La Penitenza è il Sacramento con il quale il sacerdote in nome di Dio rimette i peccati commessi dopo il Battesimo. Gesù Cristo l’istituì nel giorno della Risurrezione, quando soffiando sugli Apostoli disse: «Ricevete lo Spirito Santo, i peccati che voi rimetterete saranno rimessi, quelli che riterrete saranno ritenuti» (Giov. 20, 21, 23). L’espressione «rimettere i peccati» nel modo consueto di parlare di Gesù, significa un perdono totale del peccato in quanto è offesa di Dio. In virtù di queste parole di una portata universale, la Chiesa ha definito che il potere conferitole da Cristo come non ammette restrizione di sorta né per il numero né per la gravità dei peccati (contro i Montanisti del II sec. e i Novaziani del III sec.), così non sopporta contorcimenti di qualunque genere, non potendo essere piegato a significare la facoltà di predicare o di battezzare (contro Lutero), di dichiarare rimessi i peccati (contro Calvino) o attenuare le pene (contro gli Anglicani) cfr. Conc. Trid. sess. 14, DB, 894, 912, 913, 919, 920). Dalle stesse parole inoltre si deduce che la potestà conferita agli Apostoli ed ai loro successori è di indole giudiziale, poiché potendo essere piegata a due atti positivi e opposti (rimettere o ritenere) importa la conoscenza della causa del reo ed un giudizio in merito, onde possa essere, nel caso concreto, rivolta verso l’uno o l’altro dei due atti, cui è indifferente. Pertanto questo potere giudiziale non può essere esercitato se non con l’emissione di una sentenza pronunziata dopo un’obiettiva valutazione della causa del penitente e a norma del diritto divino che stabilisce che sia concesso il perdono a colui che sinceramente pentito del suo peccato se ne confessa e ne accetta la condegna soddisfazione: dunque gli elementi costitutivi del rito sacramentale della penitenza sono: la sentenza del giudice, o assoluzione (forma) e i tre atti del penitente: pentimento o contrizione, confessione, soddisfazione [volontaria accettazione di opere che costano sacrificio (la preghiera, l’elemosina, la mortificazione) per espiare la pena temporale che rimane dopo la remissione del peccato, ndR] (materia). L’assoluzione che scende a determinare i tre atti del penitente ha per effetto di restituirgli la grazia santificante. Il peccatore in questo Sacramento ritrova la figliolanza adottiva, la benevolenza del Padre, che rivestitolo della «stola prima» della giustificazione riammette il novello figliol prodigo nella Sua casa restituendogli i diritti perduti. Però la misura della restituzione dei primitivi diritti, ossia la reviviscenza dei meriti (iura ad praemium gloriae) corrisponde al grado di fervore con il quale il penitente risorge dalla sua caduta, secondo l’assioma: «Dio tanto si dà quanto trova d’ardore». Connesso con la restaurazione dell’organismo soprannaturale è l’orientamento nuovo, che gli imprime la grazia sacramentale con un aumento della virtù della penitenza e degli aiuti della grazia attuale, per cui l’anima del penitente si trova sotto la spinta costante di una inclinazione, «lo spirito di penitenza», che assecondata docilmente la può far salire fino alle più alte vette della santità. L’ascesa verso la riconquista di una integrità spirituale è resa più facile dalla riammissione del membro risanato a partecipare dei beni della Comunione dei Santi. Anzi la Chiesa, come la madre che è più misericordiosa verso il figlio indigente, riversa in misura più abbondante i tesori dei meriti di Cristo, della Vergine, dei Santi sul membro spiritualmente più bisognoso, specialmente nella concessione delle Indulgenze.