I guasti prodotti dall’ozio. È pensiero di san Giovanni Crisostomo che l’ozio d’Adamo fu la cagione della sua caduta: s’egli fosse stato occupato, non avrebbe dato ascolto al serpente. Nell’ozio il Demonio trova la sua dimora; i pensieri cattivi ed ogni peccato traggono dall’ozio la loro sorgente... Gli accidiosi, dice san Bernardo, immersi nel torpore della pigrizia, ne succhiano il delitto. «E che altro è l’oziosità, soggiunge san Cirillo, se non la perdita dell’ora che passa e più non ritorna, lo sperpero della vita, l’indietreggiare di chi cammina? Produce la debolezza della carne, genera l’orgoglio, accende la libidine, scioglie la lingua, mantiene l’indigenza, va a braccetto col furto. L’acqua stagnante si corrompe, la spada inguainata sempre arrugginisce, il piede che non si muove mai, intorpidisce, e lo spetato dente della tignuola rode la veste disusata ». «Chi vive ozioso, cadrà negli orrori dell’indigenza» dicono i Proverbi - Qui sectatur otium, replebitur egestate (Prov. XXVIII,19); e commentando questa sentenza, Cassiano scriveva: l’accidioso sarà sopraffatto dalla povertà visibile o invisibile, corporale o spirituale, e ben sovente dall’una e dall’altra insieme: non può schermirsi dal cadere preda d’una masnada di vizi; prova noia e disgusto a pensare e contemplare Dio, ed è affatto nudo di ricchezze spirituali. L’accidioso soffoca la sua coscienza: lascia che si rovinino le sue ricchezze, la sanità, il buon nome, la vita. Gli sfaccendati sono per l’ordinario grandi ciarloni, tenendo le mani alla cintola lavorano a più non posso colla lingua ed è per ciò che san Bernardo chiama la vita infingarda madre delle sciocchezze, madrigna delle virtù. Sì, gli sfaccendati sono curiosi, maldicenti, mentitori. Non avendo nulla da fare si danno a esaminare, pensare, giudicare le azioni degli altri; a raccogliere fatti, chiosarli, censurarli, travisarli e ridervi sopra: si erigono a censori di tutti gli uomini e si tengono per dappiù di tutti. Questo notava il grande Apostolo quando scriveva ai Tessalonicesi: «Abbiamo udito che alcuni tra voi procedono disordinatamente, i quali non fanno nulla, ma curiosi s’affaccendano senza pro» - Audivimus inter vos quosdam ambulare inquiete, nil operantes, sed curiose agentes (II Thess. III,11). Il che vuol dire, come spiega Massimo, che non facendo essi opera nessuna, non si brigano d’altro se non d’impicciarsi a diritto o a rovescio nei fatti altrui; anzi, soggiunge Teofilatto, questo è proprio degli sfaccendati, tener l’occhio sulla vita degli altri. «Per timore del freddo il pigro non ha voluto lavorare, dicono i Proverbi, ma nel dì della messe egli andrà mendicando e non raccoglierà nulla» - Propter frigus piger arare noluit, mendicabit aestate et non dabitur illi (Prov. XX,4). Ogni pigro, leggiamo ancora nei medesimi Proverbi, marcirà sempre nell’indigenza - Omnis piger semper in egestate est (Ib. XXI,5); e come no? io sono passato per il suo campo e per la sua vigna, e li ho veduti ingombri d’ortiche, le spine vi si intralciavano su tutta la superficie, e il muricciuolo che li difendeva era ruinato. - Per agrum hominis pigri transivi, et ecce totum repleverant urticae, et operuerant superficiem eius spinae, et maceria lapidum destructa erat (Prov. XXIV,30-31). San Bernardo così descrive i tristi effetti e gli orrendi guasti dell’accidia: «S’avviene che il freddo della pigrizia colga un’anima, tosto il suo vigore s’accascia ed ella intorpidisce; si finge di non aver più forze, si misura quel che ha d’orrido l’austerità; il timore della povertà impicciolisce i sentimenti; la grazia se ne va; il tempo pare lungo, la ragione sonnecchia, l’intelligenza s’estingue; il fervore primiero va mancando e s’avanza la tiepidezza e la noia; la carità fraterna diminuisce e la passione ci solletica; la sicurezza c’inganna e la consuetudine ci trascina. Che più? Non si conosce più né legge né diritto né dovere né timore di Dio. Si giunge finalmente all’impudenza, e quel temerario che corre verso il precipizio, quell’uomo coperto di vergogne e di confusione, s’innalza presuntuoso. Allora precipita dall’altezza della virtù nel baratro dei vizi, da una strada comoda e ben lastricata in una pozzanghera, dal trono in una fogna, dal Cielo sulla terra, dal chiostro nel secolo, dal Paradiso nell’inferno». Non manda fuori tante fiamme una fornace ardente, quanti sono i desideri che si sprigionano da un’anima accidiosa: perciò chi vuole sottrarsi alle funeste lusinghe, fugga il riposo e si consacri al lavoro... Nell’accidia la virtù si corrompe, ed il sentimento del dovere si cancella in un’anima oziosa, dice Democrito, ed Aristotele aggiunge che compagne indivisibili dell’infingardaggine sono la mollezza, l’effeminatezza, il torpore, l’amor della vita. E sapete come? eccovi un paragone di san Bernardo che ve lo spiega. «A quel modo che l’acqua s’infiltra non osservata per una fessura nella sentina d’una nave, e vi cresce fino al punto che per incuria dei marinai la nave affonda, così per via dell’ozio e dell’accidia i malvagi pensieri e le voglie libidinose s’insinuano nel cuore, e vi si moltiplicano a segno che questa fragile navicella, cedendo al peso, sprofonda nell’abisso del peccato» ...

L’Accidia, parte 2. Da I tesori di Cornelio ALapide, Commentari dell’ab. Barbier. SS n° 7, p. 8