporzione del Suo potere, fa l’umana giustizia: que’ che sono al mondo di grave rovina, condannagli a morte; e quegli altri che son rei, è vero, ma non gravemente nocevoli al ben comune, conservagli a ravvedimento (Inoltre si vuol notare la gran disparità, che passa fra l’umana e la divina giustizia. Questa (la divina) ha due tribunali, l’uno nella vita presente, l’altro nella futura: ciò che non punisce nel primo, punisce nel secondo. All’opposto quella (l’umana) non ne ha che uno; ciò che non punisce di qua, per lei rimane impunito. Secondariamente la divina giustizia non mai rimette la colpa senza il pentimento verace, che importa la mutazione della volontà nel colpevole; e nel conoscere una tal mutazione essa è infallibile: l’umana non ha, né può avere in nessun caso argomento infallibile sulla mutazione de’ colpevoli; e credendola, resta il più delle volte ingannata. In terzo luogo, la divina giustizia, col differire benignamente la pena, non può temere né che la scappi il colpevole, né che arrechi nell’ordine della sua provvidenza danni o impreveduti o irreparabili, perché non farà mai più di quello ch’essa vorrà permettergli. Non così l’umana, alla quale e può sfuggire il colpevole, e può costui, sia coll’esempio, sia coi fatti, apportare danni inaspettatissimi e all’umano potere irrimediabili).

Ond’è che da mezzo secolo e più si sono tanto esaltate, amplificate, invocate senza alcun limite le idee di clemenza? Perché da mezzo secolo e più, con una ostinazione infernale ed ignota all’età passate, si lavora continuamente a rovesciare i troni e gli altari, e quindi alla distruzione della società. E stata l’inumanità, la ferocia, la sete delle stragi, e delle catastrofi dell’uman genere, la quale, per assicurarsi di non trovar più alcun argine nell’umana giustizia alla piena de’ mali, con che tenta d’inondare la terra, si è studiata di alterare l’opinion pubblica, a segno di far credere, che nel Principe non debba tenere lo scettro che la clemenza, e che ogni atto di giustizia lo costituisca un Nerone.

Trarrebbe forse origine dalla stessa fonte la tattica sì frequente di cominciar le rivolte per opra dei giovani? È di veduta non pur corta, ma ottusa chi non lo vede. Vogliono i tristi consumare il delitto e non esporsi ai colpi della giustizia: perciò fan che si tenti l’impresa per man de’ giovani. Se riesce, han conseguito il lor fine, ed escono senza paura a coglierne il frutto. Se non riesce, pretendono che si riguardi come un’imprudenza puerile, o al più come un semplice fallo di giovani inconsiderati, che non ha né significazione, né scopo, né conseguenze.

E la carità che tanto predicano? Viene dallo stesso principio. E questa la carità che ne’ guardiani vorrebbe il lupo, di lasciar cioè lui vivo, e non curarsi della strage che reca all’ovile.

Che dovrem dunque conchiudere? Che in tutto ciò che concerne il ben comune degli uomini, vera clemenza è usare della giustizia, e massimamente dove si tratti di esterminare i nemici della Religione, della sovranità, della natura; e che però quando il Principe opera in questa guisa, allor più che mai dimostra un amor forte verso de’ sudditi, e merita da essi maggiore stima e maggiore riconoscenza. ...

Questioni XL - XLIV. Dal Catechismo cattolico sulle rivoluzioni, S. Sordi, De Agostini, Torino, 1854. SS n° 12, p. 6