Comunicato numero 152. La parabola del buon SamaritanoStimati Associati e gentili Sostenitori, (§ 438) durante questo peregrinare nella Giudea, probabilmente poco dopo il ritorno dei settantadue discepoli, Gesù fu avvicinato da un dottore della Legge che voleva farsi un’idea chiara del pensiero di Gesù su alcuni punti fondamentali: se ne dicevano tante sul conto di quel Rabbi galileo, che il dottore volle rendersi conto della realtà e metterlo alla prova. Lo interrogò, quindi, con semplicità: «Maestro, che cosa devo fare per ottenere la vita eterna?». Gesù gradì l’interrogazione, e volle con opportune sollecitazioni far rispondere allo stesso interrogante, come già aveva usato far Socrate. Gli chiese quindi: «Nella Legge che cosa sta scritto? Come (vi) leggi?». Quello rispose che vi stava scritto d’amare Iddio con tutte le proprie forze e il prossimo come se stesso. L’amor di Dio era appunto il primo e più solenne precetto che ogni fedele Israelita ricordava a se stesso recitando quotidianamente lo Shěma (§ 66), e Gesù, da fedele israelita, approvò pienamente la risposta: «Rispondesti rettamente. Fa’ ciò, e vivrai!». Senonché in nessun passo della Legge si trovano uniti insieme i due precetti dell’amore di Dio e del prossimo, e sembra che anche i rabbini di quel tempo non usassero unirli insieme; ad ogni modo restava l’incertezza del termine «prossimo», che non si sapeva bene a chi doveva riferirsi, se ai soli parenti o amici, oppure anche a tutti i connazionali e correligionari, ovvero nella più esorbitante delle ipotesi perfino ai nemici, agli alienigeni, agli incirconcisi, agli idolatri (§ 327, nota seconda). Di tutta questa gente chi era il vero «prossimo» per un Israelita? Possibile che fosse un «prossimo» ognuno di essi senza discriminazione? Il dottore volle mostrare di non aver parlato alla leggiera, giacché aveva mirato appunto all’ultima questione; perciò egli, volendo giustificare se stesso, disse a Gesù: «E chi è il mio prossimo?». Gesù gli rispose con una parabola. «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico; e s’imbatté in ladroni i quali spogliatolo e carica to(lo) di percosse se n’andarono, lasciandolo mezzo morto». L’odierna strada da Gerusalemme a Gerico è di 37 chilometri, ma anticamente era un poco più  breve perché l’ultimo suo tratto oggi è stato allungato per comodità del traffico; quell’uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico, perché la strada è quasi tutta in discesa essendovi fra le due città un dislivello di circa 1000 metri. Circa dall’8° chilometro fin quasi alle porte di Gerico la strada si svolge in luoghi assolutamente deserti, montagnosi, e spesso impervii; perciò in tutti i tempi è stata infestata da ladroni, essendo praticamente impossibile snidarli dai rifugi segreti disseminati ai fianchi della strada ed avendo essi ogni comodità di allontanarsi e scomparire dopo qualche misfatto. Oggi sono stati moltiplicati lungo la strada i corpi di guardia della polizia; ai tempi dei Bizantini e dei Crociati serviva da corpo di guardia il Khān Hathrūr, massiccia costruzione situata al 19° chilometro, che mentre proteggeva da rapine i viandanti poteva offrir loro anche un ricovero per la notte. La strada infatti, benché così malsicura, era frequentatissima, essendo l’unica che metteva la capitale Gerusalemme e buona parte della Giudea in comunicazione con l’ubertosa e popolosa pianura di Gerico e più in là ancora con la Transgiordania.

• § 439. Il malcapitato, dunque, giace sulla strada ammaccato di percosse, stordito, e non può in nessun modo tirarsi fuori da quelle condizioni se qualche pietoso non viene in suo soccorso. «Ora per caso un sacerdote scendeva per quella strada, e veduto quello passò di lungo. Similmente poi anche un Levita, venuto sul posto e veduto (quello), passò di lungo». La parabola evidentemente suppone che ambedue, il sacerdote ed il Levita, avessero terminato la loro muta di servizio al Tempio (§ 54), e quindi tornassero alle loro case situate a Gerico o giù di lì. Dopo questi due, passa un terzo viandante. «Ma un Samaritano, essendo in viaggio, venne presso di quello, e veduto(lo) si commosse; e avvicinatosi fasciò le ferite di lui versandovi sopra olio e vino; fattolo poi salire sul giumento (suo) proprio, lo condusse alla locanda ed ebbe cura di lui. E la dimane, messi fuori due denari, (li) dette al locandiere e disse: “Abbi cura di lui, e ciò che (tu) abbia speso in più io al mio ritorno ti renderò”». Il Samaritano era forse un mercante che andava per acquisti nel distretto di Gerico, e di li a poco sarebbe ritornato facendo il cammino inverso; era anche benestante, perché viaggiava su un giumento suo proprio. La pietà ch’egli sentì subito per l’infelice l’indusse a curarlo come meglio poteva in quella solitudine: applicò quindi alle ferite i medicinali del tempo, ossia l’olio emolliente e il vino disinfettante, e le fasciò con bende improvvisate; caricò poi di peso sul giumento quell’uomo inerte e imbambolato, e sostenendolo di fianco come meglio poteva lungo il tragitto lo portò fino alla locanda. Questo ricovero era certamente il caravanserraglio (§ 242) di quella strada; forse era situato sul posto dell’odierno Khān Hathrūr, che una vecchia denominazione chiama anche «Castel del sangue», dal colore rosso che le rocce ferrigne hanno in quel luogo, ma che spontaneamente fu applicato al sangue abitualmente sparso lungo la strada: di qui anche l’altra denominazione usuale di «Albergo del buon Samaritano». I due denari d’argento, equivalenti a un poco più di due lire in oro, erano una scorta sufficiente per provvedere a vari giorni di cura: del resto, se la scorta non fosse bastata, il Samaritano aveva promesso al locandiere di rimborsarlo del di più.

• § 440. La parabola era finita. Siccome il dottore aveva richiesto di sapere chi fosse il suo prossimo, così Gesù concluse la parabola provocando la risposta dal dottore stesso: «Chi di questi tre ti sembra che sia stato (il) prossimo di colui che s’era imbattuto nei ladroni?». Il dottore naturalmente rispose: «Quello che usò misericordia con lui». E allora Gesù: «Va’, anche tu fa’ lo stesso!». Si noterà l’apparente discrepanza fra la domanda del dottore (chi è il mio prossimo?) e la risposta di Gesù (anche tu fa’ lo stesso!); è una discrepanza di pura forma. Il dottore rimane nel campo delle idee: Gesù scende nel campo dei fatti, perché le più belle idee rimangono parole se non diventano fatti della vita; la vita è il paragone delle parole, e le parole più belle diventano efficaci solo quando siano precedute e seguite da una vita di disinteresse e di sacrificio. E perciò al dottore che vuol sapere chi è il prossimo, Gesù mostra chi agisce da prossimo e aggiunge l’esortazione ad imitare costui. Nel caso della parabola, il prossimo del ferito erano ufficialmente più d’ogni altro il Sacerdote e il Levita: ottima idea, pessimo risultato. In nessun modo era ufficialmente prossimo del ferito il Samaritano: pessima idea, ottimo risultato. I due ministri della religione nazionale non sentono il minimo palpito di pietà per il loro connazionale boccheggiante: lo straniero ed esecrato Samaritano fa per quell’infelice quanto avrebbe fatto per suo padre e sua madre. Dei tre, solo il Samaritano agisce da prossimo, pur non essendo ufficialmente «prossimo»; dunque qualsiasi uomo, di qualsiasi razza e fede, può essere «prossimo» perché può agire da prossimo.

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Da «Vita di Gesù Cristo», Imprimatur 1940, Giuseppe Ricciotti (preghiamo l'Eterno riposo ...), 7a Edizione, 32° - 36° migliaio, Encomio solenne della Reale Accademia d’Italia, Rizzoli & C. Editori, Milano - Roma, 1941.