Comunicato numero 29. La Chiesa contro il buonismo: la vera concordia è cattolica

Stimati Associati e gentili Lettori, dedichiamo questo comunicato alla pace, quindi alla concordia. Papa Pio XII auspica che tutti «si stringano nell’unica Chiesa di Gesù Cristo, affinché quasi uniti in una sola falange, compatta, concorde, stabile, resistano contro gli sforzi dell’empietà ogni giorno più minacciosi» (Orientalis Ecclesiæ, 9 aprile 1944). Difatti la Chiesa di Gesù Cristo è una, non più di una, non molte, come ci insegna san Pio X: «Da tante società o sette fondate dagli uomini, che si dicono cristiane, si può facilmente distinguere la vera Chiesa di Gesù Cristo per quattro contrassegni. Essa è Una, Santa, Cattolica e Apostolica. [...] Non vi possono essere più Chiese, perché siccome vi è un solo Dio, una sola Fede e un solo Battesimo, così non vi è, e non vi può essere che una sola vera Chiesa» (Catechismo, 1905 ca). Poi ci erudisce che «si trovano fuori della vera Chiesa gli infedeli, gli ebrei, gli eretici, gli apostati, gli scismatici e gli scomunicati» (Ivi.). Per conseguire la concordia, che viene a mancare ovunque proliferino protestantesimo, ateismo e paganesimo, e per contrastare la minacciosa empietà «è assolutamente necessario che tutti [...] raggiungano quella concordia di animi, che dev’essere munita di quel triplice legame con cui Cristo Gesù, fondatore della Chiesa, volle che essa fosse stretta e tenuta insieme, quasi in superno infrangibile vincolo, da Lui stabilito; vale a dire nell’unica fede cattolica, nell’unica carità verso Dio e verso tutti, e infine nell’unica obbedienza e soggezione alla legittima gerarchia costituita dal divin Redentore medesimo». Questi tre vincoli, unità di fede - di amore - di obbedienza, prosegue Papa Pio XII nella Orientalis, «sono tanto necessari, che se l’uno o l’altro di essi viene a mancare, non si può più neppure comprendere nella Chiesa di Cristo vera unità e concordia». Quando i modernisti del vaticanosecondo parlano di “ecumenismo”, di “realtà e sensibilità ecclesiali”, o addirittura di “chiese”, essi hanno evidentemente dimenticato o negano apertamente tutti e tre questi «legami». Si tratta di un «triplice legame» essenziale, ovvero «vincolante» (dogmatico), e non semplicemente accidentale, tanto che nella mentovata Enciclica il Pontefice emette l’infallibile sentenza: «Non è lecito, neppure sotto il pretesto di rendere più agevole la concordia, dissimulare neanche un dogma solo; giacché, come ammonisce il patriarca alessandrino [san Cirillo, ndR]: “Desiderare la pace è certamente il più grande e il primo dei beni, però non si deve per siffatto motivo permettere che ne vada di mezzo la virtù della pietà in Cristo”. Perciò non conduce al desideratissimo ritorno dei figli erranti alla sincera e giusta unità in Cristo, quella teoria, che ponga a fondamento del concorde consenso dei fedeli solo quei capi di dottrina, sui quali o tutte o almeno la maggior parte delle comunità, che si gloriano del nome cristiano, si trovino d’accordo, ma bensì l’altra che, senza eccettuarne né sminuirne alcuna, integralmente accoglie qualsiasi verità da Dio rivelata». Papa Pio XII usa esplicitamente dire che è necessario «accogliere integralmente». Oggi sarebbe etichettato con l’infamia di essere un integralista o un fondamentalista. In ambito sociale, ci avverte Papa san Pio X, è bene fare attenzione a quella «deformazione del Vangelo e del carattere sacro di Nostro Signore Gesù Cristo, Dio e Uomo», oggi largamente praticata (il Pontefice sta condannando il Sillon, ovvero i “parenti” francesi della sedicente “Democrazia” “Cristiana” italiana). è «di moda», afferma il Papa, «quando si tocca la questione sociale, mettere anzitutto da parte la Divinità di Gesù Cristo, e poi parlare soltanto della sua sovrana mansuetudine, della sua compassione per tutte le miserie umane, delle sue pressanti esortazioni all’amore del prossimo e alla fraternità. Certo, Gesù ci ha amati di un amore immenso, infinito, ed è venuto sulla terra a soffrire e a morire affinché, riuniti attorno a Lui nella giustizia e nell’amore, animati dai medesimi sentimenti di carità reciproca, tutti gli uomini vivano nella pace e nella felicità».

Tuttavia, prosegue il Papa Santo, «per la realizzazione di questa felicità temporale ed eterna, Egli ha posto, con un’autorità sovrana, la condizione che si faccia parte del Suo gregge, che si accetti la Sua dottrina, che si pratichi la virtù e che ci si lasci ammaestrare e guidare da Pietro e dai suoi successori. Inoltre, se Gesù è stato buono con gli smarriti e con i peccatori, non ha rispettato le loro convinzioni erronee, per quanto sincere sembrassero; li ha tutti amati per istruirli, per convertirli e per salvarli. Se ha chiamato a Sé, per consolarli, quanti piangono e soffrono, non è stato per predicare loro l’invidia di un’uguaglianza chimerica. Se ha sollevato gli umili, non è stato per ispirare loro il sentimento di una dignità indipendente e ribelle all’ubbidienza. Se il suo Cuore traboccava di mansuetudine per le anime di buona volontà, ha saputo ugualmente armarsi di una santa indignazione contro i profanatori della casa di Dio, contro i miserabili che scandalizzano i piccoli, contro le autorità che opprimono il popolo sotto il carico di pesanti fardelli, senza muovere un dito per sollevarli». Nostro Signore Gesù Cristo «è stato tanto forte quanto dolce; ha rimproverato, minacciato, castigato, sapendo e insegnandoci che spesso il timore è l’inizio della saggezza e che a volte conviene tagliare un membro per salvare il corpo. Infine, non ha annunciato per la società futura il regno di una felicità ideale, da cui sarebbe bandita la sofferenza; ma, con le sue lezioni e i suoi esempi, ha tracciato il cammino della felicità possibile sulla terra e della felicità perfetta in Cielo: la via regale della Croce. Sono insegnamenti che si avrebbe torto ad applicare soltanto alla vita individuale in vista della salvezza eterna; sono insegnamenti eminentemente sociali e ci mostrano in Nostro Signore Gesù Cristo una realtà ben diversa da un umanitarismo senza consistenza e senz’autorità» (Notre Charge Apostolique, 25 agosto 1910).

A cura di CdP