Comunicato numero 157.  Urgenza del cambiamento di menteStimati Associati e gentili Sostenitori, auguriamo a tutti Voi ed alle vostre famiglie una Santa Pasqua. Qual propizia occasione per “rinascere”, per amare Dio odiando il peccato, per dedicarci al prossimo fuggendo ogni male e iniquità, per attuare quel necessario «cambiamento di mente» predicato instancabilmente da Nostro Signore Gesù Cristo, e di cui il venerando Ricciotti a breve ci parlerà. Meditiamo con attenzione le parole del Sommo Pontefice Leone XII (Qui pacem, Omelia della Domenica di Pasqua, 26 marzo 1826): «Voi desiderate soltanto la pace, voi cercate insistentemente la pace, ma non trovate pace: perché dunque? Perché la cercate dove non è e non può essere. Sulle loro vie vi sono l’afflizione e l’infelicità, e non conobbero la via della pace; è questa, e Dio stesso lo afferma, la condizione di coloro che sperano di trovare la quiete e la tranquillità nel peccato. Sperano la quiete, e finiscono nella tempesta; si ripromettono la gioia, e non trovano infine se non tedio, e affanno, e terrori: anzi sentono principalmente crescere dentro (di loro) una tetra amarezza, proprio là dove, ingannati da una falsa immagine di bene, si erano ripromessi la massima felicità». Nell’articolo che segue riporteremo l’Omelia per intero, ma adesso veniamo alla consueta lezione tratta dalla preziosa «Vita di Gesù Cristo» dell’Abate Giuseppe Ricciotti: sia pace alla sua bellissima anima!

• § 453. Insegnamenti [escatologici] di questo genere [leggere l’editoriale sul numero 156 di Sursum Corda] rovesciano la stratificazione dei pensieri umani. Non erano le elucubrazioni dei casuisti Farisei sull’uovo fatto dalla gallina di sabbato (§ 251) e sulle sciacquature di mani e di stoviglie prima di mangiare: era un incendio che metteva tutto a soqquadro in quel mondo concettuale giudaico, e che più tardi propagherà le sue fiamme anche in altri mondi. Lo riconobbe Gesù stesso, proclamando dopo le precedenti dichiarazioni: «Un fuoco venni a gettare sulla terra, e che voglio se è già acceso?». Se è un fuoco, sarà una prova attraverso cui passeranno i seguaci di Gesù. Vi passerà anzi, per primo, Gesù stesso: «Ma d’un battesimo ho da esser battezzato, e come sono angustiato fino a che sia compiuto!». Il metaforico «battesimo» di Gesù segnerà il divampare palese del fuoco; ma battesimo e fuoco sono ambedue una prova, il primo per Gesù, l’altro per tutta la terra. La prova della terra apporterà su essa, non già pace e concordia, ma guerra e discordia. Continua infatti Gesù descrivendo gli effetti della sua dottrina sulla terra: avverranno scissioni e lotte in una famiglia di cinque persone, e tre si schiereranno contro due, e due contro tre; il padre si metterà contro il figlio e viceversa, la madre contro la figlia e viceversa, la suocera contro la nuora e viceversa. Prima, tutti erano d’accordo; ma penetrato che sia in quelle cinque persone il messaggio di Gesù, è penetrata fra esse la discordia, perché alcuni lo benedicono e altri lo maledicono (Luca, 12, 49-53). Già il vecchio del Tempio, più di trenta anni prima, aveva contemplato Gesù quale «segno contraddetto» (§ 250): la persona di Gesù e la sua dottrina saranno il segno di contraddizione per tutto il genere umano. Anche qui lo storico odierno può facilmente riscontrare se queste idee espresse venti secoli fa abbiano reale riscontro nei fatti storici di allora e dei secoli seguenti fino ad oggi. Intanto Farisei e Sadducei, mescolati con le turbe, seguivano passo passo Gesù mirando al loro scopo di raccogliere prove contro di lui. Gesù ne trasse occasione per rivolgere esortazioni in comune ad essi ed alle turbe. I giorni passano, gli eventi precipitano, e costoro invece di provvedere ai loro supremi interessi si arrovellano per ostacolare il regno di Dio. Ma non vedono essi ciò che accade attorno a loro? Non riconoscono i segni dei nuovi tempi morali? I segni dei tempi materiali essi sanno ben riconoscere quando di sera scorgono una nuvola che viene su da ponente, dicono subito che verrà la pioggia; quando invece soffia vento da mezzogiorno, dicono che farà caldo; così infatti avviene. E dai segni morali manifestatisi da Giovanni il Battista in poi non scorgono essi, ipocriti, che è venuto il tempo di rinnovamento spirituale e di «cambiamento di mente» (§ 266)? Il vecchiume sarà inesorabilmente abolito; e vi sono ancora dei ciechi che non scorgono la novità che si attua, e pretendono rimanere attaccati al vecchiume? Aprano gli occhi, vedano, e giudichino essi stessi ciò ch’è necessario prima che sia troppo tardi (Luca, 12, 54-57).

• § 454. Un paio di fatti di cronaca offrirono di lì a poco occasione per tornare sullo stesso argomento. A Gesù, galileo, fu riferita in quei giorni la strage che il procuratore romano Pilato aveva fatta di certi Galilei mentre offrivano sacrifizi nel Tempio (§ 26). Gesù allora, riferendosi alla vecchia opinione ebraica secondo cui il male materiale era sempre punizione di un male morale (§ 428), rispose: E credete voi forse che quei Galilei rimasti uccisi fossero peccatori più di tutti gli altri Galilei, essendo capitata loro questa sorte? Tutt’altro; vi dico infatti che se non «cambierete di mente», tutti nella stessa guisa perirete. Col fatto recentissimo ne ricollegò poi Gesù un altro, avvenuto poco prima egualmente a Gerusalemme; ivi nel quartiere del Sibe (§ 428), cioè alla periferia dell’abitato, era crollata improvvisamente una torre che faceva parte del sistema difensivo della città, del quale scavi recenti hanno rimesso in luce varie tracce: crollando, la torre aveva travolto ed ucciso diciotto persone. Ebbene - soggiunse Gesù - credete voi che quei diciotto infelici fossero più colpevoli di tutti gli altri abitanti? Tutt’altro; vi dico infatti che se non abbiate «cambiato di mente», tutti egualmente perirete (Luca, 13, 1-5). Qual è la fine qui minacciata agli impenitenti. Si osservi come ambedue i fatti citati quali esempi contengano una fine violenta, perché le vittime di Pilato muoiono di spada e le vittime della torre muoiono schiacciate: erano le morti ordinarie nelle guerre e negli assedi di allora, e basta leggere la Guerra giudaica di Flavio Giuseppe per trovare ad ogni pagina morti di spada o di schiacciamento (oltreché di fame) durante tutto l’assedio di Gerusalemme. Qui dunque si minaccia una fine tra violenze abitualmente guerresche, alle quali invece non era stato fatto alcun cenno nelle precedenti parabole dei servi che aspettano la venuta del padrone. Là infatti si trattava di un fatto assolutamente inevitabile, sebbene da attuarsi in un tempo ignoto, cioè della [seconda] «venuta del Figlio dell’uomo» il quale fisserà a ciascuno la propria [eterna] sorte; qui invece la fine violenta è senz’altro evitabile, bastando a tale scopo ricorrere al «cambiamento di mente». Le parole di Gesù sono nettissime nel loro dilemma O non cambierete di mente, e allora tutti perirete come nei due esempi; oppure cambierete di mente, e allora vi sottrarrete alla fine violenta degli esempi. Senza alcun dubbio il «cambiamento di mente» rappresenta qui lo scopo della missione di Gesù; questa missione è presentata come un’ultima dilazione offerta da Dio al prediletto popolo giudaico affinché si converta; in caso negativo, le minacce si eseguiranno. Tutto ciò è chiaramente confermato nella breve parabola soggiunta subito da Gesù. C’era un uomo il quale aveva nella sua vigna un albero di fichi che non faceva frutto. Disse pertanto al vignaiuolo: «Son già tre anni che vengo a cercar frutti da quest’albero e non ne trovo; perciò taglialo via, giacché non dà frutto e isterilisce anche il terreno attorno!». Ma il vignaiuolo intercedette: «Padrone, lascialo stare ancora quest’anno. Io zapperò torno torno alle radici, ci metterò letame, e poi vedremo: se darà frutto, bene; altrimenti, dopo quest’ultima prova, lo taglierai via!» (Luca, 13, 6-8). Il simbolismo è trasparente. Già rilevammo che i tre anni di sterilità dell’albero sembrano alludere alla durata della vita pubblica di Gesù (§ 178), della quale allora correva appunto il terzo anno; ma checché sia di ciò, è chiaro che l’albero rappresenta il giudaismo, il padrone della vigna Dio, il vignaiuolo Gesù stesso. Ritorna quindi la minaccia di prima: in quest’ultima dilazione concessa all’albero, o esso darà frutti, ovvero finirà sotto i colpi d’accetta.

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Da «Vita di Gesù Cristo», Imprimatur 1940, Giuseppe Ricciotti (preghiamo l'Eterno riposo ...), 7a Edizione, 32° - 36° migliaio, Encomio solenne della Reale Accademia d’Italia, Rizzoli & C. Editori, Milano - Roma, 1941.