Comunicato numero 208. Che cos’è la Bibbia?Stimati Associati e gentili Sostenitori, che cos’è la Bibbia? Intendiamo fornire una rapida risposta tratta dal «Dizionario di teologia dommatica» (Piolanti - Parente - Garofalo), cui seguiranno numerose sentenze del Santo Uffizio, della Commissione Biblica e del Pontefice San Pio X. Il sostantivo italiano Bibbia riproduce il plurale neutro greco βιβλία ( = i libri) che passò nel latino medievale e nelle lingue moderne come singolare femminile per indicare il complesso dei libri ispirati da Dio altrimenti detti Sacra Scrittura o Sacre Scritture. Mentre il greco metteva in luce il carattere composito del libro divino: la molteplicità dei libri da esso contenuti; il latino ne mise in evidenza l’autore e lo spirito unico. I 74 libri che compongono la Bibbia sono distribuiti in due grandi sezioni: il Vecchio ed il Nuovo Testamento (seguiranno le due voci). Il termine Testamento secondo il valore del vocabolo ebraico originale (berith) e del greco che fin dall’inizio lo tradusse, può indicare o che quei libri contengono le disposizioni con le quali Dio prometteva (Vecchio Testamento) e concedeva (Nuovo Testamento) ai suoi fedeli i beni culminanti nel possesso della eterna felicità, o può designare la serie dei patti (si usa perciò parlare di Antico e Nuovo Patto) e delle alleanze con le quali, nel corso dei secoli, Dio legò a sé gli uomini in vista della loro redenzione. II Vecchio Testamento, inizialmente patrimonio sacro del popolo ebraico che Dio elesse come depositario delle sue promesse di redenzione, passò poi, completato dal Nuovo Testamento, in legittima eredità alla Chiesa, che è il vero Israele, l’autentico popolo eletto, a favore del quale si realizzarono le antiche promesse divine. L’attuale legislazione ecclesiastica (Codex Iuris Canonici 1917, cc. 1391, 1399, 1400) proibisce ai fedeli le versioni in lingua volgare che non abbiano l’approvazione della Sede Apostolica e che non siano pubblicate sotto la vigilanza dei Vescovi, e corredate di note estratte dai Padri e dagl’interpreti cattolici. Le edizioni dei testi originali e delle antiche versioni e le traduzioni curate da acattolici sono permesse (esclusivamente) agli studiosi.

Il Canone della Bibbia. Designa la collezione o il catalogo di quei libri che, per essere ispirati da Dio, sono la «regola» della verità e della vita. Canonico è, perciò, un libro che si trova nel canone, in quanto è ispirato da Dio e come tale è stato dalla Chiesa riconosciuto. Dal secolo XVI in poi si usa chiamare protocanonici i libri sulla cui origine divina fin dall’inizio si ebbe il consenso unanime di tutta la Chiesa, e deuterocanonici quei libri della cui ispirazione si ebbero dei dubbi fino al secolo V circa. Il termine deuterocanonico non ha un valore assoluto in quanto esso non indica un libro che in un secondo momento è stato introdotto nel Canone; anche i libri di cui si discuteva erano fin dall’inizio ricevuti nel Canone della Chiesa. Attualmente gli Ebrei (il falso Israele, ndr.), seguiti dai Protestanti (i falsi cristiani, ndr.) che hanno influito anche sulle cristianità dissidenti, ripudiano i seguenti libri deuterocanonici del Vecchio Testamento: Tobia, Giuditta, Sapienza, Ecclesiastico, Baruc, I e II dei Maccabei, brani di Ester e Daniele, libri e testi tutti scritti e conservati in greco. I deuterocanonici del Nuovo Testamento sono: le Lettere agli Ebrei di Giacomo, la II di Pietro, la II e la III di Giovanni, di Giuda alle quali va aggiunta l’Apocalisse. Apocrifi sono libri di titolo e contenuto affine a quelli del Vecchio o al Nuovo Testamento, ma non riconosciuti dalla Chiesa come ispirati ed esclusi dal Canone. I Protestanti chiamano apocrifi i libri deuterocanonici riservando a quelli che noi chiamiamo apocrifi il termine pseudepigrafo ( = con falso titolo).

Inerranza della Scrittura. L’inerranza è l’immunità da ogni possibilità di errore e da ogni errore di fatto che compete alla Sacra Scrittura in virtù della sua ispirazione divina. Già San Giovanni afferma che «la Scrittura non può smentirsi» (X, 35) e l’antichità cristiana, nonostante le varie tendenze esegetiche, è stata sempre unanime nel ritenere l’inerranza dei Sacri Testi. Papa Leone XIII nella Enciclica «Providentissimus Deus» afferma: «Tanto non può sotto l’ispirazione covare alcun errore, che essa non solo esclude ogni errore ma è necessario che lo escluda e lo respinga quanto è necessario che Dio, somma verità, non sia autore d’alcun errore» (EB, 109). L’inerranza della Sacra Scrittura è un domma di fede (cfr. EB, 433). EB abbreviazione di «Enchiridion biblicum».

Ispirazione della Sacra Scrittura. Dal latino inspirare = soffiar dentro, e, in senso traslato, infondere, detto in modo speciale di sentimento: nel senso ecclesiastico ispirazione è, in genere, un influsso o mozione di Dio nell’anima e più propriamente nella volontà, ma i Teologi sono soliti indicare con questo termine un impulso carismatico che muove l’uomo a comunicare agli altri quanto Iddio vuole sia comunicato. Quando la comunicazione è orale si ha l’ispirazione profetica, quando è scritta l’ispirazione agiografica biblica. San Paolo (II Tim. III, 16-17) afferma che «tutta la Scrittura è ispirata da Dio» e San Pietro (II Petr. I, 2) dà la ragione di questa ispirazione: «Gli uomini di Dio hanno parlato mossi dallo Spirito Santo». Papa Leone XIII, nella grande Enciclica dedicata agli studi biblici, la «Providentissimus Deus» del 18 novembre 1893, così definiva la ispirazione: «È una azione soprannaturale per mezzo della quale Dio eccitò e mosse gli scrittori sacri a scrivere, li assistette nello scrivere di modo che essi concepissero rettamente col pensiero, volessero fedelmente scrivere ed esprimessero acconciamente con infallibile verità tutto quello che Egli voleva che esprimessero» (EB, n. 110). Secondo l’affermazione costante ed esplicita delle fonti della Rivelazione, Dio è autore delle Sacre Scritture. Egli non è però autore diretto ed unico in quanto ha creato così come sono i Libri Sacri, ma autore principale, al quale risale tutta la responsabilità dei Libri, che però si è servito per la loro compilazione e redazione degli uomini che sono autori secondari e strumentali. Essendo tuttavia l’uomo non uno strumento cieco ma cosciente e libero, ha un’azione sua propria che si manifesta nella forma esterna del libro. In tal senso si può parlare di uno stile di Isaia, di Geremia, di San Matteo, di San Paolo ecc. L’azione ispirativa di Dio nell’uomo importa: a) una illustrazione della mente per cui l’autore sacro percepisce rettamente quel che deve scrivere e ne giudica infallibilmente la verità o falsità; b) una mozione della volontà per cui Dio influisce nell’agiografo perché egli si decida a scrivere quel che ha concepito e giudicato; c) una assistenza alle facoltà esecutive perché, nella scelta delle parole e delle espressioni, siano premunite da errori o deviazioni che potrebbero compromettere la manifestazione del pensiero divino. Si noti che l’azione di Dio sulla mente dell’agiografo non è una rivelazione propriamente detta, perché l’agiografo può avere delle conoscenze sue, derivategli, per esempio, da una partecipazione diretta agli avvenimenti che narra, o acquisite precedentemente per intervento divino. La rivelazione è necessaria quando l’uomo deve comunicare da parte di Dio verità di ordine soprannaturale la cui conoscenza sfugge alle sue umane possibilità intellettuali. L’influsso ispirativo di Dio non è necessariamente avvertito dall’uomo, perché Dio agisce nelle creature ragionevoli senza violentarne la natura. Il Magistero solenne della Chiesa nei Concili Fiorentino, Tridentino e Vaticano ha definito che la ispirazione della Bibbia è un dogma di fede.

Il Vecchio Testamento. È l’insieme dei 46 libri che costituiscono la prima parte della Bibbia, contenente la storia dell’antica Rivelazione e della preparazione degli uomini alla venuta del Messia, per mezzo del popolo d’Israele. Ecco l’elenco dei libri secondo la enumerazione e l’ordine consacrato dal Concilio di Trento nel 1546 (v. Canone): LIBRI STORICI: 1. Genesi (50 capitoli). 2. Esodo (40 cc.). 3. Levitico (37 cc.). 4. Numeri (36 cc.). 5. Deuteronomio (34 cc.). Libri di Mosè detti complessivamente Pentateuco (= cinque parti) e dagli Ebrei: Legge. Proseguiamo: 6. Giosuè (24 cc.). 7. Giudici (21 cc.). 8. Ruth (24 cc.). 9. I di Samuele o I dei Re (31 cc.). 10. II di Samuele o II dei Re (24 cc.). 11. I dei Re o III dei Re (22 cc.). 12. II dei Re o IV dei Re (25 cc.). 13. I dei Paralipomeni o delle Cronache (29 cc.). 14. II dei Paralipomeni o delle Cronache (36 cc.). 15. I di Esdra (10 cc.). 16. II di Esdra o Neemia (13 cc.). 17. Tobia (14 cc.). 18. Giuditta (16 cc.). 19. Ester (16 cc.). LIBRI DIDATTICI O SAPIENZIALI O POETICI: 20. Giobbe (42 cc.). 21. Salterio o Libro dei Salmi (150 Salmi). 22. Proverbi (31 cc.). 23. Ecclesiaste (12 cc.). 24. Cantico dei Cantici (8 cc.). 25. Sapienza (19 cc.). 26. Ecclesiastico (51 cc.). LIBRI PROFETICI: a) Profeti maggiori: 27. Isaia (66 cc.). 28. Geremia (52 cc.). 29. Lamentazioni (5 cc.). 30. Baruc (6 cc.). 31. Ezechiele (48 cc.). 32. Daniele (14 cc.). b) Profeti minori: 33. Osea (14 cc.). 34. Joele (3 cc.). 35. Amos (9 cc.). 36. Abdia (1 c.). 37. Giona (4 cc.). 38. Michea (7 cc.). 39. Nahum (3 cc.). 40. Abacuc (3 cc.). 41. Sofonia (3 cc.). 42. Aggeo (2 cc.). 43. Zaccaria (14 cc.). 44. Malachia (4 cc.). SEGUITO DEI LIBRI STORICI: 45. I dei Maccabei (16 cc.). 46. II dei Maccabei (15 cc.). Si tratta di un complesso armonioso di libri di vari autori e varie epoche, scaglionati in un periodo di tempo che va dal secolo XVI avanti Cristo al secolo II avanti Cristo. I libri storici iniziano la narrazione dalle origini dell’universo e dell’uomo e si concentrano sui fatti relativi al popolo d’Israele, dalle sue origini come nazione fino alla sua catastrofe ed ai tentativi di restaurazione (175-135 avanti Cristo). Il racconto non è né continuo né omogeneo e presenta sensibili lacune. I libri detti didattici, perché dedicati alla istruzione del lettore, sono chiamati anche sapienziali dal loro tema precipuo — la sapienza concepita come la perfetta conoscenza e la fedele pratica religiosa — o poetici per la loro forma letteraria. I libri profetici raccolgono memorie biografiche e sunti di discorsi dei profeti che Iddio inviò ad Israele tra il secolo VIII ed il V avanti Cristo, per preservarlo nella fede e rinfocolare le speranze messianiche. I libri del Vecchio Testamento sono scritti e conservati nella quasi totalità nella lingua ebraica; alcuni brani di Daniele e di Esdra e qualche sporadico versetto di altri libri sono scritti in lingua aramaica. Alcuni libri furono scritti originariamente in greco (Sapienza e II dei Maccabei), mentre di altri si è perduto l’originale e si conserva la sola versione greca (I dei Maccabei, Baruc, Giuditta, Tobia, Ecclesiastico, di cui furono ritrovati i due terzi del testo originale negli ultimi anni dello scorso secolo - diciannovesimo, ndr.). I libri del Vecchio Testamento furono scritti su papiro, o, per ottenere maggiore durata e resistenza, sulla pergamena ridotta in forma di striscia avvolta intorno a un’asta. Si conoscono circa 3000 manoscritti del testo ebraico; recentemente (1947) sono stati trovati in Palestina un manoscritto con l’intero libro di Isaia e altri frammenti biblici che risalgono all’epoca precristiana. Il testo che oggi leggiamo fu fissato nel I secolo dell’E. V. e corrisponde soddisfacentemente al-l’originale (v. Masoretico). L’attuale divisione in capitoli è del 1214 ed è dovuta a Stefano Langton; la divisione in versetti risale al 1528 ed è del lucchese Sante Pagnino. (Sull’elenco dei libri v. Canone). Il Vecchio Testamento forma una inscindibile unità con il Nuovo di cui fu «la figura» (I Cor. X, 6-11). Esso fu il «pedagogo» che condusse Israele al Cristo (Gal. III, 24) che era il fine del Vecchio Testamento  (Rom. X, 4). Contenendo le comunicazioni multiple e frammentarie dell’antica Rivelazione divina, il Vecchio Testamento postula necessariamente il Nuovo che lo illumina e lo compie con la piena Rivelazione del Figlio di Dio (Ebr. I, 1-2). «Nel Vecchio Testamento  — diceva Sant’Agostino (Quaest. in Hept. 2, 73) — si nasconde il Nuovo e nel Nuovo si manifesta il Vecchio».

Il Nuovo Testamento. È il complesso dei 27 libri relativi alla storia di Gesù e della sua Rivelazione e dei primi tempi della Chiesa. Per analogia con i libri del Vecchio Testamento vengono divisi in tre categorie:  LIBRI STORICI: 1. Vangelo secondo San Matteo (28 cc.). 2. Vangelo secondo San Marco (16 cc.). 3. Vangelo secondo San Luca (24 cc.). 4. Vangelo secondo San Giovanni (21 cc.). 5. Atti degli Apostoli (28 cc.). LIBRI DIDATTICI: a) Epistole di San Paolo: 6. Ai Romani (16 cc.). 7. I ai Corinti (16 cc.). 8. II ai Corinti (13 cc.). 9. Ai Galati (6 cc.). 10. Agli Efesini (6 cc.). 11. Ai Filippesi (4 cc.). 12. Ai Colossesi (4 cc.). 13. I ai Tessalonicesi (5 cc.). 14. II ai Tessalonicesi (3 cc.). 15. I a Timoteo (6 cc.). 16. II a Timoteo (4 cc.). 17. A Tito (3 cc.). 18. A Filemone (1 c.). 19. Agli Ebrei (13 cc.). b)Epistole di altri Apostoli o Cattoliche: 20. Di San Giacomo (5 cc.). 21. I di San Pietro (5 cc.). 22. II di San Pietro (3 cc.). 23. I di San Giovanni (5 cc.). 24. II di San Giovanni (1 c.). 25. III di San Giovanni (1 c.). 26. Di San Giuda (1 c.). LIBRO PROFETICO: 27. Apocalisse (22 cc.). Sono tutti scritti occasionali, ma hanno un tema unico: la storia della redenzione umana nella sua realizzazione e nei suoi sviluppi immediati e futuri. Per gli Evangeli vedere questa voce. Il libro degli Atti, scritto dall’autore del III Evangelo, offre a grandi linee la storia della fondazione e della diffusione della Chiesa prima nell’ambiente giudaico e poi nell’ambiente pagano, accentrando la narrazione intorno alle due grandi figure di Pietro e Paolo. La parte più considerevole dell’epistolario apostolico è dovuta a San Paolo, lo scrittore più vario, più potente e profondo del Nuovo Testamento. Tredici lettere portano, secondo l’uso greco-romano, il nome dell’autore nel saluto iniziale, ed una quattordicesima (agli Ebrei) gli è attribuita dalla Tradizione. La serie va dal trattato teologico al biglietto di raccomandazione, e, pur avendo avuto origine da circostanze particolari di comunità e di singoli, sono pervase da tale un’onda di divina eloquenza, da una tale pienezza di verità e di insegnamenti morali da farne un pascolo sempre attuale di vita. Le epistole degli altri Apostoli, dette cattoliche perché con destinazioni meno particolari, presentano gli stessi caratteri di occasionalità e di ricchezza teologica. L’Apocalisse di San Giovanni è l’unico libro profetico del Nuovo Testamento. Si apre con sette messaggi a sette Chiese dell’Asia minore e si diffonde a presentare, sotto forma di complicate e fantasmagoriche visioni, proprie del genere letterario apocalittico, le vicende della lotta tra il paganesimo e la verità cristiana che alla fine trionfa. Tutti i libri del Nuovo Testamento furono scritti e conservati in greco. Soltanto il Vangelo di San Matteo fu originariamente redatto in aramaico, la lingua parlata dai Giudei di Palestina, ma ben presto fu tradotto in greco, mentre dell’originale aramaico si è perduta ogni traccia. Finora si conoscono più di 4000 codici del testo greco del Nuovo Testamento. I più antichi frammenti, scritti su papiro, risalgono ai primi decenni del II secolo. La pergamena per la trascrizione del Sacro Testo venne in uso a partire dal IV secolo e la carta dal X secolo. L’attuale divisione del Nuovo Testamento in capitoli è, come quella del Vecchio Testamento, del 1214; la divisione in versetti è del 1555 ed è dovuta a Roberto Stefano.

Gli Evangeli. Dal greco buona notizia, lieto messaggio: al tempo di Gesù e degli Apostoli l’Evangelo è la buona notizia della redenzione universale contenuta nella predicazione di Gesù, ma ben presto, durante la prima generazione cristiana, il termine indica i quattro libretti dei Santi Matteo, Marco, Luca e Giovanni, che contengono la storia dell’annunzio. San Matteo, chiamato all’apostolato dalla dogana di Cafarnao, scrisse il suo Evangelo con l’intento di dimostrare ai Giudei di Palestina che Gesù era l’atteso Messia perché in lui si compivano tutte le profezie antiche. San Marco, discepolo affezionato di San Pietro, conservò nel suo libretto il ricordo della predicazione viva dell’Apostolo ai Romani, nella quale la figura di Gesù Uomo-Dio era presentata con incantevole freschezza di particolari. San Luca, medico antiocheno e discepolo di San Paolo, raccolse con cura scrupolosa il materiale di detti e di fatti della vita del Signore più adatto alla istruzione ed edificazione delle comunità di fedeli venuti dal paganesimo. Questi tre primi Evangeli si assomigliano sostanzialmente nella trama generale della vita di Gesù ed anche nel modo di trattare la materia. Questa proprietà, che permette di disporre i tre racconti in colonne parallele in modo da abbracciare con un solo sguardo le narrazioni, li fa denominare sinottici, cioè «visibili insieme». L’Evangelo di San Giovanni, discepolo prediletto di Cristo, si distacca sensibilmente e dalla trama e dal modo di presentare i discorsi e i fatti di Gesù comune ai tre Sinottici. Egli dà massimo sviluppo al ministero gerosolimitano (di Gerusalemme, ndr.) che dai primi tre viene lasciato quasi in ombra, e durante il quale Gesù più spesso e con maggiore chiarezza parlò della sua divinità. L’autenticità dei quattro Evangeli è messa al sicuro da una ininterrotta serie di testimonianze storiche circostanziate e precise che si iniziano con Papia, vescovo di Gerapoli in Frigia e discepolo degli Apostoli (primi decenni del II secolo) e continuano di secolo in secolo senza contraddirsi o smentirsi. Oltre alle affermazioni degli scrittori che godono particolare autorità, come Sant’Ireneo (c. 140-202) vescovo di Lione e tramite tra l’Oriente e l’Occidente, si hanno anche documenti ufficiali come l’elenco dei libri del Nuovo Testamento  chiamato, dal suo scopritore, Canone di Muratori e che fu scritto a Roma verso il 185. Autori e documenti sono echi di una tradizione che risale evidentemente ai primi anni della Chiesa e che è stata vagliata dal contrasto con gli eretici. Negli scrittori del II-III secolo si trova un così grande numero di citazioni del testo dei quattro Evangeli che essi potrebbero quasi integralmente essere ricostruiti. Un implacabile avversario del Cristianesimo primitivo, il filosofo epicureo Celso, che scriveva verso il 178, riconosce nei quattro Evangeli un’opera dei discepoli di Gesù e ricorda che gli eretici avevano tentato di piegarli alle loro dottrine per avvalersi di così autorevoli scritti. L’esame interno degli Evangeli, cioè della lingua, della mentalità ivi riflessa, dei costumi menzionati, dei riferimenti storici e geografici, confrontati con le più recenti e sicure scoperte, conferma l’autenticità dei quattro libretti affermata concordemente dalla tradizione cristiana. Quanto alla data degli Evangeli, consta che essi nel II secolo sono diffusi e riconosciuti in tutte le comunità cristiane di Oriente e di Occidente; devono, quindi, essere stati scritti nel I secolo. Le testimonianze storiche, convalidate dall’esame interno dei testi, permettono di concludere che i Santi Matteo, Marco e Luca scrivevano prima della distruzione di Gerusalemme (anno 70). Più precisamente San Matteo e San Marco pubblicarono i loro libretti prima della morte di San Pietro e San Paolo (a. 64 o 67); San Luca conclude bruscamente la narrazione degli Atti all’anno 62, e dichiara che il suo Evangeli ha preceduto questo secondo libro (Atti I, 1). Poiché le antiche testimonianze sono quasi concordi sulla priorità di San Matteo e di San  Marco nei confronti di San Luca, i primi due Evangeli dovevano essere stati pubblicati prima del 60. Secondo alcuni studiosi l’Evangelo scritto da San Matteo risale al 42-50. Che l’opera dei quattro biografi di Gesù sia stata trasmessa integra fino a noi, risulta dalla eccezionale condizione di privilegio in cui viene a trovarsi il testo degli Evangeli. Sono ben 1500 i codici manoscritti del testo greco degli Evangeli; due di essi furono copiati nel IV secolo, mentre alcuni frammenti di papiri risalgono al III-II secolo. Molte antiche versioni in lingue occidentali ed orientali fanno da efficace controllo al testo greco trasmesso dai codici attuali. Molte migliaia di varianti del testo, delle quali nessuna ne compromette il senso in materia di dottrina e di morale, permettono di affermare che il testo greco degli Evangeli che noi oggi leggiamo è sostanzialmente identico a quello uscito dalle mani dei loro autori. Si noti che dei classici greci e latini non esiste nessun manoscritto anteriore al IX secolo dopo Cristo e rarissimi sono quelli più antichi del secolo XII. La storicità degli Evangeli, cioè l’aderenza dei loro racconti alla realtà dei fatti, è dichiarata dagli stessi autori (Lc. I, 1-4; Giov. XX, 30 s.; XXI, 24) ed era un postulato essenziale perché essi potessero essere accettati dalla Chiesa. D’altra parte nessuno avrebbe osato raccontare cose non vere od alterare fatti di cui esistevano testimoni gelosi come gli Apostoli e nemici accaniti come gli Ebrei i quali erano stati attori di primo piano nella vita di Gesù ed avrebbero avuto buon gioco nella loro polemica se avessero potuto trovare in fallo gli storici del Nazareno. Tutto ciò che di meglio può fare la tradizione letteraria ebraica è tacere della vita e dell’insegnamento del Maestro Galileo. La critica non cattolica contesta il valore storico di una parte considerevole degli Evangeli unicamente perché essa contiene fatti soprannaturali. Gli sforzi di questa critica che, dal secolo XVIII in poi, si condanna all’assurdo compito di spiegare la vita di Gesù escludendone ogni elemento soprannaturale, hanno avuto come risultato una «torre di Babele» (Loisy) di opinioni che polverizzano i testi senza uscire a cavarne un possibile costrutto. L’esegeta e biblista eretico Loisy è il capostipite dei moderni interpreti della Sacra Scrittura. Parte del complesso della predicazione moderna poggia verosimilmente su queste false interpretazioni della Scrittura e su questa critica tanto dissennata quanto assurda ed inconcludente. Il modernismo, e con essi i modernisti che infettano la Chiesa dall’interno, furono condannati a perenne infamia a partire da Papa San Pio X (Pascendi) e fino a Papa Pio XII (Humani generis). Al contrario, a partire da Roncalli (Giovanni XXIII) tutti questi infami ed eresiarchi fulminati dai Romani Pontefici, piano piano vennero riabilitati, fino a diventare «padri, esperti e periti del Concilio Vaticano II». Le loro esegesi ed i loro studi biblici, come del resto il complesso dello loro dottrine, sono ordinariamente peste per le anime e «sintesi di tutte le eresie», ndr..

Autenticità di Libri Sacri. (... nel significato posteriore di autorità o autore di un libro): in senso giuridico indica che un libro fa autorità, ha un valore indiscusso e definitivo. Tertulliano (De praescr. haer. 16) sembra essere stato il primo ad applicare questo aggettivo ai Libri Sacri. Per opposizione ai libri apocrifi (v. Canone) scritti per iniziativa umana, le Sacre Scritture sono autentiche nel senso giuridico in quanto godono di autorità infallibile, perché ispirate da Dio, verità per essenza. Esse sono perciò documenti autentici della divina Rivelazione. Sono autentici nel senso pieno della parola gli autografi degli scritti ispirati e, in mancanza di questi, le copie in quanto riproducono fedelmente l’originale. Il testo ebraico del Vecchio Testamento e il testo greco del Nuovo Testamento sono, quindi, da ritenersi autentici. Una versione può dirsi autentica quando dall’autorità competente, cioè dalla Chiesa, venga dichiarata tale. Il Concilio Tridentino (EB, 41) dichiarò autentica la versione latina detta Volgata perché in uso già da molti secoli nella Chiesa, in quanto essa fa autorità, ha valore probativo in materia di fede e di morale. L’intensificarsi del metodo scientifico negli studi biblici diffuse molto il termine «autenticità» dandogli un senso che si può dire critico, in quanto si dice autentico un libro che è realmente dell’autore o del tempo al quale viene attribuito o la cui origine è legittima, non viziata da frode. Si tratta quindi della origine umana della Sacra Scrittura, della ricerca degli autori umani dei Libri Sacri, ricerca che, tranne i casi in cui si hanno delle affermazioni esplicite della Scrittura stessa o del Magistero della Chiesa, è condotta con l’ausilio dei mezzi d’indagine razionale.

La Volgata.  Volgata (= comune): è la traduzione latina della Bibbia, che la Chiesa usa e prescrive ufficialmente nel l’insegnamento, nella predicazione e nella liturgia. Il suo nome è derivato dalla larga diffusione che ebbe in tutto l’Occidente dal secolo VI in poi. Essa è dovuta a San Girolamo (+ 420) — Dottore massimo nella interpretazione della Sacra Scrittura —, ma non tutto, nella Volgata, è opera sua; alcuni libri sono ancora riprodotti secondo l’antica versione latina precedente a San Girolamo e condotta, per il Vecchio Testamento, sulla versione greca (Sapienza, Ecclesiastico, Baruch, I e II Maccabei), altri sono rivisti sul greco (Nuovo Testamento e Salmi); il resto è traduzione diretta dagli originali e opera personale del grande Dottore. Nel 1546 il Concilio di Trento definì la Volgata autentica, cioè immune da ogni errore in materia di fede e di morale, genuina fonte della Rivelazione, espressione fedele della parola di Dio scritta. Il Concilio non intese pregiudicare, con questo decreto, l’autorità dei testi originali della Bibbia e delle antiche versioni. Il Decreto fu provocato dalle incertezze sorte nelle controversie religiose del secolo XVI, quando i dotti, nel fiorire degli studi linguistici, vollero sostituire l’antica versione ecclesiastica con altre versioni frutto di privata fatica ed espressione di pensiero e di tendenze proprie dei singoli autori. Nello stesso tempo il Concilio ordinava la preparazione di una edizione corretta della Volgata che vide la luce dopo 50 anni di lavoro sotto il Pontificato di Sisto V nel 1590, e poi, in una successiva revisione, nel 1592, sotto Clemente VIII; perciò l’attuale edizione della Volgata è detta Sistino-Clementina. Nel 1907 Papa San Pio X affidava ai Benedettini l’incarico di preparare una edizione critica della Volgata (Libreria Editrice Vaticana) per eliminare le imperfezioni accumulatesi nel corso di lunghi secoli di continue trascrizioni. Fino al 1951 sono stati pubblicati 9 volumi, (fino a Giobbe).

Gli Apocrifi. Per gli antichi, «apocrifo» era un libro che conteneva dottrine religiose riservate ad iniziati; nel linguaggio ecclesiastico, invece, era un libro non ammesso alla lettura pubblica nella comunità nonostante la somiglianza che esso presentava, per il nome del presunto autore e per il contenuto, con i libri ispirati della Bibbia. Apocrifo, quindi, è un libro da escludersi perché non canonico (v. Canone). Tali libri erano di provenienza sospetta e messi in circolazione da sètte che volevano dare autorevole fondamento alla loro dottrina. Alcuni, però, sono frutto della pia curiosità di lettori che non trovavano nei Libri Sacri tante minute notizie su persone e periodi della storia sacra e vollero completarle con informazioni qualche rara volta di buona fonte ma nella maggioranza dei casi frutto di fantasia. Alcuni di questi scritti in buona fede trovarono credito tra i fedeli e gli scrittori ecclesiastici. Nell’attuale edizione ufficiale latina della Bibbia sono riportati in appendice gli apocrifi libri III e IV di Esdra, e la preghiera del re Manasse: ispirati a testi canonici. Alcuni testi liturgici furono derivati dai suddetti due libri, per esempio il Requiem (IV Esd. II, 34 s.). Gli studiosi moderni dedicano particolare attenzione a questa considerevole produzione letteraria interessante per la conoscenza delle idee religiose e morali vigenti al tempo di Cristo. La vasta letteratura apocrifa, difficilmente accessibile ai lettori comuni, segue le grandi e minori divisioni dei due Testamenti. Gli Apocrifi del Vecchio Testamento, quasi sempre di autori giudei, sono di argomento messianico ed hanno talvolta subito interpolazioni cristiane. Qualcuno, come le Odi di Salomone, sembra di totale provenienza cristiana. Essi si possono distinguere, non certo adeguatamente, in libri storici, dedicati alle grandi figure del Vecchio Testamento, didattici, cioè di contenuto morale, e profetici o apocalittici, che riferiscono presunte rivelazioni sul mondo degli angeli, sui misteri della natura, sulla futura sorte d’Israele, sulla persona ed il regno del Messia. Tra gli apocrifi della prima classe è degno di nota il libro dei Giubilei o Piccola Genesi, scritto da un fariseo moderato verso la fine del II secolo avanti Cristo, in cui Mosè narra la storia del mondo dalla creazione fino all’esodo dall’Egitto, distribuendola in periodi giubilari di 49 anni. Altri libri: il III di Esdra, III dei Maccabei, l’Ascensione di Isaia, il Testamento di Salomone. Tra i libri didattici, sono notevoli: il Testamento dei Patriarchi, in cui i figli di Giacobbe profetizzano l’avvenire delle dodici Tribù da essi discendenti; i Salmi di Salomone e di David; le Odi di Salomone, il IV libro dei Maccabei. Dei libri profetici molto noto è il libro di Henoch, al quale probabilmente si riferisce l’apostolo Giuda nella sua lettera (v. 14 s.), che consta di vari scritti giudaici del II-I secolo avanti Cristo ed è importante per la conoscenza delle idee religiose dei Giudei del tempo di Gesù. Tra l’altro il Messia è detto «Figlio dell’Uomo». Altri libri: l’Assunzione di Mosè, il IV di Esdra, l’Apocalisse di Baruch, gli Oracoli sibillini, libro di propaganda giudaica tra i pagani. Gli Apocrifi del Nuovo Testamento rimontano ai secoli II-III dopo Cristo e vengono distinti in Evangeli, Atti, Epistole e Apocalissi. Il più diffuso evangelo apocrifo fu il Protoevangelo di Giacomo dedicato alla vita della Madonna e di San Giuseppe ed alla infanzia di Gesù. Ha avuto larghissima influenza sull’arte cristiana e la liturgia ne ha ricavato la festa della Presentazione di Maria al Tempio; altri evangeli portano i seguenti titoli: secondo gli Ebrei, degli Ebioniti, secondo gli Egiziani, di Pietro, di Tommaso, di Nicodemo. Degli Atti vanno ricordati quelli di Pietro, di Paolo, di Giovanni, di Andrea, di Tommaso. Anche l’epistolario apocrifo è molto ricco; ricordiamo: la lettera di Abgaro re di Edessa a Gesù e la risposta del Redentore, l’epistola degli Apostoli; la epistola di San Paolo ai Laodicesi, e la sua III lettera ai Corinti; le lettere scambiate tra Paolo e il filosofo Seneca. Delle Apocalissi si possono citare: l’Apocalisse di Paolo, di Pietro, di Tommaso. Si tratta, in generale, di una letteratura mediocre e farraginosa che tradisce l’imitazione dei modelli ispirati senza però avvicinarsi alla loro spontaneità ed equilibrio.

L’esegesi. È l’arte di trovare e proporre il vero senso di un testo e, nel campo teologico, di un testo della Sacra Scrittura. È arte in quanto applica le norme di ordine razionale e di ordine teologico che la scienza ermeneutica stabilisce. Il processo di interpretazione di un testo biblico parte dalla fissazione del testo stesso mediante i princìpi della critica testuale e, per mezzo delle regole dettate dalla ermeneutica, ne dà la esatta esegesi, ricorrendo eventualmente alla critica letteraria per accertare il genere letterario del libro in cui è contenuto il testo in esame ed alla critica storica per ambientarlo nel suo tempo. Scopo supremo della esegesi è far brillare attraverso le parole umane la pienezza della luce e del pensiero divino.

L’ermeneutica. È l’arte di interpretare i testi, e, in specie, i testi sacri della Bibbia. L’ermeneutica sta all’esegesi  come la logica sta alla filosofia, in quanto l’arte ermeneutica stabilisce le leggi che la scienza esegetica applica per trovare il vero senso dei testi, come la logica stabilisce le leggi del retto ragionare. Le regole in uso per la interpretazione di testi profani antichi non sono del tutto adeguate ai testi biblici che presentano particolari difficoltà inerenti alla loro origine divina ed al loro aspetto religioso-dommatico, per cui essi sono fonte di rivelazione; il loro aspetto umano li sottopone alle comuni regole di interpretazione, ma la loro natura di testi ispirati esige un complesso di norme particolari (v. Ispirazione). Tre sono i compiti dell’ermeneutica: 1) ricercare che cosa sia e di quante specie possa essere il senso biblico, cioè la verità che Dio, autore principale della Bibbia, intende esprimere per mezzo delle parole scritte dall’agiografo, autore secondario; 2) stabilire i princìpi che regolano l’interpretazione della Bibbia; 3) studiare il modo più opportuno per proporre, secondo le varie esigenze dei lettori, il senso vero dei testi. Ognuna di queste parti ha un nome proprio: 1) noematica (... senso); 2) euristica (... trovo); 3) proforistica, (... propongo). I recenti documenti ecclesiastici in materia biblica, e specialmente le encicliche «Divino afflante Spiritu» (30 settembre 1943) e «Humani generis» (12 agosto 1950) di Papa Pio XII, hanno adeguato l’ermeneutica sacra al progresso delle scienze profane tutelando la perfetta armonia fra i diritti della ragione e i diritti della fede.

Interpretazione della Sacra Scrittura. Rimandiamo al principio si Convergenza dei Padri menzionando alcune sentenze della  Chiesa: già pubblicate su Sursum Corda. Papa regnante è Martino I. Leggiamo subito enunciato ed infine autoritativamente difeso il principio di convergenza dei Padri: «Se qualcuno non professa secondo i santi Padri […]. Se qualcuno […] empi eretici […] escogita temerariamente innovazioni e diverse esposizioni  della fede (contro i santi Padri della Chiesa cattolica, cioè i cinque santi ed ecumenici Concilii), e, in breve, fa qualcos’altro che gli empi eretici sono soliti, per operare diabolico, compiere tortuosamente e con astuzia contro i pii e ortodossi annunci della Chiesa cattolica, cioè quelli dei suoi Padri e Sinodi, per sconvolgere la pura professione di fede […] e persevera fino alla fine, senza conversione, nel compiere empiamente queste cose, un tale sia condannato per i secoli dei secoli; “e tutto il popolo dirà: Sia, sia!”(Sal. 106, 48)» (Denzinger, 501-522). Papa regnante è Onorio I. Leggiamo il Simbolo trinitario-cristologico del Sinodo 4° di Toledo. Ritroviamo subito il principio di convergenza dei Padri: «In conformità con le Scritture divine e la dottrina che abbiamo ricevuto dai santi Padri, professiamo [.. segue il Simbolo trinitario-cristologico …]. Questa è la fede della Chiesa cattolica, questa professione di fede conserviamo e manteniamo; chi l’avrà custodita con grande fermezza, avrà la salvezza perpetua» (Denzinger, 486). Facciamo menzione a Papa Bonifacio II, Lettera «Per filium nostrum» al Vescovo Cesario di Arles, 25 gennaio 531. Conferma del 2° Sinodo di Orange (Denzinger, 399-400). Per avvalorare con l’autorità del Papa la sua dottrina della grazia,  contro gli oppositori riuniti nel sinodo di Valenza, l’Arcivescovo Cesario di Arles richiese alcuni «pochi capitoli» al Pontefice. Il Sinodo provinciale d’Orange ebbe inizio il 3 luglio 529. Regnante era Papa Felice III. Tale Sinodo fu confermato da Papa Bonifacio II (Denzinger, 398-400). Leggiamo subito enunciato il principio di convergenza dei Padri: «[…] Ci è pervenuta (la notizia), che ci sono alcuni che circa la grazia e il libero arbitrio per semplicità vogliono giudicare con minore cautela e non secondo la regola della fede cattolica. Per cui ci è sembrato giusto e ragionevole, seguendo l’ammonizione e l’autorità della Sede apostolica, di dover proporre, affinché da tutti siano osservati, pochi capitoli trasmessici dall’apostolica Sede, che per opera degli antichi Padri sono stati raccolti dai libri delle sante Scritture, per il motivo soprattutto di ammaestrare coloro che giudicano diversamente di come è doveroso, e di dover sottoscriverli con le nostre mani [...]» (Denzinger», 370). In seguito viene confermato ancora il medesimo principio, infine viene esposta la dottrina da tenere. Papa regnante è San Leone I. Padri di Calcedonia, quarto Concilio ecumenico, Simbolo di fede del 22 ottobre 451, Sessione V. Impariamo sia la dottrina da tenere sulle due nature in Cristo, che il principio di convergenza dei Padri: «Di fronte a tutto questo, volendo impedire ad essi ogni raggiro contro la verità, l’attuale santo e grande concilio ecumenico che insegna l’immutabile dottrina predicata sin dall’inizio, stabilisce prima di tutto che la fede dei 318 santi padri dev’essere intangibile. E conferma la dottrina sulla natura dello Spirito Santo, trasmessa in tempi posteriori dai 150 padri raccolti nella città imperiale a causa di quelli che combattevano lo Spirito Santo [pneumatomachi]; i padri conciliari dichiarano a tutti di non voler aggiungere nulla all’insegnamento dei loro predecessori, come se vi mancasse qualche cosa, ma di voler solo esporre chiaramente, secondo le testimonianze della Scrittura, il loro pensiero sullo Spirito Santo, contro coloro che tentavano di negarne la signoria. Etc...». Con l’uso di questi santi documenti, stiamo dimostrando che la Chiesa insegna e difende costantemente, senza alcuna eccezione, la stessa immutata fede e dottrina cattolica sin dal primo e fino all’ultimo giorno. Stiamo altresì dimostrando che la Chiesa NON ammette che qualcuno ardisca interpretare la Sacra Scrittura secondo la propria fregola, discostandosi da quella convergente parola dei santi Padri e della stessa Chiesa. Chi si discosta da questo principio, generalmente, si caratterizza quale empio ed eretico. Sotto Papa Sisto III si attesta la «Formula d’unione» tra San Cirillo d’Alessandria ed i vescovi delle chiese d’Antiochia, nella primavera del 433. Questa Formula fu proposta dal Vescovo Giovanni d’Antiochia per accomodare alcune contese cristologiche perduranti dopo il Concilio di Efeso. Il Papa si congratulò con ambedue per l’unione. Leggiamo subito enunciato il principio di convergenza dei Padri: «Esporremo brevemente ciò che pensiamo e affermiamo della Vergine madre di Dio e dell’Incarnazione dell’unigenito Figlio di Dio non per aggiungere qualche cosa ma per confermarvi la dottrina che fin dall’inizio abbiamo appresa dalle Sacre Scritture e dai santi Padri, non aggiungendo assolutamente nulla alla fede esposta dai Padri a Nicea. Come infatti abbiamo premesso, essa è sufficiente alla conoscenza della fede ed a respingere ogni eresia. E parliamo non con la presunzione di comprendere ciò che è inaccessibile, ma riconoscendo la nostra debolezza ed opponendoci a coloro che ci assalgono quando consideriamo le verità che sono al di sopra dell’uomo» (Denzinger, 271, 272 e 273).

Approfondimento. A cosa serve, pertanto, l’esegesi? A far brillare la pienezza della luce e del pensiero divino. L’esegesi di coloro i quali pretendono di dare lustro alle proprie opinioni, oscurando il pensiero divino, è, in realtà, una falsificazione tipicamente protestante o moderna. La Chiesa comanda di leggere la Scrittura attraverso la sapienza del Magistero (cf. Denzinger, 325, 3792s, 3826, 3828, 3888s, ecc…). Definisce solennemente che «l’estensione dell’ispirazione (divina) si estende a tutti i Libri riconosciuti dalla Chiesa con tutte le loro parti» (Op. cit., 1504, 3006, 3029). Poiché «il Canone, comprese le Lettere di San Paolo, fu stabilito dalla Chiesa» (Op. cit., 179s, 186, 213, 1335, 1520s) e «questo Canone deve essere riconosciuto esclusivamente e con tutte le sue parti» (Op. cit., 202, 213, 354, 1504, 1863, 2538, 3006, 3029). Senza l’intervento della Chiesa docente è impossibile riuscire a «decifrare l’ispirazione» e quindi anche a «comprendere correttamente la Scrittura», tanto che il dotto Sant’Agostino scriveva ai Manichei: «Non crederei al Vangelo se non mi ci inducesse l’autorità della Chiesa cattolica»(Contra ep. man., 5, 6; cf. Contra Faustum, 28, 2); ai Donatisti ricordava «l’universalità» e «l’antichità» della «Tradizione apostolica» (De bapt., 4, 24, 31); ai Pelagiani insegnava che «deve ritenersi per vero ciò che la Tradizione ha tramandato» (Contra Iul., 6, 5, 11), poiché i Padri «hanno insegnato alla Chiesa ciò che hanno imparato nella Chiesa» (Opus imp. c. Iul., 1, 117; cf. Contra Iul., 2, 10, 34), dimostrato che fuori dalla Chiesa non si imparano le cose sante. Contro gli oppositori, si può presentare anche l’inoppugnabile verità storica. Purtroppo, oggigiorno, molti «[…] modernisti sostengono e quasi compendiano in sé molteplici personaggi: quelli cioè di filosofo, di credente, di teologo, di storico, di critico, di apologista, di riformatore […]» («Pascendi Dominici gregis», San Pio X). Dunque, anche nelle loro esegesi, evidentemente violentano il pensiero divino, magnificando le loro falsificazioni. Di essi ci avverte il Signore: «Sinite illos: caeci sunt, duces caecorum. Caecus autem si caeco ducatum praestet, ambo in foveam cadent» (Mt., XV, 14). Afferma Papa Pio XII: «Reca dispiacere il fatto che non pochi di essi (autori moderni o novatori), [...] quanto più volentieri innalzano l’autorità di Dio Rivelatore, tanto più aspramente disprezzano il Magistero della Chiesa, istituito da Cristo Signore per custodire e interpretare le verità rivelate da Dio. […] E perciò taluni, più audaci, sostengono che ciò possa, anzi debba farsi, perché i misteri della fede, essi affermano, non possono mai esprimersi con concetti adeguatamente veri, ma solo con concetti approssimativi e sempre mutevoli» (Humani generis). Proviamo a ragionare con logica semplicità usando il pensiero del Pontefice. La Chiesa, attraverso la sua esegesi, NON attraverso quella di terzi, fa brillare e ci comunica la pienezza della luce e del pensiero divino. Il pensiero divino è immutabile ed esclude l’errore (difatti «è luce»), dunque è inammissibile e falsa l’esegesi che pretenda di far cadere Dio in contraddizione sui medesimi argomenti. Il principio di non contraddizione è proprio di Dio, dunque della Chiesa, cosicché Papa Pio XII conclude contro questi moderni sapientoni: «I Pontefici infatti – essi vanno dicendo – non intendono dare un giudizio sulle questioni che sono oggetto di disputa tra i teologi; è quindi necessario ritornare alle fonti primitive, e con gli scritti degli antichi si devono spiegare le costituzioni e i decreti del Magistero. Queste affermazioni vengono fatte forse con eleganza di stile; però esse non mancano di falsità. Infatti è vero che generalmente i Pontefici lasciano liberi i teologi in quelle questioni che, in vario senso, sono soggette a discussioni fra i dotti di miglior fama; però la storia insegna che parecchie questioni, che prima erano oggetto di libera disputa, in seguito non potevano più essere discusse». Quando accade che tali questioni non possono più essere discusse? Quando la Chiesa, negli specifici argomenti, grazie ad una sua espressione, fa brillare e ci comunica la pienezza della luce e del pensiero divino. Contro i falsari dell’esegesi biblica e contro le loro pestilenziali conclusioni, che abitualmente si contrappongono alle definizioni di Magistero, la Chiesa si è sempre scagliata con grande risolutezza. La «Traditi Humilitati» (24 maggio 1829) di Pio VII condanna le nuove traduzioni della Bibbia diffuse senza imprimatur; la «Qui Pluribus» (9 novembre 1846) di Pio IX condanna le società bibliche; la «Quanta Cura» (8 dicembre 1864) di Pio IX condanna la libertà di coscienza e di culto e nuovamente le società bibliche; la «Nobilissima Gallorum Gens» (8 febbraio 1884) di Leone XIII condanna i sacerdoti che vanno a ruota libera, la «Pascendi Dominici gregis» (8 settembre 1907) di San Pio X condanna «quanto sa di modernismo, di presbiterianismo, di laicismo», eccetera.   Conclude Papa Leone XIII nella Providentissimus Deus: «Con questa legge piena di sapienza la Chiesa non intende in alcun modo ritardare o proibire l’investigazione della scienza biblica, anzi la preserva immune da errore [...]. Nei passi della divina Scrittura, ove si desidera ancora una interpretazione certa e definitiva, può in tal modo avvenire che, per un soave disegno del provvidente Dio, data la piena preparazione nel diligente studio, maturi il giudizio della Chiesa. Nei passi poi già definiti il maestro privato può egualmente dare un contributo esponendoli più dettagliatamente al popolo fedele e più altamente ai dotti, o confutando brillantemente gli avversari. Per la qual cosa, sia principale e sacrosanto dovere dell’interprete cattolico, trattandosi di passi scritturali il cui senso è autenticamente dichiarato o per mezzo dei sacri autori, sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, come in molti luoghi del Nuovo Testamento, o per mezzo della Chiesa, assistita dal medesimo Spirito Santo, “sia con solenne giudizio, o per il Magistero ordinario e universale”, di interpretarli allo stesso modo e di cercare di convincere, mediante gli aiuti della propria dottrina, che secondo le leggi di una sana ermeneutica si può rettamente approvare soltanto quella interpretazione. Negli altri casi si deve seguire l’analogia della fede e attenersi, come a norma suprema, alla dottrina cattolica, quale la si riceve dall’autorità della Chiesa. Essendo infatti lo stesso Dio autore dei sacri Libri come della dottrina, la cui depositaria è la Chiesa, non è certamente possibile che provenga da legittima interpretazione il senso di un qualche passo scritturale che sia in qualche modo discordante dalla Chiesa. Ne segue che è da rigettarsi come inetta e falsa quella interpretazione che faccia apparire gli autori ispirati in qualche modo in opposizione tra loro, o sia contraria alla dottrina della Chiesa, etc». Prosegue ...

A cura di CdP