Comunicato numero 117. Nicodemo: né Pietro, né Giuda

Stimati Associati e gentili Sostenitori, all’epoca di Gesù viveva a Gerusalemme un «insigne Fariseo» di nome Nicodemo, uomo di rette intenzioni ma membro del Sinedrio. Impariamo a conoscere bene questo personaggio e studiamo la sua vicenda ricorrendo al  prezioso aiuto del compianto Abate Giuseppe Ricciotti - riposi in pace!

• § 288. C’era allora in Gerusalemme un insigne Fariseo e «maestro» della Legge, uomo onesto e di rette intenzioni; ma era anche membro del Sinedrio, e questa sua condizione sociale imponeva evidentemente molta cautela e prudenza alla sua condotta pubblica. Si chiamava Nicodemo: il nome ritorna negli scritti rabbinici, ma è ben difficile che designi la stessa persona di qui. A vedere i segni fatti da Gesù, egli rimane scosso; forse era stato fra i pochi Farisei che avevano riconosciuto la missione del precursore Giovanni accettandone il Battesimo. D’altra parte la sua condizione sociale, e più ancora la sua formazione intellettuale farisaica, gli consigliavano oculato riserbo di fronte all’ignoto taumaturgo. Fra questo ansioso contrasto egli prende una via di mezzo, e si reca a visitare Gesù di notte: alla penombra d’una lucerna si ragiona con più raccoglimento, e soprattutto non si è facilmente riconosciuti da estranei. Il colloquio fu lungo e forse si protrasse per tutta la notte, ma l’Evangelista «spirituale» ne riferisce solo i punti più salienti che meglio rispondevano agli scopi del suo Vangelo «spirituale». Cominciò Nicodemo, e riferendosi a ciò che l’aveva scosso intimamente disse a Gesù: «Rabbi, sappiamo che da Dio sei venuto (quale) “maestro”, poiché nessuno può fare questi “segni” che tu fai se non sia Iddio con lui». L’onesto Fariseo riconosceva che la missione di Gesù non era umana, ma proveniva da una sfera più alta cioè divina. Gesù gli rispose ricollegandosi a questa allusione: «In verità, in verità ti dico, se alcuno non sia nato dall’alto, non può vedere il regno d’Iddio». Nicodemo era troppo intelligente per interpretare queste parole in senso materiale: anche i suoi colleghi rabbini parlavano di rinascita in senso spirituale applicandola specialmente a chi si riavvicinava al Dio d’Israele o dall’empietà o dal paganesimo, e altrettanto faceva con diverso impiego Filone in Alessandria. Ma a Nicodemo sfuggiva appunto il senso racchiuso nelle parole di Gesù, e quindi per provocarne la spiegazione s’atteggia a ottuso di mente: «Come può nascere un uomo che sia vecchio? Può forse entrare nel ventre di sua madre una seconda volta e (ri)nascere?». Senonché il finto ottuso è più acuto di quanto sembri: egli s’impanca (si dispone, ndR) a giudice della dottrina che Gesù sta per esporgli, ma Gesù gli risponde in modo da ricondurlo alla sua condizione di ignaro apprendista; non si può «vedere il regno d’Iddio» se non si è già entrati in esso, e l’entrarvi non è effetto d’industrie umane: «In verità, in verità ti dico, se alcuno non sia nato da acqua e (da) Spirito, non può entrare nel regno d’Iddio. Ciò ch’è nato dalla carne, è carne; e ciò ch’è nato dallo Spirito, è spirito». In ebraico spirito significava anche soffio (di vento); Gesù prende occasione del doppio significato per soggiungere un esempio materiale: «Non ti meravigliare perché ti dissi “Bisogna che voi nasciate dall’alto”; (anche) il soffio (di vento) dove vuole soffia e il rumore di esso (tu) ascolti, ma non sai donde e dove va. Così è (di) chiunque è nato dallo Spinto». Benché incontenibile ed invisibile, il soffio del vento è reale nel campo fisico; così nel campo morale, l’azione dello Spirito divino non è moderabile da argomenti umani né è scrutabile nella sua essenza, ma ben si manifesta nei suoi risultati. Questo Spirito fa nascere ad una vita nuova invisibile, in maniera tale che ricorda come la prima vita visibile del cosmo si sprigionasse dalla materia bruta e insieme dal soffio di Dio che si librava sulle acque del caos (Genesi, 1, 2). L’allusione al battesimo di Giovanni è chiara, e forse nel colloquio fra i due se ne parlò esplicitamente se anche Nicodemo aveva ricevuto quel rito; ad ogni modo la vita nuova qui annunziata da Gesù come data dallo Spirito e dall’acqua non è prodotta dal rito di Giovanni, ch’era soltanto di acqua e prefigurativo, bensì dal rito adempitivo amministrato in acqua e Spirito santo: questo secondo era il battesimo di Gesù, a testimonianza dello stesso precursore Giovanni (Matteo, 3, 11 e paralleli; Giovanni, 1, 33).

• § 289. Il paragone fra l’azione dello Spirito e quella del vento ha trasportato Nicodemo in un mondo a lui ignoto, in cui il Fariseo si sente sperduto. Cessa allora d’atteggiarsi a finto ottuso, ma ancora non si vuol riconoscere ignaro apprendista, e con sincerità non priva d’una certa sfiducia esclama: «Come può avvenire ciò?». La replica di Gesù s’inizia con una spontanea riflessione sull’ufficio di Nicodemo: «Ma come? Tu sei il “maestro” d’Israele, e non sai queste cose? E che cosa insegni, se non tratti dell’azione dello Spirito sugli spiriti?». - Dopo questo inizio il discorso di Gesù si dovette prolungare assai, non senza interruzioni e repliche da parte di Nicodemo. L’Evangelista tralascia totalmente le parole del Fariseo, e delle sentenze di Gesù fa soltanto una silloge; ma non è arrischiato riconoscere in questa silloge talune repliche ad osservazioni di Nicodemo (come là ove si accenna al serpente del deserto) o anche talune metafore tratte dalle circostanze del colloquio che si svolgeva al lume d’una lucerna (come là ove si accenna a luce e a tenebra). Ecco la silloge: «In verità, in verità ti dico, che di ciò che sappiamo parliamo, e ciò che abbiamo veduto testimoniamo: e la testimonianza nostra non ricevete. Se le cose terrestri vi dissi e non credete, come crederete se io vi dica le celestiali? E(ppure) nessuno è salito nel cielo se non il disceso dal cielo, il figlio dell’uomo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto (cfr. Numeri, 21, 8-9), così bisogna che sia innalzato il figlio dell’uomo affinché ogni credente in lui abbia vita eterna. Così invero amò Iddio il mondo, che dette il Figlio, l’unigenito, affinché ogni credente in lui non perisca ma abbia vita eterna. Non inviò infatti Iddio il Figlio nel mondo per giudicare (a condanna) il mondo, bensì affinché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Il credente in lui non è giudicato (a condanna): il non credente già è stato giudicato (a condanna), perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio d’Iddio. Questo poi è il (motivo del) giudizio (di condanna): che la luce è venuta nel mondo, ed amarono gli uomini piuttosto la tenebra che la luce; di essi infatti erano malvage le azioni. Ognuno invero che opera male, odia la luce e non viene verso la luce; chi invece fa la verità viene verso la luce, affinché siano manifestate le sue azioni (e si veda) che sono state fatte in Dio» (Giov., 3, 11-21).

• § 290. In quale stato d’animo avrà ascoltato Nicodemo queste sentenze? Probabilmente in uno stato simile a quello di Agostino nel periodo delle sue titubanze, quando leggendo le Lettere di Paolo gli sembrava di sentire come un profumo di vivande squisite, che tuttavia non riusciva ancora a mangiare, quasi olfacta desiderantem, quæ comedere nondum posset. Del resto alcune sentenze, se non furono schiarite da Gesù con spiegazioni omesse dall’Evangelista, non potevano essere ben comprese da Nicodemo: tale l’allusione alla crocifissione, prefigurata nel serpente nel deserto. Ad ogni modo Gesù, come già aveva fatto con i Giudei del Tempio dopo la cacciata dei mercanti (§ 287), non parlava per Nicodemo soltanto. Se il Fariseo andò a lui di notte, non è detto che lo trovasse assolutamente solo; in un angolo semibuio di quella stanza è ben lecito intravedere gli occhi intenti di un adolescente che segua con ansia il dialogo e stampi quelle parole nella sua vigile memoria: è il discepolo prediletto (San Giovanni Apostolo, ndR), colui che vecchissimo sarà il narratore dell’episodio. Nonostante il colloquio, Nicodemo più tardi non fu vero discepolo di Gesù, quasi a dimostrare esatte le parole allora udite che «il soffio di Dio soffia dove vuole». Tuttavia a Gesù egli rimase benevolo fin dopo la crocifissione: nel Sinedrio oserà spendere una parola in favore di Gesù (Giov., 7, 50-51), e anche più spenderà materialmente per acquistare cento libbre d’aromi onde curare la salma di lui (Giov., 19, 39). Non era un generoso di animo, ma era almeno un generoso di borsa; se non fu un Pietro, non fu neppure un Giuda.

Il libro usato è  «Vita di Gesù Cristo» - Imprimatur 1940, 7a Edizione, Rizzoli & C. Editori, Milano e Roma, 1941, dell’Abate Giuseppe Ricciotti. Fine.

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Da «Vita di Gesù Cristo», Imprimatur 1940, Giuseppe Ricciotti (preghiamo l'Eterno riposo ...), 7a Edizione, 32° - 36° migliaio, Encomio solenne della Reale Accademia d’Italia, Rizzoli & C. Editori, Milano - Roma, 1941.