Comunicato numero 67. Il sesto comandamento

Stimati Associati e gentili Sostenitori, studiamo il sesto dei comandamenti: «Non commettere atti impuri», usando il semplice Catechismo del Santo Concilio di Trento.

• Spiegazione del comandamento. Se il vincolo tra marito e moglie è il più stretto che esista, e nulla può essere loro più dolce che il sentirsi vicendevolmente stretti da un affetto speciale, nulla, al contrario, può capitare a uno di essi di più amaro che sentire il legittimo amore del coniuge rivolgersi altrove. Ragionevolmente, perciò, alla legge, che garantisce la vita umana dall’omicidio, segue quella che vieta la fornicazione o l’adulterio, affinché nessuno tenti di contaminare o spezzare quella santa e veneranda unione matrimoniale, da cui suole scaturire così ardente fuoco di carità.

• Toccando questo argomento, il Parroco usi la più prudente cautela e con sagge parole alluda a cose che esigono più la moderazione che l’abbondanza dell’eloquio. È da temersi infatti che, diffondendosi troppo a spiegare i modi con cui gli uomini possono trasgredire questo comandamento, finisca col dire frasi capaci di eccitare la sensualità, anziché reprimerla. Ad ogni modo il precetto racchiude molti elementi che non possono essere trascurati, ed il Parroco li spiegherà a suo tempo. Esso ha due parti: una che vieta apertamente l’adulterio; l’altra, più generale, che impone la castità dell’anima e del corpo.

• L’adulterio. Per iniziare l’insegnamento da quello che è vietato, diremo subito che adulterio è violazione del legittimo letto, proprio o altrui. Se un marito ha rapporti carnali con donna non coniugata, viola il proprio vincolo matrimoniale; se un individuo non coniugato ha rapporti con donna maritata, è contaminato, dal delitto di adulterio, il vincolo altrui.

• Sant’Ambrogio e sant’Agostino confermano che con tale divieto dell’adulterio è proibito ogni atto disonesto ed impudico. Ciò risulta direttamente dalla Scrittura del vecchio come del nuovo Testamento. Nei libri mosaici vediamo puniti altri generi di libidine carnale, oltre l’adulterio. Leggiamo nella Genesi la sentenza pronunciata da Giuda contro la nuora (Gn. 38, 24); nel Deuteronomio è formulato questo precetto: «tra le figlie d’Israele nessuna sia cortigiana» (Dt. 23, 17). Tobia così esorta il figliuolo: «Guardati, figlio mio, da ogni atto impudico» (Tb. 4, 13). E l’Ecclesiastico dice: «Vergognatevi di guardare la donna peccatrice» (41, 25). Nel Vangelo Gesù Cristo dichiara che dal cuore emanano gli adulteri e le azioni disoneste che macchiano l’uomo (Mt. 15, 19 - «Dal cuore, infatti, provengono i propositi malvagi, gli omicidi, gli adultèri, le prostituzioni, i furti, le false testimonianze, le bestemmie», ndR). L’apostolo Paolo bolla di frequente, con parole roventi, questo vizio: «Dio vuole la vostra santificazione; vuole che vi asteniate dalle impurità» (1 Tess. 4, 3). E altrove: «Evitate ogni fornicazione» (1 Cor. 6, 18); «Non vi mescolate agli impudichi» (1 Cor. 5, 9); «In mezzo a voi, non siano neppur nominate l’incontinenza, l’impurità di ogni genere e l’avarizia» (Efes. 5, 3); «Disonesti ed adulteri, effeminati e pederasti, non possederanno il regno di Dio» (1 Cor. 6, 9).

•L’adulterio è stato espressamente menzionato nel divieto, perché alla sconcezza che riveste in comune con tutte le altre forme di incontinenza, accoppia un peccato di ingiustizia verso il prossimo e la società civile. Inoltre è indubitato che chi non si tiene lontano dalle forme ordinarie dell’impudicizia, facilmente incapperà nel crimine di adulterio. Così è agevole comprendere come nel divieto dell’adulterio sia inclusa la proibizione di ogni genere di impurità contaminante il corpo. Del resto, che questo comandamento investa ogni intima libidine dell’animo, appare dalla natura stessa della legge, che è spirituale, e dalle esplicite parole di nostro Signore: «Udiste che fu detto agli antichi: Non fare adulterio. Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per fine disonesto, in cuor suo ha già commesso adulterio su lei» (Mt. 5, 27).

• A ciò che riteniamo debba essere insegnato pubblicamente ai fedeli, si aggiungano i decreti del Concilio di Trento contro gli adùlteri e coloro che mantengono prostitute e concubine (Sess. 24, c. 8), tralasciando di parlare dei vari e multiformi generi di libidine sessuale, intorno ai quali il Parroco ammonirà i singoli fedeli, qualora le circostanze di tempo e di persona lo richiedano.

• Considerazioni per conservare la castità. Siano pure spiegate le prescrizioni che hanno forza di precetto. I fedeli devono essere ammaestrati ed esortati a rispettare con ogni cura la pudicizia e la continenza, a conservarsi mondi da ogni contaminazione della carne e dello spirito, attuando la santificazione nel timore di Dio (2 Cor. 7, 1). Si dica loro che, sebbene la virtù della castità debba maggiormente brillare in quella categoria di persone che coltiva il magnifico e pressoché divino proposito della verginità, pure essa conviene anche a coloro che menano vita celibataria o, congiunti in matrimonio, si mantengono mondi dalla libidine vietata. Le molte sentenze dei Padri, con cui siamo ammaestrati a dominare le passioni sensuali e a frenare l’istinto passionale, saranno dal Parroco accuratamente esposte al popolo, con una trattazione diligente e costante. Parte di esse riguarda il pensiero, parte l’azione.

• Il rimedio che fa leva sull’intelligenza tende a farci comprendere quanto grandi (gravi, ndR) siano la turpitudine ed il pericolo di questo peccato. In base a simile apprezzamento, più viva arderà in noi l’avversione per esso. Si tratta di un peccato che è un vero flagello, a causa di esso sugli uomini incombe l’ultima rovina: l’espulsione dal regno di Dio e lo sterminio. Questo può sembrare comune a ogni genere di peccato; ma qui abbiamo di caratteristico che i fornicatori, secondo la frase dell’Apostolo, peccano contro il proprio corpo: «Fuggite l’impudicizia; qualunque peccato l’uomo commetta, si svolge fuori del corpo, ma il fornicatore pecca sul proprio corpo» (1 Cor. 6, 18); vale a dire: lo tratta ignominiosamente, violandone la santità. A quelli di Tessalonica lo stesso san Paolo diceva: «Dio vuole la vostra santificazione; che vi asteniate da atti impuri; che ciascuno di voi sappia mantenere il vaso del suo corpo in santità e dignità, non nella irrequietezza del desiderio, come i pagani che ignorano Dio» (1 Tess. 4, 5).

• è cosa ben più ripugnante, se è un cristiano colui che si unisce turpemente ad una meretrice; perché rende membra di meretrice le membra di Gesù Cristo, come appunto dice san Paolo: «Non sapete che i vostri corpi sono membra di Gesù Cristo? Sottraendo le membra a Gesù Cristo, le faro membra della meretrice? Non sia mai. Ignorate forse che aderendo alla meretrice, ne risulta un solo corpo?» (1 Cor. 6, 15).

• Inoltre il Cristiano, sempre secondo san Paolo, è tempio dello Spirito santo (1 Cor. 6, 19); violarlo significa espellerne lo Spirito santo stesso.

• Tuttavia particolare malvagità è racchiusa nel delitto di adulterio. Infatti, come vuole l’Apostolo, i coniugi sono così vincolati da una scambievole sudditanza che nessuno dei due possiede illimitata potestà sul proprio corpo, ma sono così schiavi l’uno dell’altro che il marito deve uniformarsi alla volontà della moglie e la moglie a quella del marito (1 Cor. 7, 4). Ne consegue che chi dei due separa il proprio corpo, soggetto all’altrui diritto, da colui al quale è vincolato, si rende reo di specialissima iniquità. E poiché l’orrore dell’infamia è per gli uomini un valido stimolo a fare quanto è prescritto ed a fuggire quanto è vietato, il Parroco insisterà nel mostrare come l’adulterio imprima sugli individui un profondo segno di infamia. È scritto nella sacra Scrittura: «L’adùltero, a causa della sua fragilità di cuore, perderà l’anima sua; condensa su di sé la vergogna e l’abominio; la sua turpitudine non sarà mai cancellata» (Pr. 6, 32).

• La gravità di questa colpa può essere facilmente ricavata dalla severità della punizione stabilita. Nella legge fissata da Dio nel vecchio Testamento gli adulteri venivano lapidati (Lv. 20, 10; Dt. 22, 22). Anzi, talora per la concupiscenza sfrenata di uno solo, non il reo semplicemente, ma l’intera città fu condannata alla distruzione; tale fu la sorte dei Sichemiti (Gn. 34, 25). Del resto numerosi appaiono nella sacra Scrittura gli esempi dell’ira divina, che il Parroco potrà evocare per allontanare gli uomini dalla riprovevole libidine: - la sorte di Sodoma e delle città confinanti (Gn 19, 24); - il supplizio degli Israeliti che avevano fornicato nel deserto con le figlie di Moab (Num. 25); - la distruzione dei Beniamiti (Giud. XX).

• Se v’è qualcuno che sfugge alla morte, non si sottrae però a dolori intollerabili, a tormenti punitivi, che piombano inesorabili. Accecato com’è nella mente (ed è già questa pena gravissima), non tiene più conto di Dio, della fama, della dignità, dei figli, e della stessa vita. Resta così depravato ed inutilizzato, da non poterglisi affidare nulla di importante, o assegnarlo come idoneo ad alcun ufficio. Possiamo scorgere esempi di questo in David come in Salomone. Il primo, resosi reo di adulterio, subitamente cambiò natura e da mitissimo divenne feroce, sì da mandare alla morte l’ottimo Uria (II Sam. XI); l’altro, perduto nei piaceri delle donne, si allontanò talmente dalla vera religione di Dio, da seguire divinità straniere (3 Re, 11). Secondo la parola di Osea, questo peccato travia il cuore dell’uomo (Os. 4, 11) e ne acceca la mente.

• Rimedi per conservare la castità. Veniamo ai rimedi che riguardano l’azione da svolgere. Il primo consiste nel fuggire con ogni cura l’ozio. Impoltronendo nell’ozio, come dice Ezechiele (Ez. 16, 49), gli abitanti di Sodoma precipitarono nel più vergognoso crimine di concupiscenza. Sono poi da evitarsi con grande vigilanza gli eccessi nel mangiare e nel bere. Li satollai, dice il Profeta, ed essi fornicarono (Gerem. 5, 7). Il ventre ripieno provoca la libidine, come accennò il Signore con le parole: «Badate, che i vostri cuori non si appesantiscano nella crapula e nell’ebrietà» (Lc. 21, 34), e l’Apostolo: «Non vogliate ubriacavi, poiché il vino nasconde la lussuria» (Ep. 5, 18).

• Gli occhi sono i veicoli più pericolosi attraverso i quali l’animo suole accendersi alla libidine. Per questo il Signore ha detto: «Se il tuo occhio destro ti scandalizza, cavalo e gettalo via da te» (Mt. 5, 29). E molte sono in proposito le sentenze dei profeti. Giobbe dice ad esempio: «Strinsi un patto con gli occhi miei, di neppure pensare a una vergine» (Giob. 31, 1). Sono copiosi, anzi innumerevoli gli esempi di azioni perverse, provocate dalla vista. Peccò così David (II Sam. 11, 2); peccò così il re di Sichem (Gn. 34, 2); così finirono col farsi calunniatori di Susanna i vecchi, di cui parla Daniele (Dan. 13, 8). • Spesso incentivo non indifferente alla libidine offre la moda ricercata, che solletica l’occhio. Per questo ammonisce l’Ecclesiastico: «Volta la faccia dalla donna elegante» (9, 8). E poiché le donne sogliono badare troppo al loro abbigliamento, non sarà male che il Parroco attenda di frequente a premunirle in proposito, memore delle parole gravissime, che l’apostolo Pietro ha dettato sull’argomento: «La pettinatura delle donne non sia appariscente, i monili e l’abbigliamento non siano ricercati» (1 Pt. 3, 3); e di quelle di san Paolo: «Non badate ai capelli ben attorcigliati, agli ori, alle pietre preziose, alle vesti sontuose» (1 Tm. 2, 9); molte infatti che si erano adornate con oro e gioielli, smarrirono i veri ornamenti dell’anima e del corpo.

• Insieme all’incentivo libidinoso che è dato dalla raffinata ricercatezza delle vesti, occorre aggiungere quello che emana dai discorsi turpi ed osceni. L’oscenità delle parole, quasi fiaccola ardente, accende l’animo dei giovani: «Le perverse conversazioni, dice l’Apostolo, corrompono i buoni costumi» (1 Cor. 15, 33). E poiché il medesimo effetto producono, in misura anche più notevole, i balli ed i canti sdolcinati, occorre tenersi lontani anche da questi.

• Fra questi incitamenti alla voluttà vanno annoverati i libri osceni e trattanti dell’amore sessuale, che devono evitarsi con non minore severità delle figure rappresentanti qualcosa di turpe, la cui capacità di spingere al male e di infiammare i sensi giovanili è straordinaria. Il Parroco curi perciò soprattutto che siano osservate con il massimo rispetto le costituzioni sapienti del Concilio Tridentino in proposito (Sess. 25).

• Se con attenta cura e vigile amore si eviterà quanto abbiamo ricordato, sarà soppressa ogni occasione alla concupiscenza carnale; ma per la sua virulenza valgono in modo eminente la Confessione e la Comunione frequente; le assidue ed umili preci a Dio, accompagnate da elemosine e da digiuni. La castità è, in fondo, un dono che Dio non nega a chi rettamente lo cerca (1 Cor. 7, 7), poiché Egli non consente che siamo tentati sopra le nostre forze (1 Cor. 10, 13).

• Dobbiamo infine mortificare il corpo ed i suoi appetiti malsani, non solamente con i digiuni, quelli specialmente prescritti dalla santa Chiesa, ma anche con le vigilie, i pii pellegrinaggi e con macerazioni di altro genere. In queste pratiche, infatti, si manifesta la virtù della temperanza. Scriveva appunto san Paolo a quelli di Corinto: «Chi si appresta a gareggiare nella palestra, segue un regime di grande astinenza. Eppure essi ambiscono una semplice corona corruttibile, mentre noi l’aspettiamo immortale». E poco appresso: «Castigo il mio corpo e lo tengo in soggezione, affinché, dopo aver predicato agli altri, io stesso non divenga alla fine un reprobo» (1 Cor. 9, 25). Ed altrove: «Non vogliate pascere la carne nei suoi immoderati desideri» (Rm. 13, 14).