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Fortes in Fide, don A. Bussinello, S.A.T., Vicenza, 1922. «La santa Chiesa Cattolica, la Comunione dei Santi». La Chiesa. Siamo giunti, o giovani, al nono articolo del Credo che dice: «Credo ... la santa Chiesa Cattolica, la comunione dei Santi». Soltanto nella prima parte di questo articolo «credo nella Chiesa Cattolica» dovremo fermarci per qualche festa, perché è troppo importante che noi conosciamo bene che cosa è la Chiesa nel cui seno siamo nati e vogliamo morire, questa Chiesa che ci lava fin bambini dal peccato originale e ci accompagna con i suoi Sacramenti, con i suoi precetti, con i suoi consigli, con le sue preghiere fino alla morte e quindi fino alla vita eterna. Che cos’è la Chiesa. La Chiesa, dice il Catechismo, è la società dei veri cristiani, cioè dei battezzati che professano la fede e la dottrina di Gesù Cristo, partecipano ai suoi Sacramenti ed ubbidiscono ai Pastori stabiliti da Lui» [ossia ai legittimi Pastori, ndR]. Ecco che cos’è la Chiesa: spieghiamo parte per parte. Col nome di chiesa noi intendiamo comunemente la struttura, cioè i muri, le colonne, gli altari, il tetto, ecc. ; qui invece non si prende in questo senso materiale, ma si adopera questo nome per indicare tutti i fedeli che formano questa grande società che si estende in tutto il mondo. Quando noi diciamo oratorio, intendiamo [l’edificio materiale] di esso, ma possiamo anche intendere l’unione dei giovani inscritti e che lo frequentano; così è della parola Chiesa. «è la società, dice il Catechismo, dei battezzati». Il Battesimo è la porta per cui uno entra in questa grande famiglia cattolica, quindi chi non è battezzato, come l’ebreo e l’idolatra, non fa parte della Chiesa. Ma non basta essere battezzati, occorre anche «professare la fede e la dottrina di Gesù Cristo», ossia credere a tutto quello che Gesù ci ha insegnato; quindi un eretico, cioè uno che non crede anche ad una sola verità della fede, sebbene sia battezzato, è fuori della Chiesa. Tanto più un apostata, ossia uno che rinnega la fede. Il Catechismo poi esige dal cristiano non solo la fede, ma l’aperta professione di essa. Occorre ancora «partecipare ai suoi Sacramenti». Quindi chi non volesse saperne di Battesimo, di Cresima, di Eucaristia, di Confessione, e degli altri Sacramenti, istituiti da N. S. Gesù Cristo per il bene delle anime nostre, da se stesso si mette fuori dalla Chiesa, quantunque creda e pratichi tutte le altre verità rivelate. Punto importantissimo è poi l’ultimo: «ubbidire ai Pastori stabiliti da Lui», cioè da Gesù Redentore. Questi Pastori furono san Pietro e gli altri Apostoli, ai quali succedettero lungo i secoli il Papa, i Vescovi ed i Sacerdoti. Ma di essi parleremo in apposite istruzioni. Il Fondatore. «La Chiesa, dice il Catechismo, fu fondata da Gesù Cristo». Fondare vuol dire istituire, dar vita a qualche cosa, e Gesù, il Redentore divino, diede vita alla Chiesa scegliendo gli Apostoli, tra i quali elesse un Capo, san Pietro, il primo Papa, e dicendo loro: «andate ed istruite tutte le genti!» (San Matteo, XXVIII, 19). Andarono gli Apostoli e, sorretti dalla mano di Dio, allargarono nel mondo la Chiesa. E perché l’ha fondata? «Perché gli uomini, continua il Catechismo, trovassero in essa la guida sicura e i mezzi di santità e di salute eterna». Noi, attaccati ai beni della terra, immersi negli affari del mondo, trascinati da passioni brutali, facilmente perderemmo la bussola e si andrebbe fuori di strada con pericolo quasi certo di dannazione, se Gesù buono non ci avesse dato questa guida sicura, non avesse istituito questa società che ci indirizza al bene, che ci chiama sulla retta via, che ci predica di continuo i nostri doveri, che ci dà tutti i mezzi perché possiamo salvarci. Pensate, o giovani, quanti sono fuori della Chiesa, quante migliaia di ebrei, di maomettani, di eretici, che non fanno parte di questa grande società alla quale è necessario appartenere per giungere a salvezza! Pensate ai selvaggi sparsi nell’Africa, nell’Asia, in buona parte dell’America, nell’Oceania ed in qualche parte anche dell’Europa: son mille milioni di anime alle quali non è ancora giunta la luce della fede! Pensate alla moltitudine di cattivi cristiani che fanno parte solo di nome alla Chiesa, ma nell’anima son peggiori dei turchi, perché praticamente non la vogliono riconoscere e quindi vanno dannati!... E noi ringraziamo Iddio che ci ha fatto nascere tra gente cristiana, nella verità della sua Chiesa: ringraziamolo e cerchiamo di vivere come la Chiesa ci insegna, perché a noi, così privilegiati, sarà chiesto un giorno più stretto conto: «a chi fu dato molto, dice il Vangelo, molto sarà richiesto» (San Luca, XII, 48). Esempio: L’Arca. Circa 17 secoli dopo la creazione di Adamo gli uomini si erano di molto moltiplicati e abitavano ormai gran parte della terra, ma il vizio della disonestà era entrato tra loro e si erano dati in braccio a gravissimi peccati, sicché il Signore decise di sterminarli dalla terra. Fra tanti cattivi però vi era il patriarca Noè, uomo giusto e timorato di Dio, al quale il Signore comandò di fabbricarsi l’arca, cioè un grande bastimento, tutto chiuso e capace di contenere di tutte le specie d’animali. Appena finito, entrarono in esso Noè ed i suoi figli con le rispettive famiglie, e due animali per ciascuna specie. Dopo sette giorni, dice la Sacra Scrittura, «si squarciarono tutte le sorgenti del grande abisso e si aprirono le cataratte del cielo», e per quaranta giorni e quaranta notti una pioggia torrenziale inondò la terra, seppellendo ogni cosa, fino i monti più alti. Tutti annegarono miseramente, solo Noè e coloro che erano con lui nell’arca rimasero salvi (Genesi, VI, VII). Quest’arca di salvezza è una bella figura della Chiesa Cattolica che Iddio ha lanciato nel mondo, perché su di essa ci potessimo salvare da quel diluvio di corruzione e di fango che da per tutto ci stringe. Coloro che sono fuori di quest’arca andranno perduti, come i contemporanei di Noè. Noi siamo entrati in quest’arca per mezzo del santo Battesimo e ne usciremo con la morte: allora vedremo come si saranno miseramente perduti tutti quelli che non vollero saperne della Chiesa, che vissero malamente, che s’immersero nelle vie del fango e della colpa, e ringrazieremo Iddio che, senza alcun merito nostro, ci volle nella sua Chiesa, come lo ringraziò Noè appena uscito dall’arca, mentre mirava intorno a sé la distruzione e la morte. Pratica. Giovani, siamo riconoscenti a Dio di tanto privilegio, e mostriamo la nostra riconoscenza usando di tutti quei mezzi che la Chiesa, nostra Madre, ci offre per condurci a salvezza! La frequenza ai santi Sacramenti della Confessione e Comunione, la preghiera fervorosa, la fuga delle occasioni pericolose, una soda istruzione religiosa: ecco le funi di ferro che ci tengono fermi a questa arca di salvezza. Solo così, o giovani, passeremo tra il diluvio del male, solo cosi giungeremo al porto beato!

Fortes in Fide, don A. Bussinello, S.A.T., Vicenza, 1922. I peccati contro lo Spirito Santo. I più gravi peccati, o giovani, sono quelli che si commettono contro lo Spirito Santo. E perché mai? Non è anch’Egli Dio come il Padre e come il Figlio? Sì, ma siccome i peccati commessi contro lo Spirito Santo son peccati di pura malizia, così hanno una gravità speciale. Loro gravità. Che vuol dire? Vuol dire che negli altri peccati che noi commettiamo, più che la malizia, c’entra spesso il nostro interesse, lo sfogo di calche passione, per quanto animale, la soddisfazione dell’amor proprio, ecc.: anzi il più delle volte il peccatore non guarda alla malizia, ma solo al proprio piacere. Così quando uno ruba od imbroglia negli affari, guarda il proprio interesse; chi si macchia di colpe impure cerca il piacere; chi bestemmia od impreca ad un suo simile, vuole lo sfogo della propria rabbia. Sono peccati gravissimi anche questi, ben inteso, e ne basta anche uno solo per meritare l’inferno, ma quelli commessi contro lo Spirito Santo sono ancora più gravi, perché fatti per pura malizia, senza neppure la scusa, per quanto vana, di un diletto, d’un interesse, d un piacere. Questa sorta di peccati, dice N. S. Gesù Cristo nel Santo Vangelo, non vengono rimessi «né in questo secolo, né nel futuro» (San Matteo, XII, 32) cioè né in questo mondo, né nell’altro: non perché siano imperdonabili, non essendovi peccato, per quanto grave, che non trovi perdono nella misericordia di Dio, ma perché coloro che li commettono è molto difficile che si pentano e quindi che abbiano il perdono. È una specie di malattia incurabile, di tisi lenta, ma fatale. E quali sono questi peccati? Vediamoli. Quali e quanti sono. 1) Disperare della propria salute, ossia tenere per certo di non potersi salvare. Questo è contro l’infinita misericordia di Dio che vuole «non la morte del peccatore, ma che si converta e viva» (Ezechiele, XXXIII, 11), di quel Dio che ha tanto patito perché noi fossimo salvi, che ci chiama, c’invita, ci aspetta a penitenza. Nessuno deve dire con Giuda: io sono dannato! Nessuno deve darsi alla disperazione, ma si deve sempre confidare nella misericordia di Dio che aspetta fino all’ultimo il peccatore pentito. Chi dispera, pecca contro lo Spirito Santo e va più profondo nell’inferno. 2) Presumere di salvarsi senza merito. È il rovescio della disperazione, è una pretesa superba di andar salvi anche senza osservare i Comandamenti di Dio ed esigere il premio senza esserselo meritato. 3) Impugnare la verità conosciuta, cioè rigettare quelle verità della fede che abbiamo imparato e che riteniamo per vere, per poter vivere più a nostro capriccio e seguire la natura corrotta. 4) Invidiare la grazia altrui, ossia sentir dispiacere che altri conducano vita santa, che si acquistino dei meriti, e vedere di malocchio che la Religione venga seguita e si propaghi sempre più a gloria di Dio ed a bene dell’umanità. 5) Ostinarsi nel peccato e non voler saperne di conversione, rifiutando qualunque ispirazione di Dio, qualunque cosa che ci parli del nostro destino eterno, fuggendo tutto quello che può farci tornare a Dio. 6) Volere l’impenitenza finale, che è quanto dire voler precipitare nell’inferno. Pare impossibile che ci siano al mondo persone del genere... eppur ci sono! [Basti pensare a quello che dicono e fanno i modernisti, ndR] Scelgono la casa del diavolo e stabiliscono di voler precipitarvi dentro ad ogni costo. Se non facesse orrore, sarebbe da augurare loro buon divertimento. Tempio dello Spirito Santo. Ma c’è un peccato, o giovani, che pur non essendo annoverato tra i sei peccati contro lo Spirito Santo, perché non è peccato di sola malizia, pure profana in modo speciale tutto il nostro corpo, che, come dice san Paolo «è tempio dello Spirito Santo» (1a ai Corinti, VI, 19): è il peccato d’impurità. Ne parleremo in più istruzioni trattando del sesto Comandamento, ma voglio accennarvelo anche qui perché l’abbiate da aborrire sempre più. Bella è la nostra chiesa, specialmente quando è bene addobbata, come nelle feste solenni, bello è il nostro oratorio, messo a nuovo da poco ; ma quanto più bello è il nostro corpo, «tempio vivo di Dio» (IIa ai Corinti VI, 16). Che fareste ad uno che venisse qui dentro ad imbrattare i muri con fango ed immondezze, peggio poi se questo fango lo gettasse contro le statue di san Luigi e di sant’Agnese? Voi a ragione indignati, gli fareste baciare con un capitombolo i sassi della piazzetta! Ebbene, o giovani: chi profana il proprio corpo con peccati di impurità è ancora più colpevole, più temerario, perché la chiesa e l’oratorio sono templi materiali dello Spirito Santo, il nostro corpo invece è tempio vivo di Dio, è l’abitazione prediletta dello Spirito Santo. Il temerario che profana il proprio corpo con l’impurità scaccia lo Spirito del Signore con le sue virtù e i suoi doni per dar luogo a Satana, al demonio coi suoi vizi ed i suoi errori. L’imperatore Traiano domandava un giorno al martire sant’Ignazio: come ti chiami? Ed il Santo rispose: teoforo. che vuol dire chi porta Iddio: difatti portava Iddio nel suo cuore. Così può chiamarsi ogni giovane che ha in se la grazia santificante. Si narra che san Leonida Martire baciasse spesso il petto del suo figlioletto Origene, che divenne poi uno [tra i principali scrittori e teologi cristiani dei primi secoli], dicendo: il cuore del mio bambino è tempio dello Spirito Santo. Così può dirsi di ogni giovane finché conserva l’innocenza. Esempio: Il traditore. Sapete che Giuda fu l’apostolo avaro, che per trenta denari tradì N. S. Gesù Cristo, consegnandolo in mano a suoi nemici. Compiuto il delitto, si sentì rodere dal rimorso... era il momento di pentirsi davvero e domandare perdono a Gesù, sicuro che l’avrebbe ottenuto, invece s’indurì nel male ed al peccato del tradimento ne aggiunse un altro: la disperazione. Il demonio che voleva trascinarlo all’inferno, gli fece credere bugiardamente che la sua colpa non poteva meritare perdono e l’infelice si diede alla disperazione; corse in un campo, attaccò una corda ad un albero e s’impiccò, mentre il demonio trascinava l’anima sua all’inferno. È un esempio terribile, o giovani! Giuda poteva ascoltare il rimorso della coscienza e pentirsi; invece no, rimase ostinato nella sua colpa e disperò del perdono di Dio, peccando così doppiamente contro lo Spirito Santo, ed ora da quasi duemila anni è là che brucia all’inferno, dove dovrà stare per sempre. Pratica. Giovani, abbiamo orrore di tutti i peccati, perché tutti offendono la bontà e la maestà di Dio, ma in modo speciale dobbiamo sentire ribrezzo per i peccati di cui oggi vi ho parlato! Preghiamo lo Spirito Santo a tenercene sempre lontani, per non far la fine di Giuda!

Fortes in Fide, don A. Bussinello, S.A.T., Vicenza, 1922. Lo Spirito Santo nei Libri sacri. C’è un libro, o giovani, che si distingue da tante migliaia di altri libri che si stampano di continuo e che trattano, con più o meno competenza, delle cose più disparate; un libro il più antico, perché fu il primo scritto appena gli uomini inventarono i segni della scrittura, ed il primo stampato appena fu inventata la stampa, ed insieme il più nuovo, perché contiene precetti d una giovinezza perenne; un libro che fu scritto da uomini sì, ma sotto l’ispirazione dello Spirito Santo; un libro quindi il più rispettabile, il più sacro, il più vero, che non può contenere né errori, né falsità, ma che è santo in tutte le sue parti, in tutte le sue parole, fino all’apice ed all’iota. Questo libro è la Sacra Scrittura. Che cos’è. La Sacra Scrittura è un complesso di 72 libri, di cui 45 vennero scritti da Mosè e dai Profeti nell’Antico Testamento, cioè dal principio del mondo fino alla venuta di N. S. Gesù Cristo, e 27 vennero scritti dagli Apostoli e dai discepoli nel Nuovo Testamento, cioè dalla venuta di N. S. Gesù Cristo fino alla morte dell’ultimo Apostolo, San Giovanni Evangelista. Questi libri contengono la storia vera dell’origine del mondo: ci dicono come il Signore in principio ha creato i cieli, la terra, le acque, le piante, gli animali, ed infine come ha formato l’uomo. Ci parlano delle prime generazioni che abitarono la terra, del diluvio universale con cui il Signore castigò tutto il genere umano, perché immerso nel peccato d’impurità, risparmiando solo la famiglia di Noè. Ci danno bellissimi insegnamenti morali e riportano profezie che si avverarono attraverso i secoli. Contengono inoltre la storia della venuta del Messia, già promesso ad Adamo; riportano i discorsi di Gesù Redentore, i suoi miracoli, la sua dottrina, la sua passione, la sua morte di Croce, ci parlano degli Apostoli e delle loro predicazioni nelle diverse parti del mondo. È Sacra. Tutto questo venne scritto, ho detto, da Mosè, dai Profeti e dagli Apostoli, non però di propria testa, ma sotto l’ispirazione diretta dello Spirito Santo, sicché l’autore di quei libri è Dio stesso. Un giorno un negoziante aveva da scrivere una lettera molto importante ad un suo creditore, ma temendo compromettersi con frasi forse non adatte, andò da un notaio, spiegò bene l’affare e poi lo pregò di stendergli la lettera. Questa lettera, scritta materialmente dal notaio, non conteneva in realtà che le parole ed il volere del negoziante. Qualche cosa di simile è la Sacra Scrittura. Lo Spirito Santo ha ispirato l’autore sacro a scrivere, e mentre scriveva lo ha illuminato perché scrivesse ciò che Egli voleva. Mosè dunque, i Profeti e gli Apostoli non scrissero parole proprie, ma parole di Dio: ecco perché la Scrittura, da essi composta, si dice sacra. Inoltre essa contiene cose sacre, come l’opera di Dio nella Creazione, i dieci Comandamenti che Dio stesso diede a Mosè, la vita e la morte di N. S. Gesù Cristo, i suoi divini insegnamenti, ecc., tutte cose dirette a farci conoscere il nostro ultimo fine, a spingerci alla salvezza dell’anima nostra. Lo Spirito Santo che ha vegliato sopra coloro che scrissero questi libri, che ha loro ispirato tutte le parole, tutti i pensieri ivi espressi, non ha certo permesso, né lo poteva permettere, che ivi fossero scritte delle cose non vere. Quindi tutto quello che è contenuto nella Sacra Scrittura è più che vero, e noi dobbiamo crederlo, dalla prima all’ultima parola [secondo la vera interpretazione che ci è data dalla Chiesa, ndR]. Chi nega fede alla Sacra Scrittura [ovvero alla Chiesa che ne attesta l’autenticità, ndR] è senz’altro condannato, perché nega fede a Dio stesso. Ascoltare e praticare. Ecco dunque, o giovani, la necessità di ascoltare con tutta l’attenzione possibile quei tratti di Vangelo che ci vengono letti e spiegati in Chiesa, quei fatti, pur del Vangelo, che tante volte io vi narro qui all’Oratorio, quelle citazioni della Sacra Scrittura, che tanto spesso sentite portare dai predicatori nei loro discorsi. è vero, quelle citazioni in latino voi non le capite, ma poco importa: è sempre parola di Dio ed è quindi sempre accompagnata dalla grazia che penetra i cuori. Bastò tante volte qualche parola della Sacra Scrittura, qualche riga del Santo Vangelo, per convertire i cuori più duri e farne dei Santi. Antonio di Egitto, nobile e ricco, entrava un giorno in chiesa mentre il Sacerdote leggeva nel Vangelo della Messa quelle parole dette da N. S. Gesù Cristo al giovane di Galilea: «se vuoi essere perfetto, va, vendi tutto quello che hai, danne il prezzo ai poveri, così ti acquisterai un tesoro nel Regno dei Cieli» (San Matteo, XIX, 21); e Antonio tenne rivolte a se quelle parole, regalò tutti i suoi beni ai poveri, si ritirò nel deserto a far vita penitente e santa. è sant’Antonio Abate, che noi festeggiamo il 17 gennaio, giorno della sua morte. Altri libri. Non come la Sacra Scrittura, dove furono ispirate direttamente da Dio, come dissi, concetti e parole, ma una certa azione dello Spirito Santo noi dobbiamo ravvisare anche in altri libri santi che tanto bene apportarono alle anime che li lessero e meditarono. Così tanti libri scritti da anime buone col solo intento di far migliori coloro che li avrebbero letti, così tante vite di Santi, dove appare chiarissimo il lavorìo della grazia di Dio e che fanno esclamare, a chi attentamente li legge, quello che disse sant’Agostino, dopo aver sentito narrare la vita di sant’Antonio Abate e la conversione di due cortigiani dell’imperatore: «tu non poteris quod isti et istae?» (Confess., 1. 8, c. II. ) - che vuol dire: se costoro han fatto così, perché non posso farlo anch’io?... Libri che convertono e fanno dei Santi. Fu uno di questi libri che convertì Camillo de’ Lellis e ne fece il Santo della carità, che convertì Ignazio di Lojola, mentre stava degente all’Ospedale per una ferita riportata alla battaglia di Pamplona, e ne fece un gran Santo, e che chiamò pure alla vita perfetta Giovanni Colombini. Esempio: Il Beato Colombini. Quest’ultimo era un negoziante di Siena che visse nel secolo XIII. Un giorno, tornato dal negozio, non trovò pronto il desinare e s’irritò terribilmente contro la moglie, alla quale, forse per aver chiacchierato con le amiche, era giunto alle spalle il mezzogiorno senza accorgersene. La donna, vedendosi dalla parte del torto, tacque, anzi porse allo sposo un libro, dicendogli di attendere un poco, leggendo intanto qualche cosa. Era la vita di una santa che fu prima gran peccatrice. Giovanni guardò il libro e lo buttò da se: poi lo riprese e cominciò a sfogliarlo. Lesse qua e là e gli piacque. La minestra era pronta e la moglie chiamava, ma Giovanni era immerso nella lettura, mentre la grazia lavorava nel suo cuore. Mangiò in silenzio e tornò al negozio: quel libro gli aveva aperto gli occhi e l’aveva convertito. Non solo, ma conosciuta la vanità delle cose della terra, procedé sempre innanzi nella perfezione e divenne il Beato Giovanni Colombini. Lo si festeggia il 31 luglio. Pratica. Giovani, ascoltate sempre con attenzione e mettete in pratica quanto sentite narrare della Sacra Scrittura [dalla Chiesa, ndR] e della vita dei Santi, anzi cercate di avere questi libri e di leggerli nelle ore di riposo e nelle lunghe sere invernali: ne trarrete immensi vantaggi per il bene delle anime vostre! [Diceva sant’Agostino: «Se qualsiasi disciplina, per quanto da poco e facile, richiede, per essere compresa, un dottore o un maestro, che vi è di più temerario e di orgoglioso quanto il ricusare l’aiuto degli interpreti nello studio dei libri dei divini misteri!» ed ancora: «Io stesso non crederei al Vangelo, se non mi spingesse a credere l’autorità della Chiesa cattolica». Sentenzia Papa Leone XIII nella Providentissimus Deus: «Essendo [...] lo stesso Dio autore dei Sacri Libri come della dottrina, la cui depositaria è la Chiesa, non è certamente possibile che provenga da legittima interpretazione il senso di un qualche passo scritturale che sia in qualche modo discordante dalla Chiesa», ndR].

Fortes in Fide, don A. Bussinello, S.A.T., Vicenza, 1922. «Credo nello Spirito Santo». L’Ispiratore. Vi ho detto domenica scorsa, o giovani, che lo Spirito Santo scende in ogni anima cristiana con le sue grazie, coi suoi doni, coi suoi carismi. Ognuno di noi ha sentito tante volte nel proprio cuore quei rimproveri, quei rimorsi, quegli impulsi, quei movimenti interni dello Spirito Santo che si dicono ispirazioni. Vediamone qualche cosa. Grazie ordinarie e straordinarie. Il Signore vuole che tutti ci salviamo e per tutti ha preparato il Paradiso... vedete quanto aspetta, quanto sopporta, quanto pazienta! A tutti Egli dà le sue grazie ordinarie per condurci a quella eterna felicità, vuole però che queste sue grazie vengano da noi corrisposte. Con qualcuno giunge fino ai miracoli per salvarlo, e noi vediamo nella storia un san Paolo, buttato da cavallo sulla strada di Damasco e cambiato da persecutore in Apostolo da Gesù stesso che gli apparve dicendogli: «io sono quel Gesù che tu perseguiti» (Gli Atti degli Apostoli, XXVI, 15). Noi vediamo attraverso i secoli le strepitose conversioni di sant’Agostino per le preghiere di sua madre, santa Monica, di sant’Ignazio di Lojola per una pagina di un buon libro, di san Francesco Borgia per la vista di un cadavere e così sempre fino ai nostri giorni. Anche oggi, grazie a Dio, abbiamo molte conversioni di grandi ed illustri uomini di tutte le nazioni, per ispirazioni straordinarie dello Spirito Santo. Ma non a tutti Iddio concede tali grazie, anzi son pochi i privilegiati, e ciò per i suoi fini altissimi; a tutti però dà le sue grazie ordinarie, bastanti, se seguite, per condurci a salute. Ben inteso che il Signore non è obbligato a darci né le une, né le altre: è tutta bontà sua se le dà, è tutta bontà di quello Spirito divino, che, anche rigettato da tanti ingrati, torna spesso alla carica per ritrarci dal male, per condurci a salvezza. Anche noi. E ne abbiamo avute tante anche noi, o giovani, di queste ispirazioni dello Spirito Santo. Fu ispirazione di Dio quel rossore, quella vergogna che ci sottrassse dalla colpa; fu ispirazione di Dio quel rimorso che ci pungeva dopo commesso il peccato: fu ispirazione di Dio quell’ammonimento della mamma, quella parola del Sacerdote, quel discorsetto del vostro direttore dell’Oratorio che pareva fatto proprio per voi in particolare, quel consiglio a lasciare un compagno sboccato e scandaloso, quel suggerimento a non dire certe parole, a non fare certi atti, quella spinta ad accostarvi con frequenza alla Confessione ad alla Comunione. Questa stessa istruzione, o giovani, non è un’ispirazione di Dio che ci rammmenta un dovere: la corrispondenza alle sue grazie? Pensiamoci bene! Quante ispirazioni che forse non abbiamo mai curaro, quante che non abbiamo seguito, quante anzi a cui ci siamo temerariamente opposti, che abbiamo rigettato da noi, chiudendo così la porta del nostro cuore allo Spirito Santo che voleva farci del bene! Se noi ascoltiamo e seguiamo un’ispirazione, lo Spirito Santo ne fa eseguire altre ed altre ancora finché ci vede salvi; ma se noi le disprezziamo, potrebbe ritirarsi da noi, come si ritira da tanti, e lasciarci in balìa di noi stessi, finche giungiamo alla perdizione. Estrema importanza. È dunque importante seguire queste ispirazioni, alle quali fino ad ora non abbiamo forse pensato? Sì, è tanto importante quanto è importante salvarci. Ve lo provo con due fatti. Un giorno Gesù vide un giovane pescatore, Giovanni, che con altri rattoppava le reti sulla spiaggia del lago e lo chiamò al suo apostolato. Giovanni lasciò tutto, lo seguì e divenne l’Apostolo prediletto (S. Matteo, IV, 21, 22). Fu un’ispirazione ascoltata. Un altro giorno si presentò al Redentore divino un giovane buono che aveva sempre osservati i Comandamenti della legge di Dio e gli chiese Maestro, che debbo fare per salvarmi? E Gesù gli rispose: se vuoi essere perfetto, va, vendi tutto quello che hai e danne il prezzo ai poveri, così ti acquisterai un tesoro nel Regno dei Cieli, poi vieni e seguimi. Ma il giovane, che era ricco, senza neppur dire una parola, se ne andò (Idem, XIX, 16-22), e non si fece più vedere. Ci dicono molti interpreti che questo giovane non si sia salvato. Fu un ispirazione disprezzata. Nell’uno o nell’altro di questi due giovani siamo rispecchiati anche noi: in Giovanni Apostolo se seguiamo le ispirazioni dello Spirito Santo, nell’altro giovane se non le curiamo, peggio poi se le disprezziamo. Esempio: il capocomico. Sentite, o giovani, fin dove giunse un’ispirazione dello Spirito Santo, che, ascoltata e seguita, riuscì a convertire sulla scena del teatro un commediante dei più celebri, ma anche dei più scandalosi, e farne un martire della fede ed un santo in Cielo. Colgo il fatto dal Martirologio romano sotto il giorno 25 agosto. Il teatro di Roma quella sera era affollato di gente, ed assisteva allo spettacolo anche l’imperatore Diocleziano. Il capo-comico era un certo Genesio, uno dei più famosi artisti di quel tempo, e uno dei più arrabbiati disprezzatori della Religione cristiana, che derideva tanto spesso sulla scena. Quella sera doveva mettere in ridicolo il Battesimo e tutto era pronto per l’indegna parodia Quando nel momento in cui l’attore doveva venir battezzato per disprezzo, tocco dalla grazia dello Spirito Santo, chiese il Battesimo davvero, e ancor là sul palco si proclamò cristiano, protestandosi pronto a versare anche il sangue per la fede. Dapprima tutti la ritenevano una burla, una trovata di quello spirito inesauribilmente ridicolo, ma poi vedendolo risoluto e sprezzante anche della morte, cominciarono gli insulti e le minacce. L’imperatore, livido di rabbia, vedendo lo spettacolo di scherno cambiato in una professione di fede, fece legare Genesio e lo sottopose ad una spietata carneficina. Ma l’attore, senza lamenti, ripeteva: non conosco altro re che Gesù Cristo, e se anche mi uccideste mille volte, non potrete mai strapparmelo né dalla bocca, né dal cuore! Gli vennero allora lacerate le carni con unghioni di ferro, venne tormentato col fuoco, e finalmente, trovandolo irremovibile, gli venne tagliata la testa. Così la sua anima purificata dal Battesimo e santificata dal martirio, saliva al Cielo a lodare per sempre lo Spirito Santo che gli aveva mandato quell’ispirazione celeste. Pratica. Giovani, esaminiamoci se abbiamo seguito anche noi le ispirazioni dello Spirito Santo, e se non l’abbiamo fatto finora, facciamolo in avvenire! Un’ispirazione seguita può portarci al Cielo, un’ispirazione disprezzata può portarci all’inferno: ricordiamolo!

Fortes in Fide, don A. Bussinello, S.A.T., Vicenza, 1922. «Credo nello Spirito Santo». Lo Spirito Santo. «Ottavo: credo nello Spirito Santo». Già voi sapete, o giovani, chi è lo Spirito Santo: ne abbiamo parlato un poco nel primo articolo del Credo. Abbiamo visto che lo Spirito Santo è la terza Persona della SS. Trinità, che è Dio come il Padre e come il Figlio, che da loro procede ed è ad Essi uguale in ogni cosa; ora però, senza ripetere il già detto, parleremo più diffusamente di questa terza Persona della SS. Trinità e lo faremo in diverse istruzioni. Promessa e venuta. Il Divino Maestro aveva già promesso agli Apostoli ed ai discepoli suoi la venuta dello Spirito Santo, «Io debbo andare, disse loro, perché se io non vado non verrà a voi il Paracleto» (San Giovanni, XVI, 7) ossia lo Spirito Santo. E prima di ascendere al Cielo disse ancora : «Io mando sopra di voi il Promesso dal Padre mio» (San Luca, XXIV, 49). E lo Spirito Santo venne tra noi parecchie volte e sotto diverse forme, come ci narra il S. Vangelo. Voi sapete che uno spirito non si può vedere con gli occhi del corpo, quindi se vuol farsi a noi conoscere deve prendere una forma visibile, materiale. Ed ecco che lo Spirito Santo apparve la prima volta sotto forma di colomba là nel Giordano, mentre Gesù veniva battezzato da san Giovanni Battista. Ve l’ho raccontato in lungo e in largo questo fatto, parlandovi della SS. Trinità. Lo ricordate? La seconda volta apparve sotto forma di nuvola lucidissima là sul monte della Trasfigurazione, quando Gesù, pochi giorni prima della sua Passione, mostrò agli Apostoli un raggio della sua divinità. Apparvero allora anche i profeti Mosè ed Elia e si udì la voce dell’Eterno Padre: «Questo è il mio Figlio diletto, ascoltatelo!» (San Luca, IX, 35). Lo ricordate? Macché!... Le conoscete le teste di pietra che stanno sopra i portoni dei palazzi?... La terza volta discese quando Gesù risorto, alitando sopra gli Apostoli, disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo: saranno rimessi i peccati a coloro ai quali voi li rimetterete, saranno ritenuti a coloro ai quali voi li riterrete» (San Giovanni, XX, 22, 23); istituendo così la santa Confessione. La quarta volta poi fu la più clamorosa e ve la racconto più in largo, a patto però, non che stiate attenti, perché vedo che ci state abbastanza, ma a patto che la teniate a mente. Discesi dunque gli Apostoli dal monte Oliveto, dopo che Gesù era asceso al Cielo, si ritirarono nel Cenacolo ad attendere lo Spirito Santo, e là se ne stavano con Maria Santissima in continua preghiera. Quando, al decimo giorno, sentirono come un vento tanto forte che scuoteva la casa e videro delle lingue di fuoco posarsi sulle loro teste. Questo fatto avvenne nel giorno di Pentecoste, ossia cinquanta giorni dopo la Pasqua. Pentecostos è parola greca che vuol dire appunto cinquanta. Si spaventarono per questo gli Apostoli? Anzi! Sentirono in loro una forza, un’energia non mai provata; spalancarono le porte, chiuse fino allora a catenaccio per paura de giudei, scesero in piazza ed incominciarono a predicare il Vangelo di Gesù, la dottrina dell’Uomo-Dio con una sapienza ed un’eloquenza che faceva stupire. Ma questi son pazzi, sono esaltati! dicevano i giudei. Aspettate un poco!... Intanto alla prima predica di san Pietro si convertirono tremila persone, ad una seconda cinquemila, e, cosa mai udita, le parole degli Apostoli le intendevano tutti i presenti, sebbene di lingua e di nazione diversi (Gli Atti degli Apostoli, II, 1-12). Non basta; ma dopo la venuta dello Spirito Santo gli Apostoli, pieni di grazia, di sapienza e di fortezza, partirono per le diverse parti del mondo: si diressero in Egitto, in Asia, nelle Gallie, nella Spagna, in Italia e riuscirono a convertire il mondo alla fede di N. S. Gesù Cristo. I giudei e gli altri loro nemici fecero prendere gli Apostoli, li gettarono in prigione, li fecero battere con verghe per imporre loro silenzio... Macché! rispondevano gli Apostoli, «non possiamo tacere quello che abbiamo visto e abbiamo udito» (Gli Atti degli Apostoli, IV, 20). I doni. E dopo queste quattro volte è più disceso lo Spirito Santo tra i fedeli? Sì, infinite volte, o giovani, in tutte le anime con le sue grazie, coi suoi carismi, coi suoi doni. Li ricordate i doni dello Spirito Santo? Son sette: sapienza, intelletto, consiglio, fortezza, scienza, pietà, timore di Dio. Questi doni ci fanno capaci di apprendere le verità della fede, ci fanno conoscere la via del Cielo e c’insegnano a prendere questa fra tutte le altre che conducono a perdizione, ci fanno superare con fortezza tutti gli ostacoli che ci pongono innanzi carne, mondo e passioni, e ci dicono di temere Iddio sopra tutte le cose. Ma in modo speciale lo Spirito Santo assiste coloro che ci sono maestri nell’insegnare le verità della fede: [...] i Vescovi, il Papa, cioè la Chiesa docente, perché non erri, come dice il Catechismo, «nell’insegnare le verità rivelate da Dio». Lo vedremo nell’articolo seguente. Esempio: L’eresiarca. Nel secolo IV vi fu un certo Macedonio, eresiarca di Costantinopoli, il quale osò dire ed insegnare che lo Spirito Santo non era Dio come il Padre ed il Figlio. Costui per i raggiri dei settari era stato innalzato alla dignità di patriarca di Costantinopoli nel 350 ma dopo nove anni, per le sue violenze, divenne odioso allo stesso imperatore Costanzo, che l’aveva aiutato a salire, e fu spogliato della dignità e cacciato dalla sede (Can. I. B. Pighi, Institutiones Hist. Eccl., Th. I. us, pagina 221). Pieno di superbia però e indurito nel male, non si ravvide del suo errore, e morì miseramente. I suoi seguaci, invece di vedere in questo castigo la mano di Dio che puniva il bestemmiatore, persistettero nell’eresia, anzi formarono una setta così numerosa che la Chiesa stentò molto ad estirparla. Nell’anno 381 il Papa San Damaso, d’accordo col pio imperatore Teodosio, convocò a Costantinopoli un grande Concilio di Padri e Dottori della Chiesa, tra i quali erano parecchi Santi, e, dopo attento studio e fervorose preghiere, condannò l’eresia di Macedonio, proclamando solennemente la divinità dello Spirito Santo con quelle parole che anche oggi noi Sacerdoti diciamo nel Credo della Messa: «credo nello Spirito Santo, Signore e vivificatore, il quale procede dal Padre e dal Figliuolo, che col Padre e col Figlio è adorato e glorificato». Ma gli eresiarchi di Costantinopoli non lasciarono l’errore, finché non li incolse una più terribile punizione. Il 29 Maggio 1453, nella notte tra la domenica e il lunedì di Pentecoste, festa dello Spirito Santo, Costantinopoli cadeva nelle mani dei turchi, che con ferocia inaudita sterminarono quella popolazione proterva. Dicono gli storici che i soldati di Maometto sgozzarono tutti i cittadini che incontrarono per le vie, e coloro che sopravissero alla strage, li legarono con catene e li vendettero schiavi sui mercati. Era la punizione di Dio contro i bestemmiatori dello Spirito Santo. Pratica. Giovani, siamo grati allo Spirito Santo e non cacciamolo mai da noi col peccato! Ricordiamoci che ogni bene che abbiamo proviene da Lui, fonte inesauribile di tutte le grazie!

Fortes in Fide, don A. Bussinello, S.A.T., Vicenza, 1922. «Di là da venire a giudicare i vivi e i morti». Gesù remuneratore. Ed in che cosa verremo giudicati, o giovani? Ci risponde il Catechismo: «Gesù Cristo ci giudicherà del bene e del male operato in vita, anche dei pensieri e delle omissioni». Del bene. Anche del bene? Sì, perché non basta fare il bene, ma dobbiamo farlo bene. Per es. voi venite ogni domenica alla S. Messa, al vostro Oratorio, alle sacre Funzioni: è un bene che fate. Ma come vi comportate voi alla S. Messa, all’Oratorio, alle Funzioni? Pregate, oppure ridete, ciarlate, guardate il soffitto? Ecco la necessità di ascoltare la Santa Messa in ginocchio, pregando Iddio; ecco il dovere di non mancare alla Dottrina, di non ciarlare in Chiesa, di compiere le vostre pratiche di pietà, di accostarvi con devozione ai santi Sacramenti, non per compiacere alla mamma o alla sorella, ma con retta intenzione, perché è vostro dovere, perché lo vuole il Signore. Di tutte queste mancanze nel bene bisogna risponderne a Dio. Del male. Ma più tremendo sarà il giudizio sul male che abbiamo fatto, anche su quello che forse noi abbiamo già dimenticato. Chi è di voi che ricorda tutti i peccati e le più piccole mancanze della vita intera? Quante cose si dimenticano col tempo... ma Iddio nulla dimentica! Quante azioni si fanno di nascosto, fra le tenebre, in luoghi solitari... ma Iddio tutto conosce! Quante parole di scandalo si dicono e poi vi si passa sopra... ma Iddio tutto ricorda! Tu, o giovane hai scandalizzato quel tuo fratello, quel tuo compagno, con parole sporche, con bestemmie, con atti illeciti, e credi aver rimediato a tutto quando ti sei confessato, senza preoccuparti del male che farà quell’anima scandalizzata da te; ma pensa che anche di questo male tu dovrai rispondere un giorno! Si può peccare con pensieri, parole, opere e omissioni: l’avete imparato all’esame della prima Comunione; e su pensieri, parole, opere e omissioni saremo giudicati. Pensieri: ossia tentazioni non cacciate subito, immaginazioni e desideri cattivi. Parole: quindi ingiurie, mormorazioni, bestemmie, discorsi osceni e tutti i mille peccati di lingua. Opere: quindi azioni turpi, atti illeciti. Omissioni: ossia mancanza ai nostri doveri, agli obblighi del nostro stato. In ictu oculi. Non crediate però, o giovani, che sia necessario al Signore istruire un processo come nei nostri tribunali con testimoni prò e contro, con avvocati difensori, con pubblico ministero, ecc. No, no! Gesù Giudice sarà tutto. Non crediate che ciascuna persona venga chiamata per un lungo interrogatorio: no! «In ictu oculi» (I ai Corinti, XV, 52), dice san Paolo, da un momento all’altro, in un istante un raggio della luce di Dio illuminerà tutte le coscienze, e ciascuno vedrà subito chiaramente il bene fatto ed il male operato. L’istruttoria del nostro processo si tesse in questa vita, ed il lavorio di opere buone o cattive rimane nascosto come il lungo lavoro di un pittore o di uno scultore, ma quando viene tolta la tela che copre il quadro od il monumento, questi appaiono d’un tratto agli occhi di tutti gli spettatori. Oh quella luce della Sapienza divina come rischiarerà tutti i nascondigli più riposti delle coscienze! Allora cadranno finzioni, maschere, ipocrisie: allora sapremo quello che ciascuno ha operato, sia di bene che di male. Un giorno mentre i farisei conducevano a Gesù una donna peccatrice per farla condannare, Egli si mise a scrivere col dito sulla polvere della strada. Ci dicono i sacri interpreti che il Maestro Divino scrivesse i peccati di quelli ipocriti. Fatto sta che a quello scritto i farisei, dice il Vangelo, se la svignarono chi di qua e chi di là, segno che videro in esso palesata la loro sporca coscienza. E se questo potessi io fare lì in piazza con ciascuno di voi appena uscite dall’Oratorio, quanti se la svignerebbero per paura d’essere svergognati! Ma nel giorno del giudizio non si potrà svignarsela: allora anche i peccati più nascosti e più vergognosi verranno messi alla luce... È vero che i peccatori, dice la S. Scrittura, invocheranno i monti a seppellirli e la terra ad ingoiarli, ma dovranno star là a loro dispetto. Tutta ciò che ora facciamo, pensiamo, diciamo, tutto verrà palesato dinanzi al mondo intero. Anche i peccati già confessati e perdonati? Anche questi, dicono i più grandi teologi, perché deve farsi palese in tutta la sua grandezza la grazia e la misericordia di Dio. È verità terribile, o giovani, ma è verità anche molto consolante: viviamo bene ora e non avremo un giorno da vergognarci! La sentenza. Ma c’è la chiusa del giudizio che è ancora più tremenda: è la sentenza che darà il Giudice divino. Dapprima Gesù si rivolgerà ai buoni e dirà loro: «venite, benedetti dal Padre mio, prendete possesso del regno preparato a voi fin dal principio del mondo» (S. Matteo, XXV, 34). Poi si rivolgerà ai cattivi e con voce di tuono dirà loro: «andate, o maledetti, al fuoco eterno che fu preparato per il diavolo e per gli angeli suoi» (Idem, XXV, 41). E a noi, o giovani, quale sentenza toccherà? Quella che vorremo: tutto dipende da noi! Esempio: I due Ebrei. Nel 1879 a Littok, in Polonia, avveniva un fatto abbastanza strano. Due ebrei, padre e figlio, vivevano insieme, ma si odiavano l’un l’altro, tantoché il figlio giunse al punto da pagare un assassino perché uccidesse il padre. Ma nel momento di compiere l’orrendo delitto, l’assassino pagato svelò la congiura. Il padre rimase spaventato, e: prendi, gli disse, porta questo mantello a mio figlio e digli che hai compiuto il delitto! Uscì poscia per la porta del giardino e andò diritto dal Rabbino Boer per raccontare l’accaduto e consigliarsi sul castigo da dare al figlio ribelle. Ci penso io, rispose il Rabbino, vedrete! Si portò subito dal figlio snaturato e gli disse: questa notte mi è apparsa l’anima di tuo padre che hai fatto assassinare e m’incaricò di dirti se preferisci essere giudicato dagli uomini o da Dio. L’infelice, vedendosi scoperto, rabbrividì e rispose: preferisco esser giudicato dagli uomini. Il Rabbino preparò allora nel suo palazzo il luogo del processo e nascose il padre dietro una tenda. Il figlio era al banco degli accusati. Fra il silenzio dell’assemblea si alzò il Rabbino e disse: in tutte le cause la prima parola spetta alla parte offesa: parli dunque l’anima del padre! E la voce del padre si alzò tetra dal di là della tenda, e: figlio snaturato, disse, è qui l’anima di quel tuo padre che soffrì e lavorò per te, di quel tuo padre... ma non poté continuare: il figlio era caduto riverso, morto di spavento. Pratica. Giovani, e che sarà al giudizio finale? Chi ci giudicherà è quel Gesù che noi abbiamo tanto offeso e continuiamo ad offendere! Egli parlerà in quel giorno non come padre, ma come giudice. Oh, che spavento per chi avrà vissuto male!

Fortes in Fide, don A. Bussinello, S.A.T., Vicenza, 1922. «Di là da venire a giudicare i vivi e i morti». Gesù giudice. Voi sapete, o giovani, che N. S. Gesù Cristo in quanto Dio è da per tutto, in quanto Uomo-Dio è in Cielo, dove è salito 40 giorni dopo la Sua resurrezione, e nella SS. Eucarestia. Quivi Egli si trova in modo invisibile, ossia in modo che non possiamo vederlo con gli occhi del corpo. E non verrà più tra noi Gesù buono in modo visibile, ossia in modo che lo possiamo vedere? Sì, dice il Catechismo, «tornerà visibilmente su questa terra alla fine del mondo per giudicare i vivi ed i morti, ossia tutti gli uomini, buoni e cattivi»; verità espressa nel VII articolo del Credo: «di là da venire a giudicare i vivi e i morti». I due giudizi. Questo articolo che spiegheremo parola per parola, ci parla del giudizio finale; ma sono due i giudizi che ciascuno di noi subirà: l’uno particolare e l’altro universale, l’uno appena morti, nel luogo stesso dove l’anima lascerà il corpo, e l’altro alla fine del mondo, al cospetto di tutti. Qui il Credo parla del secondo giudizio, cioè di quello universale, perché il primo è verità tanto chiara che non c’è bisogno di professarla esplicitamente: tutti intendono che l’anima non può andare al posto che si è meritata, se prima non ha avuto la sua sentenza. Vediamo dunque qualche cosa di questo giudizio finale. Di là da venire. L’articolo incomincia con le parole «di là da venire», cioè dal Cielo, dalla destra del Padre dove Gesù è salito, come abbiamo visto nell’articolo precedente: di là N. S. Gesù Cristo verrà alla fine del mondo, sfolgorante di gloria sopra le nubi del cielo. ...a giudicare. Un giorno Gesù Redentore diceva agli Apostoli Suoi: «e vedranno il Figlio dell’Uomo venire sulle nubi del cielo con grande potenza e maestà, e manderà i suoi angeli... e raduneranno gli eletti dai quattro venti...» (S. Matteo, XXIV, 30, 31). è la predizione del Giudizio universale quando Gesù verrà a giudicare le nazioni. La prima volta è venuto per redimere e perdonare, è venuto umile e povero per insegnarci la via della salvezza, è venuto a caricarsi di tutti i nostri peccati ed a soddisfarli morendo per noi; ma la seconda volta verrà per giudicare. Quando un individuo è ritenuto colpevole di un delitto, d’un furto, d’una mancanza alla legge, viene arrestato e dopo qualche tempo di carcere preventivo, viene condotto al tribunale dove si tratta la causa, ossia dove si esamina l’atto compiuto: se l’imputato risulta innocente, viene assolto, se colpevole, viene condannato; salvo sempre complicazioni, cioè, che la giustizia non s’inganni. Così farà Iddio alla fine del mondo, con la certezza di nessuna complicazione. Tutti gli uomini dovranno comparire dinanzi a Lui e rendere conto del loro operato: chi ha fatto bene, avrà bene, chi ha fatto male, avrà male, è tanto giusto!... E sarà Dio nella sua sacratissima Umanità che verrà a giudicare gli uomini, ossia Gesù Cristo, Dio ed Uomo. Immaginate, o giovani, quel momento solenne! Al suono della tromba angelica tutti i morti risorgeranno e verranno al Giudizio. Gli Angeli separeranno i buoni dai cattivi: gli uni a destra e gli altri a sinistra. Ad un dato momento comparirà in alto la Croce e Gesù Giudice, seduto sulle nubi e attorniato dagli Apostoli e dagli Angeli del Cielo. ...i vivi ed i morti. Egli giudicherà tanto i vivi quanto i morti, cioè, come spiega il Catechismo, tanto i buoni che i cattivi, tanto i giusti che i peccatori. I vivi sono coloro che vivono alla grazia di Dio, che hanno l’anima netta da peccati mortali; i morti sono coloro che più non vivono alla grazia di Dio, che hanno il demonio nell’anima e che se morissero in quello stato andrebbero dannati per sempre. Quando avverrà? Voi sarete curiosi di sapere quando avverrà questo giudizio finale, ma è una curiosità che bisogna mettere da parte, perché lo sa solo Iddio. Lo desideravano sapere anche gli Apostoli e lo chiesero un giorno a N. S. Gesù Cristo: «di’ a noi: quando avverranno queste cose?» (S. Matteo, XXIV, 3). Ma Gesù non lo volle dire, e rispose: «nessuno lo sa, neppure gli Angeli del Cielo» (Idem, XXIV, 36). Ci diede solo alcuni segni che precederanno il giudizio universale. Ci disse che avverrà dopo che il Vangelo sarà stato predicato in tutta la terra, e quindi anche a tutti i popoli selvaggi; ci disse che prima verrà l’anticristo, ossia il più empio persecutore, che predicherà errori sopra errori, rovinando innumerevoli anime, che abolirà il culto del vero Dio e si proclamerà Dio egli stesso; disse che prima della fine verranno i due profeti [probabilmente, ndR] Enoc ed Elia e che saranno uccisi per la fede; disse che vi sarà un terremoto spaventevole il quale scuoterà tutti gli elementi. Ad ogni modo non si sa nulla di certo: che la fine del mondo verrà, questo è sicuro, e verrà come la morte, forse quando meno ce l’aspettiamo, ma quando e come verrà, nessuno lo saprà mai: è un segreto di Dio! Esempio: Si avvicina la fine! Un mattino un signore sentì battere alla porta della camera dalla serva, la quale gridava spaventata: padrone, sono le nove, e non è ancora spuntato il sole! Si levò in fretta quel signore, e corse alla finestra: le stelle brillavano nel firmamento, eppure tutti gli orologi di casa segnavano le nove. Si vestì, uscì in strada e vide gente che passava confusa e gridava all’impazzata. Ad un tratto comparve in cielo una striscia luminosa con la scritta: si avvicina la fine del mondo! Il primo pensiero fu di portarsi alla Chiesa e fare una buona Confessione, ma trovò la Chiesa stipata di gente che rigurgitava fin oltre la piazza. Si portò allora a casa col proposito di ritornare, e vide entrare presto da lui l’oste, il sarto e il calzolaio a restituirgli il denaro frodatogli, poi un altro che gli chiedeva perdono di quell’ingiuria, un terzo che lo pregava a perdonargli quell’ingiustizia, e la serva stessa che voleva dargli conto del denaro rubatogli nella spesa di ogni giorno. E pensare che anch’io, diceva quel signore, debbo fare altrettanto con gli altri... Oh, quella scritta in cielo come faceva presto a mettere a posto tante coscienze sporche!... Ad un tratto sentì uno squillo di tromba e quel signore cadde a terra, ma cadde dal letto... era la tromba dell’ortolano. Tutto quello che aveva provato non era stato che un sogno! Ma se fu un sogno per lui, o giovani, deve essere verità per noi! Un giorno verrà certo questo giudizio universale e guai allora per chi avrà la coscienza sporca di bestemmie, di frodi, di atti illeciti! Bisogna vivere bene adesso per non temere il giudizio supremo! Pratica. Santa Elisabetta, regina d’Ungheria, venne richiesta un giorno perché facesse tanta carità ai poveri, e rispose: per prepararmi come posso al giorno del giudizio! Essa sapeva benissimo che il Giudice supremo domanderà conto delle opere di misericordia esercitate, e secondo queste darà il premio. Prepariamoci bene anche noi, o giovani, a questo esame finale che un giorno ci farà il Signore: mandiamo innanzi delle opere buone, esse sole ci salveranno!

Fortes in Fide, don A. Bussinello, S.A.T., Vicenza, 1922. «Salì al Cielo, siede alla destra di Dio Padre Onnipotente». Gesù glorioso. Dopo la Risurrezione di N. S. Gesù Cristo, il Credo ci parla della Sua Ascensione: «salì al Cielo, siede alla destra di Dio Padre Onnipotente»; Gesù risorto però stette con noi 40 giorni prima di ascendere al Cielo, in questo tempo apparve parecchie volte agli Apostoli e discepoli suoi, come vi ho narrato domenica scorsa, per provare loro, fino all’evidenza, la verità della Sua Resurrezione, istituì i due Sacramenti più necessari: il Battesimo e la Confessione, ed elesse san Pietro capo degli Apostoli e della Chiesa. Compiuta l’opera sua, Egli doveva tornare al Padre che l’aveva mandato: lo disse già a santa Maria Maddalena nel giorno stesso della Resurrezione «ascendo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro» (S. Giovanni, XX, 17). Sull’Oliveto. Per l’ultima volta Gesù risorto apparve agli Apostoli ed ai discepoli suoi, riuniti in numero di 120, li condusse a Betania, per prender seco, come dice uno studioso del Vangelo, anche Lazzaro e le due sorelle di costui, Marta e Maria Maddalena, e poi salì l’Oliveto. Era lo stesso monte ai piedi del quale il Redentore aveva tanto patito la sera della Sua Passione, e dove aveva sparso le prime gocce di Sangue, tratto dalle Sue vene dal ricordo terribile delle iniquità del mondo, che Egli era venuto a redimere. Ricordatela questa circostanza non fortuita: è il monte del dolore che diviene dopo 40 giorni il monte della gloria! Con la Vergine Santa, gli Apostoli, i discepoli e tutte le anime liberate dal limbo, Gesù Salvatore toccò la cima di quel monte. Alzò allora gli occhi e le mani al Cielo e benedì tutti i suoi cari. In ginocchio, con lo sguardo fisso su quel volto che sfolgorava di bellezza divina, tutti lo videro alzarsi da terra ed elevarsi a poco a poco verso il Cielo. Meravigliati gli Apostoli e i discepoli lo seguirono con lo sguardo su su per le regioni dell’aria, finché una candida nube lo tolse loro di vista. Durante l’ultima Cena Gesù aveva detto: «vado parare vobis locum» (S. Giovanni, XIV, 2) vado a prepararvi il posto lassù; aveva anche detto: «exivi a Patre... et vado ad Patrem» (Idem, XVI, 28) sono uscito dal Padre ed al Padre ritorno; ma gli Apostoli non lo credevano così vicino questo giorno... l’affetto verso Gesù lo faceva apparire loro lontano... Anche tolto il Salvatore ai loro sguardi, gli Apostoli ed i discepoli stavano là estasiati a mirare in alto, quando due Angeli, bianco vestiti, apparvero loro, e: o uomini di Galilea, dissero, perché state ancora a mirare il Cielo? Quel Gesù che ascese al Cielo, verrà un giorno così come l’avete visto salire: E levatisi di là gli Apostoli mesti e pensierosi scesero il monte, e si tapparono nel Cenacolo ad aspettare la venuta dello Spirito Santo, che Gesù aveva loro promesso. Alla destra di Dio Padre. Intanto il Redentore faceva il suo ingresso trionfale nel Cielo, e come dice l’articolo del Credo: sedeva alla destra di Dio Padre Onnipotente. Con queste parole non s’intende che Gesù stia seduto materialmente alla destra del Padre, che, come Spirito purissimo, non ha né destra, né sinistra; ma vuol dire che anche come Uomo, Gesù venne messo a parte della potenza e della gloria del Padre. Anche come Uomo, con la Sua passione e morte, Egli aveva meritato quel Regno di cui con l’Ascensione mandò a prendere il possesso. Il profeta Davide l’aveva già vistò in spirito parecchi secoli prima quando cantava pieno di gioia: «Togliete, o principi, le porte dei Cieli, sollevate le porte eternali, perché entra il Re della gloria... Egli è il Signore forte e potente... Egli è il Re della gloria» (Salmo XXIII, 7, 8). E con Lui vuole che siamo un giorno anche noi: il nostro posto è là preparato, ma noi dobbiamo meritarcelo, la nostra casa è il Cielo, dove giunti staremo per sempre, se non saremo tanto minchioni da perdere tutto quel bene per godere quaggiù qualche momentaneo piacere che macchia l’anima e ci toglie l’amicizia di Dio. Ma Gesù aveva detto ancora agli Apostoli: «io debbo andare, perché se io non vado, non verrà a voi il Paracleto; ma se andrò, lo manderò a voi» (S. Giovanni, XVI, 7). Era lo Spirito Santo che doveva discendere sopra la Chiesa nascente per comunicare a quei primi cristiani i Suoi doni, per fortificarli contro tutte le persecuzioni, per infiammarli di carità e spingerli alla conversione del mondo. Il segno dei piedi. Sul luogo beato dal quale Gesù salì al Cielo, volle lasciare a sua memoria le orme dei suoi piedi divini. Una di queste orme venne portata via dai turchi; l’altra si trova ancora sul monte Oliveto e si conserva religiosamente nella Basilica dell’Ascensione. I pellegrini che si recano in Terra Santa, entrando nella Chiesa dell’Ascensione, si prostrano dinanzi a quel caro segno e lo baciano con tenerezza ed affetto. Esempio: Santo Stefano. Avete inteso altre volte, o giovani, che i persecutori, aizzati dal demonio, come avevano ucciso N. S. Gesù Cristo, così tentarono di soffocare la Chiesa ancora nei suoi primi anni, perseguitando i suoi seguaci, imprigionandoli e facendoli morire nei più barbari modi. Non ci riuscirono perché la Chiesa è sorretta da Dio che la vuole àncora di salvezza fino alla fine del mondo, e più ne uccidevano e più i cristiani crescevano, perché il sangue dei martiri, scriveva allora un grande uomo, è seme di nuovi cristiani. Il primo martire, ossia il primo che morì per la fede, fu il diacono Santo Stefano, il quale, dice la S. Scrittura, «era pieno di grazia e di fortezza e faceva prodigi e gran miracoli tra le genti». Di questi prodigi che attiravano le moltitudini a Cristo e convertivano migliaia di anime, non volevano saperne i giudei, i quali, pieni di odio, fecero imprigionare il santo diacono e lo trassero davanti ai tribunali. Ma anche qui egli difendeva la sua fede e con parole di alta sapienza confondeva quei disgraziati che volevano chiudere gli occhi davanti alla verità, e terminava il suo magnifico discorso con parole di fuoco contro quei poveri accecati dalla propria malizia. «Uomini di dura cervice ed incirconcisi di cuore e di orecchie, diceva loro, voi volete sempre resistere allo Spirito Santo, come hanno fatto i padri vostri». Poi, attratto da una visione celeste, con lo sguardo rivolto al Cielo «ecco, disse, io vedo i cieli aperti ed il Figlio dell’uomo che sta alla destra di Dio». I giudei furibondi, non potendo farlo condannare, lo trascinarono fuori e lo uccisero a sassate, mentre il Santo raccomandava a Dio l’anima sua e pregava per i suoi carnefici (Gli Atti degli Apostoli, VI - VII). Pratica. L’Ascensione di N. S. Gesù Cristo, o giovani, ci parla apertamente del nostro destino finale: anche noi un giorno saliremo in Cielo con Lui: son chiare le parole del Redentore: «vado parare vobis locum», vado a prepararvi il posto. Oh, quanta gioia infonde nell’anima nostra questo pensiero sublime: lassù abbiamo un posto preparato! È il Regno eterno che sta preparato per i buoni, è la gioia senza fine, è il Paradiso di ogni godimento! Che sono mai, o giovani, tutti i patimenti della vita a confronto di questa gioia eterna che ci sta apparecchiata nei Cieli? Lo vedremo meglio nella spiegazione del XII articolo, quando parleremo della «vita eterna».

Fortes in Fide, don A. Bussinello, S.A.T., Vicenza, 1922. «Discese all’inferno, il terzo dì risuscitò da morte». Gesù risorto. All’alba della domenica una scossa violenta agitò il sepolcro dove N. S. Gesù Cristo era sepolto; un angelo ne tolse la pietra e vi si assise raggiante di bellezza. Gesù, il Maestro Divino, come tante volte aveva promesso, dopo tre giorni dalla morte, era risorto (cf. S. Matteo, XVIII; S. Marco, XVI; S. Luca, XXIV; S. Giovanni, XX, XXI.). I soldati, posti a guardia del sepolcro, fuggirono spaventati a narrare ai capi dei giudei il fatto meraviglioso della risurrezione del Crocifisso. Alcune fedeli di Gesù giungevano allora al sepolcro con aromi e profumi per imbalsamare il corpo del Morto Divino, ma con meraviglia trovarono la tomba vuota. Maria Maddalena, che era con loro, retrocesse tosto spaventata e corse ad avvisare Pietro e Giovanni: hanno portato via il corpo del Signore e non sappiamo dove l’abbiano posto! Le altre donne invece si erano avvicinate alla tomba: il sepolcro era vuoto davvero, due angeli, bianco vestiti, ne stavano a guardia. La meravigliosa visione spaventò quelle pie; ma non abbiate paura, disse un angelo, so che cercate Gesù Nazareno, il Crocifisso; ma perché cercate un vivo tra i morti? È risorto, non è qui: «surrexit, non est hic!». Ricordate, continuò l’angelo, ciò che disse quando era in Galilea? Il figlio dell’Uomo dev’essere consegnato nelle mani dei peccatori e crocifisso, ma per risuscitare il terzo giorno: andate dunque subito a dire ai discepoli che Gesù è risorto! Immaginate con quanta gioia quelle donne andarono in cerca degli Apostoli, li trovarono finalmente, raccontarono il fatto e le parole dell’angelo, ma vennero trattate da visionarie, da esaltate: gli Apostoli non vollero credere. Maria Maddalena. Maria Maddalena intanto, avvisati Pietro e Giovanni, era venuta con loro al sepolcro, dove rimase sola e piangente anche dopo il loro ritorno. Piangeva e pregava quell’anima convertita dalla bontà di Gesù, quando un uomo le s’avvicinò e: Maria! le disse. A quell’accento Maria Maddalena riconobbe Gesù, e: mio Maestro! esclamò, gettandoglisi ai piedi. Gesù scomparve e la Maddalena corse a dare l’annunzio agli Apostoli: «vidi Dominum», ho veduto coi miei occhi il Signore risorto! I discepoli di Emmaus. Nel pomeriggio dello stesso giorno due discepoli di Gesù se ne andavano verso Emmaus, che era una borgata in campagna, poco lontana da Gerusalemme. Lungo la strada un pellegrino sconosciuto li raggiunse e con tutta famigliarità entrò in conversazione con loro. Era Gesù, ma non lo conobbero. Giunti ad Emmaus, volevano che rimanesse con loro: Egli acconsentì, e mentre seduto a tavola, spezzò il pane, lo benedisse e lo diede loro, come aveva fatto nell’ultima cena, lo riconobbero, ed Egli si mostrò per un istante trasfigurato, poi scomparve ai loro occhi. Gli Apostoli. La sera di quel gran giorno gli Apostoli erano ritirati nel cenacolo e le porte erano chiuse bene per paura degli ebrei, quando Gesù apparve in mezzo a loro: la pace sia con voi, disse, son io, non temete! Mostrò loro le gloriose cicatrici delle mani, dei piedi e del costato, e siccome gli Apostoli credevano essere dinanzi ad uno spirito: venite pure a toccarmi, ad osservarmi, disse, uno spirito non ha né carne, né ossa! Ma Gesù voleva convincerli del tutto della sua vita viva e reale, e: avete, continuò, qualche cosa da mangiare? Gli porsero del pesce ed un favo di miele, e Gesù mangiò in loro presenza, non perché ne avesse bisogno, perché un corpo glorioso non ha bisogno di cibo, ma perché voleva mostrare fino all’evidenza la realtà della Sua resurrezione. E dinanzi a questo fatto gli Apostoli non ebbero più alcun dubbio. Ma no, che san Tommaso vuol darci dentro il naso! Egli non era presente mentre Gesù risorto era apparso a tutti gli altri Apostoli e perciò non voleva credere: anzi, disse, se non vedo le ferite dei chiodi, se non metto la mano nella ferita del costato, non credo! Era passata una settimana dal giorno della Risurrezione, quando Gesù apparve di nuovo agli Apostoli, riuniti tutti nel cenacolo, e rivolto a Tommaso: metti qui il tuo dito, disse, metti la mano nella piaga del mio costato: dopo ciò non essere incredulo, ma fedele! E Tommaso? Si alzò sorpreso, estatico, pentito, s’avvicinò a Gesù e cadde ai suoi piedi ripetendo: o mio Signore e mio Dio! «Dominus meus et Deus meus!». Tu hai creduto perché hai veduto, soggiunse Gesù: beati coloro che crederanno senza vedere! Sulla spiaggia del lago. Gli Apostoli erano già tornati in Galilea loro patria, magnificando da per tutto la resurrezione del loro Maestro e le apparizioni che ebbero. Una sera, con tutta probabilità, per provvedere il cibo necessario, andarono tutti insieme a pescare sul lago di Tiberiade, ma tutto inutile... la notte passò senza vedere un sol pesciolino. All’alba, mentre con le barche tornavano a terra, Gesù apparve loro, comandò di gettare la rete un’altra volta e la rete si riempì di grossi pesci. Tornati a terra gli Apostoli, Gesù buono s’intrattenne amichevolmente con loro ed elesse Pietro capo della Chiesa. Sul Monte. Non basta; ma sopra un monte di Galilea Gesù apparve a 500 discepoli, e davanti a quella moltitudine pronunciò quelle solenni parole: andate ed istruite tutte le genti, ecco che io sono con voi fino alla consumazione dei secoli! Risorgeremo anche noi. C’è una verità sublime e consolante, o giovani, che balza da questo dogma più che certo della Risurrezione di N. S. Gesù Cristo, verità di cui ci parla con tutta chiarezza la S. Scrittura e che san Paolo ci ripete: se Cristo è risorto, risorgeremo anche noi! È questo il dogma consolante della nostra Religione, è la verità che ci fa essere contenti nelle tribolazioni della vita: essere certi che un giorno, come Gesù, risorgeremo gloriosi dal sepolcro. Spiegheremo meglio questa verità nell’articolo undecimo del Credo che parla appunto della «resurrezione della carne». Esempio: Morti risorti. Prima di N. S. Gesù Cristo altri risorsero da morte: alcuni per morire ancora, altri per non più morire [ATTENZIONE, leggere in basso la nota di Sursum Corda]; tutti costoro però risorsero per la potenza di Dio, Gesù invece risuscitò per virtù propria. Così risorse Lazzaro dopo quattro giorni dalla morte, così il figlio della vedova di Naim e la figlia di Giairo, ma poi morirono ancora. Invece risorsero, per non più morire, quei giusti che uscirono dal sepolcro alla morte del Salvatore e la Vergine Santissima che venne portata in Cielo tre giorni dopo la sua morte: costoro ebbero anticipatamente quella resurrezione che noi avremo alla fine del mondo; essi sono già in Cielo con l’anima e col corpo. Pratica. E con loro lo saremo un giorno anche noi, o giovani, se quaggiù seguiremo Gesù nella bontà e nel dolore. È l’unico mezzo per giungere a quella gloria che Egli ci ha preparata: solo se avremo sofferto, saremo con Lui glorificati «si tamen compatimur ut et conglorificemur» (Ai Romani, VIII, 17).


NOTA: Insegna il Dottore Utilissimo in Rifless. sulla Passione di Gesù Cristo,  CAPO VI - Riflessioni sui prodigi avvenuti nella morte di Gesù Cristo: "Seguita san Matteo a descrivere i prodigi accaduti nella morte di Cristo, e dice: Et monumenta aperta sunt, et multa corpora sanctorum qui dormierant surrexerunt; et exeuntes de monumentis post resurrectionem eius venerunt in sanctam civitatem, et apparuerunt multis (Matth. XXVII, 52 et 53). Scrive su di ciò sant'Ambrogio (L. X in Luc.): Monumentorum reseratio quid aliud, nisi, claustris mortis effractis, resurrectionem significat mortuorum?Monumentorum autem reseratio (Matt. XXVII, 52) quid aliud, nisi, claustris mortis effractis, resurrectionem significat mortuorum? Quorum in aspectu fides, in processu typus, quod in sanctam prodeundo civitatem, praesentium specie declarabant in illa Hierusalem quae in caelo est, futurum perenne diversorium resurgentium?»]. Sicché l'apertura de' sepolcri significò la sconfitta data alla morte e la vita restituita agli uomini col lor risorgimento. Avvertono poi san Girolamo, il venerabile. Beda e san Tommaso [«Et multa corpora sanctorum, etc. (Matt. XXVII, 53). Quomodo Lazarus mortuus resurrexit , sic et multa corpora sanctorum resurrexerunt, ut Dominum ostenderent resurgentem. Et tamen cum monumenta aperta sint, non antea resurrexerunt quam Dom nus resurgeret, ut esset primogenitus resurrectionis ex mortuis.» S. HIERONYMUS, Commentar, in Evang. Matthaei, lib. 4, (in Matt. XXVII, 53). ML 26-213. «Et multa corpora sanctorum, etc. Sanctorum corpora surrexerunt, ut Dominum ostenderent resurgentem; et tantum (lege: tamen) cum monumenta aperta sunt, non ante surrexerunt quam Dominus, ut esset primogenitus ex mortuis.» S. BEDA Venerabilis, In Matthaei Evangelicum expositio, lib. 4 (in Matt. XXVII, 52, 53). ML 92-125. «Et exeuntes de monumentis post resurrectionem eius, etc. Et notandum quod licet istud dictum sit in morte Christi, tamen intelligendum est per anticipationem esse dictum, quia post resurrectionem actum est; quia Christus primogenitus mortuorum (Apoc. I, 5).» S. THOMAS, In Matthaeum Evangelistam expositio, cap. XXVII, 53] che quantunque nella morte di Cristo si aprissero i sepolcri, nondimeno i morti non risorsero se non dopo la risurrezione del Signore, come specialmente scrive san Girolamo: Tamen cum monumenta aperta sunt, non antea resurrexerunt, quam Dominus resurgeret, ut esset primogenitus resurrectionis ex mortuis [Vedi la nota precedente] E ciò è secondo quel che dice l'Apostolo (Coloss. I, 18) [Quando sant'Alfonso dice "l'Apostolo", genralmente intende indicare san Paolo, ndR], dove Gesù Cristo è chiamato primogenito de' morti e 'l primo de' risorgenti: Principium, primogenitus ex mortuis, ut sit in omnibus ipse primatum tenens (Loc. cit.): poiché non era conveniente che altr'uomo risorgesse prima di colui che avea trionfato della morte. Dicesi in san Matteo che molti santi risorsero allora ed, uscendo da' sepolcri, apparvero a molti. Questi risorti furon già quei giusti che avean creduto e sperato in Gesù Cristo; e Dio volle così onorargli in premio della loro fede e confidenza nel futuro Messia, secondo la predizione di Zaccaria, nella quale il profeta parlando al futuro Messia disse: Tu quoque in sanguine testamenti tui emisisti vinctos tuos de lacu in quo non est aqua (Zach. IX, 11). Cioè: tu ancora, o Messia, per lo merito del tuo sangue scendesti nella carcere e liberasti quei santi carcerati da quel lago sotteraneo - cioè dal limbo de' padri in cui non vi era acqua di gaudio - e li portasti nella gloria eterna". P. Marco M. Sales O.P., in La Sacra Bibbia Commentata, Torino, 1911, alla pagina 130, v. 52-53, afferma: "A dimostrare maggiormente l’efficacia della morte di Gesù ecco aprirsi i monumenti e risuscitare i Santi. San Matteo narrando i prodigi avvenuti alla morte del Salvatore, parla per anticipazione della risurrezione dei Santi, la quale non avvenne in realtà se non dopo che era risorto Gesù Cristo primogenito dei morti (Coloss. I, 18), e difatti anche l'Evangelista attesta che solo dopo la risurrezione di lui entrarono nella città santa ecc.; e non è da supporre che siano stati tre giorni ancora nel sepolcro se fossero risuscitati, appena Gesù ebbe esalato l'ultimo respiro. Siccome si parla di corpi di Santi risuscitati, e si dice che apparvero a molti, è chiaro che si tratta di una vera risurrezione, nella quale però i corpi non erano più soggetti alle leggi della materia, ma gloriosi e dotati di nuove proprietà. Pensano alcuni con Teofilatto che i Santi risuscitati siano poi nuovamente scesi nelle loro tombe; ma è più comune la sentenza che ritiene aver essi avuto parte al trionfo di Gesù Cristo ascendendo con lui al cielo". L'Abate Giuseppe Ricciotti, nel suo Vita di Gesù Cristo, al § 614 sostiene: "Avvennero anche scosse telluriche, le rocce si spaccarono, e le tombe s'aprirono, e molti corpi dei santi addormentati si ridestarono: e usciti dalle tombe dopo la resurrezione di lui entrarono nella città santa e apparvero a molti (Matteo, 27, 51-53). Questa resurrezione dei defunti è narrata qui in anticipo, e sembra essere avvenuta dopo la resurrezione di Gesù con cui è collegata". Mons. Garofalo nella sua Bibbia ed. Marietti, 1960, vol. III, in nota a pag. 95, dice: "In 52 San Matteo unisce insieme, per esigenza, fatti avvenuti in tempi diversi. L'episodio singolare del versetto 53, che non è ricordato altrove in tutto il Nuovo Testamento, va lasciato al suo mistero". Padre Eusebio Tintori O. F. M., nella sua Sacra Bibbia del 1931, Pia Società San Paolo, alla pagina 408, commenta solamente il versetto 53 ed omette il 52: "E' da credere che questi risorti poi ascendessero con Gesù al Cielo (Rem.)". La ed. Salani, commento Ab. G. Ricciotti, anno 1949, purtroppo non ne parla. Pare che neanche l'Evangelo di Gesù Cristo del M. J. Lagrange O. P., anno 1939, ne parli (preciso che ho dato solo una breve "occhiata"). Mons. Spadafora, nel suo Dizionario Biblico, ed. Studium, 1963, da me rapidamente consultato, non commenta. Mons. Antonio Martini nella sua traduzione ufficiale in italiano della Bibbia Vulgata sisto-clementina (del 1592), vol. XXI, Venezia, 1833, alla pagina 319, in nota v. 53 asserisce: "E usciti dai monumenti dopo la risurrezione etc .... Risuscitarono a nuova vita i corpi di questi santi, e si riunirono alle loro anime dopo la risurrezione del Salvatore: imperocché doveva essere Egli il primo de' risuscitati". Gli esegeti contemporanei in seno al vaticanosecondo non li prendiamo neanche in considerazione per prudenza, a causa della loro adesione, più o meno accentuata, a quella filosofia che è "cloaca di ogni eresia" (cf. san Pio X), il modernismo, il quale, ordinariamente, rende l'eretico pericolosamente insipiente. Breve nota a cura di Carlo Di Pietro

Fortes in Fide, don A. Bussinello, S.A.T., Vicenza, 1922. «Discese all’inferno, il terzo dì risuscitò da morte». Gesù morto. Quinto: discese all’inferno, il terzo dì risuscitò da morte. Per l’istruzione di oggi basta la prima parte. Discendere vuol dire recarsi in un luogo basso, ed è questo il significato che ha qui la parola inferno. «Descendit ad inferos», dice il latino, che vuol dire appunto: discese ai luoghi inferiori, ai luoghi bassi, dove le anime erano tenute prigioniere, lungi dalla visione di Dio. Questi luoghi erano tre: il limbo, dove stavano le anime dei patriarchi, dei profeti e di tutti quei santi personaggi, morti prima della venuta di N. S. Gesù Cristo: là non soffrivano dolore alcuno, ma stavano aspettando che Gesù, col suo sacrificio, aprisse le porte del Cielo. [Del limbo dei bimbi non battezzati ne abbiamo già parlato in Comunicato numero 12. Gesù ci dice: «Chi ha orecchi, intenda!» ed altrove, ndR]; il purgatorio o luogo di purificazione, dove le anime dovevano e devono scontare la pena di tanti peccati perdonati e non espiati, e rendersi degne di salire a Dio; l’inferno propriamente detto, il baratro orribile, dove le anime dei dannati erano e sono tormentate dal fuoco eterno e dai demoni. Dove discese l’anima di Gesù. L’anima di N. S. Gesù Cristo, separata dal corpo per la morte di croce, discese al primo luogo, ossia al limbo dei santi Padri, dove rimase per tutto il tempo che il Suo sacro corpo restò nel sepolcro, quindi il venerdì notte, tutto il sabato e fino all’alba della domenica, quando unitasi di nuovo al corpo, lo fece risorgere a nuova vita. E perché discese al limbo l’anima di nostro Signore? Per liberare quelle anime giuste e per mostrare anche laggiù la sua potenza. Per liberare i giusti. Immaginate, o giovani, le migliaia di giusti morti dal principio del mondo fino a quel punto! Là ivi erano Adamo ed Eva, i nostri progenitori, che pentitisi del male commesso, e fattane lunga penitenza, ebbero da Dio il perdono; vi erano Noè, Mosè, Davide, Isaia, Geremia e tutti i santi patriarchi e profeti; vi erano Gioacchino ed Anna, i genitori di Maria Santissima; il profeta Simeone, Zaccaria ed Elisabetta col figlio san Giovanni Battista, san Giuseppe, giuntovi tra gli ultimi, e tante altre anime giuste, che erano vissute nell’aspettazione di questo futuro Redentore. Certo il profeta Simeone e san Giuseppe avevano assicurato quelle anime che la Redenzione era vicina, perché l’uno aveva riconosciuto Gesù Salvatore nella presentazione al tempio, l’altro Gli aveva fatto da custode per trent‘anni ; sicché il desiderio più vivo era in tutti quei predestinati. Tra la festa e la gioia generale Gesù venne in mezzo a quelle anime ad annunziare loro che la Redenzione era compiuta, a dar loro il lume della gloria, a farle partecipi della visione immediata di Dio (cf. Summa Th., III, q. 52, a 5). Questo bastò per cambiare quel luogo di aspettazione in un paradiso di felicità. Quelle anime redente però non salirono subito al Cielo, ma Gesù le condusse con Sé nel giorno della Sua Ascensione, ossia del Suo ingresso trionfale nella patria beata. Per mostrare la Sua potenza. Inoltre Gesù scese al limbo come vincitore e sovrano per mostrare a quei giusti la Sua potenza e la Sua gloria. Tutti dovevano inchinarsi dinanzi al Salvatore che tanto aveva sofferto per la salvezza dell umanità, dinanzi a Colui che aveva riconciliato la terra col Cielo ed aveva riaperto il Paradiso: tutte le creature dovevano tributare a Lui omaggio ed onore. «Nel Nome di Gesù, dice san Paolo, si pieghi ogni ginocchio in cielo, in terra e nell’inferno» - sotto terra (Ai Filippesi, II, 10). Il Beato Angelico, uno dei più celebri nostri pittori, volle ritrarre nella Chiesa di San Marco in Firenze la discesa al limbo, secondo quanto gli dettava la sua fantasia. Dipinse una caverna oscura e custodita da una porta di ferro, che egli raffigura divelta e rovesciata sopra il demonio. Portato da una nuvola, entra nella caverna il Redentore divino col suo stendardo in mano ed accompagnato dal patriarca Abramo. Tra i rinchiusi, che mostrano gioia e allegria, si vedono muovere incontro a Gesù: Adamo ed Eva, Mosè, Davide e altri. Davanti al vincitore della morte e dell’inferno i demoni fuggono spaventati e vanno a nascondersi fra i crepacci della rupe. Ci sono degli autori sacri, i quali ritengono che anche i dannati al castigo eterno sentirono l’effetto della discesa dell’anima di Gesù al limbo e, pur con l’odio nel cuore, furono costretti a rendere omaggio al Redentore divino. All’alba del terzo giorno l’anima di N. S. Gesù Cristo, seguita da quelle migliaia di anime sante liberate dal limbo, si unì al corpo che giaceva nel sepolcro e lo fece risorgere glorioso. Parleremo di questo fatto domenica prossima: per ora solo un esempio. Esempio: L’asinello di sant’Antonio. Sant’Antonio morì a Padova il 13 giugno 1231, dopo una vita di santità e di miracoli, contando appena 36 anni di età. Nell’ora stessa che spirò, la sua anima apparve al suo maestro, che tanto amava, l’abate Tommaso di Vercelli. Mentre costui se ne stava rinchiuso in camera, affetto da forti dolori al collo, vide entrare Antonio che lo salutò amichevolmente e gli disse: ho messo a riposo il mio asinello e me ne vado in patria! Poi toccò nel collo il suo maestro e uscì. L’abate era convinto che Antonio fosse venuto a salutarlo prima di partire per Lisbona, e che fosse venuto cavalcando un asinello. Però non vedendolo più rientrare, lo cercò per il convento, ne chiese agli altri frati, ma né il portinaio né i frati avevano visto in quel giorno entrare Antonio di Padova. Intanto si accorse il buon abate che i dolori al collo erano completamente cessati. Alcuni giorni dopo giunse a Tommaso la notizia che Antonio era morto da santo in Padova e con sua meraviglia, il giorno e l’ora coincidevano col giorno e con l’ora della sua apparizione a Vercelli. Allora capì che l’asinello, di cui aveva parlato l’anima del Santo, era il suo corpo che aveva lasciato in riposo nel sepolcro, e che la patria, dove diceva di andare, non era la città di Lisbona, dove era nato, ma era il Cielo, la patria celeste. Di simili apparizioni ne leggiamo tante nelle vite de Santi: il Signore le permise per provarci sempre meglio l’esistenza dell’anima dopo la morte del corpo. Pratica. Non occorrono però dei fatti per essere convinti di questa verità: lo sappiamo con certezza dalla fede e dalla ragione. Quando tu dormi, dice sant’Agostino, vedi città, panorami, persone, tu parli anzi con queste persone e le senti parlare. Sono forse i tuoi occhi che vedono, la tua bocca che parla, le tue orecchie che odono? No, ma è la tua anima che veglia se anche il corpo è inattivo e come morto sul letto; è l’anima che agisce, anche senza i sensi del corpo. E così verrà un giorno, continua il Santo, nel quale i tuoi sensi resteranno senza vita nel sepolcro, ma l’anima tua continuerà ancora a vedere, a parlare, a sentire, perché essa vive di vita propria.

Fortes in Fide, don A. Bussinello, S.A.T., Vicenza, 1922. «Patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morto e seppellito». Gesù redentore. Perché è morto N. S. Gesù Cristo? «Per cancellare il peccato, dice il Catechismo, riconciliarci con Dio e riaprirci il Paradiso». Dunque eravamo tutti perduti? Tutti! Vi ricordate, o giovani, le ultime istruzioni sul primo articolo del Credo? Vi dissi allora che per la disubbidienza di Adamo e di Eva noi eravamo caduti tutti in disgrazia di Dio, e certo più non avremmo potuto redimerci, se il Figlio stesso di Dio non ci fosse venuto in aiuto. Dinanzi a noi stava la Maestà di un Dio offeso, che noi, poveri omiciattoli, non avremmo mai potuto soddisfare; ma Gesù buono ebbe compassione e ci salvò. Chi può misurare tale atto di bontà? Il galeotto. Un giorno san Vincenzo de’ Paoli visitando, com’era solito, le prigioni di Marsiglia, vide un povero condannato che piangeva a dirotto. Lo avvicinò paternamente e mettendogli una mano sulla spalla: amico mio, gli disse, perché vi disperate così? - Mi lasci, rispose il prigioniero, sono colpevole e merito questa pena: la mia vita trascorsa fece morire di crepacuore mio padre, e ora per un nuovo misfatto, mia madre, mia moglie e tre figliuoli devono stentare la vita, coperti della mia infamia e dal mio disonore. Durante il triste racconto, rotto spesso dai singhiozzi del pentimento, san Vincenzo de’ Paoli guardava quel disgraziato con infinita compassione, poi spinto dal suo grande amore verso Iddio e verso gli uomini: sentite, soggiunse, io starò qui per voi, datemi le vostre vesti da galeotto e prendetevi le mie, cosi potrete uscire sicuro dalla prigione; io sconterò la vostra condanna! Il mutamento fu fatto e san Vincenzo rimase confuso tra la ciurma dei galeotti. Due anni durò quella vita, finché conosciuto dalle autorità lo scambio eroico, san Vincenzo venne posto in libertà; ma egli infiammato da quella carità che gli mostrava leggero qualunque sacrificio fatto per il prossimo, era pronto ancora a qualunque sofferenza, ed anche alla morte, per salvare quel disgraziato. Noi restiamo meravigliati dinanzi a tali atti di carità che vanno al di là dell’eroismo e sembrano quasi incredibili, eppure il Figlio di Dio ha fatto molto di più per tutti noi: Egli ci ha liberato dall’inferno e ci ha dato la libertà di figliuoli di Dio, Egli si è fatto nostro Salvatore e nostro Redentore. Gesù buono vide l’uomo in uno stato compassionevole, in uno stato di terribile disperazione, avvinto da catene di vizi e di peccati... e scese tra noi, prese la nostra stessa natura, si addossò i nostri misfatti, e volle per se quei castighi che erano preparati per noi. Così andò fino al sacrificio estremo, fino alla morte... e là sul patibolo, fra i dolori più atroci, offrì all’Eterno Divin Padre la sua vita in espiazione dei nostri peccati. Il Signore accettò il sacrificio e ci fece ancora suoi figli ed eredi del Cielo. La Redenzione era compiuta. Amore ed orrore. E perché Gesù buono volle tanto patire? Per mostrarci tutto l’affetto che ci portava ed ispirarci il più grande orrore al peccato. Consideriamo un po’ seriamente e domandiamo a noi stessi: poteva amarci di più il Redentore Divino? A cancellare le colpe di tutta l’umanità peccatrice bastava un dolore, una lagrima, un’umiliazione del Figlio di Dio, invece volle soffrire per noi fino alla Croce, perché ciò che bastava alla Redenzione, dice san Giovanni Crisostomo, non bastò al suo amore. Un giorno Egli, predicando al popolo, aveva detto che nessuno ha carità più grande di colui che dà la vita per i suoi fratelli, perché non v’è segno più grande d’amore di quello di morire per chi si ama, ed Egli per nostro amore soffrì immensamente, soffrì oltre ogni misura, ed era disposto, dice un Santo, a morire anche per un solo uomo, perché Egli ama ciascuno di noi con lo stesso affetto con cui ama tutta l’umanità. E noi, o giovani, dobbiamo ricambiare quest’amore: è riconoscenza, è giustizia, è dovere! Gesù ci amò per esser da noi riamato, dice sant’Agostino. Inoltre il Redentore soffrì tanto per ispirarci il più grande orrore al peccato. Che direste se quel galeotto, liberato con tanta generosità da san Vincenzo de’ Paoli, invece di ringraziarlo e di giurargli eterna riconoscenza, si fosse messo ad offenderlo ed a percuoterlo? Eppure è quello che noi facciamo con Gesù buono quando pecchiamo, noi «Lo crocifiggiamo di nuovo» (Agli Ebrei, VI, 6), dice san Paolo, noi ricambiamo tanto amore con ingratitudine e disprezzo. Se voi vedeste passare per la strada N. S. Gesù Cristo, come lo vedevano, durante la sua vita mortale, gli abitanti della Palestina, avreste voi la temerità di legarlo, d’insultarlo, di percuoterlo, di metterlo in Croce come hanno fatto i giudei? No, di certo; ma v’inginocchiereste a ricevere la sua santa benedizione! Eppure noi peccando l’offendiamo molto di più che se lo percotessimo materialmente: per il peccato Egli ha patito ed è morto, quindi davanti a Lui il peccato è più abominevole della stessa sua morte. Esempio: La belva umana. Durante le guerre di Fiandra avvenne un fatto che ci dice fino a qual grado può giungere l’ingratitudine umana. Un soldato fuggitivo era stato preso dai nemici, attaccato ad un albero e lasciato là penzoloni, con la certezza di una morte lenta ed orribile. Dopo qualche tempo passò di là un cavaliere, vide quel disgraziato, estrasse il pugnale e tagliò la fune che lo teneva sospeso al ramo. Smontò poi da cavallo e vide che quell’infelice respirava ancora, lo adagiò bene sull’erba e con mille cure cercò richiamarlo alla vita. Ristoratolo con una bevanda che portava seco, lo fece salire con lui sul cavallo e fuggì di là per sottrarlo alla giustizia. Chi non direbbe che quel soldato avrebbe dovuto essere sempre riconoscente al cavaliere che con tanta carità gli salvò la vita? Invece, sospettando egli che il suo liberatore avesse in tasca parecchio denaro, mentre costui era intento a non incontrare il nemico ed a metterlo in salvo, adagio adagio gli estrasse il pugnale dal fodero, quel pugnale che aveva tagliata la fune e gli aveva salvata la vita, e lo piantò con forza nella schiena del cavaliere, che emettendo un grido, stramazzò a terra. La belva umana gli fu sopra, lo finì, lo spogliò d’ogni cosa, e poi, salito sul cavallo, fuggì a gran corsa. Ingrato, direte voi, traditore, degno di mille morti...: uccidere così vigliaccamente chi ti ha salvato la vita! E Gesù, o giovani, non ci ha salvato dall’inferno, non ha la-cerato quel decreto di condanna che ci perdeva tutti, non ci ha portato di volo verso la via del Cielo, volendo in tutti i modi la nostra salvezza? E noi ingrati tentiamo ancora di pugnalarlo col peccato, rinnovare ancora la sua Passione e affiggerlo di nuovo alla Croce! Pratica. Odio dunque al peccato, al grande nemico di Gesù! Se Iddio Padre per soddisfare il peccato non risparmiò neppure il suo unico Figlio, ma con dolori inauditi lo lasciò espiare i peccati dell’umanità, quanto terribili, o giovani, devono essere i castighi che Egli ha preparato a chi non vuole approfittare della Redenzione, ma peccando crucifigge di nuovo il suo Gesù! Amore e riconoscenza a chi ci ha voluto tanto bene! «Chi non ama N. S. Gesù Cristo sia scomunicato», dice san Paolo (I ai Corinti, XVI, 22) - «Si quis non amat Dominum, sit anathema».

Fortes in Fide, don A. Bussinello, S.A.T., Vicenza, 1922. «Patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morto e seppellito». Gesù crocefisso. Condannato alla morte, Gesù innocente venne caricato della croce e forzato a portarla fino al luogo del supplizio. Per maggior ludibrio gli vennero posti ai lati due ladroni, condannati pur essi alla morte. A mezzogiorno il lugubre corteo usciva dal palazzo di Pilato e si dirigeva al Calvario, che è un piccolo colle, fuori della città di Gerusalemme. Lungo la via, Gesù Signore, stanco e sfinito, cadde tre volte sotto la croce, un povero uomo di Cirene venne obbligato a portarla per lui, consolò le donne di Gerusalemme che piangevano, il suo volto madido (intriso, ndR) di sudore e di sangue venne asciugato dalla Veronica, salutò con lo strazio nel cuore la sua Madre santissima, che gli muoveva incontro per abbracciarlo. Sul Calvario. Finalmente il mesto corteo giunse sul Golgota o Calvario, la croce venne gettata per terra e Gesù buono vi si stese sopra. Acuminati chiodi sotto i colpi del martello gli trapassarono e mani e piedi conficcandolo al legno. Il dolore giungeva al parossismo, ma Gesù non parlava, non si lamentava, non gemeva. Alla sommità della croce venne affissa una scritta in tre lingue «Gesù Nazareno Re dei Giudei» le cui iniziali latine I. N. R. I. vedete sopra ogni Croce. La croce col Paziente Divino venne innalzata e calata di peso nel buco già preparato. Un urlo si levò dalla folla che assisteva, e Gesù tacque. Intanto s’inchiodarono gli altri due ladroni e si rizzarono ai lati del Salvatore (Dai pittori si rappresentano di solito i due ladroni legati e lo si ritiene comunemente; ma è contro la storia, perché quando Sant’Elena trovò le tre croci, non seppe distinguere quella del Redentore, appunto perché erano tutte e tre forate da chiodi, e ci volle un miracolo del Cielo per riconoscere la vera Croce, come diremo). Un gruppo di donne piangenti con la Madre del Crocifisso e san Giovanni Evangelista si erano avvicinate alla Croce e Gesù parlò per dettare quasi il suo testamento. La prima parola fu di perdono per quegli sciagurati che l’avevano messo in Croce: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno!» Il ladrone di destra, colpito dalla bontà, dalla pazienza, dalla certa innocenza di Gesù, si convertì e domandò perdono dei suoi misfatti: «Signore, disse, ricordati di me quando sarai nel tuo Regno». E Gesù rispose: «oggi sarai cori me in Paradiso». Quindi Gesù si rivolse alla Madre sua che stava ritta a piedi della Croce, e: «donna, le disse, ecco il tuo figlio!» e così dicendo guardava Giovanni; ed a Giovanni: «ecco tua Madre!» Fu la sola cosa, o giovani, che sia rimasta a Gesù in quell’ora di morte: ed Egli la diede a noi e la volle Madre nostra. Amiamola, onoriamola, ricorriamo spesso alla sua protezione... Ella ci aiuterà certo: è la nostra Mamma del Cielo! Ad un tratto Gesù mandò un grido: «sitio» ho sete! Un soldato inzuppò una spugna in una miscela di fiele e di aceto, la innestò sopra una canna e l’appressò alle labbra di Gesù moribondo. Ormai tutte le profezie erano compiute, il calice della passione era bevuto fino all’ultima stilla, l’amore per noi non poteva spingerlo più oltre, e Gesù a voce alta esclamò: «Consummatum est» tutto è compiuto!... Ed inclinata la testa, spirò. In quel momento si oscurò il cielo, tremò la terra, si squarciò il velo del tempio, si aprirono i sepolcri e parecchi morti risorsero... tutta la natura pianse la morte del suo Creatore. Il capo dei soldati scese dal monte battendosi il petto e dicendo: «Costui era davvero il figlio di Dio!» (Vedi i tratti evangelici della Passione citati nell’istruzione precedente). Il Calvario un po’ alla volta sfollò ed ai piedi della Croce restò solo la Vergine Santissima, san Giovanni Evangelista, santa Maria Maddalena ed alcune fedeli. Era quasi sera, ed un gruppo di soldati saliva ancora il Calvario, s’avvicinava ai crocifissi, spaccava le gambe ai due ladroni, ed a Gesù, già morto, uno di loro, Longino, vibrava una lanciata al costato, trapassandogli il cuore. Dalla ferita colò sangue ed acqua. Era l’ultimo insulto che si poteva fare al cadavere del Redentore: spaccargli quel Cuore che tanto aveva amato gli uomini fino a morire su di una Croce per salvarli!... Al sepolcro. Intanto due buone persone, segreti discepoli del Salvatore, Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo, erano andati da Pilato a chiedere il corpo di Gesù per seppellirlo. Avutane licenza, si portarono subito sul Calvario, staccarono dalla Croce quel corpo esangue e lo deposero sulle ginocchia della Madre addolorata che lo volle nel suo grembo. Il dolore suo in quel momento non si può certo immaginare; se non morì, fu perché Iddio non volle. Coperto il santo cadavere di aromi e di profumi e ravvolto in una bianca sindone, la mesta comitiva s’incamminò verso una piccola tenuta lì vicina, che era di Giuseppe d’Arimatea e dove si era preparato un sepolcro nuovo, scavato nel masso. Ivi venne deposto Gesù e all’ingresso della tomba venne posta una grossa pietra. I giudei che tutto spiavano, visto il posto della sepoltura e sapendo che Gesù aveva detto che dopo tre giorni sarebbe risorto, temendo invece che gli Apostoli venissero a togliere il corpo del Signore, sigillarono il sepolcro e vi posero a custodia guardie e soldati. Sì, Colui che sotto i loro occhi aveva fatto risorgere tanti morti, l’Uomo-Dio, l’Autore della vita, avrà paura dei sigilli dello Stato e delle guardie di custodia! (Sic. !). Quanto siamo piccini noi uomini! Esempio: La Croce. Sarete curiosi, o giovani, di sapere un po’ di storia della santa Croce sulla quale morì N. S. Gesù Cristo, che cosa ne fecero i giudei, come venne trovata e come giunse fino a noi... Ve lo dico in poche parole. Dopo le persecuzioni dei primi tre secoli contro i cristiani, Sant’Elena, madre dell’imperatore Costantino, già convertito al Cristianesimo, fece eseguire sul Calvario degli scavi per trovare la Croce del Salvatore. La trovò difatti sepolta con le altre due dei ladroni e poco lontano i chiodi e l’iscrizione I. N. R. I. «Gesù Nazareno Re de Giudei». Non potendosi distinguere quale delle tre fosse la Croce su cui mori Nostro Signore, venne chiamato san Macario, allora Vescovo di Gerusalemme, ed egli ordinò pubbliche preghiere e poi ricorse al miracolo. Si portarono le tre croci presso una donna gravemente inferma e le si fecero toccare una ad una la croci. Appena fu tocca dalla terza, risanò sull istante. Conosciuta così la Croce del Redentore, Sant’Elena fece erigere una bella Chiesa e vi collocò la preziosa reliquia. Quasi 300 anni dopo, Cosroe II, re di Persia, vinse Gerusalemme e portò via la Santa Croce, ma l’imperatore Eraclio, battuti i Persiani, riacquistò la Croce e la portò di nuovo a Gerusalemme. Egli stesso voleva portarla sulle sue spalle al Calvario, facendo la via battuta un giorno dal Salvatore, ma una forza invisibile gli impedì di muovere un passo. Il Patriarca di Gerusalemme gli fece notare che non era conveniente portare, vestito regalmente, quella Croce che il Signore aveva portato a piedi nudi e poveramente vestito. L’imperatore ascoltò il consiglio, vestì un abito comune, buttò i calzari e così poté riportare sul Calvario la Santa Croce. Di poi, nel lungo volgere dei secoli, venne divisa in piccolissime parti e distribuita a tutte le Chiese del mondo. Anche noi ne abbiamo un minutissimo filo, incastonato in un’altra crocetta, che portiamo in processione il Venerdì Santo. Pratica. Giovani, Gesù è spirato in Croce, vittima del suo amore per noi! «Il suo capo è pendente per baciarti, dice sant’Agostino, il suo cuore è aperto per amarti, le sue braccia sono distese per abbracciarti. Lascia che Egli si unisca così strettamente al tuo cuore, come Egli stesso è unito alla Croce!». È l’unico mezzo per salire al Cielo: bisogna soffrire con Gesù per essere con Lui glorificati!

Fortes in Fide, don A. Bussinello, S.A.T., Vicenza, 1922. «Patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morto e seppellito». Gesù paziente. Dividiamo, o giovani, il IV articolo del Credo in due parti che esamineremo in due rispettive istruzioni; oggi la prima: patì sotto Ponzio Filato; domenica ventura la seconda: fu crocifisso, morto e seppellito. Della Passione del Signore avete sentito parlare tante volte e vi siete commossi nel sentire i dolori che Gesù Salvatore volle soffrire per noi, ma non è mai meditato abbastanza questo mistero d’amore di un Dio che soffrì tanto per noi ingrati e sconoscenti. State attenti ed in pochi tratti, seguendo il Vangelo, vi narrerò la Passione di N, S. Gesù Cristo (S. Matteo, XXVI, XXVII; S. Marco XIV, XV; S. Luca, XXII, XXIII; S Giovanni, XVIII, XIX). Nel Getsemani. Gesù buono aveva stabilito di morire per nostro amore: l’aveva già detto più volte agli Apostoli, predicendo anche i particolari della Passione, e giunta l’ora fissata, dopo l’ultima Cena, dove ci aveva lasciato tutto Se stesso nella SS. Eucaristia, si ritirò nell’Orto degli ulivi a pregare. Era notte oscura, resa più tetra dal folto delle piante: degli Apostoli aveva preso con se solo Pietro, Giacomo e Giovanni. Ma volle restare solo Gesù, e allontanatosi un trar di pietra, s’inginocchiò e pregò con tutta l’effusione del suo Cuore Divino... Ad un tratto un grido prolungato come quello di un moribondo scosse gli Apostoli: «la mia anima è triste fino alla morte, restate qui e vegliate con me». I peccati di tutti gli uomini che in quel momento sentiva gravitare su di sé, lo addoloravano, ed il pensiero che la sua Passione sarebbe stata inutile per tante e tante anime, lo turbava terribilmente tanto da fargli sudare vivo Sangue. Intanto Giuda con un manipolo di sgherri era entrato nell’Orto degli ulivi, con un bacio tradiva il Divino Maestro e lo consegnava nelle mani di quella canaglia. Ma prima che si avvicinassero per legarlo, il Redentore con una parola li fece stramazzare tutti a terra, poi acconsentì che si rialzassero e si diede loro nelle mani. Fece vedere così che avrebbe potuto sfuggire loro, ma conoscendo che la volontà del suo Eterno Divin Padre era che Egli patisse e morisse per la nostra salvezza, si sottomise volontariamente. A Gerusalemme. Trascinato come un malfattore, Gesù venne condotto dinanzi ai capi dei giudei, e senza prova alcuna, per puro odio, venne condannato a morte. Per la legge di Mosè non potendo i giudei mettere Gesù in croce, come avrebbero voluto, ricorsero al governatore romano, che era allora Ponzio Pilato, ed a lui lo condussero. Pilato, dopo avere interrogato Gesù, ne riconobbe pubblicamente l’innocenza, ma i giudei insistettero, e Pilato, per cavarsela, mandò Gesù al re Erode, il vizioso e l’assassino, che il Salvatore non degnò neppure di uno sguardo. Erode fece vestire il Redentore da pazzo e lo rimandò a Pilato. E Gesù buono passò e ripassò per le vie di Gerusalemme, tra la folla curiosa, fatto ludibrio alle genti. Quali esempi d’umiltà, o giovani! Pilato voleva mettere in libertà Gesù, ma, pieno di rispetto umano (attenzione disordinata all’opinione della gente, ndR), temeva di scontentare i giudei e, dopo averlo proposto a Barabba, lo condannò alla flagellazione. I colpi piombarono satanici su quel corpo innocente, mentre i manigoldi si succedevano per turno con staffili, fino a strapparne a brandelli la carne. E Gesù paziente che disse? Egli tacque e nel segreto del suo Cuore divino offrì quello strazio al suo Eterno Padre, in modo speciale per i nostri peccati d’impurità. Oh, quanto soffrì Gesù per questo peccato tanto frequente nei giovani! Ricordiamoci che ogni peccato d’impurità scava un solco nelle carni immacolate del Salvatore Divino! Giovani cari, fuggiamo la disonestà (disordine sessuale, immoralità, ndR): «il nostro corpo, dice san Paolo, non (è fatto) per le immondezze, ma (per servire) al Signore» (I Ai Cor., VI, 13). Slegato Gesù dalla colonna della flagellazione, gli venne gettato sopra le spalle uno straccio di porpora, gli venne posta fra le mani una canna e sulla testa gli conficcarono una corona d’acutissime spine. Il dolore che ne provò non si può descrivere e neppure immaginare... e tutto questo Egli soffrì per espiare tanti pensieri cattivi che noi tante volte ci fermiamo a considerare e non scacciamo prontamente. In tale stato compassionevole Gesù Salvatore venne presentato al popolo da Pilato, credendo certo che si muovesse a compassione, invece gridò inferocito «crucifigatur» - sia crocifisso! Il governatore, che non voleva mandare alla morte un innocente, insisté: e che ha fatto di male? Ed essi: mandalo alla Croce! Eppure era quel Gesù di Nazareth che aveva fatto loro tanto bene, che aveva insegnato quella dottrina così pura, quel Gesù buono che aveva guarito miracolosamente tanti di coloro che allora gli gridavano la croce addosso; era quel profeta che fra gli osanna e le palme di olivo avevano acclamato pochi giorni prima. L’ingratitudine umana, o giovani, la incontra sempre chi fa del bene! Patì come uomo. N. S. Gesù Cristo patì come uomo, perché come Dio non poteva né patire, né morire; però essendo una sola in Lui la Persona, e questa divina, ha conferito ai meriti suoi un valore infinito. Dopo la parola patì, il Credo aggiunge «sotto Ponzio Pilato»; queste parole non sono poste a caso, ma indicano il tempo preciso della Passione di N. S. Gesù Cristo, ossia quando era governatore della Giudea Ponzio Pilato. Esempio: Il Re Codro. Un migliaio d’anni prima della venuta di N. S. Gesù Cristo era Re di Atene un certo Codro, figlio di Melanto. Durante le guerre combattute sotto il suo regno, gli oracoli avevano annunciato che gli Ateniesi avrebbero certamente riportato la vittoria finale, se il loro Re fosse stato ucciso da mano nemica. Avvenne che i Dorii irruppero nel Peloponneso mettendo tutto a ferro e a fuoco e minacciando l’esercito di Codro. Fu allora, dice la storia, che questo Re, ricordando l’annuncio degli oracoli e convinto che senza la sua morte per mano nemica, il suo esercito sarebbe stato sconfitto e la sua gente dispersa, risolse di sacrificarsi per il bene di tutti. Si vestì da schiavo e, all’insaputa dei suoi, si avvicinò all’accampamento nemico; quivi insultò alcuni soldati, ne nacque una rissa e rimase ucciso. Venuto il comandante alla verifica del cadavere, riconobbe nell’ucciso il Re Codro e ne fu spaventato: l’oracolo, conosciuto anche dai Dorii, era chiaro: doveva vincere quell’esercito il cui Re rimanesse ucciso. Convinti ormai quindi della certa sconfitta, levarono il campo e se ne andarono, lasciando liberi gli Ateniesi. È una bella figura di quanto più tardi N. S. Gesù Cristo fece per tutta l’umanità. La sua morte era stata preannunciata dai Profeti e da essa doveva venire la salvezza del genere umano, Egli venne e «prese la forma di servo» (Ai Filipp., II, 7), il mondo non lo conobbe e lo uccise. Pratica. Giovani miei, se un nostro fratello, un nostro amico avesse sofferto per noi anche un solo dolore dei tanti che ha sofferto Gesù, nostro Salvatore, quanto lo ameremmo e gli saremmo riconoscenti! Ebbene, ricambiamo anche Gesù del suo amore infinito, e quando ci piomba addosso qualche tribolazione, sopportiamola per amore di Gesù paziente, che tanto soffrì per noi!

Fortes in Fide, don A. Bussinello, S.A.T., Vicenza, 1922. Gesù taumaturgo. San Giovanni Evangelista, chiudendo il suo mirabile Vangelo, dice che se avesse voluto narrare tutti i miracoli operati da N. S. Gesù Cristo nei suoi tre anni di vita pubblica, «il mondo non basterebbe a contenere tutti i libri che se ne dovrebbero scrivere» (S. Giovanni, XXI, 25). I miracoli quindi narrati nei Santi Vangeli sono alcuni fra i moltissimi operati dal Redentore divino mentre era tra noi. Neppure di tutti questi noi possiamo oggi parlare nella nostra istruzione, ve ne porto solo alcuni che ci mostrano Gesù padrone della natura e della morte. La tempesta. Un giorno il Salvatore, montato su di una barca, attraversava con gli Apostoli il lago di Genezareth, quando si levò una fiera burrasca. La barca, sbattuta dalle onde, minacciava di sommergersi, e Gesù, stanco per le fatiche del giorno, adagiato a poppa, dormiva. Gli Apostoli, vedendosi in pericolo, svegliarono bruscamente il Maestro Divino gridando: «Signore, salvaci, siam perduti!» - E Gesù buono: «perché temete, disse, gente di poca fede?» - Ed alzatosi comandò al vento ed al lago e tornò tosto la calma. La gente, continua il Vangelo, ne restò ammirata e andava ripetendo: «chi è Costui, al quale obbediscono i venti ed il mare?» (S. Matteo, VIII, 23-27). Moltiplicazione dei pani. Un’altra volta il Maestro Divino, sbarcato in un luogo deserto, trovò una gran folla di popolo, accorsa per ascoltare la Sua parola; ed Egli buono prese ad istruire. Ma intanto le ore passavano, il sole tramontava e quella gente non aveva portato con sé da mangiare. Gesù ne ebbe compassione, e: «fate sedere, disse, tutta questa gente sull’erba!» - Poi domandò se proprio nessuno avesse portato con sé da mangiare. - «C’è qui un ragazzo, rispose l’Apostolo Sant’Andrea, che ha con se cinque pani d’orzo e due pesci, ma che è mai questo per tanta gente?» - Gesù se li fece portare, alzò gli occhi al Cielo, li benedisse e poi incominciò a distribuire. I pani ed i pesci si moltiplicavano nelle sue mani. Quando tutti furono sazi, si raccolsero dodici panieri di avanzi. San Marco, che era presente, ci dice nel suo Vangelo che quella folla era di cinquemila uomini. Dinanzi al fatto meraviglioso, nota san Giovanni, quella gente diceva: «costui è veramente il profeta che doveva venire al mondo». (S. Giovanni, VI, 8-14; S. Marco, VI 32-44). Pesca miracolosa. Mentre un giorno Gesù camminava lungo il lago, vide due barche ferme sulla riva e i pescatori che stavano lavando le reti. Montato sulla barca di Simon Pietro, parlò alla folla schierata sulla spiaggia, e poi: «scostati, disse a Simone, e getta le reti per la pesca!» - «Maestro, rispose Pietro, abbiamo lavorato tutta la notte senza vedere la coda d’un pesce; però, sulla tua parola, getterò la rete». E la rete si riempì di grossi pesci, tanto da non poterla tirare a se. Chiamò allora i compagni, che erano rimasti a riva, e vennero ricolmi di pesci ambedue i barchetti, tanto che quasi affondavano. Il miracolo li riempì di stupore e dì gioia (S. Matteo, V, 1-9). Che bazza, direte voi pescatori, se toccasse anche a noi qualche volta! E perché no? Ma prendete voi in barca N. S. Gesù Cristo, come ha fatto san Pietro, o piuttosto non lo fate fuggire (se non voi, altri amici di pesca) con bestemmie o discorsi innominabili? Siate buoni come san Pietro ed i suoi compagni, ed avrete la benedizione di Dio! Guarigioni d’infermi e d’indemoniati. Non vi narro fatti particolari d’infermi guariti, perché sarebbe troppo lungo. Tutte le malattie sparivano dinanzi alla divina potenza di Gesù, e si videro zoppi, ciechi, sordomuti, paralitici, lebbrosi, guariti sull’istante con una sola parola, con un solo atto del Salvatore, od anche al solo contatto delle sue vesti. Anche gli indemoniati ricorrevano a Gesù, ed Egli comandava allo spirito delle tenebre di lasciare quei corpi e tornare all’inferno. Resurrezioni. Il Maestro Divino mostrò pure la sua potenza sulla morte, facendo rivivere persone già da giorni defunte. Il S. Vangelo ci narra tre risurrezioni di morti : quella della figlia di Giairo (S. Marco, V, 22-42), quella di Lazzaro (S. Giovanni, XI, 1-45) e quella del figlio della vedova di Naim (S. Luca, VII, 11-16). Vediamo solo quest’ultima. Gesù Salvatore, attorniato dagli Apostoli e da una gran folla di gente, veniva verso una piccola città, chiamata Naim, quando, giunto alle porte, s’imbatté in un funerale. Si portava al sepolcro l’unico figlio d una povera vedova, la quale singhiozzando seguiva il feretro. Gesù buono ne ebbe compassione, e: «non piangere», disse alla madre. Fece fermare la bara, comandò all’anima di ritornare in quel corpo, e restituì il giovane vivo alla povera vedova, mentre il popolo acclamava al meraviglioso miracolo. Ma basta fatti, se no la terminiamo questa sera! La prova. Vediamo piuttosto, prima di finire, perché Gesù ha voluto operare tanti miracoli. Lo fece, dice il Catechismo, per confermare la Sua dottrina. Egli predicava le verità eterne agli uomini di quel tempo, parlava in privato ed in pubblico, ovunque se ne presentasse l’occasione. Tanti però non volevano credere alla Sua parola. Perché, dicevano, dobbiamo credere ciò che tu insegni e lo dobbiamo praticare? Perché è la verità, rispondeva Gesù; ma se non volete credere alla mia parola, credete ai miei fatti! E questi fatti erano i miracoli strepitosi. Quando tutto il popolo lo vedeva comandare ai venti, guarire ogni sorta di malattie, moltiplicare i pani, rimettere i peccati, cacciare i demoni, risuscitare i morti: «Costui, diceva, viene da Dio, perché Dio solo può compiere cose tanto straordinarie; quindi quello che ci insegna non può essere che vero!». Non crediate però che i farisei, ed altri superbi, davanti a tanta evidenza si convertissero... Macché! Vedevano sì i miracoli del Salvatore e ci davano dentro il naso, ma invece di proclamare Gesù per quello che era, ossia l’inviato dal Cielo, il Messia aspettato, congiuravano di toglierlo dal mondo. Vedevano Lazzaro risuscitato dopo quattro giorni di sepoltura, potevano parlare con lui, farsi narrare come andò la faccenda, invece, dice san Giovanni, perché molti giudei per mezzo di lui si convertivano a Gesù, questi farisei deliberarono di ucciderlo (S. Giovanni, XII, 10-11), senza pensare che Colui che l’aveva fatto risorgere una volta, lo poteva fare anche una seconda. Del resto non è da meravigliarsi dei farisei, perché è quello che avviene ogni giorno. Miracoli ne successero tanti e così chiari da convincere anche i più riottosi e ne succedono di continuo, basta ricordare Lourdes, ma i cattivi non vogliono credere, né vogliono cambiare vita. Immaginate che ci fu un famoso anticlericale italiano che disse: «se vedessi un miracolo con i miei occhi, mi farei buttare un secchio d’acqua sulla testa, pensando di avere avuto un’illusione!». Li volete più induriti nel male? Peggio per loro, Iddio li ha già condannati! Esempio: Fatevi uccidere! Durante la rivoluzione francese, il filosofo Lepaux, dopo aver visto la distruzione delle Chiese, la deportazione de fedeli, il martirio dei Sacerdoti, pensando che ormai fosse finita per il Cristianesimo, volle fondare una religione propria. Dopo qualche mese si lamentò col Ministro Talleyrand, perché, nonostante il suo lavoro, nessuno credeva alla sua dottrina. Per riuscire c’è un mezzo solo, rispose il Ministro: «fatevi uccidere e seppellire, risorgete il terzo giorno e poi predicate la vostra nuova religione». Davanti a questo fatto, vedrete quanti verranno a voi! Ma il filosofo stimò meglio non provare e più non parlò delle sue idee. Pratica. Giovani, i miracoli del Redentore ci confermano le verità del nostro Credo, per le quali dobbiamo essere disposti a soffrire qualunque persecuzione, fosse anche la morte, piuttosto che rinnegarne anche una sola!

Fortes in Fide, don A. Bussinello, S.A.T., Vicenza, 1922. Gesù maestro. Giunto N. S. Gesù Cristo all’età di trent’anni, lasciò la casetta di Nazareth e la sua Madre Santissima e diede principio alla sua vita pubblica. Dapprima volle ricevere il Battesimo da san Giovanni Battista là sulle rive del Giordano, digiunò per quaranta giorni nel deserto, scelse gli Apostoli che dovevano aiutarlo nella sua divina Missione e diede quindi principio alla predicazione del Vangelo. Buono e sorridente, passava per le borgate della Palestina facendo del bene a quanti incontrava, la gente gli si accalcava attorno per udire la Sua parola di vita eterna, oppure si schierava sulla spiaggia del lago di Genezareth, quando Egli, montato su di una barca, dalla poppa la istruiva. Era il Maestro buono che tutti conoscevano, che tutti amavano per la Sua dolcezza sovrumana. «Gesù Cristo, nella sua vita terrena, dice il Catechismo, c’insegnò con l’esempio e con la parola a vivere secondo Dio, e confermò con miracoli la sua dottrina». Vediamone oggi la prima parte, lasciando a domenica ventura la seconda. Con l’esempio. Abbiamo visto i meravigliosi esempi di preghiera, d’ubbidienza e di lavoro datici da Gesù buono nei trent’anni che passò a Nazareth, esempi che continuò poi durante la sua vita pubblica. «Coepit Jesus facere et docere» (Gli Atti degli Apostoli, I, 1), dice il S. Vangelo, che vuol dire: Gesù incominciò prima a fare e poi ad insegnare; e noi lo vediamo sempre paziente con gli Apostoli che capivano tanto poco, sempre compassionevole con le turbe che sfamava con i miracoli, sempre misericordioso con i peccatori che, contriti, gli chiedevano perdono delle loro colpe. Tutte le virtù erano in Lui e di tutte Egli ci ha dato l’esempio più perfetto, tanto da poterci dire: «discite a me» (S. Matteo, XI, 29), imparate da me! «lo vi ho dato l’esempio perché facciate come ho fatto io» (S. Giovanni, XIII, 15). L’esempio convince. «Le parole muovono, dice un proverbio, e gli esempi trascinano», ed è inutile sfiatarci tanto coi nostri fratelli minori, coi nostri amici, se non diamo loro buon esempio: noi per natura facciamo più facilmente quello che vediamo fare che quello che sentiamo dire. La conoscete la favola del gambero? I gamberi, da quando nostro Signore li creò fino ad oggi, si videro sempre andare indietro, eppure il padre di un gambero voleva un giorno che il suo piccolino andasse avanti. Prove e riprove, comandi, imposizioni, grida, tutto inutile! Stanco il gamberino di quella manovra e di quei comandi: ma come vuoi, disse al padre, ch’io vada innanzi, mentre tu vai sempre indietro? Insegnami col tuo esempio come si fa ad andare innanzi, che poi io cercherò imitarti! È una favola, è vero, ma insegna molto bene che l’esempio convince e spinge all’imitazione. Alle undici di ogni giorno, dopo otto ore di confessionale, il santo Curato d Ars saliva il pulpito per fare il Catechismo. All’udirlo la folla si commoveva, singhiozzava e sommessamente pregava. Era forse effetto della sua eloquenza, della purezza del suo dire, del portamento solenne? No, era l’autorità della sua vita santa, l’esempio delle sue virtù. Quel volto di un’estrema magrezza parlava chiaro di digiuni e di veglie, quel corpo gracile e già curvo diceva di penitenze rigorose, quella vita continuata per anni ed anni in un lavoro sfibrante, con pochissimo cibo, con un brevissimo riposo, parlava più della predica e commoveva e convertiva. Con la parola. Dopo l’esempio, la parola. Nei suoi tre anni di vita pubblica il Maestro Divino c’insegnò quello che dobbiamo credere ed operare per giungere a salvezza: le Sue parole non erano di un semplice uomo, la Sua dottrina non si era mai udita sulla terra... Questa dottrina sublime, o giovani, l’avete tante volte sentita nelle istruzioni e nelle prediche che vi si tengono in Chiesa e qui all’Oratorio: è la dottrina di Gesù, sono le verità del Vangelo. Egli ci disse chiaramente che era il Figlio di Dio, mandato a salvare l’umanità perduta per il peccato di Adamo; ci disse che questa vita è una prova e che tutti siamo destinati all’eternità; ci parlò quindi della risurrezione del nostro corpo e dell’immortalità dell’anima nostra, ci parlò del giudizio finale dove tutti dovremmo rendere ragione del nostro operato; ci impose il dovere di credere e praticare quanto c’insegna la Chiesa che Egli allora istituì, e ci disse di pregare con le parole divine del Pater noster. Inoltre Egli ha confermato ed inculcato i dieci Comandamenti come mezzo necessario per ottenere il Cielo; ci ha detto che tutti quaggiù dobbiamo portare la nostra croce, poiché per la via del dolore si arriva al premio, e ci ha spinto ad essere perfetti come è perfetto il Padre Suo. Egli parlava spesso con similitudini e parabole per farsi meglio intendere da chi l’ascoltava; nei suoi discorsi ci ha lasciato le massime di quella sapienza divina che solo Egli poteva dare; ci ha detto che niente giova conquistare anche tutto il mondo se poi si perde l’anima; ci ha insegnato a non temere chi può uccidere il corpo, ma chi può mandare anima e corpo all’inferno; ci ha inculcato di fare il bene non per essere veduti e lodati dagli uomini, ma solo per amore di Dio; ci ha insegnato ad amare il nostro prossimo come noi stessi, anzi ad amare i nostri nemici, a far del bene a chi ci odia, a benedire chi ci maledice, a pregare per chi ci fa del male; ha detto parole terribili contro gli ipocriti e gli scandalosi; ha proclamato che, se un occhio, un piede, una mano ci è di scandalo, ossia fa del male all’anima nostra, dobbiamo tagliarli e buttarli via, perché è meglio, disse, andare in Paradiso con un occhio, con un piede, con una mano sola, che non all’inferno con tutti e due, ed intende dire che dobbiamo vincere qualunque vizio e qualunque passione quando si tratta di anima. Tutta la dottrina di Gesù è qualche cosa di celestiale che tocca le fibre più riposte del nostro cuore, e che intesa e praticata, fa godere anticipatamente quaggiù la contentezza del Cielo. Esempio: Tre giovani. Mentre Gesù predicava il Suo Vangelo per le contrade della Palestina, si presentarono a Lui, in tempo diverso, tre giovani. Il primo fu san Giovanni che seguì subito Gesù e divenne il Suo Apostolo prediletto. Il secondo fu un giovane ricco, che presentatosi a Gesù: Maestro, disse, che debbo fare per entrare nella vita eterna? E Gesù buono gli rispose: osserva i Comandamenti! Questo, replicò il giovane, l’ho sempre fatto, ora che mi resta a fare? Se vuoi essere perfetto, continuò Gesù, va, vendi quanto hai, danne il prezzo ai poveri, così ti acquisterai un tesoro nel regno dei Cieli, poi vieni e seguimi! Ma quel giovane voltò le spalle e più non si vide (S. Matteo, XIX, 16-22). Il terzo giovinotto si avvicinò a Gesù per ascoltarlo, ed il Maestro Divino lo chiamò a seguirlo, ma egli rispose: lascia che prima vada a seppellire mio padre, ossia, come dicono i sacri interpreti, verrò dopo che sarà morto mio padre, dopo che avrò messo a posto tutti gli affari di casa mia. Ma Gesù soggiunse: lascia che i morti seppelliscano i loro morti! (S. Luca, IX, 59-60) e neppure di questo giovane si sentì più parlare. Chi si comportò meglio di questi tre giovani? Certo san Giovanni, che ascoltò la parola di Gesù, seguì i Suoi esempi e divenne un Apostolo. Pratica. Giovani, gli esempi e la dottrina del Maestro Divino ci stanno sempre dinanzi, la via è tracciata, con tutta chiarezza, basta voler seguirla: mettiamoci in essa con tutta quella generosità di cui è capace il nostro giovane cuore e diverremo Suoi apostoli tra i nostri compagni e Suoi santi nel Cielo!

Fortes in Fide, don A. Bussinello, S.A.T., Vicenza, 1922. Gesù in famiglia. Se nulla ci dice il Vangelo dell’infanzia di N. S. Gesù Cristo, molto poco ci dice anche della sua giovinezza: ci dice che «stava soggetto a loro» (S. Luca, II, 51) ossia a Maria ed a Giuseppe, che «cresceva in sapienza, età e grazia presso Dio e presso gli uomini» (Idem, 52) e che era conosciuto e chiamato «il figlio del fabbro» (S. Matteo, XIII, 55). Sicché tutta la vita privata che Gesù passò a Nazareth fino ai trent’anni si può raccogliere in tre parole: preghiera, ubbidienza, lavoro. Preghiera. Quelle parole che l’Evangelista San Luca dice della vita pubblica di Gesù: «se ne andò sulla montagna a pregare e passò la notte in orazione» (S. Luca, VI, 12) le possiamo ritenere anche per la vita privata del Salvatore: pur non avendone bisogno, ma solo per insegnarlo a noi, Egli pregò tanto a Nazareth nell’intimità della famiglia e nel tempio di Gerusalemme tra lo splendore delle sacre Funzioni. Come c’è un pane per il corpo, o giovani, così c’è un pane per l’anima, ed è la preghiera. Avviene però troppo spesso che, mentre parecchi giovani non dimenticano la colazione o la cena, scordano invece al mattino od alla sera l’orazione, e non nutrono così l’anima loro che ha bisogno assoluto della preghiera per vivere la vita della grazia. Non si richiede poi gran cosa! Un po’ d’orazioni al mattino ed alla sera : il Pater noster, l’Ave Maria, il Gloria, il Credo, la Salve Regina, l’Angele Dei, aggiungendo alla sera il De profundis od alcune Requiem e l’Atto di contrizione oppure il Gesù d’amore acceso. Anche durante il giorno è santa cosa innalzare la mente a Dio con qualche breve giaculatoria, col recitare qualche brevissima preghiera passando davanti alla Chiesa o davanti a quell’immagine di Maria, e nei momenti di tentazione. Alle feste poi dovete ascoltare devotamente la S. Messa, pregando per voi e per i vostri cari, e non come si fa da tanti che assistono al grande Sacrificio senza aprire bocca, oppure aprendola per ciarlare, senza chiedere grazie al Signore, senza ringraziarLo dei benefìci che ci concede. Se voi seguite col cuore le preghiere che durante la S. Messa diciamo insieme qui all’Oratorio, voi accumulate del gran bene che troverete un giorno. Dopo la S. Messa dovete intervenire alle Sacre Funzioni, dove venite istruiti nella scienza del Cielo, nella Religione. Durante la settimana, quando vi è possibile, ascoltate la S. Messa e, verso sera, fate una breve visita a Gesù nel S. Tabernacolo... ma tutto e sempre con spirito di fede. Preghiamo, o giovani, è l’unico mezzo per ottenere la grazia di Dio e per giungere a salvezza; ricordiamo il gran detto di sant’Alfonso: chi prega si salva, chi non prega si danna! Ubbidienza. «Il figlio di Dio, dice san Bernardo, il Creatore del Cielo e della terra, che sta soggetto agli uomini, li supera immensamente e senza confronto in grandezza, sapienza e potenza». E perché si abbassò tanto il Figlio di Dio? Per insegnare a noi come dobbiamo ubbidire. Non solo Egli ha dettato ed inculcato un Comandamento apposito: «onora il padre e la madre!», ma nei trent’anni di Sua vita privata, anzi diciamo in tutta la Sua vita, Egli lo ha messo in pratica nel modo più perfetto, perché facciamo altrettanto anche noi. Egli ubbidisce da fanciullo, da giovinotto, da uomo, ubbidisce nei più umili uffici, nelle cosette domestiche, nel lavoro, in tutto quello che gli viene comandato dalle Sue creature, ma che sa essere rivestite dell’autorità del Padre Suo. È una lezione cara, o giovani, è un esempio bello che deve farci pensare... Noi così ostinati, così risentiti, così superbi, noi che non vogliamo stare soggetti o che ubbidiamo di mala voglia, se più non rispondiamo tante volte arrogantemente ai genitori, non volendo superiori di sorta alla nostra sacra maestà. Quando si comincia a guadagnare qualche franco al lavoro, o spunta qualche pelo sotto il naso... oh! allora guai a chi comanda, si vuol fare di propria testa, a costo anche di rompersela alla prima cantonata... Quanto siamo piccini, o giovani! Se Gesù ha ubbidito sempre, vuol dire che è bene, che è dovere ubbidire; se l’ha fatto a nostro esempio, vuol dire che lo dobbiamo imitare, vuol dire che dobbiamo rispettare nei nostri genitori l’autorità di Dio e nel loro comando il comando di Dio stesso. Ogni volta che si disubbidisce ai genitori e superiori si disubbidisce a Dio, e un giorno bisogna a Lui renderne stretto conto. Noi dobbiamo sempre ubbidire, eccetto il caso in cui ci venisse comandata cosa contro coscienza e in opposizione ai Comandamenti di Dio (Se ne parlerà diffusamente nel IV Comandamento). Lavoro. Con la preghiera e l’ubbidienza, Gesù fanciullo ci ha dato a Nazareth l’esempio di alacrità nel lavoro. Aveva bisogno Egli di lavorare per guadagnarsi il pane? Mai più, era il Padrone di tutto!... Poteva comandare ciò che voleva agli Angeli ed a tutte le altre creature, e subito sarebbe stato servito. Invece volle sudare sulla sega e sulla pialla per insegnare a noi la necessità, la nobiltà, la santità del lavoro. Lo si chiamava «il figlio del fabbro», dice il Vangelo. Si ritiene comunemente che san Giuseppe fosse non fabbro-ferraio, ma fabbro-legnaiuolo, o, come diciamo noi, falegname. Impariamo da Gesù, dal Figlio di Dio, che tutti, o col braccio o con la mente, siamo obbligati a lavorare; perché nessuno il Signore ha escluso dal lavoro. Tutti, ricchi e poveri, nello stato di vita nel quale Iddio ci ha voluto, tutti dobbiamo ubbidire alla gran legge del Signore: «mangerai il pane col sudore della tua fronte» (Genesi, III, 19). «L’uomo nasce alla fatica, dice il profeta Giobbe, come l’uccello nasce per il volo» (Giobbe, V, 7). Eppure quanti fannulloni oggidì, quanti che fuggono in tutti i modi la fatica e cercano il dolce far niente, eterni oziosi, ripieni di vizi, disonore delle loro famiglie e dei paesi ove abitano! Giovani, amate il lavoro, esso vi terrà sani, allegri e lontani dal peccato! Lavorate con retta intenzione, offrendo a Dio le vostre fatiche, e il vostro lavoro sarà allora meritorio e vi gioverà per la vita eterna. L’esempio del Salvatore, del Padrone dell’universo, chino sulla pialla, che suda e santifica il lavoro, deve esserci di sprone a meritare un pane onorato per noi e per i nostri cari. Chi non lavora, non ha diritto di mangiare, dice san Paolo, «si quis non vult operari nec manducet» (II Ai Tessalonicesi, III, 10). La condizione migliore. In qualunque stato di vita l’uomo si trovi è certo che può salvarsi, tanto è vero che abbiamo Santi di tutte le diverse condizioni sociali: questo però non toglie che sia più facile salvarci in uno stato che in un altro. E quale è questo stato? Quello del lavoro. Tutti gli uomini quaggiù o son ricchi, e hanno da vivere senza lavorare, o son poveri, e hanno bisogno della carità, oppure sono in una via di mezzo e vivono del lavoro delle loro braccia. I primi possono fare del gran bene, acquistarsi dei meriti con opere di carità, ma chi è ricco, è troppo tentato di godere i beni del mondo e quindi in pericolo più degli altri di dannazione eterna. Ecco perché Gesù ha detto: «è difficile per un ricco entrare nel Regno dei Cieli» (S. Matteo, XIX, 23). I secondi sarebbero nella condizione più propizia. Anche Gesù ha voluto esser povero, anzi ha detto: «beati i poveri» (S. Luca, VI, 20); ma, purtroppo, molti non sanno sopportare la povertà e si rivoltano contro la Divina Provvidenza. Restano i terzi i quali occupano il loro tempo nel lavoro comandato da Dio, fuggono l’ozio, obbedendo ad un precetto del Signore e nello stesso tempo pregano, perché il lavoro fatto volentieri e per amor di Dio è preghiera. Pratica. Giovani, preghiamo, ubbidiamo, lavoriamo, non abbiamo bisogno di altro per entrare in Paradiso!

Fortes in Fide, don A. Bussinello, S.A.T., Vicenza, 1922. La scelta dello Stato. Dell’infanzia di N. S. Gesù Cristo nulla ci dice il santo Vangelo; solo a 12 anni ce lo mostra nel tempio di Gerusalemme. Questo fatto mi dà occasione di parlarvi oggi di un punto importantissimo della vostra vita ed al quale così poco si pensa: la scelta dello stato. Alla vostra età ogni uomo si trova a questo bivio, a questa strada che si biforca, e non sa tante volte quale prendere per riuscire bene e salvarsi l’anima. Parliamone dunque un po’ insieme e cerchiamo di mettere le cose in chiaro, meglio che ci è possibile. Gesù al tempio. Il S. Vangelo ci narra che Gesù, all’età di 12 anni, andò con Maria e con san Giuseppe al tempio di Gerusalemme. La S. Famiglia quindi partì da Nazareth, dove abitava, e a piedi si portò a Gerusalemme per adorare Iddio nel Suo tempio, per pregarLo e ringraziarLo di tanti benefici ricevuti. Ma Gesù aveva ben altri disegni! Compiute le loro pratiche di Religione, Maria e Giuseppe con molti altri pellegrini tornavano verso casa, e siccome gli uomini andavano con gli uomini, e le donne con le donne, mentre i giovanetti potevano andare tanto con gli uni, come con le altre, Gesù fanciullo poteva ritornare tanto con Maria come con Giuseppe. E Giuseppe credeva che fosse con Maria, e Maria con Giuseppe, invece non era né con l’uno, né con l’altra, ma, a loro insaputa, era rimasto nel tempio ad ascoltare ed interrogare i dottori della legge. Appena s’accorsero che Gesù non era con loro, rifecero la strada cercando tra parenti ed amici, finché, dopo tre giorni, lo trovarono fra i dottori, che stupiti, ammiravano la sua scienza e la sua prudenza. Appena lo vide, la Vergine Santa gli mosse un dolce rimprovero: come mai, o figlio, hai fatto questo? Giuseppe ed io addolorati ti abbiamo cercato finora. E Gesù rispose: perché mi cercavate? Non sapevate che io debbo essere dove c’è l’interesse del Padre mio? (S. Luca, II, 42-49). La scelta dello Stato. Sì, o giovani, c’è un punto della vita nostra in cui noi soli siamo i giudici, gli arbitri: questo punto è la scelta dello stato. Il Signore chiama ognuno a quello stato di vita nel quale può più facilmente salvarsi: chi vuole allo stato religioso in qualche convento, chi Sacerdote in cura d’anime, chi al matrimonio, chi a rimanere celibe nel mondo, e con una vita pura, senza incarichi di famiglia, far maggior bene al prossimo. Ma siamo noi che con l’aiuto di Dio, che avremo solo dopo aver molto pregato, col consiglio dei genitori e di persone serie e prudenti, dovremo scegliere la via per la quale cammineremo per tutta la vita, via che scelta bene, ci farà essere contenti di qua e salvi di là. Vocazione religiosa. È vero che gran parte del genere umano è chiamata al matrimonio e pochi sono coloro che il Signore sceglie per sé, e che per mezzo della vocazione religiosa chiama alla purità della vita, allo stato ecclesiastico, ad essere preti o frati... Sono queste le anime innamorate della gloria del Signore, ardenti di apostolato e di fede, che Iddio fa uscire dalle vie tortuose del mondo, e mostrando loro la bellezza del sacrificio, l’eroismo del distacco da ogni cosa, le invita alla dignità sacerdotale. Quale onore più grande? Non vi è certo paragone tra qualunque carriera mondana e l’altezza di Ministro di Dio! Alcuni Iddio li chiama per dirigere le parrocchie, per amministrare i Sacramenti, per aiutare le anime a salvarsi. Oh, quante anime barcollanti sulla via della virtù, hanno bisogno di una parola di conforto del Sacerdote; quante anime, morte alla vita della grazia, hanno bisogno d’implorare da lui la risurrezione ed il ritorno a Dio! Istruire, dirigere, guarire le anime: ecco la missione sublime del Sacerdote nel mondo! Altri Iddio li chiama a una vita più perfetta ancora nel chiostro, dove staccati da tutto, vivono nella preghiera, nella povertà, nella castità, nell’obbedienza, vittime di espiazione per i peccati del mondo. Figlio mio, fatti monaco! ripeteva Sant’Anselmo a tutti i giovani che visitavano i suoi monasteri. Altri infine Iddio li chiama tra i suoi Missionari per mandarli laggiù nell’Africa, nell’Asia, in America a portare il Vangelo ai selvaggi, e col Vangelo la civiltà. E come li chiama? In mille modi. Con ispirazioni interne, col far loro comprendere la bellezza della vita casta e la grandezza del ministero di salvare le anime, col far loro sentire inclinazioni speciali per le funzioni di Chiesa, ecc. Oh, fortunato chi Iddio chiama al suo servizio! Non crediate, o giovani, che la gioia e la contentezza del cuore sia riposta nelle cose della vita, nei piaceri della terra... no, essa è riposta in Dio. Chi ha Dio, ha tutto. Chi, chiamato da Lui, si apparta dal mondo e si vota al Suo servizio, trova quella pace del cuore che il mondo non sa dare perché neppure conosce! Oh, la felicità di un’anima pura che non conosce le lotte delle passioni, che sa vincere le battaglie della vita, che cammina sul fango senza imbrattarsi, che è sempre contenta perché ha Dio nel cuore... Io la ammiro quest’anima e quasi m’inginocchierei a supplicarla come un Santo del Cielo, perché gode già anticipatamente una parte di Paradiso! Per seguire la chiamata del Signore bisogna sopportare talvolta dinieghi e persecuzioni anche da parte dei genitori, ma tutto bisogna vincere, perché guai a chi non segue la sua voce! Nei singoli casi però bisogna consigliarsi col proprio confessore. Altre vocazioni. Gran parte degli uomini, ve l’ho già detto, sono chiamati ad altri stati di vita: alcuni a rimanere celibi per far più bene al loro prossimo, ma son pochi costoro; tutti gli altri al matrimonio. Non vi è alcun male, o giovani, se giunti all’età opportuna, pensate a formarvi una famiglia per concentrare ivi tutti i vostri affetti... Ma anche qui quanta prudenza ci vuole! È un passo troppo importante, un passo che, messo in fallo, può condurre ad una vita maledetta in questo mondo, dannata nell’altro. Prima di scegliere bisogna pensarci cento volte, bisogna pregare e pregare assai, bisogna chiedere a chi può consigliarci bene, bisogna badare non solo al cuore, ma alla coscienza ed alla ragione, bisogna andare cauti per non pentirci poi. È un legame che si scioglie solo con la morte, è una responsabilità enorme che si assume davanti a Dio e davanti agli uomini, sono doveri tremendi di cui bisogna in coscienza rispondere... Infelice chi va avanti ad occhi chiusi e va al matrimonio come andasse al teatro, dove, finita la rappresentazione, ciascuno torna a casa propria! Disgraziato poi e maledetto colui che si prepara al matrimonio con una vita dissoluta, che lastrica di peccati quella via che conduce ad uno stato sì santo, che popola il mondo, e quindi l’inferno, di esseri infelici e disgraziati come lui! Su questo punto non vi narro esempi: ne abbiamo tanti sotto i nostri occhi! Quanti giovani conosciamo rovinati completamente per aver fatto una cattiva scelta, quanti che nella vita coniugale avrebbero dovuto trovare la pace e la contentezza, ed hanno trovato invece l’inferno anticipato, quanti che si dannano per non aver voluto seguire la chiamata del Signore, per aver sbagliato vocazione! Pratica. Giovani, voi che siete a questo punto della vita, o che ad esso vi avvicinate, se sentite la voce di Dio che vi chiama alla vita religiosa, seguitela con coraggio e con fede, e benedite il Signore: è la via più sicura per giungere a salvezza! Voi invece che vi sentite chiamati al matrimonio, aprite bene gli occhi, pensateci seriamente, pregate assai, perché sbagliata la strada, si può trovare in fondo il precipizio!

Fortes in Fide, don A. Bussinello, S.A.T., Vicenza, 1922. «Il quale fu concepito di Spirito Santo, nacque da Maria Vergine». Gesù Bambino. Era giunto il momento promesso da Dio ad Adamo ed Eva, e preannunciato più volte dai profeti, della venuta del Redentore del mondo, del Riparatore del fallo dei nostri progenitori. Il Signore ne aveva già scelto la Madre in un’umile vergine di Nazareth, ma prima volle l’assenso di lei. Ecco quindi l’Arcangelo Gabriele che, a nome di Dio, si presenta alla Vergine Maria e le annuncia che sarebbe divenuta la Madre dell’Uomo-Dio. «Ave Maria, le dice con voce soave, divina, ti saluto, o Maria, piena di grazia, il Signore è con te, tu sei benedetta fra tutte le donne». Maria si turba, teme di perdere la sua verginità, già consacrata a Dio, ma l’Angelo la rassicura che tutto sarebbe avvenuto per miracolo dell’Onnipotente. «Non temere, o Maria, poiché hai trovato grazia presso il Signore... tu avrai un figlio, gli porrai nome Gesù, egli sarà grande e si chiamerà il Figlio dell’Altissimo... niente è impossibile a Dio». Maria accetta la volontà del Signore e risponde all’Arcangelo: «ecco l’ancella del Signore, sia fatto di me secondo la tua parola» (S. Luca, I, 26-38). E l’Angelo tornò in Cielo. In quel momento stesso il Figlio di Dio si fece carne ed abitò fra noi: «et Verbum caro factum est et habitavit in nobis» (S. Giov., I, 14). è il mistero dell’lncarnazione, che la Chiesa festeggia il 25 marzo. Natività. Dal 25 marzo passiamo al 25 dicembre, alla grande solennità cristiana che ricorda la nascita del Redentore divino. Per decreto dell’imperatore Cesare Augusto, che ordinava la enumerazione di tutta la sua popolazione, Maria e Giuseppe, suo castissimo sposo, da Nazareth dove abitavano e dove avvenne l’Annunciazione e l’Incarnazione, dovettero recarsi a Betlemme, città dalla quale discendeva la loro famiglia, per dare il loro nome. Le due piccole città distavano tra loro ottanta miglia, non c’erano né tram, né ferrovie come adesso, sicché il viaggio era molto disagiato, la stagione non tanto propizia per un percorso a piedi; tuttavia i due santi Sposi ubbidirono, senza lamenti, al comando dell’autorità, si misero in viaggio e arrivarono a Betlemme stanchi, ma contenti. Le case della cittadina però erano tutte occupate per la grande affluenza dei forestieri; inutilmente San Giuseppe cercò una stanzetta per la Sposa e per sé, da per tutto rispondevano: non c’è posto! Intanto il sole tramontava, si avvicinava la notte, ed i due poveretti si rifugiarono fuori di città, in una grotta dove i pastori dei dintorni ricoveravano se stessi e i loro animali quando il tempo minacciava. Era volere di Dio che il Figlio suo, il Salvatore del mondo, venendo in terra, nascesse in una stalla, nella completa privazione di tutto... E qui appunto, durante la notte, venne al mondo il Redentore dell’umanità... Maria lo avvolse in poveri pannicelli e lo pose in una mangiatoia: poi con Giuseppe s’inginocchiò e lo adorò, mentre gli Angeli, scesi a schiere dal Cielo, cantavano inni al loro Re, tanto abbassatosi per salvare gli uomini: «gloria a Dio nel più alto de’ Cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà» (S. Luca, II, 14). Contempliamo un poco questo gruppo divino. Gesù Bambino che gode nel darci la prima lezione di disprezzo delle cose di quaggiù, un esempio commovente di povertà, la più squallida. Maria, la Vergine illibata ed umile, divenuta la Madre di Dio... Chi può dire la gioia del suo Cuore nel vedersi dinanzi il Messia da tanto tempo promesso, l’Aspettato da tutte le genti, la seconda Persona della SS. Trinità, Dio come il Padre e lo Spirito Santo, fattosi Uomo per salvare l’umanità? E Giuseppe? Egli non è il padre di Gesù, ma solo il custode, al quale il Signore affida la Vergine ed il Figlio, perché ne provveda ai bisogni e li aiuti nelle necessità della vita; tuttavia egli sente di essere il capo di quella sacra Famiglia, sente che il Signore lo innalzava alla dignità altissima di padre putativo dell’Uomo-Dio. Pastori e Magi. Intanto gli Angeli avvertirono i pastori, che nei dintorni stavano vegliando il gregge, della nascita del Salvatore del mondo, e a frotte vennero questi poveretti alla grotta ad adorare Gesù, ad offrirgli le poche cose che avevano. «Non temete, disse loro l’Angelo del Signore... è nato a voi oggi il Salvatore che è il Cristo Signore, nella città di David... Troverete un bambino ravvolto in pannicelli e posto in una mangiatoia... E vistolo si persuasero di quanto era stato detto loro di quel Bambino, e se ne tornarono glorificando e lodando Iddio» (Idem, 8-20). Ma oltre i piccoli e gli umili Gesù volle alla sua culla anche i grandi ed i sapienti della terra: tutti dovevano piegarsi dinanzi a Lui, e per mezzo di una stella, apparsa d’improvviso nel cielo, avvertì i Sapienti Orientali del grande avvenimento. Costoro, spinti da impulso interno, pensarono esser nato il Redentore da tanti secoli promesso, e sui loro cammelli, seguiti da servi, intrapresero il viaggio. La stella miracolosa li guidò, finché giunsero a Gerusalemme. Qui interrogarono i dottori della legge e venne loro risposto che il Messia dove a nascere a Betlemme. Ripresero il viaggio e seguirono ancora la stella, finché la videro fermarsi sopra la grotta fortunata. Scesero dalle loro cavalcature, entrarono, adorarono il Divino Infante e gli offrirono oro, incenso e mirra, i prodotti dei loro paesi (S. Matteo, II, I-II). Con l’oro lo riconobbero Re, con l’incenso Dio, con la mirra Uomo. È tutta una miriade di fatti meravigliosi, o giovani, che s’aggirano intorno al più grande avvenimento compiutosi nel mondo, l’avvenimento che predomina tutta la storia del genere umano: la venuta del Figlio di Dio sulla terra. Da allora incominciò l’Era cristiana, ossia da quel punto si incominciò di nuovo a contare gli anni, sicché, salvo un errore di qualche anno, Gesù è nato circa 1922 anni or sono [anno in cui scrive don Bussinello, NdR]. Esempio: La casa e la stalla. Voi sarete curiosi di sapere che ne è ora della Casetta di Nazareth dove avvenne l’Annunciazione e l’Incarnazione, e della Grotta dove nacque N. S. Gesù Cristo. Nel 1291 gli infedeli volevano distruggere quella santa Casetta, ma il 10 maggio di quell’anno il Signore la fece staccare dal suolo e portare dagli Angeli in Dalmazia; tre anni e mezzo dopo la fece venire nella nostra Italia, vicino a Recanati, in mezzo ad un bosco, poi in un campo e finalmente in una pubblica via. Fu racchiusa questa Casa in una grande Basilica, e un po’ alla volta le sorse attorno l’attuale città di Loreto. Oggi è adunque tra noi in Italia, a Loreto. E della Grotta fortunata che avvenne? Rimase a Betlemme dove era, venne circondata da una bella Chiesa, arricchita di doni preziosi ed affidata alla custodia dei Padri Francescani. Una stella d’oro indica il punto dove è nato il Figlio di Dio. Pratica. Giovani, quante lezioni ci dà Gesù nel Presepio: lezioni di umiltà, di povertà, di amore, di bontà! Il Figlio di Dio si fa uomo per noi, il Creatore del Cielo e della terra viene al mondo come l’ultimo dei mortali, il Padrone di tutto nasce in una stalla! Come potremo noi, o giovani, desiderare i comodi della vita, come potremo noi invidiare chi è più ricco di noi? Quando ci prende l’invidia pensiamo che c’è sempre qualcuno più povero di noi... pensiamo a Gesù nella Grotta... ed impariamo a vincere la superbia, a riamare Gesù!

Fortes in Fide, don A. Bussinello, S.A.T., Vicenza, 1922. «Ed in Gesù Cristo, suo unico Figliuolo, Nostro Signore». Il Figlio. Siamo giunti, o giovani, al secondo articolo del Credo che dice : «...ed in Gesù Cristo, suo unico Figliuolo, Nostro Signore». Finalmente, direte voi, son già cinque mesi che parliamo del primo! Non fatemene però un torto se ho impiegato più di un terzo dell’anno a spiegarvi il primo articolo del Credo... abbiamo visto tante belle verità alle quali forse non avete mai badato, ed ho voluto farvi conoscere tutto quello che esso ci propone a credere. Ad ogni modo son qui per rimediare: non più cinque mesi per un articolo, ma sarò molto più breve... anzi ve ne dò subito la prova: con l’istruzione d’oggi passeremo tutto il secondo articolo: ne siete contenti? In questo articolo, e per altri cinque consecutivi, il Credo ci parla del Figlio di Dio, della seconda Persona della SS. Trinità, di N. S. Gesù Cristo, che per nostro amore si fece uomo ed abitò con noi trentatré anni per insegnarci con l’esempio, con la parola e coi miracoli la via del Cielo, e morì poi sulla Croce per salvarci. Nostro Signore Gesù Cristo. Vi ho detto domenica scorsa che dopo il peccato di Adamo, eravamo tutti caduti in disgrazia di Dio e che nessuno sarebbe più entrato in Paradiso se la Giustizia divina non avesse avuto una degna soddisfazione dell’ingiuria subita per la disubbidienza di Adamo. Chi poteva dare questa giusta soddisfazione e cancellare tale ingiuria? Solo un Dio poteva togliere un’offesa fatta al Creatore. E la seconda Persona della SS. Trinità, il Figlio stesso di Dio, s’accollò questo debito e venne qui in terra per soddisfarlo. È un atto divino di bontà che ci dice tutto l’affetto del Figlio di Dio verso di noi, anzi tutta la Sua vita, come vedremo, fu un continuo atto di amore e di bontà per tutti gli uomini, avendoci Egli amato sino alla fine, sino alla morte di Croce: «in finem dilexit eos» (S. Giovanni, XIII, 1). Voi intenderete meglio questo secondo articolo del Credo, se richiamerete alla memoria quanto vi dissi quando vi parlai della SS. Trinità. Ho detto allora che in Dio vi sono tre Persone distinte ed uguali, che si chiamano Padre, Figliuolo e Spirito Santo; ho detto che il Figlio procede dal Padre e lo Spirito Santo dal Padre e dal Figliuolo. Ora, lo tre persone della SS, Trinità crearono il mondo e tutto ciò che esiste, e dopo parecchi secoli la seconda Persona della. SS. Trinità, cioè il Figliuolo, venne tra noi per salvarci. Quindi il Figlio unico di Dio, N. S. Gesù Cristo, «come Dio è sempre stato; come uomo cominciò ad essere dal momento dell’Incarnazione». Per carità, quindi, o giovani, non dite come certi ignoranti, e ne ho sentito più di uno, che Gesù è venuto quaggiù e si è fatto uomo per creare il mondo! No, il mondo già esisteva da parecchi secoli! Egli è venuto a salvarlo, a redimerlo: come Dio l’aveva creato col Padre e con lo Spirito Santo nel principio dei secoli, come Uomo e Dio insieme, è venuto a redimerlo dalla colpa di Adamo, è venuto a salvare ciò che era perduto. Idee chiare dunque e non confusioni! N. S. Gesù Cristo quindi è Dio ed anche Uomo? Appunto! E ripeto col Catechismo ciò che dissi di sopra, perché lo teniate bene a mente: «come Dio è sempre stato; come Uomo cominciò ad essere dal momento dell’incarnazione», ossia intorno a venti secoli fa... e mi pare abbastanza chiaro. Cessò d’ esser Dio? E Gesù facendosi Uomo cessò d’esser Dio? No, risponde il Catechismo, «ma restando vero Dio, cominciò ad essere anche vero Uomo». Si racconta che l’imperatore di Russia, Pietro il Grande, abbandonò per un poco il regno e viaggiò in Olanda. Quivi imparò a fabbricare le navi, aprì una bottega di falegname, maneggiò la sega e piallò il legno. Alla sera poi, dopo il lavoro, scriveva i suoi ordini imperiali e li spediva in Russia. Mentre attendeva al mestiere del falegname, cessava forse Pietro il Grande di essere imperatore della Russia? No, certo! Ed in modo analogo neppure Gesù cessò di essere Re del Cielo, mentre era qui in terra con noi... Egli ha unito in una sola Persona Divina la natura divina e la natura umana, poté quindi agire come Dio e come uomo. Procuriamo di capirlo ancora con un esempio che non quadra del tutto, ma che darà un po’ di luce. Noi possiamo operare tanto con l’anima sola, come con l’anima e col corpo insieme. Operiamo con l’anima quando pensiamo, quando vogliamo, ecc.; operiamo con l’anima e col corpo insieme quando ci moviamo, quando parliamo, ecc. Così Gesù: come Dio rimetteva i peccati, guariva istantaneamente gli infermi, risuscitava i morti; come Uomo parlava, camminava, soffriva. Certo che essendo le due nature in una stessa Persona Divina, tutte le Sue azioni erano di un valore infinito. L’Uomo - Dio. Che il Figlio di Dio, dopo l’Incarnazione, fosse anche vero Uomo, lo si è visto da chi viveva in quel tempo che Egli passò quaggiù, e dalla loro testimonianza lo possiamo accertare anche noi. Quando un individuo agisce in tutto e per tutto come un uomo, noi non possiamo dubitare che non sia tale: e Gesù, il Figlio di Dio, dice S. Paolo, ha voluto farsi in tutto simile a noi, «eccetto che nel peccato» (Agli Ebrei, IV, 15). Lo vedremo spiegandone la vita. Che sia Dio è fuori di dubbio. Lo annunciarono i profeti molti secoli prima che Egli venisse in questo mondo, lo disse l’Arcangelo Gabriele nell’Annunciazione alla Vergine Santissima, lo proclamò dal Cielo l’Eterno Padre nel Battesimo e nella Trasfigurazione di Gesù quando disse: «questo è il mio Figlio diletto, ascoltatelo» (S. Luca, IX, 35), lo conferma la Sua celeste dottrina che certo non viene da un semplice uomo, lo disse più volte Egli stesso e confermò la Sua parola con miracoli strepitosi. Il miracolo è la prova delle prove. Quando un individuo afferma un fatto, e, per mostrarci che quello che ha detto è vero, fa [veramente] risorgere un morto, vuol dire che Dio è con lui, quindi possiamo star certi che quello che dice è verità. Ebbene, Gesù disse tante volte che Egli era il Figlio di Dio e confermò questa Sua asserzione con miracoli d’ogni genere: con dar da mangiare a cinquemila persone con cinque pani e due pesci, col guarire ciechi, lebbrosi, infermi, sedare burrasche, camminare sulle acque, cacciare i demoni, col risuscitare la figlia di Giairo, il figlio della vedova di Naim, e Lazzaro, morto da quattro giorni e già sepolto, anzi risuscitando Se stesso dopo tre giorni dalla morte e col salire al Cielo. Esempio: Caifa e Pilato. I giudei odiavano Gesù e lo volevano morto ad ogni costo; tuttavia, prima di condannarlo, cercarono una scusa per quanto falsa ed insussistente, scusa che riuscì invece una delle più solenni affermazioni della divinità di Gesù. Caifa, il capo del sinedrio, in tutta la maestà della sua carica, attorniato dai più illustri della sinagoga, disse a Gesù, che gli stava dinanzi incatenato: «ti scongiuro a dirci se tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (S. Matteo, XXVI, 63). Il Salvatore avrebbe potuto rispondere che l’aveva affermato tante volte, che l’aveva provato con continui miracoli, che era inutile ripeterlo ancora... invece davanti alla solennità di quei barboni, ripeté ancora: «tu l’hai detto» (Idem, 64) io lo sono! II giorno seguente Pilato, dopo la flagellazione, presentava Gesù al popolo con quelle parole: «ecco l’uomo» (S. Giovanni, XIX, 5) ossia ecco colui che voi volete far morire. Pilato, pagano, non vedeva in Gesù che un uomo come gli altri. Pratica. Giovani, è il Figlio di Dio fatto uomo, Cristo Signore, dinanzi al quale si prostrano il cielo, la terra e l’inferno! Domenica prossima ne incominceremo la vita, che cercheremo studiare con sentimenti di adorazione, di devozione, di amore e di viva riconoscenza verso Colui che venne dal Cielo per redimerci dal peccato, per riaprirci il Paradiso.

Fortes in Fide, don A. Bussinello, S.A.T., Vicenza, 1922. L’uomo. La prova. Il castigo. Con le parole «...e della terra», le ultime del primo articolo del Credo, noi professiamo che Iddio creò tutto quello che esiste su questa terra, compreso l’uomo. Tempo addietro, parlandovi della Creazione, vi dissi che Iddio trasse dal nulla tutto ciò che esiste, vi ho parlato dei sei giorni della creazione, vi ho detto che il Signore dopo aver creato stelle, terra, piante, erbe, fiori ed animali d’ogni specie, diede vita all’uomo e lo pose nel mondo, come re della creazione. Adamo ed Eva. È bello sentire come il Signore ha creato Adamo ed Eva, i nostri progenitori. Fino allora Iddio aveva creato tutti gli esseri con un atto della Sua volontà; per l’uomo invece, l’essere intelligente ed immortale, tenne un modo diverso. Le tre Persone della SS. Trinità dissero :«facciamo l’uomo ad immagine e somiglianza nostra» (Genesi, I, 26) ed ecco Iddio stesso che crea l’uomo di terra, gl’inspira il soffio di vita, l’anima spirituale, libera, immortale, e lo chiama Adamo, che vuol dire fatto di terra. E Adamo bello della somiglianza del Creatore, puro dell’immagine di Dio, s’avanza sovrano nel paradiso terrestre, unico essere intelligente e parlante tra le più svariate specie d’animali. Il suo corpo è perfettissimo e non soggetto al dolore, la sua anima, piena della grazia di Dio, è dotata di meravigliosa sapienza, e tra corpo ed anima esiste la più perfetta armonia. Tutto è soggetto all’uomo nel paradiso terrestre: gli uccelli lo salutano col loro canto, i fiori col loro profumo, e tanto il più piccolo insetto, come il più feroce animale, cercano servirlo. Eppure Adamo si sente solo... Ha passato tutte le specie d’animali, imponendo loro un nome, ha osservato tutte le meraviglie del creato, ma non ha trovato un suo simile. Lo vide Iddio, e: «non istà bene, disse, che l ‘uomo sia solo, facciamogli un aiuto simile a lui» (Gen., II, 18) e da una costola, levatagli dalla parte del cuore, formò Eva e la diede compagna ad Adamo. Eva vuol dire vita, e la chiamò così, dice la S. Scrittura, «perché ella era per esser la madre di tutti i viventi» (Gen., III, 20). Chi può dire la dolcezza provata dai nostri progenitori in quei primi giorni passati nello stato d’innocenza, senza contrasto di passioni, senza fomite di concupiscenza? Ma purtroppo la prova era vicina e con la prova, la caduta. La prova. Come aveva messo alla prova gli Angeli, così il Signore sottopose ad essa anche l’uomo, per vedere se a lui restava fedele. Fra le molte piante del paradiso terrestre ve ne era una detta l’albero della scienza del bene e del male. Iddio volle quest’albero come prova di obbedienza, imponendo ad Adamo ed Eva di non mangiare di quei frutti, sotto pena della morte. Era facile la prova, e sarebbe stata facilmente superata, se non ci fosse entrato, come sempre, lo zampino del tentatore, del diavolo. Sotto forma di serpente egli entrò nel paradiso terrestre, s’attorcigliò all’albero fatale, ed aspettò che Eva, da sola, passasse di là. Ce n’erano tanti degli alberi e dei frutti, ma no, che bisogna andare proprio a passeggiare là sotto! Ed ecco Eva che si dirige verso l’albero proibito, si ferma a parlare col tentatore; costui, bugiardo come sempre, le dà da intendere che se mangerà di quei frutti diventerà con suo marito simile a Dio. E l’incauta spicca di quei frutti e ne mangia, disobbedendo al Creatore. Non contenta, ne porta ad Adamo, ed anch’egli per compiacere alla moglie, pecca di disubbidienza grave verso Iddio. Il castigo. Come fu pronto il castigo per gli Angeli ribelli, così lo fu per Adamo ed Eva. Vennero cacciati dal paradiso terrestre, vennero condannati al male, al dolore, alla morte, e la terra non diede più frutto, se non bagnata dal sudore della loro fronte. Più ancora: tutti i loro discendenti sarebbero nati col peccato della disubbidienza, col peccato originale; quindi esclusi per sempre dalla felicità del Paradiso. Iddio però ebbe compassione dell’infelice umanità, ed ancor là nel paradiso terrestre ai nostri progenitori sfiduciati e colpevoli promise la riparazione: una donna, ingannata dal serpente d’inferno, aveva rovinata l’umanità, e un’altra Donna, la Vergine Santissima, avrebbe schiacciato il capo al serpente infernale. E dopo parecchi secoli la Vergine Immacolata diede al mondo N. S. Gesù Cristo, che venne a riscattarci dal peccato di Adamo, a redimerci con i suoi patimenti e col suo Sangue prezioso, a riaprirci il Paradiso. Egli istituì il S. Battesimo per cancellare in noi il peccato originale e farci tornare figli di Dio. Però non è più tornato lo stato di grazia e d’innocenza; è rimasta la natura corrotta con tutte le sue passioni che tentano sempre di trascinarci al male, sicché per salvarci è necessaria la lotta continua, è necessario vincere le tentazioni del diavolo e superare questa concupiscenza che portiamo con noi. Che colpa ne abbiamo noi? Ma perché, dirà qualcuno, dobbiamo noi sopportare la pena del peccato di Adamo? Che colpa ne abbiamo noi? Statemi attenti. Supponiamo che il Conte Albertini dicesse ad un suo dipendente: senti, io ti terrò sempre come figlio, ti darò una villa, grandi campagne, buoi, cavalli, se ubbidirai al mio volere. Costui invece disubbidisce, fa quello che gli piace, e viene quindi scacciato dal palazzo, perdendo quanto gli era stato promesso. Di chi la colpa? Sua. Se più tardi costui avesse dei figli, come nascerebbero costoro? Poveri. Eppure che colpa ne hanno essi della disubbidienza dei padri! Ancora. Supponiamo che un capo di famiglia avesse per eredità un gran patrimonio col quale potrebbe rendere ricchi tutti i suoi discendenti, ma egli lo dissipa malamente ed in pochi anni rimane sul lastrico. Egli commette un peccato del quale dovrà rispondere davanti a Dio, ma intanto quelli di casa sua ne risentono tutto il danno ed i suoi discendenti nasceranno nella miseria. Eppure che colpa ne hanno essi? Quanti figli, o giovani, devono soffrire per le colpe dei padri! Così è successo per la disubbidienza di Adamo: la colpa fu sua, ma tutti ne portiamo le conseguenze... Pratica. Vi ho narrato in breve la creazione dell’uomo e della donna e la loro caduta, ma da questo fatto semplice ed insieme terribile dobbiamo imparare come Dio castiga il peccato. Dolori, malattie, terremoti, inondazioni, guerre, mali d’ogni genere e la morte fino alla fine del mondo: e tutto questo non solo in Adamo ed Eva, ma in tutti i loro discendenti. Perché? Per un solo grave peccato di disubbidienza a Dio. E noi, o giovani, che commettiamo peccati ben più gravi, e non una sola volta, che cosa dobbiamo aspettarci dalla Giustizia del Signore? «È cosa terribile, dice la S. Scrittura, cadere nelle mani di Dio» (Agli Ebrei X, 31) col peccato mortale sull’anima. Un altro pensiero. Adamo peccò e non morì subito; così chi commette il peccato non va subito all’inferno perché Iddio non ha fretta, e, di solito, aspetta il peccatore a penitenza, ma tempo verrà... Pensiamoci!

Fortes in Fide, don A. Bussinello, S.A.T., Vicenza, 1922. I lacci. Domenica scorsa, o giovani, vi ho parlato dell’angelo ribelle, del grappino, del demonio; ma sarebbe stato inutile parlarvi di lui se non vi facessi conoscere i lacci nei quali questo furbacchione [e disgraziato, ndR] tenta far cadere i giovani per trascinarli all’inferno. Accenniamo ai principali. D’inverno, quando cade la neve, voi andate sul limitare delle siepi, tra i filari delle viti negli orti, presso i pagliai a porre tagliole, reti, vischioni, archetti per prendere i passeri che, affamati, volano dove c’è un po’ di verde o di terra scoperta. Ed i poveri uccelletti non sanno più dove andare, poiché dappertutto c’è un tradimento: volano da una parte, e già una fucilata; vanno dall’altra, ed ecco pronta la tagliola o la rete, sicché vanno a finire allo spiedo. Quello che è la neve per gli uccelletti, è il mondo per noi. Con esso il diavolo copre lacci, pericoli, occasioni per accalappiare specialmente la gioventù incauta, e se non si sta bene attenti, se non si vive in guardia, è facile restare presi. I divertimenti. È un primo laccio il divertimento. Eppure è così bella la gioia, il sollievo, il divertimento onesto, è così caro godersi un’ora tra amici, senza offesa di Dio... ma il diavolo sa mettere a tempo la sua coda, e per mezzo d’un compagno indegno, per un bicchiere di vino oltre il necessario, o per altro, cambia spesso l’ora di onesto divertimento in un’ora di peccato. Sono anch’io della scuola di S. Filippo Neri che diceva ai giovani: divertitevi, ma non fate peccati! e ripeteva: scrupoli e melanconia lontani da casa mia! E vedete che per tenervi allegri sorsero accanto all’Oratorio i cantori, la fanfara, il teatro, abbiamo fatto qualche gita, qualche banchetto, qualche merenda, perché la gioia piace a Dio e piace ai Santi, e l’allegria santa indica sempre un’anima bella; ma il diavolo soffia sotto e chiede a voi altri divertimenti, altre allegrie, che guastano il cuore e più tardi vi faranno piangere. Goditi, dice il demonio, fin che sei giovine, che la vita è un lampo, ingolfati nel piacere, lascia i Comandamenti! E quanti giovani incauti restano presi nel laccio... Se noi fossimo in questa vita solamente per divertirci, allora andrebbe bene il suggerimento del diavolo, ma in nessun libro di Religione cristiana, in nessun testo di Dottrina ho mai visto questa peregrina trovata. Io vedo nelle prime pagine della S. Scrittura il Signore che, dopo il peccato, fulmina contro Eva i dolori della vita e dice ad Adamo: «mangerai il pane col sudore della tua fronte!» (Genesi, III, 19). Trovo poi i Profeti, N. S. Gesù Cristo, gli Apostoli, i Santi tutti che ci dicono che la vita è dolore, è sacrificio e non divertimento: non è questo, ci dicono, il luogo per godersi, questa è la vita di prova, il tempo del godimento vero, della gioia infinita, del gaudio eterno incomincia dopo questa vita! Non vale dunque il suggerimento del diavolo, che è sempre stato bugiardo: divertiti fin che sei giovane! Lo sa bene il maledetto che se noi adesso non cerchiamo altro che il divertimento, un giorno saremo tormentati per sempre. E poi che godere è mai quello misto con l’offesa a Dio? Io non l’ho mai capito! Dopo una serata da ballo con persone da trivio, dopo una chiacchierata con gente che appartiene alla famiglia dei porci, dopo ore ed ore in una tana d’osteria, dove il tanfo toglie il respiro, dopo una sbornia di vino, è impossibile trovarsi contenti, è impossibile godere del piacere provato, è impossibile non sentire in fondo all’anima qualche soffocato rimorso di coscienza. Diciamo dunque al diavolo : «va indietro, o Satana» (S. Marco, VIII, 33), che faccio senza dei tuoi consigli! Il divertimento onesto sì, la gioia dell’anima sì, ma sempre con amici buoni e virtuosi, sempre senza offesa del Signore, altrimenti no, mille volte no, se amiamo davvero l’anima nostra e vogliamo salvarla! Ed ecco così scoperto il trabocchetto del diavolo che vuol farci godere con divertimenti peccaminosi per attirarci poi all’inferno. Questo è uno dei lacci di Satana, ma è forse l’unico? No, sono innumerevoli, ed io in tutte le mie istruzioni non faccio che scoprirceli e mettervi in guardia perché possiate, con più facilità, fuggirli, essendo sempre vero il proverbio che «uomo avvisato è mezzo salvato!». Altri lacci per voi sono gli scandali, l’impurità, i discorsi osceni, il rispetto umano, la bestemmia, i cattivi compagni, ecc., ma di ciò a suo tempo. Per ora, già che si presenta l’occasione, una sola parola su quest’ultimo laccio: sui compagni cattivi. I compagni cattivi. Il Re Alessandro, il Macedone, parlava un giorno di tesori e di pietre preziose, e additando alcuni suoi amici, disse: ecco i miei tesori! E un buon amico è un vero tesoro, ma come è difficile trovare un tesoro, così è difficile trovare un vero amico, un compagno buono. Degli amici, direte voi, ne abbiamo molti, e come si fa a conoscere se sono buoni o cattivi? «Li conoscerete dai loro frutti», ci dice N. S. Gesù Cristo, e continua: «se la pianta è buona, darà frutti buoni, se la pianta è cattiva, darà frutti cattivi» (S. Matteo, VII, 16, 17). Così è degli amici: se parlano male, se commettono delle azioni cattive, c’è il cuore guasto, bisogna fuggirli, altrimenti diventeremo simili a loro. Quante volte dopo una giornata, od anche, dopo solo poche ore passate con tali compagni, ci siamo sentiti più cattivi, malcontenti, irosi ed amanti di una falsa libertà! Il cattivo amico, bisogna persuadersene, o giovani, è peggiore del demonio: il diavolo non ci dà cattivi esempi, ci mette solo delle tentazioni, il compagno corrotto invece ci trascina con parole indegne, con discorsi disonesti, con atti diabolici. Gersone, il gran cancelliere dell’Università di Parigi, racconta il fatto raccapricciante di uno scostumato che, sul letto di morte, poco prima di spirare, imprecava ai suoi perversi compagni, dicendo nel rantolo dell’agonia: guai a chi mi ha corrotto, l’aspetto all’inferno! E quante anime si trovano all’inferno per aver frequentato cattive compagnie! Quante povere madri piangono la rovina dei figli, la loro morte prematura... e nelle loro angosce l’immagine del compagno cattivo si presenta alla loro mente come l’immagine dell’assassino! Esempio: Assassini! Sentite questo fatto, successo qualche anno fa nel cimitero di Milano, e che tolgo dai giornali. Senza alcun segno di Religione si era portato alla sepoltura un giovane operaio, ucciso in un conflitto con la forza pubblica. I capi socialisti già stavano pronunciando su quella bara profanata i loro soliti discorsi, imprecando agli altri, mentre furono essi ad accendere il conflitto, quand’ecco si fa largo tra la folla una donna fuori di sé dal dolore, che dopo aver abbracciata e baciata quella cassa da morto: assassini, grida rivolta a quei signori, era buono il mio Giovanni e voi me lo avete prima rovinato e poi ucciso! Era la madre del disgraziato giovine, che, sedotto dal cattivo esempio di empi compagni, si lasciò trascinare dalle loro teorie rivoluzionarie, si lasciò riempire il cuore di odio contro tutto e contro tutti, e finì poi così tragicamente la propria esistenza. Pratica. In guardia dunque, o giovani, dai lacci che il demonio ci tende! Il mondo è tutto un reticolato, tutto una tagliola, tutto una bocca da lupo: se non stiamo più che attenti è facile cadervi dentro e rovinarci. Abbiamo un’anima sola, o giovani, e questa dobbiamo salvarla ad ogni costo!

Fortes in Fide, don A. Bussinello, S.A.T., Vicenza, 1922. Il grappino. Dopo che il Signore ebbe creati gli Angeli, li mise alla prova per vedere chi a Lui restasse fedele: si trattava di dar loro un premio eterno, di assumerli dall’ordine della grazia a quello della gloria; ma prima Iddio li volle provare. Anche noi prima di dare il premio ad uno, lo mettiamo alla prova per conoscere se veramente lo merita. Così ad una disputa di dottrina o di scuola si dà il premio a chi ha più studiato, a chi fu più fedele alle lezioni, traendone profitto; in una corsa di biciclette a chi passa primo il traguardo; in una lotta si premia il più forte, ecc. Prima di dare il premio si prova sempre il concorrente. Così il Signore ha fatto con gli Angeli, in modo, si capisce, più elevato e sublime; così ha fatto poi con Adamo ed Eva, come vedremo, e così fa con noi. Dà il premio sì, e premio eterno, ma a chi se lo merita, a chi vince la prova. Gli Angeli, essendo spiriti puri, non potevano mancare alla prova abbassandosi alle cose della terra, che per loro sono vanità e bruttura; usi alle bellezze e grandezze del Cielo, non potevano che avere ‘schifo’ delle cose di quaggiù... Gli Angeli non potevano peccare che di superbia e d’invidia: e qui Iddio li provò. La prova. Non conosciamo con certezza la prova a cui vennero sottoposti, ma molti scrittori sacri ritengono che, appena creati gli Angeli, Iddio manifestasse loro che un giorno, nel lungo volgere dei secoli, la seconda Persona della SS. Trinità si sarebbe incarnata e fatta uomo, e che essi quindi avrebbero dovuto adorare e servire l’Uomo-Dio. [Probabilmente, ndR] Non ci volle che questo perché Lucifero, il più bello tra gli Angeli, si ribellasse al comando del Signore e fosse seguito da una gran schiera di Angeli. Alla mancanza fu pronto il castigo: Iddio creò sull’istante l’inferno e vi cacciò tutti i ribelli, che da Angeli vennero cambiati in demoni. Il grappino. Da allora incominciò l’odio del diavolo contro di noi. [...] Iddio creò il primo uomo e la prima donna, eccolo pronto Satana a spingerli alla disubbidienza verso il Creatore, e continuò poi e continua la sua opera bugiarda ed empia per rovinare le anime e trascinarle con lui all’inferno. C’è dunque il grappino? Così chiamava il diavolo il santo Curato d’Ars, al quale appariva tanto spesso nei modi più strani. - Se c’è? Altro se c’è!... Ce lo dice il Signore nella Scrittura Sacra, lo han visto sotto diverse forme orribili tanti santi ed anche non santi, e lo proviamo anche noi nelle tentazioni che ci assalgono per farci offendere il Signore. Chi è che ci mette in testa quei pensieri di cose sporche o ci fa dubitare della fede? Il grappino, il diavolo. Chi è che ci fa incontrare in quel compagno dall’anima indemoniata? È lui, il diavolo. Chi è che c’insegna ad offendere Iddio, l’Onnipotente, con la bestemmia? Il diavolo. Anche questo solo fatto della bestemmia nel mondo ci convince dell’esistenza del diavolo, perché il fatto sì stupido, sì incivile, sì mostruoso, sì diabolico di una creatura che offende il proprio Creatore, l’uomo non l’avrebbe mai inventato, senza la spinta ed il suggerimento di Satana. La bestemmia è uscita dall’inferno ed il diavolo ride nel sentire tanti che oggi parlano il suo stesso linguaggio: egli odia Iddio e cerca farlo odiare da tutti. Paura. Dobbiamo aver paura del demonio? Sì, o giovani, e molta. Non quella paura sciocca di tanti fanciulli che guardano se il diavolo è sotto il letto e per terrore ficcano la testa sotto le coperte; non la paura delle donnette che fanno gli scongiuri contro chi immaginano indemoniati; ma dobbiamo avere un salutare timore, una vera paura di commettere ciò che il diavolo ci suggerisce per trascinarci con lui. Pensiamo che egli ha un’intelligenza perspicace, una furberia matricolata, una perfidia senza pari; ricordiamo che egli è il padre della menzogna e della frode: non c’è mezzo ch’egli non adoperi per legarci al suo carro, ed una volta legati, oh, è ben difficile sfuggirgli! Però, senza il permesso di Dio, non può farci male alcuno. È come il cane alla catena, abbaia, ulula, tenta slanciarsi, morde il freno, ma non può far altro: addenta solo l’imprudente che gli si avvicina. Non ti temo, grappino diceva sorridendo il santo Curato d’Ars, io ho un potere che ti vince! E lo cacciava con l’acqua santa o col segno di Croce. Esempio: Il Curato d’Ars e D. Bosco. Nella vita del B. Giammaria Vianney, morto nel 1859 ad Ars in Francia, dov’era curato, leggiamo che venne tormentato per 35 anni dal demonio. D’ordinario, a mezzanotte, tre gran colpi alla porta avvertivano la presenza del nemico. Una spinta alla porta della camera diceva che qualcuno entrava, e, senza che la porta si aprisse, lo spirito maligno era già nella stanza, si attaccava alle cortine del letto e le scuoteva con furia, faceva danzare le sedie, cambiava di posto ai mobili, insultava il santo Curato chiamandolo mangiatore di tartufi e dicendogli che un giorno sarebbe andato all’inferno con lui. Altre volte il demonio imitava una carica di cavalleria od il rumore di un esercito in marcia, oppure pareva conficcasse dei chiodi sul pavimento, batteva sulle secchie, sulla tavola, sul camino... faceva insomma un tale sconquasso che era impossibile chiudere occhio. Parecchi giovanotti si protersero a far guardia al santo uomo, ma poi fuggirono spaventati. Quando però egli conobbe la causa vera di tutti quei dispetti, non volle più alcuno e si affidò tutto al Signore. Una cosa simile accadde ad un altro santo Prete, al Ven. Don Bosco, morto nel 1888. Al diavolo non garbava tutto il bene che Don Bosco faceva tra i giovani e con la paura voleva farlo desistere. Dal primo anno che dal Rifugio portò la sua abitazione in casa Pinardi a Torino, tutte le notti udiva sopra il solaio della stanza un rumore continuato, rimbombante, che non lo lasciava dormire. Pareva che qualcuno sollevasse dei grossi macigni e li lanciasse, a tutta forza, sul pavimento di legno. Sulle prime Don Bosco pose sul solaio alcune trappole, credendo trattarsi di grossi topi o di gatti, ma nessun animale restò preso. Pose allora qua e là delle noci, dei pezzi di pane e di formaggio, ma rimasero intatti. Non sapendo spiegare il fenomeno, cambiò stanza, ma il chiasso indiavolato continuava anche sopra di essa. Non potendo né dormire né riposare Don Bosco diveniva ogni giorno più pallido e sofferente. Qualche volta la mamma sua alla sera gli entrava in camera, e fissi gli occhi al soffitto, gridava: ma brutte bestie, finitela una buona volta, lanciate in pace il povero Prete! Finalmente un giorno Don Bosco fece praticare da un muratore un gran buco nel solaio, vi assestò bene una scala, pronto a salire al primo colpo per cercare di scoprire qualche cosa. Ed ecco al primo colpo terribile Don Bosco è già sul solaio con una candela in mano; ma non vede essere vivente. Convinto allora che quei disturbi venivano dallo spirito delle tenebre, appese al solaio un’immaginetta della Madonna, pregandola a voler liberarlo da quella seccatura e non sentì più nulla. Sono tanto belle le vite di questi santi uomini, che tutti dovreste leggerle! Chi le vuole venga da me. Pratica. Giovani, ricordiamo che dove si presenta il male c’è sempre la coda del grappino! Iddio permette che ci tenti per provarci se siamo forti nella virtù e per farci acquistare dei meriti, ma noi dobbiamo cacciarlo subito col segno di Croce, con l’invocare i Nomi santissimi di Gesù e di Maria e col ricorrere all’Angelo Custode. Chi si lascia legare alla coda del diavolo è un povero infelice che andrà un giorno a tenergli compagnia.

Fortes in Fide, don A. Bussinello, S.A.T., Vicenza, 1922. L’Angelo custode. Avete visto ancora, o giovani, quell’immagine sacra che rappresenta un fanciullo il quale s’avvicina a una passerella, sospesa sopra un orrido burrone? Egli è lieto e spensierato mentre tra l’erbe un serpente lo insidia, ed un rosaio, posto sull’orlo del burrone, lo invita a spiccare i suoi fiori. Su questa scena di pericoli campeggia una figura angelica con le ali aperte, che sorride al fanciullo e fa cenno con le mani di guidarlo e custodirlo. In questo quadro che spira soave poesia, il pittore ha voluto ritrarre gli uffici dell’Angelo Custode. «Gli Angeli, dice il Catechismo, sono i ministri invisibili di Dio, ed anche nostri Custodi, avendo Dio affidato ciascun uomo ad uno di essi». Ricordate quante volte da piccini la mamma vi raccomandava di essere buoni per non far fuggire il vostro Angelo custode? Quante volte essa attribuiva con ragione alla custodia del vostro Angelo l’essere stati preservati da gravi pericoli? Quante sere essa lo pregò con voi perché vi custodisse e vi facesse crescere buoni per essere un giorno la sua consolazione? Ci narra la S. Scrittura che il giovane Tobia, per comando del padre suo, doveva fare un lunghissimo viaggio in terra straniera. Apparsole l’Arcangelo Raffaele, sotto le spoglie d’un bellissimo giovine, lo condusse lungo tutto il viaggio, lo salvò da tutti i pericoli di corpo e di anima nei quali il giovine poteva incorrere, lo ricolmò d’ogni bene e lo ricondusse salvo al padre suo. È precisamente quello che fanno con noi i nostri Angeli custodi: essi proteggono il nostro corpo e l’anima nostra, pregano per noi e ci eccitano al bene. Ci proteggono nel corpo e nell’anima. Gli Angeli del Signore ci amano assai perché vedono in noi riflessa l’immagine di Dio, ci amano perché Dio stesso ci ama, ci amano come loro fratelli, perché ci vedono destinati ad occupare nel Cielo quei posti lasciati liberi dagli angeli ribelli, che, cambiati in demoni, vennero precipitati all’inferno. Ma tanto più ci amano e ci assistono quanto più l’anima nostra conserva pura ed immacolata in se stessa l’immagine del Creatore. Ecco perché il bambino innocente è oggetto speciale della custodia degli Angeli, e noi tutti ricordiamo nella vita piccina, d’essere stati salvati, non sappiamo come, da peri-coli gravissimi. Noi vediamo tante volte dei bambini cadere nel lago od in un torrente precipitoso e non annegare, li vediamo cadere da altezze rilevanti od essere travolti da un cavallo, da una bicicletta, senza farsi alcun male. Tanto è vero questo, che si dice comunemente: i bambini portano le botte come i gatti, ma è invece l’Angelo custode che li protegge. Ricordo un fanciulletto, figlio del capo-stazione di Caldiero, che venne sorpreso dal diretto mentre giocava lungo la linea ferroviaria. Il bambino si buttò carponi, il treno gli passò sopra, ed egli, fra il raccapriccio degli astanti, si alzò battendo le manine. Tutti possiamo rammentare simili fatti nella nostra vita fanciullesca... era l’Angelo custode che vegliava sull’innocenza. E riguardo all’anima? Il Signore, perché la salviamo, ci pose al fianco l’Angelo custode. Ricordate quando quel compagno vi tirava a quell’opera cattiva? Sentivate dentro di voi una certa ripugnanza, sentivate come una voce che vi diceva: non andare, ti macchierai l’anima di colpa, perderai la tua innocenza! Era l’Angelo custode che vi parlava al cuore. Ricordate quando quello sboccato vi faceva quel discorso osceno? Una voce vi diceva: fuggi, non ascoltare, non sorridere! Era l’Angelo del Signore. Ricordate quando quel cattivo soggetto vi trascinava a rubare? Sentivate una forza che vi diceva: no, ti macchierai di disonore e offenderai Iddio che tutto vede! Era l’Angelo Custode. E quando la tentazione batteva furiosa e la passione ardente voleva trascinarvi al peccato, da dove veniva quella forza contraria che sentivate in voi, quella spinta continua, insistente che vi diceva: non commettere quell’azione vergognosa, è qui Iddio che ti vede, volta il tuo sguardo, non profanare il tuo corpo che è tempio di Dio? Era l’Angelo che Iddio ci pose a custodia. E sempre, pur rispettando la nostra libertà, l’Angelo del Signore ci aiuta a rintuzzare le passioni, ad alzare la mente a Dio, ci ricorda che siamo cristiani e che dobbiamo salvare l’anima a costo di qualunque sacrificio. Noi non abbiamo la grazia che ebbero tanti Santi di vedere il nostro Angelo custode e di sentire le sue parole di incitamento al bene, ma siamo certi che da lui vengono quei suggerimenti a fuggire le compagnie non buone, a non dire quelle parole che escono dall’inferno e sono degne d’un dannato, ad avvicinare il Sacerdote, a frequentare la Confessione e la Comunione, a compiere i nostri doveri di cristiani. E quando noi seguiamo questa voce, questa spinta al bene, ci sentiamo contenti; mentre se ascoltiamo la passione e facciamo il male, invece del contento c’è il rimorso che ci tormenta: è anche questo un mezzo che adopera l’Angelo custode per trarci dal baratro in cui siamo caduti. Sempre, dalla culla alla tomba, l’Angelo nostro ci aiuta, ci soccorre, ci spinge al bene: noi infelici se col peccato lo allontaniamo! Rispetto, riconoscenza, confidenza. Rispettiamo, o giovani, l’Angelo custode: è Iddio stesso che ce lo impone! «Onoralo, dice nella S. Scrittura, e non disprezzarlo, perché... in esso è il mio Nome» (Esodo, XXIII, 21). E San Bernardo diceva: «non fate dinanzi all’Angelo custode quello che non osereste fare dinanzi a me!». A lui dobbiamo riconoscenza per tutti i servigi che ci rende, per tanti pericoli dai quali ci tiene lontani, per le preghiere che rivolge a Dio per noi. Nell’Angelo custode poi dobbiamo porre tutta la nostra confidenza. Quando il diavolo ci tenta e vuole spingerci al male, dobbiamo subito pensare che non siamo soli a combattere, ma che il Signore ci ha dato un Angelo: appena si affaccia la tentazione, raccomandiamoci a lui con tutta confidenza ed egli metterà in fuga il demonio. Esempio: L’Angelo di S. Cecilia. S. Cecilia era una giovane patrizia romana. Consacrata a Dio la sua verginità, non voleva saperne di matrimonio. Costrettavi però dai genitori, fece sapere allo sposo Valeriano che essa era sotto la tutela dell’Angelo custode. - Vorrei vederlo anch’io il tuo Angelo! disse lo sposo, non ancora cristiano. - Lo vedrai, soggiunse Cecilia, dopo che ti sarai fatto istruire nella nostra Religione ed avrai ricevuto il Battesimo. Passò qualche tempo, ed un mattino, mentre Valeriano tornava dalle catacombe, dove era stato battezzato da Papa Urbano, vide vicino alla sua santa sposa l’Angelo custode che la copriva delle sue ali. Avvertì il fratello Tiburzio, ed anch’egli, convertitosi alla fede, vide l’Angelo di Cecilia. Più tardi morirono tutti e tre martiri della fede. Pratica. Ricordiamo, o giovani, che l’Angelo custode ci è sempre al fianco: preghiamolo al mattino, alla sera e durante il giorno, specialmente nei pericoli, con l’Angele Dei; egli vede tutto ciò che facciamo, sente tutto ciò che diciamo, ed un giorno ci sarà testimonio al tribunale di Dio!

Fortes in Fide, don A. Bussinello, S.A.T., Vicenza, 1922. Gli Angeli. Con la parola Cielo noi intendiamo, o giovani, tanto lo spazio immenso dove vediamo risplendere il sole, la luna e le stelle, quanto il Paradiso, ossia il luogo della felicità che ci aspetta. Della creazione degli astri ve ne ho già parlato e vi ho detto che Iddio trasse dal nulla tutti quei mondi innumerevoli che ci rotano d’attorno; del Paradiso ne parleremo nell’ultimo articolo del Credo; oggi vediamo invece come il Signore ha popolato il Cielo di esseri invisibili, intelligenti e puramente spirituali, che sono gli Angeli. Gli Angeli. Angelo vuol dire nunzio, messaggero, e Dio li creò anche per mandare i suoi messaggi agli uomini: si rappresentano anzi con le ali per denotare la prontezza con cui comunicano gli ordini del Signore. Essi sono puri spiriti, e il Catechismo li definisce «esseri intelligenti senza corpo». Anche l’anima nostra è spirito, ma non è puro spirito, perché per agire ha bisogno dei sensi del corpo: gli Angeli invece sono puri spiriti ed agiscono senza aiuto di organi sensibili (S. Thom. q. 50, art. 1 ad 1). Ma se sono puri spiriti, dirà qualcuno, non si possono vedere: come dunque sappiamo che ci sono? Ecco: di parecchie cose sappiamo che esistono se anche non si vedono, come... il mal di pancia. L’avete mai visto voi il mal di pancia? Eppure c’è... altro se c’è! Di altre sappiamo che esistono se anche non si toccano, come l’aria: l’avete mai toccata l’aria? Di altre ancora se anche non si sentono, come il pensiero: l’avete mai sentito il pensiero? Eppure non c’è alcuno che neghi l’esistenza dell’aria, del pensiero e di tantissime altre verità invisibili di questo povero mondo, tra le quali può stare benissimo, come dicevo: anche il mal di pancia. Ma noi siamo ancor più certi dell’esistenza degli Angeli che di tutte queste verità naturali, perché più volte, permettendolo Iddio, comparvero agli uomini sotto forme umane. Così un Angelo apparve ad Abramo, là sul monte Moria, ad impedirgli il sacrificio del figlio; così li vide il Patriarca Giacobbe salire e scendere dal cielo in lunghe file; così l’Arcangelo Raffaele apparve a Tobia e l’Arcangelo Gabriele a Zaccaria ad annunciargli la nascita di S. Giovanni Battista. Durante poi i 33 anni di vita mortale che Gesù passò su questa terra, l’opera degli Angeli c’entrò di spesso: ed era naturale! Come non dovevano anch’essi trovarsi più volte sulla terra in forma umana, mentre Gesù, il loro Re e Creatore, era qui tra noi, non in forma umana, ma vivente nella nostra stessa natura? Leggendo il Vangelo noi vediamo che l’Arcangelo Gabriele apparve sotto forma umana alla Vergine SS.ma ad annunciarle che era stata prescelta a Madre di Dio; a Betlemme un Angelo avvertì i pastori della nascita del Redentore; a Nazareth apparve a S. Giuseppe per ordinargli la fuga in Egitto con la Vergine e col Bambino; nel Getsemani venne a consolare Gesù agonizzante; al Sepolcro due Angeli di bianco vestiti annunciarono alle pie donne la resurrezione del Signore, e sul monte Oliveto altri due Angeli vennero a dire agli Apostoli che Gesù, già asceso al Cielo, verrà un’altra volta alla fine del mondo. Anche dopo la vita terrena di N. S. Gesù Cristo, più volte gli Angeli apparvero in forma umana a’ primi martiri a confortarli ne’ tormenti sostenuti per la fede e guarirli dalle atroci ferite, e gli Apostoli, buttati in carcere dai sadducei, vennero liberati dall’Angelo del Signore. S. Giovanni Evangelista poi ebbe, sul fine della vita, la visione di un Angelo che gli manifestò cose meravigliose ed occulte. Appena lo vide, raggiante di bellezza e di fulgore, S. Giovanni gli si gettò ai piedi per adorarlo, credendo di essere dinanzi la maestà di Dio. Ma no, alzati! disse l’Angelo, sono anch’io una creatura del Signore - «conservus tuus sum» (Apocalisse XXII, 9), sono un tuo fratello: solo iddio si deve adorare «Deum adora» (Idem). Gli Angeli apparvero pure a parecchi Santi a consolarli nelle angustie di quaggiù, a difenderli dagli assalti diabolici, a far loro gustare le gioie anticipate del Cielo. S. Francesco d’Assisi, il Santo tanto favorito da Dio, ebbe la grazia di sentire qualche nota di quell’armonia celestiale che intonano gli Angeli dinanzi al trono di Dio, e bastò questo per trarlo fuori da’ sensi ed elevarlo in estasi soavissima. Questi Spiriti angelici sono dotati d’una intelligenza molto superiore alla nostra, sono ornati d’ogni virtù ed ebbero fin da principio il dono prezioso della grazia santificante. Il loro numero è sterminato, tanto da sorpassare tutte le creature corporee (Cfr. S. Thom. q. 50, art 3). S. Giovanni Evangelista scrive degli Angeli: «vidi una gran turba che nessuno poteva numerare» (Apocalisse VII, 9) ed il profeta Daniele ci parla di un numero senza numero (Daniele VII, 10). Gli Angeli non sono tutti uguali, ma differenti per doti naturali (Cfr. S. Thom. q. 50, art. 4) e divisi in varie gerarchie. Perché Iddio li creò? Iddio creò gli Angeli sempre per gli stessi fini della creazione: per la Sua gloria e per il loro e nostro bene. Iddio volle questi esseri buoni, perché lo lodassero e godessero della Sua stessa felicità. Li volle inoltre perché fossero nostri compagni nel pellegrinaggio di questa vita e nostro aiuto per arrivare anche noi a quella felicità che essi godono. Ed ecco che ad ogni anima che crea, Iddio destina un Angelo a custodia: è l’Angelo custode. Ma per non essere troppo lungo vi parlerò di esso domenica prossima. Esempio: S. Pietro in carcere. Erode Agrippa, per far piacere a’ giudei, dopo aver fatto morire S. Giacomo, fece arrestare S. Pietro, con l’intenzione malvagia di preparargli la stessa fine. Ma l’uomo propone e Dio dispone. Nella notte, mentre la porta del carcere era ben custodita e Pietro dormiva tra le guardie, legate a doppia catena, ecco l’Angelo del Signore che lo sveglia, battendogli su di un fianco. - Pietro, levati su, legati i sandali, buttati addosso il pallio e seguimi! E sull’istante caddero le catene dalle sue mani. Passata la prima e la seconda guardia, giunsero alla porta di ferro che metteva in città ed essa si aprì da se medesima. Usciti fuori, andarono innanzi per una via, e l’Angelo sparì. San Pietro allora, rientrato in se stesso, disse: adesso veramente so che il Signore mi ha mandato il suo Angelo, e mi ha tratto dalle mani di Erode. Si portò allora alla casa di Maria, madre di Giovanni, soprannominato Marco, dove stavano congregati molti cristiani e facevano orazione. Picchiò all’uscio del cortile e venne a vedere una fanciulla di nome Rode, la quale, riconosciuta la voce di Pietro, corse a darne avviso all’assemblea. Costoro sapendo che Pietro purtroppo era in carcere, le diedero della pazza, e siccome essa insisteva, dissero: sarà il suo Angelo. Ma Pietro continuava a picchiare, ed aperto che ebbero, rimasero meravigliati. L’Apostolo raccontò loro in qual modo il Signore lo avesse tolto dalla prigione, e disse: fate sapere questo a Giacomo ed ai fratelli: e partitosi, andò altrove. Fatto giorno, Erode furibondo fece ricerche per ritrovare S. Pietro, ma non lo trovò e condannò a morte i custodi. Pietro intanto era passato a Cesarea (Atti degli Apostoli XII, 1-19). Pratica. Ringraziamo Iddio, o giovani, che ha creato questi Spiriti angelici ed ha voluto che sieno nostri amici nella vita per condurci alla gloria! Se in Paradiso si godesse anche solo la compagnia degli Angeli, si dovrebbe non solo non peccare, ma lasciarsi torturare anche tutta la vita, se fosse necessario, per meritarcelo.

Non basterebbe, o giovani, che Iddio avesse tratto dal nulla tutto ciò che esiste, se tutto questo non venisse conservato e protetto dalla Sua Onnipotenza. Dopo che il pittore ha fatto il quadro ed il falegname i panchi, quadro e panchi sussistono da sé, senza che il pittore ed il falegname stiano lì a sorreggerli; ma non così il mondo e le cose create: tutto ricadrebbe nel nulla se non fosse sostenuto dalla stessa potenza che le creò, precisamente come un sasso cade per terra se voi togliete l’appoggio che lo sostiene. Ecco dunque che il Catechismo con verità c’insegna che «Dio ha cura e provvidenza delle cose create e le conserva e dirige tutte al proprio fine, con sapienza, bontà e giustizia infinita». Il Signore, ci dice la S. Scrittura, «dà la vita ed il respiro a tutte le cose» (Atti degli Apost. XVII, 25). Dio ha cura di tutto. Tutte le creature, per quanto piccole e miserabili, sono oggetto della cura paterna di Dio. Ce lo insegna in vari punti la S. Scrittura, lo ripete più volte N. S. Gesù Cristo nel S. Vangelo e lo vediamo di continuo con i nostri occhi medesimi. Che cosa c’è di più dimenticato di un passero de’ nostri tetti o di un fiore della foresta? Eppure il Signore pensa a loro: per l’uno fa crescere il miglio, per l’altro manda l’acqua dal cielo. «Guardate gli uccelli del cielo, dice Gesù nel Vangelo, essi non seminano, non mietono, non raccolgono nei granai, e il Padre vostro celeste li pasce» (S. Matteo VI, 25). Son milioni e milioni questi alati abitatori dell’aria ed a tutti la Provvidenza fa trovare il nutrimento, li copre di piume per ripararli dal freddo e li fa artefici meravigliosi nella fabbricazione de’ loro nidi per la moltiplicazione della specie. «Pensate, dice ancora il Vangelo, come crescono i gigli del campo; essi non lavorano, né filano, eppure io vi dico che neppure Salomone in tutta la sua gloria fu vestito, come uno di essi» (Idem, 28, 29). E se Iddio ha tanta cura degli uccelli e de’ fiori, ossia delle piccole cose dimenticate, perché non volete abbia cura del figlio dell’uomo? Oh, sì, Iddio ci ricorda e ci regge, anzi è per nostro bene che ha cura di tutti gli altri esseri dell’universo! Ve l’ho detto domenica scorsa: Iddio creò il mondo per due fini: per la Sua gloria e per il nostro bene: e per gli stessi fini lo regge e governa. Tutto ciò che succede nel mondo, tutto è previsto dal Signore fin dall’eternità: nulla accade per caso, ma tutta Egli sa, e lo vuole o permette per nostro bene. Tutto è disposto «in misura, numero e peso» (Sapienza XI, 21), dice la S. Scrittura, e Gesù nel Vangelo, per farci conoscere che tutto è regolato da Dio, dice che senza il Suo consenso «non andrà perduto un capello del nostro capo» (S. Luca XXI, 18). Due obbiezioni. Lo so che ci son di quelli, piccoli di testa, i quali pensano che Iddio abbia troppo da fare per attendere anche a’ più piccoli esseri della creazione; e ci son altri, molto superbi, che vorrebbero insegnare all’Onnipotente come si ha da governare il mondo, salvo poi a correre dal medico a farsi insegnare il modo di far passare i dolori di pancia, perché da se stessi non lo sanno fare. Ai primi dovete rispondere che Iddio non è come noi miseri mortali, che dobbiamo affaticare per eseguire un lavoro, e che «tutto il mondo dinanzi a Lui è come... una goccia di rugiada che al mattino cade sulla terra» (Sapienza XI, 23); è la Scrittura che ce lo dice: nessuna fatica dunque costa a Dio per governarlo. E poi Iddio è il Creatore: è forse più facile creare il mondo o governarlo? Colui che ha fatto il quadro saprà anche appenderlo al muro: non vi pare? È una bestemmia contro la bontà e la provvidenza di Dio il dire, o pensare, che Egli non si curi di noi: se non avesse voluto prendersi cura di noi, ci dice Sant’Ambrogio, non ci avrebbe neppure creati. Ai secondi bestemmiatori superbi poi, che vorrebbero insegnare a Dio a governare il mondo, raccontate questo fatto. Un ignorante come una zucca, ma superbo tanto da voler saperne più di Nostro Signore, diceva un giorno: ma come va che Iddio fa nascere le zucche, frutti grossi e pesanti, da una pianta mingherlina e sottile, e fa invece nascere le ghiande, frutti molto piccoli e leggeri, dalle querce che son tra le piante più grosse e robuste? Se c’ero io, diceva, in principio del mondo, avrei suggerito al Creatore che c’era più simmetria a far nascere le zucche dalle querce e le ghiande dalla pianta di zucca. Ma un dopopranzo, sentite che bella! un dopopranzo d’estate s’addormentò nel bosco sotto una grossa quercia, e mentre vi schiacciava un buon sonnellino, una piccola ghianda, mossa dal vento, si staccò dall’alto e venne a cadere sul naso del nostro sapiente. Svegliatosi d’improvviso, corse con la mano al naso, vide la ghianda traditrice e... sorrise; ma poi pensò: e se questa ghianda fosse stata una zucca? Povera testa mia!... Avete fatto bene dunque, disse, o Signore, a mettere le zucche per terra e le ghiande per aria! Conseguenze. Lasciamo dunque alla Provvidenza di Dio la direzione e il governo del mondo, sicuri che tutto andrà bene! Se vediamo talvolta qualche cosa che ci pare un po’ storta, attribuiamo questo errore alla nostra piccola testa che non comprende fin là, e stiamo certi che Colui che ha fatto il mondo dal nulla, saprà anche governarlo come si conviene. Niente è fuori di posto nella creazione, ma tutto è stabilito con una regolarità meravigliosa che mostra appunto la grandezza e la bontà del Creatore che a tutto pensa e provvede. Se ogni 24 ore noi non carichiamo l’orologio, esso si ferma, se non mettiamo legna nel fuoco, esso si spegne; se voi non fate ogni tanto ritoccare la vostra barca, essa si sfascia: così sarebbe del sole, delle stelle, delle stagioni, della vegetazione delle piante e di tutto l’ingranaggio meraviglioso della natura, se una mente intelligentissima e provvida non dirigesse tutto «al proprio fine con sapienza, bontà e giustizia infinita». Esempio: La Piccola Casa. A Torino il B. Cottolengo ha fondato un grandioso istituto, da lui chiamato: la Piccola Casa della Divina Provvidenza, piccola a confronto del mondo intero, dove la Divina Provvidenza manifesta il suo impero. Io ho visitato due anni fa quest’istituto ed ho potuto toccare con mano i miracoli della Provvidenza; ivi si mantengono di cibo, vesti, medicine, medici ecc. settemila infelici, affetti dalle più ributtanti malattie e si mantengono alla giornata, perché il Santo Fondatore non volle rendite di sorta. Un giorno venne a lui la Suora segretaria e disse: Padre, bisogna fare diverse spese e non c’è in cassa che questo marengo! Ed egli, preso quel pezzo d oro, lo buttò fuori dalla finestra. - Adesso, rispose, Iddio è obbligato a provvederci! Alla sera un signore portava una grossa somma di denaro. Quante volte giungeva l’ora del pranzo e non c’era nulla per gli ammalati, ma ecco giungere improvvisamente e pane, e vino, e carne, e ogni ben di Dio! Ed il miracolo di Torino continua anche oggi: la Provvidenza di Dio pensa giorno per giorno a quelle migliaia d’infelici. Pratica. Giovani, ricordate questi fatti quando sentite qualche saputello parlare contro la Provvidenza Divina, oppure quando il demonio vi tenta a dubitare del governo di Dio nel mondo, e tenete a mente che se per caso le querce facessero le zucche, a quel tale avrebbero rotta la zucca davvero, e benedite sempre il Signore!

La parola Creatore, che oggi dobbiamo spiegare, ci farà sostare un poco nelle nostre istruzioni, ma è necessario sviscerarla in tutto il suo significato per apprendere bene quello che essa vuol dire in questo articolo del Credo. Per oggi ci basti intendere bene che cosa vuol dire creare. Creare vuol dire trarre dal nulla. Tante volte voi avete osservato “el Toni pitor” lungo la spiaggia del lago o tra gli ulivi di S. Vigilio, dipingere sulla tela un tramonto infocato o le nostre incantevoli posizioni. Se io vi domando che cosa faceva il pittore, voi rispondete: faceva un quadro! ossia adoperava colori, pennello e tela per ritrarre quella scena che più colpiva la sua fantasia. Così questi panchi, chi li ha fabbricati? Il falegname! Ha preso assi, sega, pialla, martello e chiodi e te li ha messi in opera. Così le reti, almeno le più piccole, con le quali pescate, le avete fatte voi, pescatori: avete preso la forcella ed il filo, ed intrecciandolo, come sapete far voi, ne è uscita la rete. Potete voi dire che “el Toni pitor” ha creato il suo quadro, che il falegname ha creato i panchi, che voi avete creato le reti? No, potete dire che quelle cose furono fatte, cioè che l’artista prese quello che già esisteva, lo mise insieme e ne risultarono i panchi, il quadro, la rete. Perchè questi oggetti si potessero dire creati, bisognerebbe che il pittore avesse fatto il quadro senza pennelli, senza tela e senza colori, che il falegname avesse fatto i panchi senza assi, senza chiodi, senza sega e senza martello, che voi aveste fatto la rete senza filo e senza forcella. È facile dunque intendere che altro è creare ed altro è fare, fabbricare. Iddio solo può trarre dal nulla, quindi Egli solo è il Creatore, noi tutti invece siamo solo dei... fabbricatori. Tutto Iddio trasse dal nulla. Veniamo dunque a noi. Quando il Signore ha creato il mondo, di che cosa si è servito? Di niente, perchè niente esisteva. Per questo si dice non che ha fatto il mondo, ma che l’ha creato, ossia fatto dal nulla: «Ipse dixit et facta sunt» (Salmo 148, 5), ci dice la S. Scrittura, Egli parlò e tutto fu fatto. Quando creò il sole di che cosa si è servito? Di niente! Quando volle che la terra desse piante, erbe ed animali, di che cosa si servì? Di nulla! Bastò un atto della Sua volontà e la terra diede e dà di continuo ciò che Iddio vuole. Pensate quanti milioni di esseri viventi tra animali, uccelli, pesci ed insetti vengono al mondo ogni giorno... E tutto in forza di quel primo atto creativo di Dio! Così pure le stelle, questi mondi da noi tanto lontani, di cui vi ho parlato l’altra domenica: queste moli immense che noi vediamo come piccoli punti nello spazio, vennero creati, e sono prodigiosamente sostenuti e conservati dalla mano di Dio. Tutto, tutto ciò che esiste, sia spirituale che materiale, tutto Iddio trasse dal nulla! La scienza ha fatto e fa ogni giorno dei progressi meravigliosi: abbiamo pitture e sculture che sembrano parlanti; siamo giunti al telegrafo senza fili e all’aeroplano; assistiamo ad operazioni chirurgiche, che fanno meravigliare; abbiamo delle macchine perfettissime in tutte le loro singole parti; ma nessuno è mai giunto, e non giungerà mai, non dice a creare un animale qualunque, ma nemmeno a fare un orecchio ad un asino, o un’ala ad una mosca. Far questo vuol dire creare e l’ uomo non lo può. Ripeto: noi siamo dei bravi fabbricatori e null’altro, Dio solo è il Creatore! Sapete il fatto di quel vecchietto che stava piantando le patate mentre il nipote tornava dagli studi? - Ebbene, disse: che ti hanno insegnato i professori? - Che non ci fu un Creatore, ma tutto venne dal caso! - E son bravi questi professori? - Bravissimi! - Allora prendi questa patata e dici loro che ne facciano una di eguale... Quanto tempo ha impiegato? E quanto tempo impiegò il Signore a creare tutto ciò che esiste? Quando si parla di Dio non si dovrebbe mai parlare di tempo, perchè per Lui non c’è tempo, Egli è l’Eterno. La S. Scrittura però, adattandosi al nostro modo di vedere, parla di sei giorni. «Disputano i dotti se i sei giorni della creazione di cui parla Mosè, siano da intendersi giorni di 24 ore, o intervalli più lunghi di centinaia o migliaia d’anni, ed è libero ciascuno di tenere l’una o l’altra opinione, riposando ambedue sopra verosimile fondamento, né avendo la Chiesa su questo punto definito». Deharbe - Catech. grande - Vol. I, pag. 177. Cfr. Tom. - Summa Theol. P. I, q. 74, a. 2, e S. Agost. - De Civ. Dei, L. 11, c. 7) e dice che nel primo giorno il Signore creò la luce, nel secondo il firmamento, nel terzo separò l’acqua dalla terra e comandò alla terra di germogliare, nel quarto creò il sole, la luna e le stelle, nel quinto i pesci e gli uccelli, nel sesto gli animali terrestri, e infine l’uomo. E perchè Iddio volle creare tutto questo? Per due fini: per la Sua gloria e per il nostro bene. Se a qualcuno poi saltasse il ticchio di voler sapere che cosa faceva il Signore prima della creazione, si potrebbe rispondere, come quel tale di cui parla Sant’Agostino: «ei preparava l’inferno a chi vuol cacciare il naso troppo in su» (S .Agost. - Confessioni - L. XI, c. 12). Come possiamo noi poveri, piccoli omiciattoli, spingerci con la nostra piccola testa tanto in alto ed investigare negli abissi dell’eternità? Conseguenze. Ditemi ora, o giovani: di chi è l’aria, l’acqua, la terra, gli animali, le piante? Di Dio. Di chi è il nostro corpo, l’anima, l’ingegno, la salute? Di Dio. I panchi son proprietà del falegname che li ha fatti, la pittura del pittore, la rete da pesca di chi l’ha fatta, e costoro possono farne quell’uso che vogliono; così noi tutti e le cose nostre siamo proprietà assoluta di Dio ed Egli può far di noi quello che vuole. E come va dunque che tante volte ci ribelliamo al Suo supremo dominio, ci dimentichiamo di essere cosa sua, anzi adoperiamo tutto quello che Egli ci ha dato per offenderlo? Egli ci diede la lingua e tanti l’adoperano per parlar male, per bestemmiare; ci ha dato gli occhi e tanti li adoperano per guardar cose cattive; ci ha dato le mani, i piedi, un cuore, un’intelligenza, un’anima, e da tanti vengono adoperati questi beni per offenderlo. Quanti conti dobbiamo un giorno rendere al Signore, qual castigo ci aspetta se avremo usato male dei nostri sensi, delle nostre facoltà e delle creature che ne circondano, dateci da Dio per usarne a Sua gloria ed a nostro bene! I Santi, che conoscevano le cose meglio di noi, nelle creature lodavano sempre il Creatore ed erano così severi con i sensi del loro corpo da giungere perfino a strapparsi un occhio, a sfregiarsi il viso, a tagliarsi una mano, quando questi sensi erano incorsi in qualche offesa al Signore. Nella vita di S. Antonio da Padova si legge di un figlio snaturato, che in un impeto di collera, diede un calcio al proprio padre, e poi rientrato in se stesso, corse ai piedi di S. Antonio, chiedendo perdono del peccato commesso. - Quella gamba, disse S. Antonio, meriterebbe venisse tagliata! Bastò questo rimprovero perchè quel giovane con un colpo di scure facesse saltare netta la gamba che aveva offeso suo padre. Non vi chiedo questo, o giovani, e neppure lo permetterei; mi basta che non usiate dei beni che Iddio vi ha dato per offenderlo, ma ne usiate per lodarlo e glorificarlo. Esempio: La madre dei Maccabei. Ci narra la S. Scrittura che durante la persecuzione del re Antioco Epifane, vennero straziati con vari tormenti ed uccisi sette fratelli con la loro madre, perchè si erano rifiutati di disubbidire alla legge santa di Dio. Questa madre eroica incoraggiava i figli al martirio; dicendo loro: non sono io che vi ho dato lo spirito e la vita, non sono io che ho radunato gli elementi che compongono il vostro corpo: il Creatore del mondo che formò l’uomo dalla sua nascita e che presiede all’origine d’ogni cosa, vi renderà nella Sua misericordia lo spirito e la vita, purché ora disprezziate voi stessi per sottostare alla Sua legge! E siccome il più piccolo dei figli era tentato da Antioco con promesse di felicità e di denaro, la madre lo incoraggiava ancor di più: figlio, diceva, te ne scongiuro, guarda il cielo e la terra, osserva tutto ciò che contengono, e sappi che Iddio ti ha creato dal nulla... Non temere adunque la morte, ma sii degno dei tuoi fratelli. E tutti ebbero l’onore del martirio (II Maccabei, 7). Pratica. Giovani, il Creatore ci ha tratti dal nulla perchè viviamo per Lui, perchè possiamo un giorno godere della Sua stessa vita: ricordiamolo!

Domenica scorsa, o giovani, abbiamo visto che Iddio può fare tutto quello che vuole perché è l’Onnipotente, ed infine abbiamo appena accennato all’altra risposta del Catechismo «Dio non può fare il male, perché non può volerlo, essendo bontà infinita; ma lo tollera per lasciar libere le creature, sapendo poi ricavare il bene dal male», e ci siamo riservati di parlare oggi di questa verità. Iddio è bontà infinita, l’abbiamo visto altre volte, Egli è infinitamente buono, quindi in Lui è esclusa qualunque sorta di male. Abbiamo visto anche che Iddio è l’Essere perfettissimo, ossia che in Lui vi sono tutte le perfezioni senza limite o difetto alcuno, ma il male è un difetto, quindi in Dio non può mai esserci. Iddio non può né volere, né fare il male, ma solo lo permette, lo tollera, dice la Dottrina, lasciandoci completamente liberi e responsabili dei nostri atti. Eppure, proprio domenica scorsa a dottrina, un vostro compagno mi diceva: noi vediamo nel mondo tanto male! Vediamo malattie, guerre, terremoti, inondazioni; sentiamo bestemmiare, offendere, parlare male; assistiamo a scandali, furti, inganni, ecc. Se tutto questo c’è, vuol dire che Iddio lo vuole, perché, come dice il proverbio: «non cade foglia che Dio non voglia»! Adagio, Biagio! ho risposto. Intanto tu mi sposti la questione e mi consideri il male non in Dio, ma negli uomini, e poi abbracci insieme mali fisici e morali, metti insieme peccati con difetti puramente naturali: ad ogni modo voglio rispondere a questa tua obbiezione prendendo pure la parola male in questo senso generico, e vedrai se Iddio lo vuole veramente. Vedi, continuai, altro è volere una cosa ed altro è permetterla. Supponiamo che tuo padre non voglia che tu vada a cavallo, ma continuandolo tu ad importunare, finalmente ti permetta una prova, sicuro che, dopo qualche ruzzolone, ti passerà la voglia. Puoi tu dire che tuo padre vuole il tuo male, la tua caduta? No, ma egli la permette perché ti passi il ticchio di fare ciò che egli non vuole. Vedi dunque che altro è volere ed altro è permettere! Cosi Iddio, nostro Padre amorosissimo, non vuole il male, ma solo lo permette. E perché? Perché i peccatori si convertano ed i giusti si purifichino. Perché i peccatori si convertano. Un giorno un ragazzo, lavorando nel proprio campo, si punse il piede col rastrello. Avrebbe dovuto correre in farmacia e farsi disinfettare la piccola ferita per togliere anche il pericolo dell’infezione; invece asciugò il sangue col fazzoletto non tanto pulito, e continuò a lavorare. Il giorno dopo tra il pianto e le grida lo si dovette portare all’Ospedale, dove i medici dovettero amputargli il piede per salvargli la vita. Un altro ragazzo, giocando col proprio cane, venne morsicato nel naso. C’era pericolo che il cane fosse rabbioso, e prima di mandare il ragazzo all’Ospedale per la cura Pasteur, il medico gli cauterizzò la ferita, ossia gli applicò un ferro infuocato nel punto ove il cane aveva morso, immaginatevene i dolori: un ferro rovente sul naso! Ora in questi due casi potete voi dire che il medico abbia voluto il male di quei due ragazzi? No, voleva il loro bene, e permise solo quel male passeggero per salvare loro la vita. Così fa Iddio con noi. Egli permette che ci capitino addosso delle disgrazie perché ci ricordiamo che i beni, la sanità, le ricchezze, le membra del corpo, le facoltà dell’anima, tutto è Suo. Egli permette malattie, terremoti, guerre, inondazioni, perché i peccatori si ravvedano e tornino a Lui. «I mali che ci opprimono nel mondo, dice san Gregorio, ci spingono a rivolgerci a Dio». Tante volte questi mali sono conseguenze naturali della vita cattiva dell’uomo, ed il Signore non è certo obbligato a fare un miracolo perché non avvengano. Così chi beve come una botte, chi mangia come un lupo, chi si dà a vizi scandalosi, va incontro certo a malattie orribili e spesso a morti improvvise. Quante volte si è visto un mangione morire d’apoplessia, un ubriacone cadere in un fosso ed affogare, oppure cadere malamente e fracassarsi la testa, un ballerino morire di polmonite! Quanti giovani si rovinano anima e corpo per il vizio disonesto e si procurano per tutta la vita dolori atrocissimi! È forse obbligato il Signore ad impedire questi mali procuratisi dall’uomo stesso? Mai più! Perché il giusto si purifichi. Ma, direte voi, come mai viene tribolata tanta gente che cerca di vivere bene e di non offendere Iddio? Ecco: questo il Signore lo permette perché, chi è buono, lo diventi sempre più e si acquisti dei meriti per il Paradiso. Il dolore e la tribolazione conservano la virtù nel cuore e la perfezionano sempre più: il dolore ci fa salire verso il Cielo. Statemi attenti! Per purificare l’oro e l’argento bisogna metterli sul fuoco; per far morire i microbi, ossia certi animaletti invisibili e dannosi, bisogna bollire l’acqua ad alto grado; per guarire certe malattie ci vogliono dei tagli dolorosi.... Così il Signore permette nei cuori tribolazioni e dolori per provarne la virtù, per purificarli da certi difetti, per guarirli da certi vizietti che apportano sempre del male. Per questo i Santi andavano in cerca delle tribolazioni e, tante volte, le domandavano a Dio. Essi consideravano i dolori di questa vita come benefici del Signore, perché, sopportandoli con pazienza, si acquistavano dei meriti grandi per il Cielo. «O patire, o morire!» diceva santa Teresa; «patire e non morire!» ripeteva santa Maddalena de’ Pazzi; e san Francesco d’Assisi, il santo poeta, esclamava spesso: tanto è il bene che m’aspetto ch’ogni pena mi è diletto! Esempio: Il Venerabile Nunzio Sulprizio. Il santo giovane Nunzio Sulprizio rimase orfano all’età di 14 anni. Ricoverato presso un suo zio, uomo cattivo ed empio, venne tolto dalla scuola e collocato presso un fabbro ferraio. I compagni di bottega si avvidero presto che Nunzio era un angelo di costumi e di bontà, e, per quella cattiva reazione che la virtù suscita nel cuore dell’empio, presero a beffeggiarlo, a motteggiarlo, a metterlo in odio presso lo zio. Un giorno d’inverno, mentre tutto era coperto dalla neve, costui comandò al paziente nipote di portare alcuni ferri, molto pesanti, sulla sommità di un colle. Nunzio ubbidì al duro comando, ma, per lo sforzo subito, tornò con una gamba gonfia, che gli faceva provare spasimi crudeli. Tacque per non irritare lo zio, ma non potendo più reggersi, cadde tramortito. Lo zio gli diede del poltronaccio e gli pestò per rabbia sulla gamba malata. Apertasi così una larga piaga venne ricoverato all’ospedale e, dopo molte peripezie, mosso a compassione il colonnello Felice Wochinger, della Casa Reale di Napoli, lo prese con sé. La piaga intanto si era fatta cancrena, e dalla ferita uscivano le schegge dell’osso corroso, ma Nunzio non si lamentava, anzi, al medico meravigliato per tanta impassibilità nel dolore, diceva: Che è mai questo a confronto di quello che patì N. S. Gesù Cristo? Morì di dolore a 19 anni, martire di pazienza e di purezza. Era l’anno 1836. Pratica. Giovani, nella vita incontrerete dolori e tribolazioni, perché tutti Iddio chiama a portare la propria croce! Siate forti allora, e non lamentatevi mai della mano di Dio che vi prova, ma ricordate sempre che il Signore permette in voi quei dolori per castigo dei vostri peccati, o perché diventiate più buoni! Per la croce si arriva alla gloria!

Il Credo all’oratorio. Dio non può fare il male. Da Fortes in Fide, don A. Bussinello, S.A.T., Vicenza, 1922. SS n° 14, p. 1 - 2

Iddio è onnipotente, ossia può fare tutto quello che vuole: ecco la verità che oggi, o giovani, il Credo ci presenta. Voi ricordate che durante l’ultima guerra, ed anche per qualche anno dopo di essa, il Governo ci obbligava per una data epoca dell’anno a cambiare ora, e ci faceva fare mezzogiorno alle undici, con gran seccatura specialmente di coloro, che più che all’orologio, guardano al sole. Invece di tante confusioni, non era più comodo ordinare che il sole si facesse vedere un’ora prima o che la notte tardasse un’ora a venire? Ma chi lo poteva fare? Oppure quando la grandine, la tempesta viene a distruggere i raccolti de’ campi, non si potrebbe mandarla nel lago? O quando uno è aggravato dal male, invece di morire, non potrebbe continuare ancora la vita? Se lo potesse!... dite voi; e dite bene. Ci son tante cose che noi vogliamo e desideriamo, ma non possiamo né eseguirle, né averle. Per il Signore invece non è così, perché Egli «può tutto quello che vuole: Egli è l’Onnipotente». In principio Iddio volle che le acque si separassero dalla terra, ed ecco formarsi i mari ed apparire il continente; volle che la terra verdeggiasse e fruttificasse, ed ecco erbe, piante, fiori, frutta d’ogni sorta e d’ogni bellezza; volle che l’aria, l’acqua, la terra, fossero popolate d’esseri viventi, ed ecco uccelli, pesci ed animali d’ogni specie; volle infine che una creatura ragionevole comandasse a tutto il creato e con la sua intelligenza ed il suo amore fosse capace di conoscere e di amare il Creatore di tante meraviglie, ed ecco l’uomo, fatto a sua immagine e somiglianza. Non bastava: sulla terra senza l’aria, il sole e la pioggia non potevano vivere né gli uomini, né gli animali, né le piante, ed ecco l’aria, il sole, le piogge e le stagioni che si susseguono dal principio del mondo con la stessa meravigliosa regolarità. Altre meraviglie. Ma Iddio onnipotente prima di queste aveva voluto altre meraviglie. Il nostro mondo è come una gran palla che conta quarantamila chilometri di circonferenza - un po’ più grande dunque di quelle palle che adoperate nel gioco — e per percorrerla tutt’intorno ci vogliono tre mesi di viaggio; il Signore però volle altre migliaia e migliaia di mondi molto più grandi del nostro, lontani da noi miliardi di chilometri, e forse anche abitati da creature che noi non arriviamo a conoscere. Questi mondi sono il sole, la luna e le stelle che noi vediamo risplendere nel cielo. Di questi corpi celesti voglio dirvene qualche cosa nel modo più facile che posso, per farvi pensare un poco all’Onnipotenza di Dio. La luna è il più piccolo de’ mondi, a noi però sembra più grande delle stelle, perché è molto più vicina. Il sole, questo mondo di fuoco intorno al quale girano tanti altri, è lontano da noi circa 150 milioni di chilometri, ed è così grande che, come ricordo mi diceva il mio professore di fisica, se la terra e la luna, pur rimanendo nel posto che sono, si potessero mettere nel sole, avrebbero spazio da ballarvi comodamente. Se una palla di cannone si potesse lanciarla nel sole, conservando la velocità di 700 metri al minuto secondo, impiegherebbe sette anni per giungere al sole. Immaginate dunque che distanze! E le altre stelle? Sono mondi, molti de’ quali ancor più grandi del sole, che a noi però sembrano assai più piccoli, perché molto più distanti. Sapete quante stelle fisse contarono finora gli astronomi, ossia coloro che con potenti cannocchiali studiano queste meraviglie? Ne contarono trenta milioni, intorno alle quali girano tanti altri astri. Ce ne sono però altri milioni e milioni che sfuggono alle indagini degli studiosi. A pensarci bene c’è da perdere il cervello! E tutto questo si fece per un atto della volontà di Dio: Egli lo volle e tutto fu fatto. E tutti questi mondi son là sospesi per aria, tutti si muovono l’uno intorno all’altro, senza mai toccarsi, una legge meravigliosamente precisa li regge; basterebbe un piccolo urto per mandare alla rovina de’ mondi interi, ma l’Onnipotenza di Dio a tutto provvede. Un po’ di riflessione. Pensiamo ora un poco: che cos’è il nostro mondo, la terra su cui noi abitiamo, a confronto di tante meraviglie? Che cos’è l’Europa, l’America, tutta l’Italia, il nostro paese? Che cosa siamo noi poveri omiciattoli? Eppure la nostra superbia dubita o s’innalza contro l’Onnipotenza di Dio, la nostra piccola testa pensa tante volte: ma come può succedere questo? Come Iddio può fare quest’altro? Alcuni anni fa, nel livellare il terreno dove ora s’innalza questo nostro Oratorio, vennero scoperte delle ossa umane, che si portarono al Camposanto. In quella circostanza ricordo che un operaio mi chiese come avrebbe fatto Iddio a risuscitarci tutti col nostro corpo alla fine del mondo, mentre ci son tanti che hanno un po’ d’ossa da una parte e un po’ dall’altra. - Anzi, risposi, non vi saranno più ossa, ma solo un po’ di polvere! Dimmi però: che cosa eri tu prima di nascere? - Nulla! - Ebbene sta certo che quel Dio che ti creò dal nulla, saprà anche rifare il tuo corpo da un po’ di polvere. Se avessi studiato un po’ il Catechismo avresti imparato che Iddio è onnipotente, quindi può fare tutto quello che vuole: «perché tutto è possibile presso Dio» (San Marco X,27): per Lui il volere è potere. Il male. Quindi può fare anche il male? No, dice il Catechismo, «perché non può volerlo essendo bontà infinita». Ma di questo un’altra volta, perché i minuti fissati volano. Ancora solo un fatto. Esempio: Il figlio di Filippo II. Filippo II, re di Spagna, condusse un giorno un suo figlioletto ad una partita di caccia, ma mentre la partita diveniva interessante ed il fanciullo cominciava a prender gusto a quel divertimento, ecco un furioso temporale che viene a rovinare ogni cosa. Il fanciullo, che tante volte aveva sentito dalla gente di corte esaltare la potenza del padre suo e l’aveva sentito decantare come il più potente re della terra, al quale nulla avrebbe mai potuto resistere, con tutta ingenuità, rivolto a suo padre, il quale pensieroso stava guardando le nubi che minacciose si accavallavano: senti, papà, gli disse; tu che sei così potente, comanda al temporale che se ne vada, perché si possa continuare la caccia. Bimbo mio, rispose il padre sorridendo, non c’è re della terra che possa comandare lassù: là c’è un Re ben superiore a noi, Egli solo può comandare alle nubi e al temporale, perché Dio solo è onnipotente. Egli tiene un potere infinitamente superiore a quello de’ più potenti re della terra; tutto quello che abbiamo è Suo dono e di tutto dovremo un giorno rendergli stretto conto. Figlio mio, dobbiamo umilmente inginocchiarci dinanzi a questo Re che ha per trono il Cielo e per sgabello la terra! Anche l’imperatore Napoleone il Grande, abbattuto nella sua potenza quando ormai credeva tenere in sua mano l’Europa intera, e relegato a Sant’Elena, andava dicendo agli amici: io ho suscitato l’entusiasmo della moltitudine che moriva per me, ma era necessaria la mia presenza, l’elettricità del mio sguardo, il mio accento, la mia parola... Ora che son solo a Sant’Elena, inchiodato su questa roccia, dov’è la mia potenza? Chi mi ricorda neanche più in Europa? Qual differenza tra la mia profonda miseria ed il Regno di Dio! Pratica. Uno dei più grandi astronomi, il Newton, dopo aver descritto il sistema solare, esclamò: questo non può essere che l’opera di un Dio Onnipotente e Onnisciente! E Andrea Ampère, il celebre fisico, rapito da tante meraviglie, durante i suoi studi, ripeteva spesso: come è grande Iddio! come è grande Iddio! Tremiamo, o giovani, davanti all’Onnipotenza del Signore e prostriamoci nella nullità del nostro essere!

Il Credo all’oratorio. Dio può far tutto. Da Fortes in Fide, don A. Bussinello, S.A.T., Vicenza, 1922. SS n° 13, p. 1 - 2

Sono parecchie feste, o giovani, che abbiamo incominciato la spiegazione del Credo e siamo ancora alle prime parole; d’ora innanzi però accelereremo un poco, senza fermarci su tanti particolari. Godo di dirvi che sono contento, perché tanti di voi stanno molto attenti ed imparano; me ne sono accorto nel chiedervi al dopo pranzo, durante la Dottrina, la ripetizione di quanto dico all’Oratorio. Così va bene, state sempre attenti e potrete molto imparare. Abbiamo visto finora la spiegazione delle parole Credo in Dio, vedremo oggi che significa la parola Padre. Padre. Nell’insegnarvi il Mistero della SS. Trinità vi ho detto che la prima Persona è il Padre: è Padre per natura di N. S. Gesù Cristo, ed è Padre di noi per creazione e per adozione. Che vuol dire? Statemi attenti! Per natura. Iddio è Padre per natura di N. S. Gesù Cristo, perché da tutta l’eternità lo ha generato. Come il Verbo Eterno, ossia N. S. Gesù Cristo, proceda dal Padre, non lo potremo mai capire, perché è avvolto nel sublime mistero che supera la nostra povera intelligenza. Adoriamo e crediamo! Per creazione. È più facile invece capire come Iddio sia Padre a tutti noi per creazione. Se Gesù, il Salvatore Divino, non ci avesse insegnato nel «Pater Noster» a chiamare Iddio col nome di Padre, nessuno certo avrebbe mai osato chiamarLo con tal nome di affetto. Questo dolce nome di Padre è parola che ci riempie di consolazione al solo pronunciarla, parola che ci fa innalzare la fronte e mirare le serene bellezze del Cielo, donde un Padre ci guarda e dove ci aspetta. «Padre nostro che sei nei cieli». Iddio ci è Padre perché ci ha creati a Sua immagine e somiglianza e provvede di continuo alla nostra esistenza, ed è Padre di tutto il creato perché fu Egli che tutto trasse dal nulla. La parola Padre dice bontà ed amore verso i figli. E noi, creature intelligenti, elevate sopra tutti gli esseri dell’universo, siamo in modo speciale oggetto della sollecitudine paterna di Dio. È facile comprenderlo. Noi per vivere abbiamo bisogno di cibo, di acqua, di luce, di aria, di vesti... ed il Padre celeste a tutto ha provveduto. La terra e gli animali ci danno il cibo e le vesti, il sole ci dà luce e calore, le fonti ci danno l’acqua per dissetarci, i monti ci danno sassi e metalli per fabbricarci le case e gli utensili necessari alla vita, le foreste danno ogni sorta di legname... Certo che Iddio è Padre buono, ma anche saggio e prudente, e se ci dà gratuitamente aria, luce ed acqua, perché da noi soli non potremmo mai procurarci tali cose, non ci dà però il cibo e le vesti senza la nostra cooperazione. «Aiutati che Iddio t’aiuta», dice il proverbio: ossia il Signore vuole che corrispondiamo al Suo aiuto, facendo quanto è possibile da parte nostra. Così Egli fa fruttificare la terra, ma vuole che noi la lavoriamo; fa crescere la lana alle pecore, le pelli agli animali, i tessuti alle piante, fa che il baco ci dia la seta, ma vuole che noi facciamo in modo da trarre il cuoio per le scarpe, i tessuti per le vesti; ci dà il legno, il ferro, l’argento, l’oro, ma vuole che da noi ce ne facciamo gli strumenti necessari al lavoro ed alla vita. Se la terra desse i frutti senza lavorarla, se le nostre case, le vesti, i diversi arnesi si facessero da se stessi, senza contadini, muratori, sarti, fabbri, falegnami, ecc., l’uomo cadrebbe nella barbarie, diventerebbe simile ai selvaggi dell’Africa, perché è il lavoro che lo nobilita e lo salva. Per adozione. È pur facile intendere come Iddio sia nostro Padre per adozione. Queste parole vogliono dire che, per i meriti di N. S. Gesù Cristo, il Signore ci tiene tutti per figli e ci ha fatti eredi del Suo Regno. Bisogna però che questa eredità eterna ce la meritiamo, tenendo una condotta di vita da veri figli buoni ed affettuosi. Ed invece? Quante volte noi ingrati perdiamo questa eredità del Paradiso, macchiando l’anima nostra col peccato ed offendendo questo Padre così buono, il quale, senza alcun nostro merito, dopo averci creati, ci ha adottati per figli, perché un giorno fossimo con Lui eternamente felici. Da ciò pensate, o giovani, ve lo accenno così di passaggio, quanto gran male e qual somma ingratitudine sia la bestemmia, questo linguaggio del demonio che offende direttamente e villanamente un Padre così buono che pensa di continuo a noi e che ci ha preparata e promessa un’eredità senza fine. Anche questo solo pensiero dovrebbe trattenerci sempre dalla bestemmia che ci degrada fino al livello del diavolo e ci fa suoi prossimi parenti nell’ingratitudine verso il Padre celeste. Esempio: Il figliuol prodigo. La bontà di Dio, nostro Padre affettuoso, ci è manifestata dallo stesso suo Figliuolo naturale, N. S. Gesù Cristo, nella commovente parabola del figliuol prodigo ch’Egli stesso ci racconta nel Vangelo. Vi fu dunque un padre molto ricco che ebbe due figli: l’uno buono e morigerato, l’altro cattivo e superbo. Questa secondo figlio, giunto all’età maggiore, stanco di stare nella casa paterna, domandò al vecchio padre la propria parte di eredità per passarsela allegramente con gli amici in paesi lontani. Immaginate quanto fece il povero vecchio perché il figlio non partisse; gli mostrò tutti i pericoli a cui andava incontro, gli ricordò quanto l’aveva sempre amato e come nulla gli mancasse nella casa paterna, ma tutto inutile, il figlio snaturato volle partire. In poco tempo però buttò in vizi e bagordi quanto aveva, e rimase sul lastrico. Gli amici che fino allora avevano mangiato alle sue spalle, come sempre succede, lo abbandonarono, e il giovane disgraziato, tanto largo con tutti, non trovava chi gli desse un tozzo di pane. Di lavorare non era capace, a chiedere l’elemosina aveva vergogna, sicché fu costretto ad offrire i suoi servigi ad un signore avaro, che lo mise a guardia di una mandria di porci. Ma la paga era misera, il cibo era scarso, ed il giovane disgraziato, spinto dalla farne, doveva tante volte saziarsi delle ghiande che mangiavano quegli immondi animali. E là, seduto su di un sasso, nelle lunghe ore di guardia, sotto i latrati della fame, pensava a casa sua, a suo padre che aveva lasciato in quel modo, pensava che là i cani stessi erano trattati meglio di lui, e... andrò, disse a se stesso, tornerò da mio padre! Ma... e se non vuole ricevermi?... Gli dirò che ho sbagliato, che ho peccato contro il Cielo e contro di lui, lo pregherò a tenermi non come figlio, ma come servo. Ma il vecchio padre appena scorse suo figlio così lacero e dimagrito, gli si gettò al collo, lo coprì di baci, lo vestì di nuovo, e imbandì un convitto d’allegria (San Luca XV,11-24). Nella persona di questo buon vecchio, Gesù Redentore raffigurava la bontà del Padre nostro che sta nei Cieli, che sente di amare anche chi si è da Lui brutalmente allontanato, pronto sempre ad accoglierlo con dolcezza e con bontà di Padre. Pratica. Giovani, ricordiamo sempre che Iddio è nostro Padre che tanto ci ama, e ricambiamoLo d’intenso affetto!

Il Credo all’oratorio. Il Padre. Da Fortes in Fide, don A. Bussinello, S.A.T., Vicenza, 1922. SS n° 12, p. 1 - 2

Credo opportuno, o giovani, farvi un’istruzione apposita sul segno della Santa Croce, su quel segno augusto e santo che così bene ci ricorda l’Unità e Trinità di Dio, e che purtroppo è cambiato da tanti in un... cacciamosche qualunque. Sapete che il segno di Croce si fa portando la mano destra alla fronte, al petto ed alle spalle, dicendo intanto le parole: nel Nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo. Ed ecco tutto intero il Mistero dell’Unità e Trinità di Dio: l’Unità di Dio, perché diciamo nel Nome e non nei Nomi; la Trinità delle Persone divine, che nominiamo espressamente: Padre, Figliuolo e Spirito Santo. San Francesco di Sales, il buon Santo, nel suo «Stendardo della Croce» ci dà una commovente spiegazione di questo segno applicandola alla SS. Trinità. Egli dice: «nel segno della Croce portiamo la mano alla testa dicendo: nel Nome del Padre, per dinotare che il Padre è la prima Persona della SS. Trinità e che non procede da alcuno. Poi portiamo la mano al petto dicendo: del Figliuolo, per dinotare che il Figliuolo procede dal Padre e che scese tra noi, facendosi Uomo, per salvarci. Poi si passa alla spalla sinistra e subito alla destra, quasi legando le due aste della Croce, dicendo intanto: e dello Spirito Santo, per dinotare che lo Spirito Santo, terza Persona della SS. Trinità, procede dal Padre e dal Figliuolo ed è legame di amore e di carità». La forma poi della Croce ci parla del secondo mistero principale di nostra santa fede: l’incarnazione, Passione e Morte di N. S. Gesù Cristo. Ma di questo a suo tempo. Farlo bene. Bernardetta Soubirous, la privilegiata fanciulla alla quale a Lourdes apparve la Vergine SS., aveva appreso dalla Vergine stessa a far bene il segno di Croce. L’11 febbraio 1858, la prima volta che le apparve la Madonna, Bernardetta prese di tasca la corona, tentò fare il segno di Croce, ma non le riuscì. La Vergine stessa allora la invitò a segnarsi e fece essa medesima un bel segno di Croce. Chiesi un giorno a Bernardina, dice lo storico Carrère, come faceva la Madonna a segnarsi, e la giovanotta si raddrizzò nella persona, prese un aspetto dolcemente maestoso e guardando al di sopra delle nostre teste, come in un lontano misterioso orizzonte, fece quell’ammirabile segno di Croce che impressionava tutti vivamente. E noi facciamo cosi il segno di Croce? Purtroppo pare che tanti facciano apposta a farlo male. Alcuni non fanno bene la Croce, ma fanno quel segno che si usa di solito quando si vuol dare ad uno del matto; altri non toccano la fronte, il petto e le spalle; altri saltano o rompono le parole dicendo: Patri, Filio, Spirito Santo, ame; mentre si deve dire: in Nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti, amen; oppure: nel Nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo; così sia. Ho notato anzi che se lo si dice in italiano, generalmente si dicono le parole nel Nome, se invece lo si dice in latino, quasi tutti saltano le parole: in Nomine. A voi forse parrà questa cosa da nulla, ed invece non pronunciando quelle parole: in Nomine, si tace l’Unità di Dio e si professa la Trinità in modo certo non buono, mentre col segno della Croce si deve professare e Unità e Trinità. Altri ancora fanno il segno della Croce, ma non dicono niente. Mal fatto! Perché ci sia il vero segno del cristiano devono esserci segno e parole insieme. Altri finalmente, e costoro costituiscono la gran maggioranza, non pensano a quello che dicono, facendo il segno di Croce con la massima sbadataggine. è possibile che il Signore voglia accettare e benedire questi segni che non vogliono dir niente, anzi che sono tante volte una profanazione di questo segno sacrosanto? Quanti anni di Purgatorio ci guadagniamo, o giovani, e quante grazie del Signore perdiamo per non far bene il segno di Croce! Quando il segno di Croce è fatto bene serve a ravvivare la fede, a vincere le tentazioni, a mettere in fuga il demonio, ad ottenere le grazie di Dio. Nella vita di san Giovanni Evangelista si legge che un ebreo si convertì per un miracolo avvenuto ad un segno di Croce, fatto da un cristiano. San Girolamo e sant’Antonio Abate vinsero con questo segno orribili tentazioni. Santa Teresa ed il Beato Curato d’Ars col segno di Croce mettevano in fuga il demonio che loro appariva di spesso. San Benedetto facendo, com’era solito, un segno di Croce sul cibo prima di porsi a mangiare, vide spezzarsi il bicchiere dove alcuni scellerati avevano col vino mescolato il veleno, perché il Santo morisse. Sono innumerevoli poi i miracoli avvenuti ad un semplice segno di Croce. Quando si deve fare? La Dottrina Cristiana c’insegna a fare questo segno al mattino, levandoci dal letto e la sera prima di andare a dormire, prima e dopo il cibo, prima e dopo il lavoro, nell’entrare e nell’uscire di Chiesa, e specialmente prima e dopo la preghiera. Di solito noi facciamo sempre il segno di Croce al mattino ed alla sera, così pure quando entriamo ed usciamo di Chiesa e quando diciamo le orazioni; mentre con tutta facilità lo omettiamo in tutte le altre azioni. Invece è così bello incominciare e finire il lavoro col segno del cristiano, pregando Iddio a voler benedirci e ringraziandolo poi del lavoro compiuto. Così abituiamoci a farlo prima e dopo il cibo, prima e dopo lo studio, prima e dopo le principali azioni; è una cristiana abitudine che ci apporterà certo del bene. Se il segno della S. Croce lo facciamo con l’acqua benedetta, acquistiamo 100 giorni d’indulgenza, se lo facciamo senza acqua benedetta, ne acquistiamo 50. Vedete dunque, o giovani, quanti vantaggi apporta il segno di Croce fatto bene! Facciamolo quindi sempre adagio, toccando bene il viso, il petto e le spalle, dicendo chiaro tutte le parole e pensando a quello che significa questo santo segno! Esempio: Salvo! Tra gli anni 1860 e 1865, nella guerra di Secessione degli Stati Uniti, le due armate combattenti erano guidate da generali cattolici che si facevano un vanto della loro fede. Nel giorno della battaglia di Bulls-Run il generale Smith arrivò troppo tardi per sapere la parola d’ordine, o, come si diceva allora, il segno di passo, e comunicarla alle truppe. Voi più grandi, che avete fatto il soldato, sapete che senza parola d’ordine la sentinella non può lasciar passare alcuno, ma deve far fuoco su chi tenta inoltrarsi senza aver risposto all’intimazione di dire la parola d’ordine. Per questo il generale Smith, che doveva raggiungere la divisione del generale Beauregard, non volle esporre i suoi soldati al fuoco dei loro stessi commilitoni, e chiese se tra i suoi uomini ci fosse uno pronto alla morte. Si presentò un fantaccino. - Ma lo sai? disse il generale, tu resterai ucciso! - Non importa, mio generale! rispose il soldato. Smith allora scrisse su di un biglietto: mandatemi la parola d’ordine! e lo pose in tasca al soldato, certo che, una volta ucciso, gli avrebbero frugato in tasca e trovato il biglietto. Il soldato si presentò agli avamposti. - Chi va là? - Amici! - La parola d’ordine! - L’altro tacque è andò avanti, ma tre moschetti gli si puntarono contro. Volendo morire da cristiano, il fantaccino fece un bel segno di Croce, e subito i tre moschetti si alzarono. Come mai? Il segno di Croce era appunto la parola d’ordine che il buon generale Beauregard quel giorno aveva dato ai suoi soldati. Così il fantaccino ebbe salva la vita. Pratica. Giovani, facciamo sempre bene il segno di Croce: esso ci preserverà da tanti pericoli del corpo e dell’anima!

Il Credo all’oratorio. Il segno della Croce. Da Fortes in Fide, don A. Bussinello, S.A.T., Vicenza, 1922. SS n° 11, p. 1 - 2

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