L’aborto è diretto, quando l’espulsione del feto è voluta come mezzo per qualsiasi scopo (come, ad es., per salvare la vita della madre che sta in pericolo a causa della gravidanza) o quando è inteso come fine. Perciò c’è sempre aborto diretto, quando si espelle il feto o si interrompe la gravidanza. (...) L’aborto diretto è un peccato grave e un atto intrinsecamente cattivo. Prove: a) È un caso speciale di omicidio: dunque proibito dal quinto precetto; b) La tradizione e la dottrina della Chiesa lo condannano; c) Il feto è un uomo, creatura intellettuale, distinto dalla madre. È dunque soggetto di diritti naturali e perciò ha il diritto alla vita. Chi espelle il feto dall’utero, lo priva della condizione necessaria per la vita, come chi chiude la gola a un uomo, mettendolo in condizione di non poter respirare. È una violazione del diritto alla vita. Ne segue quindi che ogni aborto diretto non può mai essere giustificato.
Si obietta: a) L’estrema necessità rende lecite molte cose. Rispondiamo: Molte, ma non tutte. Se, ad es., una cosa è proibita da una legge, circostanze straordinarie possono far cessare il diritto come l’estrema necessità fa cessare il diritto di proprietà privata, in quanto esso impedisce a un altro di salvarsi dalla necessità. Ma ci sono dei diritti inalienabili. Tale è il diritto alla vita (dell’innocente) che non può mai perdersi. Le vite umane non sono cose utili a tutti, come i beni materiali, ma ognuna ha la vita come parte costituente della propria persona;
b) Se il feto fosse consapevole della sua posizione, consentirebbe, rinunziando al diritto suo, per salvare la propria madre. Si ha così il consenso prudentemente presunto. Rispondiamo: Nessun uomo ha facoltà di rinunziare al diritto alla vita, perché non ha il diritto di disporre della propria vita (v. Suicidio). Il consenso espresso [es. Testamento biologico], essendo invalido, non avrebbe nessun effetto. Dunque anche il consenso presunto non basta per giustificare l’aborto;
c) Il feto è aggressore ingiusto; la madre ha il diritto di difendersi. Rispondiamo: Il feto non fa nessun atto illegittimo, per cui non può essere aggressore ingiusto;
d) È meglio che uno solo perda la vita che due. È giusto scegliere il male minore. Rispondiamo: Non si tratta di scegliere tra l’uccidere un essere o ucciderne due, ma tra ucciderne uno o non impedire la morte di due. (...) Un vantaggio immediato, ottenuto mediante una trasgressione, non prova che la legge proibitiva assoluta non sia a vantaggio dell’umanità. L’esistenza della proibizione assoluta può essere l’unico mezzo per salvare il più grande numero di vite materne, per quanto non le salvi tutte. Ci sono anche medici non cristiani o atei che, dopo lunga esperienza, hanno confessato che la dottrina cattolica è il metodo per risparmiare più madri. Chi ha lo sguardo largo, vedrà sempre verificate le parole di Cicerone: «Nessuna cosa è utile, se non è secondo la morale; non perché ciò che è utile è morale; ma perché ciò che è morale è anche utile».
È errore dire che la Chiesa insegna che la vita del bambino ha la precedenza ed è più preziosa che la vita della madre. La Chiesa insegna che i due sono uguali, e che perciò non è permesso uccidere uno per salvare l’altro. Uccidere un feto per salvare la madre è peccato, come è peccato uccidere la madre per salvare il bambino. (...) Chiunque procura direttamente l’aborto, anche se sia la stessa madre, se l’atto ha avuto il suo effetto, incorre nella scomunica, la cui assoluzione è riservata al Vescovo (can. 2350 § 1, CJC ’17). (...)
Nell’aborto provocato va tenuto presente che al reato della soppressione di un innocente si aggiunge il rischio della morte della gestante e l’altro rischio - eticamente e biologicamente non meno importante - di danneggiare in modo permanente la sfera genitale della donna: donde complicazioni, disturbi anche gravi nelle gravidanze successive [e sterilità]. È profondamente triste osservare come la frequenza dell’aborto procurato sia in continuo aumento, indipendentemente dal genere di governo, dal ceppo etnico o dalla condizione dei vari popoli. Ciò dipende, verosimilmente, dal sovvertimento dei valori etici, dall’affievolirsi dei princìpi religiosi e dal prevalere degli istinti egoistico-edonistici che caratterizza - in larghi strati delle popolazioni - pressoché tutto il mondo civile (...).
L’aborto [cosiddetto] “terapeutico” è una sottospecie dell’aborto provocato. Qui possiamo aggiungere che ne è la sottospecie moralmente più pericolosa, giacché, mentre l’aborto criminoso e quello eugenetico ripugnano immediatamente alla coscienza degli uomini onesti, l’aborto terapeutico, ossia l’aborto artificialmente provocato, quando lo stato di gravidanza crea un grave e non altrimenti evitabile pericolo per la vita della gestante, «ha - come scrive lo Scremin - qualche apparenza di bene in quanto è inteso (in teoria) a proteggere la vita della madre». (...) La Chiesa condanna l’aborto “terapeutico” in quanto «uccisione di un innocente».
Dal Dizionario di teologia morale, Roberti - Palazzini, imprimatur 1957, pag. 10 segg. (Sintesi)