Più difficile vi sarà forse d’assegnarne anche la ragion naturale, mercé che naturalmente il cuor umano si doma piuttosto colla dolcezza che col rigore, col cedere anzi che coll’urtare. Io voglio al contrario, che la ragion naturale vi riesca niente meno evidente della divina. Attendete: se uno macchina di esterminarvi dal mondo, perché si tiene contrariato da voi, o perché, povero di facoltà, agogna d’arricchirsi collo spogliarvi, o perché, stimolato dall’ambizione, crede di non poter sollevarsi, se non sulla vostra rovina; non sarà gran fatto, che voi gli togliate dall’animo sì pessima risoluzione col perdere qualche cosa, affine di pur mostrarvi benefico verso di lui, o di consolare la sua povertà, o di appagare la sua ambizione. In simili congiunture il principio di non far peggio può esser giovevole alla vostra causa. Ma se posseduto, da un reo demonio, l’ultimo fine della sua scelleratezza è precisamente lo sterminarvi, il vostro studio, se avete senno, tutto si dee rivolgere a impossibilitargli la guerra, che vi ha giurata; mentre quanto qui cedesi, torna in pregiudizio del cedente, ed a vantaggio di quello al quale è ceduto; e questi non avendo altro fine che la vostra rovina, considera ogni concession vostra ed ogni suo guadagno, siccome un mezzo, che lui rende più forte e voi più debole al meditato trionfo. Venendo ora al nostro proposito, le odierne sette sono possedute da un odio indicibilissimo del sommo bene, che Dio: le tormenta una sete infernale di distruggerne ogni rappresentazione, ogni immagine, ogni memoria: di qui l’odio inestinguibile contro la religione, in cui più che in qualunque altra cosa riluce la sua maestà e i suoi attributi; l’odio contro la sovranità che rappresenta il poter di Dio sulla terra; l’odio contro la gerarchia, che rappresenta l’ordine della divina Provvidenza; l’odio contro le leggi, che sono una partecipazione della legge eterna; l’odio fui per dir d’ogni bene, in quanto può ricordarci la prima fonte, da cui emana, che è Dio. Gli avanzamenti, gli onori, le dignità, le ricchezze sono appetite bensì grandemente, ma sol come mezzi necessarissimi per giungere allo sfogo di quell’odio, che sì le cuoce contro Dio, contro la religione, contro la sovranità, contro la gerarchia, contro le leggi, contro ogni bene. Parlo delle sette, e non di ciascuno dei suoi membri in particolare. Che questo sia lo spirito proprio delle sette moderne, nel comprova più del bisogno l’esperienza insiem colla storia. Abbiam veduto questi mostri tartarei giunti alle dignità più sublimi, e al possesso d’immense ricchezze: è cessata per questo la guerra contro la Chiesa ed i Principi, o non è anzi incomparabilmente cresciuta?... I membri poi, per quanto la loro indole non sia indiavolata fino a questo segno, non sono mai di se stessi, ma delle sette, in virtù d’una obbedienza più stretta assai e più cieca della religiosa; onde quanto loro si dona, è donato alle sette. Sicché dove i benefizi fatti alle sette tornano a danno del benefattore, tal sarà pure dei benefizi, che si compartono ai membri. Dunque le transazioni, le indulgenze, le concessioni non solo non acquieteranno mai la lor rabbia, ma l’accenderanno vie maggiormente, finché vi resti un’ombra di bene, che le tormenti. E però il principio di non far peggio in ordine alle sette rivoluzionarie, al lume della sana ragione risolvesi in questo assurdo, che bisogna concedere molte legna all’incendio, perché risparmii la casa. ...

Questione XLVII. Dal Catechismo cattolico sulle rivoluzioni, S. Sordi, De Agostini, Torino, 1854. SS n° 14, p. 6