Comunicato numero 149. Il miracolo del cieco natoStimati Associati e gentili Sostenitori, Dio benedica tutti voi. Oggi ricorderemo la vicenda del cieco nato ed useremo, come d’abitudine, l’ottimo commento dell’Abate Ricciotti. Perché usiamo il defunto Giuseppe Ricciotti e non un qualsiasi moderno commentatore? Perché gli autori contemporanei, in quanto modernisti, non hanno la fede cattolica e, dunque, sono pestilenziali e cripto-atei anche nell’esegesi della Scrittura. Ordinariamente i loro commentari, sebbene presentati con eleganza di stile e con una certa parvenza di sapienza, in realtà nascondono molte insidie. I modernisti, difatti, adottano un sistema intellettualmente disonesto e poggiano le loro elucubrazioni non sulla verità, bensì su conclusioni preconcette. Dunque essi non commentano la Scrittura alla luce dei fatti, ma si concentrano sull’adulterazione di questi fatti in ragione delle loro errate filosofie e credenze. È evidente, per esempio, che un sostenitore dell’ecumenismo non potrà mai veramente credere nella divinità di Cristo, quindi userà una serie di artifizi e sofismi per adeguare a questo delirio personale i passi della Scrittura, pur non dichiarandosimiscredente. Come si può credere nella divinità di Gesù Cristo e, nel contempo, nella divinità degli “dei” delle false religioni, che l’ecumenismo ritiene pari vie di salvezza? Non è possibile, dunque bisogna mentire; ed è proprio quello che fanno i moderni. Chi è il padre della menzogna? Il demonio; ed è proprio il demonio che li ispira. Teniamoli alla larga da noi, dai nostri figli e parenti, mentre teniamoci stretti i compianti Giuseppe Ricciotti, Marco Sales, Salvatore Garofalo, Francesco Spadafora e gli altri venerandi esegeti e biblisti.

• § 428. Dopo il discorso sulla luce spirituale, terminato senza effetto e col tentativo di lapidazione, San Giovanni narra immediatamente una diffusione di luce materiale che ottiene il suo effetto, ossia la guarigione del cieco nato: il fatto dovette avvenire un poco più tardi, quando la festa dei Tabernacoli era finita da qualche tempo e il bollore degli animi si era calmato alquanto. Un giorno, di sabbato, Gesù passò vicino a un uomo cieco dalla nascita che chiedeva l’elemosina, forse nei pressi del Tempio. Riflettendo su quell’infelice, i discepoli che accompagnavano Gesù gli domandarono: «Rabbi, chi peccò, costui o i suoi genitori, perché nascesse cieco?». Si scorge in questa domanda la vecchia opinione ebraica, secondo cui il male fisico era sempre conseguenza e punizione del male morale: opinione già dimostrata fallace dal nobilissimo autore del Libro di Giobbe, eppure tenacemente prolungatasi presso dotti e indotti. Gesù respinse l’opinione dicendo che né quell’infelice né i suoi genitori avevano peccato, e che quel caso singolo era stato permesso affinché si manifestassero le opere di Dio: «Fin quando (io) sia nel mondo, luce sono del mondo» (Giov., 9, 5). Detto ciò, Gesù sputò in terra, fece con lo sputo un po’ di fango, mise quel fango sugli occhi del cieco, e poi gli disse: «Va’, lavati nella piscina del Siloam». - Quello andò, si lavò, e tornò che vedeva. L’Evangelista spirituale (San Giovanni, ndR), appena ha scritto il nome di Siloam, vi aggiunge una glossa di sapore mistico, avvertendo che quel nome si traduce in «Inviato». E in realtà il greco Siloam sta per l’ebraico Shiloah: questo era il nome dato originariamente al canale sotterraneo che raccoglieva le acque della fonte di Gihon (§ 384) convogliandole e introducendole dentro la città; in virtù di tale funzione al canale era stato dato il suddetto nome col significato di inviante (il liquido), o anche di (liquido) inviato, e dal canale il nome si era esteso naturalmente anche alla piscina in cui il canale terminava [Canale scavato dal Re Ezechia verso l’anno 701 avanti Cristo]. Era la piscina del Siloe (§ 76). L’Evangelista spirituale, che ha parlato dell’acqua simbolica convogliata sul mondo da Gesù, ripensa volentieri a lui come a soprannaturale liquido inviato; in quel liquido deve lavarsi l’intero genere umano privo di luce, come il cieco nato si lavò nella piscina del Siloe, e in ambedue i casi il risultato sarà il medesimo.

• § 429. Avvenuta la guarigione, seguono le inevitabili discussioni, perché il guarito era un mendicante di mestiere, notissimo a tutta la città e tutti sapevano ch’era nato cieco, mentre adesso vedeva. Perciò alcuni dicevano: «È proprio lui!». - Altri invece: «Macché! È uno che rassomiglia al cieco!». - Il guarito, interpellato, rispondeva: «Ma no, sono proprio io, il mendicante nato cieco!». - Gli altri allora: «E come ti si sono aperti gli occhi?». - E quello, con semplicità: «Eh! Quel tale che si chiama Gesù ha fatto un po’ di fango; me l’ha messo sugli occhi; mi ha detto: “Va’, lavati al Siloam”; ci sono andato; mi sono lavato; ho veduto. Ecco tutto!». - Per approfondire l’indagine bisognava interpellare Gesù stesso. - «Dov’è andato?», domandarono al guarito. Quello rispose che non lo sapeva. Il caso era grave, sia per il fatto in sé, sia perché il tutto era avvenuto di sabbato; perciò il guarito fu condotto ai Farisei. I Farisei ripeterono le stesse domande e ricevettero le stesse risposte. Nessun dubbio era possibile: quell’uomo lì davanti era il cieco nato, e adesso vedeva benissimo. Tuttavia c’era di mezzo il sabbato. Quindi alcuni Farisei sentenziarono: «Quest’uomo non è da Dio, perché non osserva il sabbato!». - E infatti aveva violato il riposo sabbatico, facendo quella ditata di fango che aveva messo sugli occhi del cieco. Ma ci furono altri, un po’ meno farisei, che osservarono: «Ma se fosse un peccatore, come potrebbe fare prodigi di tal genere?». - E i due gruppi dissenzienti cominciarono a discutere fra loro. Si, che il cieco fosse guarito era cosa certa; ma cosa anche più certa era che chi faceva una ditata di fango in giorno di sabbato era un peccatore, un empio, un esecrando, perciò non poteva operare miracoli. [Ricciotti, come sempre, ci espleta le credenze deiFarisei, ndR]. Non c’era via d’uscita. Nell’imbarazzo si volle conoscere, per aver qualche lume, il parere del guarito; gli fu chiesto: «Che pensi tu di quel tale che ti ha aperto gli occhi?».  - E quello senz’altro: «Per me, è un profeta!».

• § 430. Male, malissimo. Si stimò necessario fare un passo indietro, e si ritornò sui dubbi, già scartati, riguardo all’identità del guarito. Si mandarono a chiamare i genitori di lui: «Costui è proprio il figlio vostro? È proprio nato cieco? E come va che adesso ci vede?». - I due vecchi, intimoriti da quell’accolta d’illustri dottori, si ripararono dietro alla realtà dei fatti, declinando ogni responsabilità loro personale: «Che questo sia il figlio nostro è certo, ed è pure certo ch’è nato cieco; ma come sia che adesso ci veda, o chi gli abbia aperto gli occhi, noi non ne sappiamo nulla. Interrogate lui stesso! Ha l’età: (egli) è maggiorenne; risponda egli stesso dei casi suoi!». Riferita questa risposta, l’Evangelista avverte: «Ciò dissero i genitori di lui perché avevano paura dei Giudei; già infatti si erano accordati i Giudei che, se alcuno lo riconoscesse (come) Cristo (Messia), fosse espulso dalla sinagoga». I vecchi sagacemente avevano evitato il pericolo, e da essi non si poteva cavare nulla di decisivo. Gl’inquisitori allora tornarono di nuovo alla carica sul figlio. Presero perciò un tono esortativo e confidenziale; commovendosi, il cieco avrebbe forse “cantato”: «Su dunque! Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo benissimo che questo tale è un peccatore. Dicci con schiettezza come sono andate le cose!». - Quello rispose: «Se sia peccatore o no, io non lo so; so unicamente che prima ero cieco, e adesso ci vedo!». - E quegli altri: «Ma che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?» - Il guarito, che si serviva la prima volta degli occhi per contemplare quegli inquisitori, mentre forse avrebbe preferito andar fuori ad ammirare visioni più piacevoli, cominciò a perdere la pazienza: «Ma ve l’ho già raccontato! Perché volete sentirlo di nuovo? Volete forse anche voi diventare discepoli di Gesù?». - Apriti cielo! Un diluvio di maledizioni e d’improperi cadde addosso all’impertinente che aveva fatto l’ironica domanda, e fu ritorta su lui l’obbrobriosa insinuazione: «Tu sei discepolo di quel tale; noi siamo discepoli di Mosè. Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Iddio; costui invece non sappiamo donde sia» (§ 419). - Ma l’investito non si lasciò abbattere, e replicò impavido: «Ma appunto qui sta la stranezza, che voi non sapete donde egli sia, e quello invece mi ha aperto gli occhi. È certissimo che Dio ascolta, non già i peccatori, ma i giusti e i pii; come pure, dacché mondo è mondo, nessuno ha mai potuto fare quello che ha fatto!». - Quale irriverenza! Ai più insigni rappresentanti della “tradizione” e della sapienza giudaica pretendeva insegnare quel cialtrone tracotante, generato per di più nella colpa come la sua cecità aveva dimostrato! Gli fu perciò risposto sdegnosamente: «Sei nato tutto intero nel peccato, e vieni a insegnare a noialtri? Fuori di qua!». - E fu messo alla porta. Lo scacciato incontrò poco dopo Gesù, che gli disse: «Credi tu nel figlio dell’uomo (variante: di Dio)»? Il guarito rispose: «E chi è, Signore, affinché io creda in lui?». Gesù soggiunse: «E lo hai visto (alludendo alla guarigione ottenuta), e colui che ti parla è (appunto) esso». Allora il guarito esclamò: «Credo, Signore!», e si prostrò davanti a lui. Gesù soggiunse: «Per una cernita venni io in questo mondo, (ciò) affinché i non vedenti vedano e i vedenti diventino ciechi». Essendosi nel frattempo avvicinati alcuni Farisei, udirono le ultime parole e le interpretarono come allusione a loro stessi; chiesero perciò a Gesù: «Siamo forse ciechi anche noi?». Gesù rispose: «Se foste (soltanto) ciechi, peccato non avreste; ora invece dite “Vediamo!”, (e perciò) il vostro peccato permane». In altre parole, la cecità è generale, ma si può guarire da essa soltanto se si comincia col riconoscere di esserne affetti, mentre non ne guarirà giammai colui che s’illude di vedere; questa illusione è più dannosa della cecità stessa, perché è il suo settemplice sigillo.

• § 431. L’irriducibile tenacia dei Giudei nel non riconoscere la guarigione del cieco nato è di una storicità perfetta, ed è anche un fenomeno storicamente regolarissimo. Questi Farisei troneggiavano su certi loro piloni che non dovevano mai crollare, anche se tutto il resto del mondo fosse crollato: l’osservanza farisaica del sabbato, l’appartenenza all’associazione farisaica, e cose simili, erano i loro piloni, dall’alto dei quali essi giudicavano l’universo intero, approvando ciò che rafforzava i piloni e riprovando ciò che li indeboliva. Citano essi al loro tribunale il cieco guarito e i suoi genitori, investigano sulle testimonianze, almanaccano scappatoie, senza però ottenere la spiegazione desiderata. Non fa niente: si lasci crollare tutto il resto, ma rimangano i piloni. Ebbene, confrontando serenamente i fatti, lo storico odierno trova che dopo tanti secoli una certa parte dell’umanità ha cambiato ben poco nei suoi procedimenti riguardo ai dati della vita di Gesù: ha cambiato soltanto i nomi, ma i procedimenti sono rimasti in sostanza gli stessi. Quei piloni incrollabili che una volta si chiamavano osservanza del sabbato, e simili, oggi si chiamano assurdità del miracolo, impossibilità del soprannaturale, e simili: ma i piloni, agli effetti pratici, sono sempre gli stessi. Si citano al tribunale del razionalismo i vari documenti, s’investigano le testimonianze, si almanaccano teorie, senza però ottenere la spiegazione desiderata, anzi ottenendo un Gesù sempre più soprannaturale (§ 221 segg.). Non fa niente: si lasci crollare tutto il resto - [dicono i moderni] - ma rimangano i piloni. E così rimane la cecità, col suo settemplice sigillo. Da «Vita di Gesù Cristo» - Imprimatur 1940, 7a Edizione, Rizzoli & C. Editori, Milano e Roma, 1941, dell’Abate Giuseppe Ricciotti - Riposi in pace!

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Da «Vita di Gesù Cristo», Imprimatur 1940, Giuseppe Ricciotti (preghiamo l'Eterno riposo ...), 7a Edizione, 32° - 36° migliaio, Encomio solenne della Reale Accademia d’Italia, Rizzoli & C. Editori, Milano - Roma, 1941.