Comunicato numero 78. Sadducei, Farisei, Scribi ed altri gruppi giudaici (prima parte)

Stimati Associati e gentili Sostenitori, oggi studieremo, con l’Abate Ricciotti («Vita di Gesù Cristo», Imprimatur 1940, 7a Edizione, Rizzoli & C. Editori, Milano - Roma, 1941), il capitolo: «Sadducei, Farisei, Scribi ed altri gruppi giudaici» all’epoca di Gesù.

• § 28. Ai tempi di Gesù i Sadducei ed i Farisei formavano, dentro il popolo giudaico, i suoi due principali raggruppamenti. I quali però non erano delle «sette» nel senso rigoroso della parola, perché non erano staccati dalla compagine morale della nazione; neppure erano confraternite religiose come gli Esseni (§ 44), quantunque i loro principii fondamentali fossero religiosi; e nemmeno mostravano quale prima nota caratteristica un dato atteggiamento politico come gli Erodiani (§ 45), sebbene avessero grande importanza anche nel campo politico e sociale. Erano invece due correnti o tendenze che partivano ambedue da principii solenni nella nazione giudaica, pur essendo fra loro in assoluto contrasto. Esaminandole contemporaneamente, il loro stesso contrasto giova a definirle con precisione. Si crede di solito che i Farisei rappresentassero la corrente conservatrice, e i Sadducei quella liberale e innovatrice: ciò potrà esser vero nel campo pratico, ma in quello giuridico-religioso la designazione dovrebb’essere inversa, perché i Sadducei dal loro punto di vista si presentavano quali conservatori del vero patrimonio morale del giudaismo, e respingevano come innovazioni le dottrine particolari ai Farisei. Le due correnti, infatti, sorsero dal diverso atteggiamento che i vari ceti della nazione presero di fronte all’ellenismo, quando questo venne in urto col giudaismo, cioè dall’epoca dei Maccabei (167 av. Cr.) in poi.

• § 29. L’insurrezione dei Maccabei, diretta contro la politica ellenizzatrice dei monarchi Seleucidi, fu sostenuta specialmente da quei popolani di basso ceto, cordialmente avversi a istituzioni straniere, che si chiamarono gli Asidei - «pii»; al contrario, in seno alla nazione stessa, si mostrarono favorevoli all’ellenismo parecchi altri Giudei ch’erano rimasti abbarbagliati dallo splendore di quella civiltà straniera, ed appartenevano specialmente a classi sacerdotali e facoltose. Rimasta però vincitrice l’insurrezione nazionale-religiosa, gli aristocratici fautori dell’ellenismo entro la nazione giudaica scomparvero o tacquero. Tuttavia poco dopo, stabilitasi la dinastia nazionale degli Asmonei discendenti dai Maccabei, le due correnti ricomparvero apertamente, sebbene con provenienza alquanto mutata; avvenne, cioè, che proprio quei sovrani Asmonei che dovevano il loro trono ai popolani Asidei, si mettessero in contrasto con questi, e si appoggiassero invece sulle classi sacerdotali ed aristocratiche. La ragione del mutamento è chiara. L’ellenismo premeva dall’esterno così gravemente sullo Stato giudaico ricostituito, che i governanti Asmonei non potevano praticamente evitare ogni relazione politica con esso, né impedire numerose infiltrazioni di quella civiltà pagana nei loro territori; senonché quelle relazioni ed infiltrazioni parvero sconfitte politiche e soprattutto apostasie religiose agli Asidei, che perciò si alienarono man mano dai già favoriti Asmonei e divennero ad essi ostili. Passando all’opposizione, essi si chiamarono i «Separati»: in ebraico Perushim, in aramaico Perishajja, donde Farisei (abbiamo fatto un adattamento dei caratteri, ndR). I loro avversari, in maggioranza di stirpe sacerdotale, si chiamarono Sadducei, dal nome di Sadoq antico capostipite d’un insigne casato sacerdotale.

• § 30. Ma da chi, o da che cosa, i Farisei si consideravano «separati»? Il criterio della loro separazione era soprattutto nazionale-religioso, e solo conseguentemente civile e politico: essi si tenevano separati da tutto ciò che non era giudaico e che per tal ragione era anche irreligioso ed impuro, giacché giudaismo, religione e purità legale erano concetti che praticamente non si potevano staccare l’uno dall’altro. Ma qui sorgeva il contrasto, anche dottrinale, con i Sadducei: qual era la vera norma fondamentale del giudaismo? Quale il supremo e inappellabile statuto che doveva governare la nazione eletta? A questa domanda i Sadducei rispondevano che era la Torah, cioè la «Legge» per eccellenza, la «Legge scritta» consegnata da Mosè alla nazione come statuto fondamentale e unico. I Farisei, invece, rispondevano che la Torah, la «Legge scritta», era soltanto una parte, e neppure la principale, dello statuto nazionale-religioso: insieme con essa, e più ampia di essa, esisteva la «Legge orale», costituita dagl’innumerevoli precetti della «tradizione». Questa Legge orale era costituita da un materiale immenso: essa comprendeva, oltre ad elementi narrativi e di altro genere, anche tutto un elaborato sistema di precetti pratici, che si estendeva alle più svariate azioni della vita civile e religiosa, ed andava perciò dalle complicate norme per i sacrifizi del culto fino alla lavanda delle stoviglie prima dei pasti, dalla minuziosa procedura dei pubblici tribunali fino a decidere se era lecito o no mangiare un frutto caduto spontaneamente dall’albero durante il riposo del sabbato. Tutta questa congerie di credenze e di costumanze tradizionali non aveva quasi mai un vero collegamento con la Torah scritta; ma i Farisei scoprivano spesso siffatto collegamento sottoponendo a un’esegesi arbitraria il testo della Torah: e anche quando non ricorrevano a tale metodo, si richiamavano al loro principio fondamentale che Dio aveva dato a Mosè sul Sinai la Torah scritta contenente solo 613 precetti, e inoltre la Legge orale molto più ampia ma non meno obbligatoria.

• § 31. Anzi, anche più obbligatoria. Troviamo infatti che con l’andare del tempo, man mano che i dottori della Legge o Scribi elaboravano sistematicamente l’immenso materiale della tradizione, questo veniva ad assumere un’importanza pratica, se non teoretica, maggiore della Torah scritta. Nel Talmud, che è in sostanza la tradizione codificata, sono contenute sentenze come queste: «Maggior forza hanno le parole degli Scribi che le parole della Torah; perciò anche è peggior cosa andar contro alle parole degli Scribi che alle parole della Torah» (Sanhedrin, XI, 3); infatti «le parole della Torah contengono cose proibite e cose permesse; precetti leggieri e precetti gravi: ma le parole degli Scribi sono tutte gravi» (Berakoth pal., I, 3 b). È chiaro che, stabilito questo principio fondamentale, i Farisei erano in regola, e potevano legiferare quanto volevano estraendo ogni decisione dalla loro Legge orale. Ma appunto questo principio era respinto dai Sadducei, i quali non riconoscevano altro che la Legge scritta, la Torah, non accettando punto la Legge orale e la «tradizione» dei Farisei. Codeste cose - dicevano i Sadducei - erano tutte innovazioni, tutte deformazioni dell’antico e semplice spirito ebraico; essi, i Sadducei, erano i fedeli custodi di quello spirito, i veri «conservatori», e perciò si opponevano agli arbitrari ed interessati sofismi messi fuori da quei modernisti di Farisei. La risposta dei Sadducei era abile senza dubbio; tanto più che con quella parvenza di conservatorismo si evitavano legalmente i carichi pesanti (Matteo, 23, 4) imposti dai Farisei, e si lasciava una porta aperta per intendersi con l’ellenismo e la civiltà greco-romana. Perciò i Sadducei si appoggiarono sui ceti della nobiltà e di governo, che necessariamente dovevano mantenere relazioni con la civiltà straniera; i Farisei, al contrario, si appoggiarono sulla plebe, avversa a tutto ciò ch’era forestiero ed invece attaccatissima a quelle costumanze tradizionali da cui i Farisei estraevano la loro Legge orale. Di qui anche il paradosso per cui i Sadducei erano giuridicamente conservatori ma praticamente lassisti; i Farisei invece apparivano come innovatori riguardo alla Torah scritta, mentre la loro innovazione voleva essere una salvaguardia ed una protezione dell’antico.

• § 32. Le due correnti di Farisei e di Sadducei compaiono per la prima volta, già ben definite ed in contrasto, al tempo del primo degli Asmonei, Giovanni Ircano (134-104 av. Cr.), ch’era anche figlio di Simone ultimo dei Maccabei: benché tale, egli era già in aperta ostilità con i Farisei. L’ostilità divenne furibonda sotto Alessandro Janneo (103-76 av. Cr.), e fra monarca e Farisei si ebbe una guerra di sei anni che fece cinquantamila vittime (Antichità giud., XIII, 376). Al contrario, sotto il regno di Alessandra Salome (76-67 av. Cr.) i Farisei ebbero il loro periodo d’oro, poiché la regina lasciò fare ogni cosa ai Farisei, e comandò che anche il popolo obbedisse a loro...; ella quindi aveva il nome di regina, ma i Farisei avevano il potere (Ivi, 408). Seguirono, naturalmente, le intemperanze della vittoria: gli sconfitti Sadducei, che avevano avuto fino allora la maggioranza nel consiglio del gran Sinedrio, vi rimasero per allora in minoranza esigua; gli antichi avversari dei Farisei o furono messi a morte o presero la via dell’esilio; si arrivò al punto che l’intero paese stava quieto, fatta eccezione dei Farisei (Ivi, 410). Appunto da questo tempo in poi il giudaismo fu sempre improntato dalle dottrine farisaiche. Una certa reazione da parte dei Sadducei si ebbe sotto Aristobulo II, per cui essi parteggiavano, mentre per il suo rivale fratello Ircano II parteggiavano i Farisei: ma in seguito la massa del popolo divenne dominio quasi assoluto dei Farisei, i quali contavano taluni seguaci anche fra i bassi ceti sacerdotali; cosicché, negli ultimi tempi prima del 70, i Sadducei restrinsero la loro autorità al Tempio ed alle grandi famiglie sacerdotali o facoltose accentrate attorno ad esso.

• § 33. Con la catastrofe dell’anno 70 i Sadducei scomparvero dalla storia, e naturalmente il giudaismo posteriore, dominato totalmente dai Farisei, conservò un pessimo ricordo dei Sadducei. Ecco come, sul finire del secolo I dopo Cr., si giudicavano i grandi casati sacerdotali che negli ultimi tempi prima della catastrofe erano stati più famosi: «Guai a me dal casato di Boeto, guai a me dal loro scudiscio! Guai a me dal casato di Cantharos, guai a me dal loro calamo! Guai a me dal casato di Anna, guai a me dal loro sibilo! Guai a me dal casato d’Ismael figlio di Fiabi, guai a me dal loro pugno! Sommi sacerdoti sono essi, tesorieri i loro figli; magistrati del Tempio i loro suoceri, i loro servi vengono con mazze a randellarci!». E questo documento (Tosefta Menahoth, XIII, 21; Pesahim, 57 a, Bar.) non è solitario nei testi rabbinici: inoltre violenze e rapine compiute dall’alto sacerdozio a danno del clero inferiore sono ricordate anche da Flavio Giuseppe (Antichità giud., XX, 179-181).

• § 34. Quanto alle dottrine delle due correnti, ecco come si esprime il loro più antico storico, Flavio Giuseppe: «(I Farisei) hanno fama d’interpretare con accuratezza le leggi e dirigono la setta principale; attribuiscono ogni cosa al Destino ed a Dio, (ritenendo che) l’operare giustamente o no dipende in massima parte dall’uomo, ma il Destino coopera in ciascuna (azione); ogni anima è incorruttibile, ma soltanto quelle dei malvagi sono punite con un castigo eterno. I Sadducei invece, che sono il secondo gruppo, sopprimono assolutamente il Destino, e pongono Dio fuori (della possibilità) di fare alcunché di male o (anche solo) di scorgerlo; essi dicono che è in potere dell’uomo la scelta del bene e del male, e che secondo la decisione di ciascuno avviene la sopravvivenza dell’anima, come pure la punizione e i premi giù nell’Ade. I Farisei sono affezionati fra loro, e promuovono il buon accordo con la comunità; i Sadducei invece sono piuttosto rudi per abitudine anche tra loro, e nelle relazioni con i (loro) simili sono scortesi come con gli stranieri» (Guerra giud., II, 162-166; anche Antichità giud., XIII, 171-173; 288-298; XVII, 41-45; XVIII, 11-17). Si vedono chiaramente, in questi due sistemi di dottrine, le conseguenze del criterio principale che divideva i Sadducei dai Farisei. I primi accettavano la sola Legge scritta: e poiché in essa non trovavano chiaramente formulata una dottrina sulla resurrezione o sull’oltretomba, negavano questi punti; secondo Atti, 23, 8, essi non ammettevano neanche l’esistenza degli angeli e degli spiriti. Quanto al Destino che i Sadducei negavano secondo Flavio Giuseppe, è da vedersi piuttosto la Provvidenza o la Grazia divina. In sostanza, i Sadducei filosoficamente si rassomigliavano agli Epicurei e teologicamente ai Pelagiani. Nel campo pratico la rudezza, attribuita loro dallo storico, doveva essere effetto della loro arroganza aristocratica; ma ci si dice pure che essi, nei giudizi forensi, erano rigorosissimi a differenza dei Farisei che inclinavano alla mitezza.

• § 35. I Farisei estraevano dalla «tradizione» le dottrine respinte dai Sadducei; e poiché lo studio della Legge, specialmente di quella orale, era il dovere più stretto e l’occupazione più nobile per ogni Giudeo, essi si dedicavano totalmente a questo studio. Fu detto, fra l’altro, che è maggiore lo studio della Torah che la costruzione del Tempio (Megillah, 16 b), anzi che è maggiore della venerazione per il padre e per la madre (Ivi), e che l’uomo non deve ritrarsi dalla casa di studio (della Legge) e allontanarsi dalle parole della Torah neppure all’ora della morte (Shabbath, 83 b); inoltre la Torah è maggiore del sacerdozio e della regalità, perché la regalità esige 30 requisiti, il sacerdozio 24, mentre la Torah si acquista con 48, e segue l’enumerazione dei 48 requisiti (Pirqe Aboth, VI, 5-6). Né è da credere che queste norme rimanessero lettera morta perché moltissimi sono gli esempi di Farisei che consacrarono tutta la loro vita allo studio della Legge trascurando ogni altra occupazione, salvo forse l’esercizio di un mestiere manuale per poche ore al giorno, tanto per procurarsi da vivere. Cotesti studiosi della Legge erano consci della loro grandezza: la Legge infatti era l’armamentario da cui doveva estrarsi ogni norma per la vita pubblica e privata, religiosa e civile; quindi essi, custodi di quell’armamentario, erano dappiù del sacerdozio e della regalità. In una nazione ove la massa del popolo accettava pienamente l’idea teocratica, siffatto ragionamento era perfetto; e perciò i Farisei sentivano che la loro forza poggiava, non sulle classi aristocratiche o dell’alto sacerdozio o della corte, bensì sulla massa del popolo.

• § 36. Lo studio farisaico della Legge verteva su tre argomenti principali, che erano il riposo del sabbato (§ 70), il pagamento delle decime e la purità rituale (§ 72): ma, oltre a questi, moltissimi altri argomenti formavano oggetto di lunghe investigazioni. Il metodo di studio si basava in primo luogo sulla conoscenza delle sentenze già emanate dalla «tradizione», e secondariamente sull’applicazione estensiva e sull’ulteriore sviluppo di esse. Il contenuto del Talmud, che fissò in iscritto ciò che per secoli avevano trasmesso a memoria i dottori della Legge, non è in massima parte che una raccolta di tali sentenze (§ 87). Era evidente, in siffatto metodo, il pericolo del formalismo e della casistica, infarciti di sottigliezze ma privi di spirito; e nel pericolo si cadde in massima parte. Chi si trasferisca nell’ambiente storico d’allora, non rimarrà tanto meravigliato di trovare un trattato del Talmud intitolato dai Nidi degli uccelli, e un altro dai Vasi, e un altro dai Picciuoli delle frutta, e altri ancora da argomenti meno decorosi e puliti (§ 72); si domanderà piuttosto su quale impalcatura spirituale poggiava tutto questo immenso scenario giuridico che sembrerebbe campato in aria. L’impalcatura, in realtà, esisteva: era costituita dal sedimento che nell’animo della nazione aveva depositato la predicazione degli antichi profeti, tutta di altissima moralità e di intima religiosità, la quale nei secoli passati era risonata fra il popolo ed anche allora era riecheggiata dalle Scritture sacre lette nelle sinagoghe. Ma troppo poco si badava allora al valore spirituale di quella predicazione, e invece troppi gingillamenti si facevano attorno alla materialità della sua applicazione. Il profluvio dell’ispirazione divina finiva nella morta gora della casistica umana: alla sorgente d’acque vive si preferivano cisterne screpolate che non serbano acqua, come già aveva detto Geremia (2, 13), il quale però aveva anche gridato il rimprovero (8, 8): Come potete dire: «Sapienti noi siamo, e la Torah di Jahvè è con noi? Ecco, invero, a menzogna l’ha ridotta lo stilo menzognero degli scribi!».

• § 37. Sarebbe falso ed ingiusto dire che tutta l’elaborazione della Legge compiuta dai Farisei fosse menzogna: ma moltissimo ciarpame era certamente. In un mare di futilità e di pedanterie erano contenute vere perle preziose, che rappresentavano l’eredità dello spirituale insegnamento profetico: ma troppa sproporzione correva tra l’ampiezza del mare e la scarsità delle perle, tra lo smisurato scenario giuridico e l’esigua impalcatura spirituale, cosicché l’utile restava affogato fra tanto disutile. Ad esempio, sentenza senza dubbio sublime è quella attribuita al celebre Hillel, anteriore a Gesù di pochi anni, il quale ad un pagano, che gli aveva chiesto d’insegnargli tutta la Legge nel breve tempo che fosse riuscito a reggersi su un piede solo, rispose: «Ciò che non desideri per te, non fare al prossimo tuo. Questa è tutta la Legge; il Testo è solo commento. Va’ e impara» (Shabbath, 31 a). Ma sta di fatto che il commento, qui collocato giustamente in seconda linea, in pratica passava in prima linea, e faceva dimenticare la Legge stessa. [Nota bene: Una conferma dell’importanza di questa distinzione è offerta dai vari estratti del Talmud, che dotti israeliti moderni hanno pubblicato recentemente. Questi estratti o riassunti sono tutti esattissimi, senza un errore di citazione o di traduzione: ma storicamente parlando sono falsi per deficienza, perché non danno affatto un’idea adeguata del complesso. Il Talmud ivi presentato è un Talmud del secolo xx, selezionato, cribrato, diminuito almeno di 90 parti su 100, e proprio di quelle 90 parti che rappresentano il Talmud casuistico e storicamente più vero. E se oggi le 10 parti che si offrono sono le più apprezzate, perché moralmente più nobili e più universalmente umane, è lecito credere che in questo apprezzamento c’entri per qualche cosa il cristianesimo; ma non è affatto certo che, anche ai tempi in cui il Talmud era in elaborazione, le stesse 10 parti fossero le più apprezzate da ogni classe del giudaismo, a preferenza delle altre 90 più tipiche e caratteristiche. Assai più agevole, per chi avesse la deplorevole intenzione di denigrare il Talmud, sarebbe farne estratti da quelle 90 parti su cui oggi si sorvola : ma anche in questi casi si farebbero estratti letterariamente veri e storicamente falsi]. Peggio ancora: talvolta il commento contraddiceva alla Legge. È noto che Gesù in un determinato caso rimproverò ai Farisei: «Trasgredite il precetto d’Iddio per la tradizione vostra» (Matteo, 15, 3, 6; Marco, 7, 9); estendendosi poi dal caso singolo all’abitudine generale, aggiunse: «E cose simili di tal genere fate molte» (Marco, 7, 13). Le prove di queste trasgressioni si troverebbero facilmente negli antichi scritti rabbinici; ma è importante rilevare come, appunto riguardo allo studio della Legge, fu sentenziato: «Un pagano che si occupa dello studio della Torah è degno di morte» (Sanhedrin, 59 a), ciò che non era né nella lettera né nello spirito della Legge, ma solo nella gelosia nazionalistica dei Farisei considerata come elemento di «tradizione».

• § 38. Anche riguardo alla condotta pratica dei Farisei non si potrebbe dare un giudizio valevole per tutti. Oltre a maestri veramente insigni, quali Hillel, Gamaliel il Vecchio (cfr. Atti, 5, 34 segg.) che fu maestro di S. Paolo (Atti, 22, 3), e altri, non erano pochi gli onesti ed i sinceri anche fra le persone oscure. Anche da parte cristiana troviamo Gesù in relazioni amichevoli con Farisei, quali Simone, Nicodemo, Giuseppe di Arimatea; perfino S. Paolo, mentre proclama l’abolizione della Legge ebraica, si afferma Ebreo da Ebrei, secondo la Legge Fariseo (Filipp., 3, 5). Tuttavia le invettive più severe di Gesù sono dirette appunto contro i Farisei, non già contro i Sadducei, come appunto nei Farisei egli trovò gli oppositori più tenaci alla sua missione. Il cap. 23 di Matteo è tutto una formale accusa di Gesù contro i Farisei, con allegazione di fatti ben precisi (§ 518). Ma se ciò non sorprende da parte di Gesù, è storicamente importante trovare che accuse simili sono rivolte ai Farisei anche da parte rabbinica. Il Talmud enumera sette tipi diversi di Fariseo che denomina con i precisi termini seguenti il «Fariseo-Sichem», ossia chi è Fariseo per vantaggi materiali (allude al fatto di Sichem, narrato in Genesi, 34); il « Fariseo-niqpi», cioè quatto-quatto, che con la maniera stentata di camminare fa mostra affettata di umiltà; il «Fariseo-salasso», che si procura frequenti emorragie battendo la testa contro i muri, per non guardare donne; il «Fariseo-pestello», che cammina tutto curvo nella persona da sembrare un pestello nel mortaio; il «Fariseo-qual-è-il-mio-dovere-perch’io-lo-faccia?”, cioè colui che non già si esibisce pronto a compiere tutti i suoi doveri, bensì afferma di non poterne compiere altri essendo già occupatissimo; il «Fariseo-per-amore», che opera per amore interessato della mercede, non già per devozione verso Dio; il «Fariseo-per-timore», che opera per timor di Dio, ossia per vero sentimento religioso (Sotah, 22 b, Bar.). Dei sette tipi, dunque, solamente l’ultimo merita lode, e certamente ogni tipo era rappresentato da numerosi individui. Questo elenco, tuttavia, per quanto sarcastico, non è violento. Invece già verso il 10 dopo Cr., cioè prima ancora che Gesù pronunziasse le sue invettive contro i Farisei, poté essere scritto da un anonimo Fariseo il seguente passo, la cui violenza (severità, ndR) non è certo inferiore a quella usata da Gesù: «Sorgeranno su essi (sugli Israeliti) uomini perversi ed empi, che si proclameranno giusti. Essi ecciteranno lo sdegno dei loro amici perché saranno uomini menzogneri, viventi solo per piacere a se stessi, camuffati in tutte le guise, banchettanti volentieri ad ogni ora del giorno e tracannando con la gola... ai poveri (?) divorando i beni, asserendo d’agire per compassione... repellenti, litigiosi, ingannatori, nascondendosi per non lasciarsi conoscere, empi, colmi di delitto e d’iniquità, ripetenti da mane a sera: “Vogliamo aver gozzoviglie ed opulenza, mangiare e bere... ed atteggiarci a principi!”. Le mani e i cuori loro tratteranno cose impure, la bocca loro proferirà cose superbe, eppure diranno: “Non mi toccare, ché tu mi rendi impuro!”» (Assunzione di Mosè, VII, 3-10). Assai probabilmente il disilluso Fariseo che dipinge questo quadro impiega tinte più scure del giusto; ma l’amarezza d’animo, che gli fa scegliere queste tinte, doveva ben essere stata cagionata da fatti reali. Ad ogni modo le invettive di Gesù si riferivano alla condotta pratica dei Farisei più che alle loro dottrine, almeno considerate genericamente; sono chiare in tal senso le sue parole: «Sulla cattedra di Mosè si sedettero gli Scribi ed i Farisei. Perciò, tutte quante le cose che vi dicano, fate ed osservate, ma conforme alle opere loro non fate» (Matteo, 23, 2-3).

• § 39. Quanto alla numerosità dei Farisei, da un passo di Flavio Giuseppe (Antichità giud., XIII, 383) sembra risultare che si aggirassero sugli 8000 ai tempi del re Alessandro Janneo: circa un secolo più tardi, sotto Erode il Grande, si parla di più che 6000 (Ivi, XVII, 42) che dovrebbero essere tutti i Farisei d’allora. Ma probabilmente queste cifre non sono esatte, come spesso avviene in Flavio Giuseppe, e dovranno essere alquanto aumentate. Provenienti dalle varie classi sociali, e in piccola parte anche da quella sacerdotale meno alta, i Farisei erano stretti fra loro con vincoli ben saldi, che miravano al grande scopo di osservare la purità legale e mantenersi «separati» (§ 29) dall’impuro. Tra loro si chiamavano haberim, cioè etimologicamente «collegati», e l’associazione era una haberuth ossia «colleganza». I membri dell’associazione, poveri o ricchi che fossero, dovevano essere di un rigore minuziosissimo nell’osservare i tre gruppi principali di precetti, cioè il riposo del sabbato, le norme di purità legale e le leggi del culto (decime, ecc.): chi poi aveva anche una cultura sufficiente per discutere su questioni legali, era un hakam, cioè un «dotto», mentre chi non l’aveva era un privato qualsiasi, chiamato hedjot (Abbiamo fatto un adattamento dei caratteri, ndR).

Prosegue la prossima settimana ...

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Testo ed immagini tratti da «Vita di Gesù Cristo», Imprimatur 1940, Giuseppe Ricciotti, 7a Edizione, 32° - 36° migliaio, Encomio solenne della Reale Accademia d’Italia, Rizzoli & C. Editori, Milano - Roma, 1941.