Comunicato numero 207. La vera Bibbia e le false bibbie

Stimati Associati e gentili Sostenitori, la Chiesa ha ordinariamente sconsigliato - talvolta si è reso necessario vietare con sanzioni - al profano la lettura della Bibbia, soprattutto dell’Antico Testamento. All’uomo moderno, anche al nominalmente cattolico, ciò potrà sembrare strano o addirittura nozione sconosciuta. Non c’è da stupirsi, poiché il moderno “cattolico”, il modernista, è del tutto equivalente, nella sua mentalità, al protestante medio e mediocre. Le cronache attestano, difatti, che il Vaticano Secondo ha tentato di protestantizzare la Chiesa dall’interno, ed in parte ha raggiunto il suo scopo a discapito dell’intera collettività. D’altronde l’ecumenismo - per sua stessa natura - sforna eserciti di protestanti già prossimi all’ateismo. Al vero Cattolico, lo scrivo sbrigativamente, basta ed avanza un buona Catechismo di san Pio X per apprendere il necessario ed il sovrabbondante alla salvezza. La Sacra Scrittura non è per tutti, come non è per tutti la medicina. Tuttavia mentre per l’improvvisato medico è molto difficile praticare, per esempio, la chirurgia; il profano che pretende di studiare la Bibbia, con troppa facilità si ergerà a predicatore e spargerà i suoi veleni al bar, a scuola, in ufficio, in chiesa, ovunque vi sia occasione di cianciare. Basti pensare a Bergoglio ed a quelli prima di lui per cinquant’anni, al mostruoso uso che fanno della Scrittura, a come la manipolano e la amputano, a quante eresie divulgano in nome della Scrittura, e quante anime trascinano inesorabilmente all’Inferno: «Numquid potest caecus caecum ducere? Nonne ambo in foveam cadent?». Nessuno, sentenzia il Maestro, può pretendere di insegnare ciò che non conosce o ciò che rifiuta di correttamente conoscere; così come il cieco, che pretende di guidare un altro cieco, finirà col far precipitare entrambi nel burrone.

I principali documenti che è necessario studiare prima di accingersi alla lettura non improvvisata della Sacra Scrittura sono: 1° Lettera enciclica Providentissimus Deus di Papa Leone XIII, sullo studio della Sacra Scrittura, 18 novembre 1893; 2° Lettera enciclica Spiritus Paraclitus di Papa Benedetto XV, 15 settembre 1920, scritta in occasione del quindicesimo centenario della morte di San Gerolamo; 3° Lettera enciclica Divino Afflante Spiritu di Papa Pio XII, 30 settembre 1943, contro i moderni studi biblici. Tre documenti ricchi di infallibili sentenze e di dottrina tanto necessaria quanto inequivocabile per iniziare il corretto approccio al Testo Sacro. Un ottimo Dizionario biblico è quello di Mons. Francesco Spadafora. Già la protestantica Dei Verbum del Vaticano Secondo, pretesa Costituzione dogmatica sulla Divina Rivelazione, mescolando verità con menzogne in classico stile modernista, è un documento pericoloso e charta capostipite delle moderne “bibbie” ecumeniche ed interconfessionali: dei moncherini di Bibbia con amputazioni, aggiunte, false traduzioni e note intrise di eresie. Per lo studio odierno ci faremo aiutare dal dotto Alberto Vaccari con il suo «Bibbia e bibbie», S.O.S., imprimatur 1944. Il P. Vaccari è stato per molti anni Vice-Rettore e Professore dell’Istituto Biblico di Roma.

Ne «La Civiltà Cattolica» del 1° maggio 1937 (Quod. 2085, p. 231) si affermava, che tra i rimproveri mossi dai protestanti alla Chiesa Cattolica «non è raro intendere, specialmente in discorsi e scritti di propaganda, la grossa accusa che la Chiesa romana ha messo la Bibbia all’indice». Di ripicco un tal Manfredi Ronchi, sul periodico protestante «II Testimonio», del giugno seguente, sfidava l’autore di quell’articolo a citare « scritti, sia pure di propaganda, dove gli evangelici (con questo titolo amano inorpellarsi i protestanti, ndr.) abbiano affermato che la Chiesa Romana abbia messo all’Indice... tutta la Bibbia» così nella sua generalità. Par di sognare. O che il Signor Manfredi Ronchi non legge libri e giornali di protestanti ? Dio volesse! Ma a farlo apposta (tanto per citare un esempio) proprio nell’aprile di quello stesso anno 1937 il valoroso periodico romano «Fides» doveva ribattere (e non era la prima volta) gli attacchi del protestantico fiorentino «Ebenez», che nel marzo ripeteva, per l’ennesima volta, testualmente: «Che cosa ne ha fatto di essa (la Bibbia) per secoli la Chiesa Romana ? L’ha messa all’Indice» («Fides», anno 37, p. 170). Ma v’è di più. Lo stesso Manfredi Ronchi scrive un po’ più sotto: «Ho davanti a me due di questi scritti (protestanti) uno del 1866: Si può leggere la Bibbia ?..... ed in nessuno di essi si afferma la grossa accusa intesa in senso assoluto» («Testimonio», pagina citata). Davvero ? Ho pur io davanti lo scritto «Si può leggere la Bibbia?» dell’infelice apostata Luigi Desanctis (Edizione II, Torino 1860). Il primo capo s’intitola: «È vero che i preti proibiscono la lettura della Bibbia?». La risposta affermativa in senso «assoluto», che balza chiara e sovente esplicita (p. 20, 29, 31, 33, ecc.) da tutta la cicalata, è spiattellata nella conclusione: «Sembra dunque evidente che esista per parte di Roma una proibizione assoluta di leggere la Bibbia» (p. 26). E tanto basti, per non portar acqua al mare. È dunque certo e formale il fatto de la «grossa accusa, che la Chiesa romana ha messo la Bibbia all’Indice». E la nostra risposta ? Semplice e breve: La Bibbia no, ma certe edizioni della Bibbia si; sono due cose ben diverse. Nel 1631 usciva a Londra dalla Ditta Barker e Bill un’edizione della Bibbia ufficiale inglese (authorized version) nella quale, fosse pura svista o tiro maligno di qualche mariolo della tipografia, al sesto (settimo secondo i protestanti) comandamento del Decalogo (Esodo 20, 14) era omessa la negazione; l’adulterio anziché proibito veniva comandato. Scandalo enorme (Nella storia letteraria passò col marchio di «wicked Bible», la cattiva Bibbia). Deferita la cosa al Re, l’edizione fu sequestrata e l’editore condannato alla multa di trecento sterline. Nessuno sognerà di dire che il governo inglese abbia soppresso la Bibbia o impeditone la lettura. (Sì la multa; no la censura del libro, ndr.). Con tutta la diversità di motivi e di estensione, il caso della legislazione cattolica in questa materia non è di natura diversa. Per giustificarla bastano due cose: legittimo potere nell’autorità ecclesiastica e sufficienti ragioni per diffidare delle edizioni protestanti, sopratutto in lingua volgare o moderna. Né l’uno né le altre mancano.

Il Sacro Deposito. Non si può negare (in ciò convengono tutti i Cristiani - anche i sedicenti tali, ndr. - ed è chiaro insegnamento del Vangelo) che Gesù Cristo fondò la Chiesa come una società religiosa allo scopo di diffonderne la dottrina e attuarne il programma di vita religiosa e morale. La Bibbia è come la carta di fondazione di tale società, o se meglio vi piace, è il registro che contiene, insieme con la carta fondamentale della sua costituzione, i documenti dei fatti che ne prepararono e accompagnarono lo stabilimento. Ma è pur ovvio, che una società non può rimaner indifferente a quanto riguarda la sua carta di fondazione; essa anzi ne è per istinto e per dovere la naturale custode, la gelosa tutrice, che si opporrà ad ogni attentato contro l’integrità o la genuina interpretazione di quel documento per lei vitale. Non altrimenti la Chiesa, e dentro essa per ufficio organico l’autorità ecclesiastica, rispetto alla Bibbia. La Bibbia è il libro della fede e solo per la fede assurge a quella dignità incomparabile, unica al mondo, di essere il libro ispirato da Dio e perciò, come dice il suo nome stesso, il libro per eccellenza. Come tale, appartiene quant’altro mai a quel «deposito» della fede, che alla Chiesa fu affidato e che l’Apostolo San Paolo al vescovo Timoteo raccomanda ripetutamente di gelosamente «custodire» (I Tim. VI, 20 ; II Tim. I, 14). Perciò la Chiesa ha il diritto e il dovere d’invigilare che quel sacro deposito non venga menomato o corrotto. I protestanti negano alla Chiesa diritti e doveri sulla Bibbia; ma vedete in quale contraddizione si cacciano. Per giustificare la loro adesione ai giudei contro i cattolici sul numero dei libri del Vecchio Testamento, come spiegheremo più sotto, fanno appello a quel detto di San Paolo, che tra le prerogative degli ebrei pone in primo luogo «che a loro vennero affidati gli oracoli di Dio» (Romani III, 2) cioè le divine Scritture. E il già nominato apostata Desanctis scrive in proposito: «Se gli erano (ai giudei) stati fidati (gli oracoli di Dio), i giudei certamente dovevano conoscerli per custodirli; dovevano essergli (sic !) stati confidati come tali, come tali han dovuto custodirli, e li hanno custoditi di fatto» (in «La parola di Dio», Firenze 1870, p. 103). Quando poi si viene a parlare della lettura e dell’interpretazione della Bibbia, allora nessuna custodia, nessuna riserva; la Bibbia è di tutti e per tutti, è l’unica chiave della salute e nessuna autorità al mondo ne può regolare il funzionamento. Così i protestanti negano alla Chiesa cristiana ciò che concedono alla sinagoga ebraica. Fa bisogno mostrare quanto le istituzioni di Gesù Cristo siano superiori a quelle di Mosè? Ce ne dà la misura l’Apostolo (tanto per citare a questi fanatici della Bibbia un testo biblico) là dove scrive agli Ebrei (III, 3-6): «Di tanto maggior gloria sopra Mosè fu Gesù tenuto degno, quanto più della casa si stima il costruttore e padrone della casa, quanto il figlio più del servo». Fondata su questi inconcussi principii, la Chiesa cattolica, con più ragione e fermezza che non l’antica Sinagoga tiene in consegna il sacro deposito delle divine Scritture, e sente il dovere di vegliare alla sua custodia. In adempimento di tale dovere la Chiesa emanò leggi che regolano la pubblicazione e la lettura della Bibbia, espresse con tutta brevità e chiarezza nel vigente Codice di diritto canonico (del 1917, ultimo Codex pubblicato da un Pontefice tale anche formalmente, dunque ultimo Codex autorevole e vincolante, ndr.), e riportate nella novissima edizione dell’«Indice dei libri proibiti», ove possono leggersi anche tradotte un italiano («Indice dei libri proibiti riveduto e pubblicato per ordine di S.S. Pio Papa XI», Città del Vaticano 1929, p. XVI-XVII). Il modernista Montini, che ha materialmente occupato la Cattedra di Pietro negli anni ’60/70, ha preteso di abolire sia l’Indice che lo stesso Sant’Uffizio per ragioni ecumeniche. D’altronde il Sant’Uffizio metteva all’Indice gli errori e le eresie, mentre l’ecumenismo di Montini approva e diffonde errori ed eresie, ndr.

Leggi preventive e repressive. I provvedimenti sono di due specie: preventivi e repressivi. Preventivamente, qualunque pubblicazione di testi, traduzioni o commenti dei Sacri Libri, prima che si stampi, deve essere sottoposta a revisione ecclesiastica, per accertare se tutto abbia le condizioni richieste alla conservazione del sacro deposito della fede (Canoni 1385 e 1391). Mancando tale cautela o garanzia nelle edizioni, sia del testo sia delle versioni, pubblicate da non cattolici, che alle leggi della Chiesa non obbediscono, subentra l’ordine repressivo, che tali edizioni non si possono leggere, né ritenere, né vendere (Canoni 1398, 1399). La condotta della Chiesa, in queste disposizioni, è rettilinea; non potendo essa in quelle pubblicazioni, che sfuggono alla sua vigilanza, garantire immunità di errore o di guasto qualsiasi, non le permette ai suoi fedeli perché non n’abbiano a ricevere danno. La più colpita da questo divieto, perché la più attiva propagatrice di “bibbie” sottratte alla revisione ecclesiastica, è la «Società biblica britannica e forestiera» (l’Autore scrive negli anni ’40, ndr.), impresa collettiva di privati, sorta a Londra nel 1804 «per la diffusione della Bibbia a poco prezzo fra il popolo». Ma proprio essa tanto meno può contrastare alla Chiesa cattolica il diritto di regolare la lettura della Bibbia, in quanto essa medesima si arroga un simile diritto e impone restrizioni nella stampa delle sue “bibbie”. Mi aprirò la strada a spiegarmi con un esempio, un fatto. Mi stanno sott’occhio due copie della medesima edizione originaria della «Bibbia sacra contenente il Vecchio e Nuovo Testamento secondo la Volgata, tradotta in lingua italiana da Monsignor Antonio Martini, Arcivescovo di Firenze», Londra, dai Torchi di Beniamino Bensley, 1821 (così esattamente il frontespizio), certo per conto della detta «Società biblico britannica e forestiera», come attesta il grande «Catalogo delle Bibbie stampate» della medesima Società («Historical Catalogue of the printed editions of Holy Scripture in the Library of the British and Foreign Bible Society compiled by T. H. Darlow and. H. F. Moule». Londra 1903, vol. II, p. 818. Vi si dice inoltre che questa edizione del Martini fu fatta a richiesta della Società biblica di Malta.). Una delle due copie riproduce con tipi uniformi dal principio alla fine il puro testo biblico (senza le note) della edizione originale del Martini in tutta la sua integrità e col medesimo ordine piuttosto singolare. Nell’altra, dopo la pagina 432, in mezzo al capo 6.o del secondo libro di Esdra, si nota improvvisamente cambiare carattere, rimpicciolito, per un intero foglio di stampa, sino alla pagina che porta la numerazione 448... 526. Infatti la pagina seguente, dove col libro di Giobbe ritorna il primo carattere, porta il numero 527 e così continua. Di nuovo simile cambiamento di stampa per un foglio (p. 625-640) fra il Salmo 140 e il capo 8 d’Isaia, e poi ancora per otto pagine in fine di Geremia, e finalmente per altre dodici dal capo 3 al termine di Daniele, dove la pagina ha i numeri 812... 816 per raggiungere la seguente 817, che ripiglia il tipo ordinario sino alla fine.

Che ci cova sotto? Poco dopo la fondazione della «Società biblica», e occasionata appunto dal moltiplicarsi e diffondersi delle sue “bibbie” in molte lingue e paesi, scoppiò fra i protestanti la cosidetta «controversia degli apocrifi». Alcuni libri (sette interi e parti di due altri), che si trovavano in tutte le Bibbie latine e greche del Medioevo, e dalle Chiese cristiane in Oriente e in Occidente erano venerati come sacri e ispirati al pari degli altri, dai fondatori della sedicente riforma protestante furono bensì ritenuti nelle loro Bibbie tradotte in lingua moderna, ma riuniti insieme in appendice al Vecchio Testamento e distinti dagli altri col titolo di «apocrifi», come (a loro credere) non ispirati, non canonici. Così si leggono tradotti da Giovanni Diodati nelle due edizioni (Ginevra 1607 e 1642), ch’egli stesso in vita sua diede alla luce, della sua “bibbia” italiana. Ma ai puritani del secolo XIX quegli «apocrifi» in mezzo ai libri sacri erano come il fumo negli occhi, e così aspra campagna menarono contro l’ammissione, sino allora praticata, di quei libri nelle “bibbie” complete, che nel 1826 la «Società biblica britannica e forestiera», in solenne risoluzione societaria, dichiarò «incompatibile con la legge fondamentale della Società lo stampare Bibbie con gli apocrifi e il concedere sussidi a quelle società o individui, che diffondessero gli apocrifi» (cfr. «A history of the British and Foreign Bible Society by W. Canton», vol. I, Londra 1901, p. 341 segg.). D’allora in poi questo fu legge nella Società, e, per un effetto retroattivo, dalle copie ancora giacenti in deposito delle precedenti edizioni con gli apocrifi (almeno da molte, se non tutte) furono stralciati quei libri proscritti e il volume racconciato come s’è visto in quell’altra copia del Martini che dicevo. Quella è proprio (non si può negare) materialmente una «Bibbia mutilata» in ossequio ai decreti della «Società biblica britannica e forestiera». Altra legge fondamentale della Società, ma questa sancita sin dal principio, è che tutte le sue edizioni della “bibbia”, o di qualunque parte di essa, diano il puro testo senza alcuna sorta di note o schiarimenti o tavole illustrative; legge, come si vede, quasi diametralmente opposta (per quanto riguarda le versioni in lingua moderna) a quella della Chiesa cattolica. Di qui è che anche la “bibbia” del Diodati, il quale munì la sua versione di copiose note, specialmente nella seconda edizione, ne uscì del tutto spogliata nelle numerose ristampe della «Società biblica britannica e forestiera». Non saprei quanto garberebbe a quegli stessi campioni del protestantesimo, se potessero levare il capo dal sepolcro, il vedere così mutilata dai loro successori la propria opera; certo il Martini sarebbe il primo a condannare la soppressione di tutte le note da lui apposte alla sua traduzione.

Le note. Può anche farsi questione, se sia semplicemente onesto mozzare così l’opera di un privato, dove spesso traduzione e note formano un tutto inscindibile. Infatti chi correda di note la sua versione (e qui lo scrivente può parlare per esperienza, appartenendo egli pure, per quanto modestamente, alla categoria dei traduttori) nei luoghi suscettibili di più d’un senso (e sono tanti nei libri antichi) o per coscienza di fedeltà riproduce nel testo l’ambiguità dell’originale, riservandosi di precisare in nota; o viceversa dà chiara nel testo un’interpretazione, avvertendo in nota dell’incertezza. Ma ciò che certamente va bollato d’oltraggio alla pubblica autorità, e alla verità insieme, è presentare col titolo consueto delle edizioni cattoliche, «Sixti V et Clementis VIII iussu recognita atque edita», una Volgata latina dove mancano per deliberata soppressione, tanti libri, che dalla Santa Sede in esecuzione dei decreti del Concilio di Trento, formano parte integrante. Di tal fatta è appunto la «Bibbia Latina Volgata» messa in vendita nei depositi della «Società biblica ...». E con ciò siamo di nuovo al punto di grave differenza fra le “bibbie” protestanti e la cattolica, sul quale occorre fermarci alquanto.

Bibbia mutilata. Nel recentissimo «Dictionnaire encyclopédique de la Bible», edito dai protestanti di lingua francese, sotto la direzione di Alessandro Westphal (Il I volume A-K è uscito a Parigi, Editions «Je sers», nel 1932; il secondo L-Z nel 1935), il prof. Louis Randon, già agente generale della «Società biblica di Parigi», ora defunto, alla voce «Apocryphes» scrive testualmente: «I cristiani fin dall’origine adottarono non la Bibbia ebraica, ma la Bibbia greca, con l’ordine e il contenuto suo proprio. Si capirebbe che la Riforma (sic!), volendo ritornare alle fonti più antiche (con questo pretesto - del ritorno alle origini o archeologismo - i modernisti hanno devastato ogni cosa, dalla liturgia ... alla morale, ndr.), abbandonasse la Bibbia dei Settanta per sostituirle quella degli Ebrei. Ma non fu questo il partito che si prese. Si conservò la Bibbia greca nella sua speciale disposizione di materie, ma tagliandone via i libri non compresi nel canone ebraico; con che si diede alla Bibbia protestante un certo sembiante di Bibbia espurgata» (Opera citata, 1, p. 71, col. 2). Espurgata io non direi, perché quel termine suona macchia alla parte recisa, che si rifonde sul tutto; ma mutilata sì, e non solo in sembiante, ma in realtà. Ognuna delle tre parti in che dividesi (oltre il Pentateuco) il Vecchio Testamento, nella Bibbia greca — ch’era la Bibbia degli Ebrei fuori di Palestina e fu poi quella dei primi cristiani — è notevolmente più ricca che non la Bibbia dei rabbini. Tra i libri storici, ha di più Tobia, Giuditta, i due libri dei Maccabei, due opere completamente distinte (In altro senso cioè da quel che si usa parlando di I e II dei Re, I e II dei Paralipomeni o Cronache, arbitraria divisione di un tutto letterariamente uno), e alcuni capi di Ester; tra i didattici, le due Sapienze, dette di Sirac o Ecclesiastico, e di Salomone; tra i profetici Baruc e alcuni capi di Daniele (Susanna, Belo e il cantico dei tre fanciulli). Sono questi i libri che mancano nelle “bibbie” protestanti, e stanno invece nelle Bibbie cattoliche, nell’ordine e al posto più o meno esattamente, che tengono ne le Bibbie greche; e siccome vi stanno a buon diritto, in buona armonia organica coi vicini e col corpo intero, il levarneli si chiama giustamente mutilazione. Non è qui il luogo di spiegare tutte le ragioni di quel buon diritto; toccheremo solo due punti e ci serviremo delle parole stesse del già citato L. Randon nel «Dizionario enciclopedico protestante». Quali ragioni accampano i protestanti per escludere dal novero dei libri sacri quelli ch’essi perciò chiamano apocrifi? «La più grave (sono parole del Randon) — tanto che senza di essa non sarebbe venuta l’idea di cercarne altre — è l’assenza di quei libri dalla Bibbia ebraica. Ma perché i giudei di lingua greca non avrebbero avuto il diritto al pari dei loro correligionari di Palestina d’avere i loro libri sacri?»; cioè perché l’ispirazione divina si sarebbe ristretta nei confini di Palestina, negandosi ai giudei d’altri paesi? Ma nella stessa Palestina il canone delle divine Scritture non fu fissato e chiuso che alla fine del primo secolo di Cristo; è la conclusione della moderna scienza storica, ammessa oggi dai protestanti stessi, e francamente registrata da altri collaboratori nel medesimo «Dizionario enciclopedico della Bibbia» (Vol. I pag. 159, col. I J. E. Mc. Fadyen, e col. II (J. Breitenstein). Quel canone ebraico più ristretto, al quale si aggrapparono i seguaci della sedicente Riforma, fu dunque fissato quando già la sinagoga per la predicazione di Gesù e degli Apostoli era esautorata, e se ne ha questo bel risultato, ch’essi, negando fede alla Chiesa cristiana in questo punto capitale della religione e per loro più che mai fondamentale, si assoggettarono al giudizio dei rabbini della fine del primo secolo, vale a dire dei nemici di Cristo! Di coloro che lo hanno messo in croce, ndr..«A rinforzo della loro posizione (continua il Randon) i partigiani dell’esclusione degli Apocrifi (Nel senso, s’intende, dello scrittore protestante, che qui andiamo traducendo, come si è sopra spiegato) affacciarono altri argomenti. Questi libri, dicevano, non furono accettati da tutti; e naturalmente citavano l’opinione di San Girolamo. Ma intanto dimenticavano volentieri due fatti essenziali: 1° La tesi dell’autore della Volgata (San Girolamo suole dirsi autore della Volgata in quanto tradusse il più e il meglio dei libri che la compongono. Nella questione del canone si lasciò trasportare dal suo studio dell’ebraico. Il suo grande contemporaneo, e migliore teologo, Sant’Agostino, sostenne energicamente il canone integrale e ne provocò il definitivo trionfo) non fu ammessa che da una esigua minoranza e fu condannata dalla Chiesa (L’opinione di qualsiasi Dottore, Santo o eminente teologo rimane, appunto, un’opinione. Solo la sentenza definitoria della Chiesa ha la verità da credersi e tenersi, ndr.); 2° Molti altri libri del Vecchio e del Nuovo Testamento, oltre gli Apocrifi, furono più o meno controversi; per esempio fra i giudei Ezechiele, Ester, il Cantico dei Cantici, e l’Ecclesiaste; fra i cristiani l’Apocalisse, l’Epistola agli Ebrei, le Lettere pastorali e, (per alcuni), persino il Vangelo di San Giovanni. Si dovrebbe impoverire seriamente la Bibbia, se non si volessero mantenere che gli scritti accettati da tutti e dappertutto». Fin qui il dotto e leale scrittore protestante. Noi aggiungiamo che s’impoverirebbe la nostra letteratura e la nostra arte, se ne togliessimo via le opere ispirate all’uno o all’altro dei libri esclusi dal canone ebraico-protestantico. Le soavi scene famigliari di Tobia, gli eroismi di Giuditta e dei Maccabei, il dramma della casta Susanna sono nella memoria di tutti, abbelliti in tele e poemi. Ma anche la sostanza storica e didattica della Bibbia è notevolmente sminuita dalla esclusione di quei libri dal canone. Fra le storie del canone ebraico e il Nuovo Testamento, senza i Maccabei c’è un vuoto di mezzo millennio; senza il libro della Sapienza (e il secondo dei Maccabei) c’è un brusco salto ancor più sensibile sul tema, così fondamentale, della vita futura e della finale retribuzione. Senza quei libri intermedi (anche in questo convengono ora i dotti protestanti) non si comprendono gli scritti del Nuovo Testamento; e perciò la Chiesa cattolica, col mantenerli nel suo canone, ha conservato alla Bibbia cristiana la sua naturale pienezza e integrità. Ascoltiamo qui, a prova, la voce non sospetta del pastore valdese Giovanni Luzzi, che nella introduzione agli «Apocrifi dell’Antico Testamento» (com’egli alla protestante si esprime) scrive testualmente: «Un terzo fatto dimostra l’importanza di questi libri; ed è che la conoscenza loro è in modo assoluto necessaria a chi voglia fare uno studio veramente scientifico del Nuovo Testamento... perciò se finora si è detto, e molto giustamente, che nessuno può intendere a fondo il Nuovo Testamento se a fondo non conosce il Testamento Antico, oggi siam giunti alla convinzione che la conoscenza della letteratura apocrifa (i libri di che stiamo trattando) è, se non più, almeno tanto necessaria allo studioso del Nuovo Testamento, quanto la conoscenza della letteratura dell’Antico» (Op. cit. p. 9). Come avrete notato, il P. Vaccari utilizza un metodo apologetico, molto in voga ai suoi tempi, di citare, per affermare il vero, alcuni degli stessi fra i protestanti. Questo per due ragioni: 1° Per affermare, come è giusto e doveroso, il vero (talvolta persino i protestanti scrivono cose esatte); 2° Per attestare lo spirito di contraddizione che c’è fra i protestanti stessi. D’altronde è certo che senza l’autorità del Romano Pontefice il gregge si disperde in mille e mille rivoli di dottrine, e finalmente ognuno diventa «papa di se medesimo». Questo è lo spirito del demonio, questo è lo spirito del protestantesimo, questa è la principale causa delle guerre di religione, questo ha contribuito a frazionare e distruggere l’unità almeno in Europa. All’interno della Chiesa queste sono le conseguenze del modernismo vaticanosecondista: in ogni parrocchia, anzi in ogni cosiddetto fedele, ci sono convinzioni, teorie ed elucubrazioni differenti. Ordinariamente ognuno fa ciò che vuole, ndr..  Torniamo al nostro Autore. Non è questo un riconoscere che la Bibbia senza quei libri intermedi è monca? E qual più eloquente, per quanto implicito attestato alla saggezza della Chiesa cattolica? Essa, nel conservare quei libri al pari degli altri del Vecchio e del Nuovo Testamento, non solo dà la sua interezza a tutto il corpo della Bibbia, ma apre la via alla sua piena conoscenza, e promuove lo studio scientifico del divin libro!

Una precisazione. Qui, a proposito, una piccola questione di parole, ma non di sole parole. Nel linguaggio ufficiale della Chiesa cattolica, appunto perché essa mette sullo stesso piede tutti i libri del suo canone biblico, non esiste un termine che dagli altri distingua quei libri che da giudei e da protestanti sono compresi sotto l’appellativo ereticale di «apocrifi». La nostra teologia, come scienza distinta dal domma, introdusse in quella vece, dopo il Concilio di Trento, il termine di «deuterocanonici», chiamando «protocanonici» gli altri, come dire del primo e del secondo canone. Ma questi termini non importano nulla, né da sé né nel pensiero di chi li ha creati, un diverso grado di autorità o di valore fra i due gruppi di libri così distinti, come maliziosamente insinua ancora il Luzzi nella Introduzione citata. Quei termini hanno un puro valore storico, nato dal fatto a noi ben noto che giudei e protestanti, ed anche alcuni cattolici nell’antichità, non ammisero alcuni dei nostri libri sacri; sono, quei termini, una comoda convenzione per chiarezza e brevità nelle trattazioni scientifiche.

Traduttori traditori. Ma in quegli stessi libri, che i protestanti ammettono nel loro canone, ci danno essi poi sempre una traduzione fedele ed esatta della parola di Dio? La Chiesa cattolica ha le loro versioni in sospetto di tendenziose e, in passi decisi, erronee. Sono fondati i sospetti? Lutero, che diede la stura e l’esempio alle moderne traduzioni della Bibbia per i seguaci della cosiddetta Riforma, (lo diremo con le parole di un erudito protestante nella grande e reputata «Enciclopedia tedesca per la teologia e la Chiesa protestantica», nel tradurre «voleva essere esatto; ma perché insomma quello che a lui importava era la sostanza, non si peritò qua e là di sciogliere una metafora (Salmo 36, 6), aggiungere una parola (Romani 3, 28 SOLTANTO per la fede) ovvero ometterla, trasporre un versetto» (Per questioni di spazio ometteremo le note da questo punto in avanti, ndr.). Celebre sopratutto l’aggiunta della particella «soltanto» alla frase «giustificarsi uomo per la fede» nella lettera ai Romani. Perché i cattolici n’erano indegnati ed anche alcuni seguaci del novatore ne pigliavano scandalo, Lutero stende in sua difesa la famosa «Lettera sul tradurre»: «Quella paroletta (scrive in quel suo stile altezzoso) ce l’ha messa il Dottore Martin Lutero e ci deve restare. Sic volo sic iubeo»: e dopo una lunghetta dissertazione sul bel parlare in schietta lingua tedesca: «...mi pento (conchiude) di non averci aggiunto dell’altro, così : senza qualsiasi opera di qualsiasi legge» (Lutero così inventa l’eresia della salvezza per sola fede e senza la necessità delle buone opere. Eresia adottata anche dalla maggior parte dei moderni occupanti le nostre chiese, ndr.). A buon intenditor poche parole. I cattolici hanno intesa l’antifona e si mettono in guardia. Vogliam supporre che dall’altra sponda i protestanti non siano buoni intenditori? Certo i posteriori «traduttori della Bibbia in volgare» non emularono la balda sfrontatezza di Lutero; ma di traduzioni tendenziose, volte a sostegno del loro sistema teologico ed ecclesiastico, non si ha pena a trovarne in quelle numerose versioni pullulate dalla protestantica Riforma. Lo toccheremo con mano in alcuni esempi tolti dalle versioni italiane più diffuse dalla propaganda protestante in Italia, cioè del Diodati e del Luzzi.

Due punti cardinali di divergenza fra la dottrina cattolica e la protestantica sono il valore delle tradizioni religiose e l’ordine sacerdotale gerarchico. Quanto al primo, San Paolo nelle sue Lettere più volte professa di trasmettere ai suoi fedeli le verità della fede, che egli stesso aveva ricevute o apprese (I Corinti XI, 23; XV, 3) e raccomanda di ritenere e conservare le tradizioni tramandate (I Corinti  XI, 2; II Tess. II, 15). Il Diodati invece di «trasmettere», come esattamente tradussero in italiano di recente tre laici — e citiamo questi perché non sospetti d’influenze di scuole teologiche — usa il vago termine «dare» e invece di tradizioni parla di «ordinamenti», che sono altra cosa. Così scompare ogni vestigio di quella «tradizione» orale, nella quale la Chiesa cattolica, con tutta l’antichità cristiana, riconosce una fonte, a fianco della parola scritta nella Bibbia, della verità religiosa. La gerarchia ecclesiastica è ancora più malmenata nella traduzione del medesimo professore ginevrino. Il termine «presbyteri» (donde il nostro «preti») è sempre da lui tradotto «anziani», anche quando evidentemente significa (come in Atti XV, 23 e XVI, 4 etc.) ministri dell’Evangelo, ossia sacerdoti cristiani. Il «presbyterion», o corpo di essi «presbyteri», nel Diodati diviene «concistoro degli anziani» (Atti XXII, 5) o «il collegio degli anziani» (I Timoteo IV, 14) insinuando così l’ordinamento delle comunità protestantiche. Il conferimento del loro grado (di presbyteri) da parte degli Apostoli (Atti XIV, 23) nel testo greco viene espresso col verbo cheirotonèo, che propriamente significa «stendere le mani»; il passo parallelo (I Timoteo, IV, 14), che parla espressamente di «imposizione delle mani», mostra con quanta ragione quel verbo cheirotonèo sia divenuto nel linguaggio ecclesiastico il termine tecnico per indicare l’ordinazione sacerdotale conferita dal Vescovo col noto rito dell’imposizione delle mani. Ma nella traduzione del Diodati quegli «anziani» sono «ordinati per voti comuni». Questa dei «voti comuni», che sostituisce al rito sacerdotale la elezione popolare, è una pura aggiunta del traduttore, ancor più arbitraria che il «soltanto» di Lutero. Peggio sta la versione del Luzzi: «fatti eleggere degli anziani». Anche dove la versione protestante non è cosi palpabilmente ingannatrice riflette però concetti e abitudini diverse dalle nostre, e il lettore cattolico non ci trova il linguaggio religioso a lui famigliare, sicché si sente come sperduto in altro paese. Sia esempio il modo col quale i due traduttori su citati rendono le prime parole della salutazione angelica, volgarmente detta «Ave Maria». Sconveniente è addirittura la versione del Diodati: «Ben ti sia, o favorita». Meno male il Luzzi: «Salute, o tu che sei ricolma di grazia», ma non parlerà ancora al cuore del cattolico, il quale forse neanche avvertirebbe che il saluto ch’egli tante volte rivolge alla sua cara Madonna è tolto di peso dal Vangelo. Ancora: traduzioni come: «si sarebbero pentite prendendo il cilicio e la cenere» (Luzzi) in San Matteo XI, 21 velano il concetto cattolico della penitenza. E così in tali traduzioni dei libri sacri il cattolico non trova un nutrimento adatto alla sua pietà; buona ragione perché l’autorità ecclesiastica le rimuova dalle mani dei fedeli. Quando pure la traduzione fosse sempre fedele ed esatta, non si è ancora in porto. San Pietro nella sua seconda Lettera canonica avverte tutti i fedeli, che nelle lettere di San Paolo «ci sono certi punti difficili a capire, che persone male istruite e poco stabili stravolgono (e fanno lo stesso anche quando si tratta delle altre Scritture) a loro perdizione» (Così II Pietro III, 6 nella traduzione del Luzzi, che citiamo qui per maggior efficacia ad hominem).  «Non si capisce davvero, come davanti a queste formali parole, scritte a sì chiari caratteri in quella Bibbia, ch’essi ritengono come unica e infallibile norma della verità religiosa, i protestanti osino poi dare tutta la Bibbia in pasto a qualsivoglia ceto di persone, senza spiegazioni, senza note, pretendendo che la Bibbia è fatta per tutti ed è chiara da sé per tutti» (Ottimo testuale del Vaccari). Quanto più saggia, per ogni persona di senno, quanto più conforme al pensiero del principe degli Apostoli, la legge della Chiesa cattolica, la quale, sottomettendo alla vigilanza dei Vescovi la stampa delle versioni delle Sacre Scritture in lingua volgare, esige che «vengano pubblicate con annotazioni tolte sopratutto dai santi Padri della Chiesa e da scrittori dotti e cattolici» (Codice di diritto canonico, Canone 1391). S’intuisce subito la ragione di questa restrizione a note d’autore cattolico. Quando non fosse evidente, ce la mostrerebbe, senza volerlo, il Luzzi la cui “bibbia” (e “nuovo testamento” a parte), diversamente dalle ristampe del Diodati, è corredata di note. Infatti, sebbene dopo le critiche mosse alla prima edizione del suo “nuovo testamento” anche sulla «Civiltà Cattolica» (Quaderno 1471, 7 ottobre 1911) , nelle posteriori abbia soppresse o smussate parecchie di quelle note che troppo apertamente tradivano l’autore protestante, tuttavia ce ne rimangono ancora molte di contrarie alla dottrina cattolica; per esempio al già citato luogo della lettera ai Romani sulla giustificazione per la fede: «Per il fatto cioè (commenta il teologo valdese) che Dio non dice al peccatore che vuol essere giustificato: Fa’ questo o quest’altro; ma: Abbi fede nella mia grazia». È questa non la fede cattolica, ma la fiducia o meglio la presunzione protestantica, è la negazione del valore delle opere buone, radicale novità introdotta dalla pretesa riforma del secolo XVI. Nelle introduzioni poi, o generali o a libri singoli, il Luzzi ricopia sovente d’oltr’Alpe una critica demolitrice, che eccitò gli sdegni persino dei suoi correligionari d’Italia, come già si osservò sulla «Civiltà Cattolica» (Quaderno 1744, 17 febbraio 1923, p. 345); molto più si trova in disaccordo coi dettami della Santa Sede e della Pontificia Commissione, che per gli studi biblici ne è l’organo. Sicché anche per questo lato la “bibbia” del Luzzi non può permettersi ai cattolici.

Conclusione. Da quanto siamo venuti dicendo (e dimostrando, ndr.) si fa manifesto quanta diversità può correre da Bibbia a “bibbie”. A primo aspetto potrebbe parere, che una essendo la Bibbia, tra le varie edizioni non ci possono essere differenze se non accidentali. Ciò dovrebbe essere vero se la Bibbia fosse un solo libro, e si trattasse del testo originale o una sua riproduzione stereotipa. Ma la Bibbia non è un libro solo, è una raccolta di più libri, come dice il suo nome stesso, che viene da un plurale greco; e una raccolta può variare per numero ed ordine delle cose messe insieme. Anche i giudei chiamano Bibbia i libri sacri del canone ebraico, certo per influenza del linguaggio cristiano, ma con pieno diritto, poiché troviamo quel vocabolo già adoperato nel primo libro dei Maccabei (XII, 9 tà biblìa tà hágia = i libri santi); eppure ne escludono tutto il Nuovo Testamento, che per tutti i cristiani (anche per i sedicenti cristiani come i protestanti, ndr.) è il più e il meglio. Una prima differenza è dunque data dal diverso ambito della Bibbia presso i  cattolici e presso i protestanti. Quando poi trattasi di una traduzione dal testo originale in altra lingua, vi si aggiungono molte diversità d’interpretazione, dipendenti da varie cause, non ultima delle quali è la diversa dottrina filosofica e teologica, che si apporta, quale disposizione preambola all’opera da tradurre. Il cattolico, che a questa nobile impresa si accinge munito e diretto dalla fede della sua Chiesa, può vantare priorità e superiorità di titoli; poiché la Chiesa cattolica può ripetere ancor oggi, come sempre, ai cristiani da lei separati, quello che già alle sette eretiche del suo tempo diceva in nome della Chiesa l’antichissimo apologeta Tertulliano: «Le Scritture sono mie, a me ne compete il possesso; voi da me le avete prese, ma a voi non spettano di diritto, e perciò stesso non dovete essere ammessi al loro uso:  ne is admittatur ad eas (Scripturas), cui nullo modo competit».

Fine. Fin qui il P. Vaccari nel suo prezioso opuscolo «Bibbia e bibbie», S.O.S., imprimatur 1944. Consentitemi l’abituale personale aggiunta alla conclusione: 1° Il modernismo ha introdotto, fra le altre mostruosità, anche un morboso attaccamento alla Scrittura. Tutti, oramai, pretendono di leggere e commentare la Scrittura. Tutti si fanno maestri e nessuno più vuole ascoltare, apprendere, obbedire. Questo è lo spirito di Lucifero; 2° Anche nella pseudo-messa voluta da Montini (Paolo VI) la Scrittura - quello che rimane della Scrittura nel modernismo - ha un ruolo determinante, centrale, quasi fosse Dio stesso. Il cattolico nominale, tante volte animato da buone intenzioni ma con  una fede solo naturale e certamente non soprannaturale, spesso crede che la “messa” (uso la minuscola perché mi riferisco al simulacro montiniano) sia innanzitutto erudizione, istruzione. Ha quasi perduto il senso del sacro e non distingue più ciò che è essenziale (il Sacrificio) da ciò che è, diciamo, accessorio; 3° Spesso i moderni obiettano che è necessario il volgare per capire. Così per la Liturgia, come per la Scrittura. Questa falsa obiezione è sepolta dalla storia stessa. Milioni di bravi cattolici sono certamente in Paradiso, ed essi non ricevevano Messa e Bibbia in volgare. Tante volte gli ignoranti non capivano,  tuttavia sapevano distinguere ciò che è bene da ciò che è male. Pregavano, facevano penitenza, conoscevano i Comandamenti e li praticavano.  Ricevevano le nozioni di Dottrina all’ora di catechismo, il resto lo adempiva (ovviamente) alla perfezione nella loro anima la grazia sacramentale. Quanti fra i sedicenti ascoltatori della “messa” in volgare, pur capendo, oggi conoscono il Catechismo? Un buon Catechismo? Un vero Catechismo? E quanti ancora lo praticano? E quanti altri almeno ricordano Comandamenti e Precetti?; 4° La Chiesa sin dal principio ha condannato l’uso improprio della Scrittura. Lo ha fatto sin dall’epoca Apostolica contro gli gnostici e - sto parlando di Chiesa e non di modernisti che occupano abusivamente la Chiesa - continuerà a farlo fino alla consumazione dei secoli. La Scrittura, difatti, è della Chiesa. Alla Chiesa ne spetta l’autentica infallibile interpretazione. È la Chiesa che, con la proclamazione delle verità eterne, definisce e tramanda ciò che Dio ci ha rivelato mediante la Scrittura; 5° Le Società cosiddette «bibliche» nascono in ambienti torbidi, intrisi di lussuria e superstizione, cripto-giudaismo e massonismo. I principali sedicenti illuminati, pur glorificando la «dea ragione», si sono prodigati nella sponsorizzazione  e diffusione di tante “bibbie”, tutte false e con finalità ben precisa: combattere la Chiesa e rovesciare il Papato diffondendo le pestilenze dottrinali e morali. Ci basti il Catechismo, ci basti ed avanzi la privata lettura della Bibbia cattolica con un buon commento preconciliare. Consiglio la Bibbia del P. Marco Sales (versione originale e non le ristampe moderne); la Bibbia dell’Abate Ricciotti (idem); la Bibbia del P. Eusebio Tintori (idem.); la Bibbia di Mons. Garofalo. Consiglio principalmente di chiedere al confessore (ad un vero confessore) se sia opportuno iniziare a leggere la Bibbia; 6° Chiudo con un episodio realmente accaduto. Un uomo, molto interessato agli argomenti spirituali ma tanto smarrito nel marasma della modernità, parlò anni fa con me. Mi disse: «C’è un tale ... su Youtube che pubblica degli ottimi video sulla Scrittura... Quanti inganni ha fatto la Chiesa... Quante traduzioni della Scrittura sbagliate... Questo tale conosce l’ebraico e fornisce tutte le traduzioni corrette... Etc...». Gli risposi così: «Tu conosci l’ebraico?». Il mio interlocutore ovviamente rispose: «No!». Chiusi il discorso più o meno in questi termini: «Ti fidi di un tizio su Youtube e non ti fidi della Chiesa, dei suoi Martiri, etc...?». Per curiosità, tempo dopo, cercai il tale su Youtube: si presenta bene, ostenta cultura e tante citazioni, è un abile oratore e pratico conferenziere, infine crede che l’uomo sia stato creato (così mi sembra di aver capito) dagli alieni.

Un + Requiem per l'autore Alberto Vaccari. Pubblicazione a cura di CdP