Non a caso si è detto, poco sopra, che la Bibbia è la lettera di Dio all’uomo. È una comparazione frequente presso i Padri, e in seguito divenuta classica; ed essendo anche assai opportuna al nostro scopo pratico, noi ce ne serviremo, applicando a questa lettera divina gli insegnamenti ricavati dalle vicende della lettera ad Anthropos. La meta è dunque l’intendere questa lettera venuta da Dio. Quali sono le strade per raggiungere tale meta? In un primo luogo è necessario avere il testo genuino della lettera, evidentemente. Se voi mi mettete in mano una lettera scritta falsamente a nome di Dio, è chiaro che non ho il testo che cerco: ma questo caso, di falsità integrale, non ci riguarda, perché è unicamente il Magistero autentico della Chiesa quello che può distinguere uno scritto ispirato da Dio da uno dei cosiddetti scritti «apocrifi». (I protestanti ortodossi penseranno per loro conto a fissare in tale questione un surrogato al Magistero autentico della Chiesa: finora, pare, non l’hanno trovato, almeno quei pochi che ancora ritengono ispirata la Bibbia). Ma anche questa prima cernita di libri interi non basta, giacche si potrebbe dare il caso che io avessi in mano un libro, ispirato sì da Dio, ma in un testo alterato, sia per mutilazioni, sia per aggiunte, sia per guasti involontarii di vario genere. Gli studii critici infatti dimostrano che, quanto avvenne al testo della lettera ad Anthropos, è in qualche misura avvenuto anche a quello della Bibbia: Dio ha permesso che la sua lettera subisse alterazioni, volontarie e involontarie, da parte degli uomini; sebbene poi gli stessi studii dimostrino che, pur attraverso tutte queste alterazioni, la sostanza complessiva del testo biblico non solo si è conservata immutata, ma è anche garantita da un numero tale di testimonianze, che è di gran lunga superiore a quelle di qualunque altro capolavoro letterario dell’ antichità. Come la lettera ad Anthropos ricevette alterazioni sia nelle copie italiane, sia nelle varie traduzioni: così la Bibbia ha ricevuto alterazioni sia nei testi originali (ebraico, aramaico, greco), sia nelle sue numerose traduzioni antiche. Per quali cause avvennero queste alterazioni, quante siano, di quali specie, come si rintraccino, come si possano eliminare, sono tutte questioni discusse e più o meno risolte dagli studii di critica testuale, ai quali perciò rimandiamo. Qui basti ricordare che, come per la lettera ad Anthropos il suo testo genuino non era né la sua sola copia italiana macchiata dalla pioggia o lacerata dai topi, né la sua sola traduzione russa, né quella araba ecc., bensì con minime incertezze l’insieme di questi testi criticamente stabilito nell’edizione del professor Deutschmann: così il testo genuino della Bibbia non è soltanto il suo testo ebraico-masoretico, né soltanto la sua traduzione greca, né quella siriaca, né quella latina ecc., bensì l’insieme di questi testi criticamente stabilito. Limitandoci infatti ai soli testi usati da chiese cristiane fin dai tempi antichi, può darsi il caso in cui tre cristiani cattolici di tre riti differenti, leggendo lo stesso passo nelle tre rispettive Bibbie, vi trovino tre proposizioni una differente dall’ altra; ad es. il passo di I Corinti 15,51 sarà letto da un cattolico greco, tutti certo non ci addormenteremo, ma tutti ci muteremo; da un cattolico latino, tutti certo risorgeremo, ma non tutti ci muteremo; da un cattolico abissino, tutti noi moriremo, ma non tutti noi ci muteremo. Altre volte un cattolico di un dato rito troverà nella sua Bibbia dei passi, che un cattolico di un altro rito non troverà nella sua: ad es. un latino troverà in I Giovanni 5,7 il celebre comma, poiché tre sono che danno testimonianza in cielo, il Padre, il Verbo, e lo Spinto Santo, e questi tre sono uno; mentre un cattolico greco cercherà accuratamente questo comma, ma non ve lo troverà. E allora? Qual è il genuino testo della «lettera di Dio» nel passo di I Corinti 15,51, quello del cattolico greco, o quello del latino, o quello dell’abissino? E in 1 Giovanni 5,7 il testo genuino contiene, o no, il passo offerto dalla Bibbia del cattolico latino e mancante in quella del greco? Ecco, quindi, che non basta il fatto che un dato passo si ritrovi in questa o quella copia o traduzione o edizione, anche cattolica, della Bibbia, per dire che esso appartiene al testo genuino della «lettera di Dio»; si può dare infatti il caso che un altro cattolico, mostrando la sua egualmente cattolica Bibbia, risponda: Non è vero; il mio testo genuino dice in tutt’altra maniera, - oppure: Non dice niente di tutto ciò. Ma, più che la mancanza assoluta di un dato passo, qui c’interessano le divergenze fra passi corrispondenti in Bibbie diverse, giacché sono i casi più frequenti e più pratici. È, più o meno, il fenomeno testé visto in I Cor. 15,51: un testo dice bianco, un altro dice nero, un terzo dice rosso. Altre volte poi un testo ha un senso sibillino, non dice in sostanza né bianco né nero né rosso; al contrario lo stesso passo, in un’altra copia o traduzione, ha un senso chiaro e spontaneo, e dice nettamente bianco o nero o rosso. La spiegazione generica è semplice: quasi sempre, specialmente nel secondo caso, il genuino testo primitivo ha subito delle alterazioni da parte o di ricopiatori o di traduttori. Quello che è avvenuto alle copie e traduzioni della lettera ad Anthropos, san Girolamo lo deplorava già largamente avvenuto alle copie e traduzioni della Bibbia. I testi originali della Bibbia non erano compresi in moltissime cristianità che parlavano altre lingue; si fecero perciò ben presto delle traduzioni, che ebbero praticamente valore ufficiale: ma, a parte il fatto che tali traduzioni contenevano imperfezioni, molti privati - come riferisce espressa- mente anche sant’Agostino - si prendevano la libertà di introdurvi modificazioni, ritocchi, accomodamenti di vario genere, che volevano essere correzioni, mentre troppo spesso erano corruzioni. Si aggiungano i guasti involontarii, introdotti anche più abbondantemente dai copisti. Gli amanuensi che ricopiavano la Bibbia erano spesso dei mestieranti, che lavoravano a un tanto la pagina; e troppo di frequente - come dice san Girolamo - «sbadigliavano»; ma, anche quando erano lavoratori devoti ed accurati, cadevano ancora in quelle sviste che erano e sono inevitabili in tal genere di lavoro ...

«EPISTOLA DEI», parte 1. Da Bibbia e non Bibbia, ab. G. Ricciotti, Morcelliana, Brescia, 1935. SS n° 8, p. 5