Gli errori quindi si accumulavano man mano nel testo: se erano, come il più delle volte, leggerissimi, non ne intaccavano il senso; ma se erano d’una certa gravità, facevano sì che, in quel passo erroneo, la «lettera di Dio» non fosse più tale, ma diventasse lo sgorbio di un amanuense che sbadigliava. Ciò è evidente: come è evidente (ed è un caso storico) che non era più una domanda di grazia sovrana quella indirizzata al re da un avvocato, almeno in quel punto ove egli diceva di rivolgersi, in favore del suo cliente, alla demenza sovrana; era invece, là, lo sgorbio della sua dattilografa, che aveva letto male la minuta consegnatale dall’avvocato, ov’era scritto alla clemenza sovrana. In conclusione, bisognerà sempre aver presente il gran principio critico, che è anche un principio di giustizia distributiva, di dare a ciascuno il suo, unicuique suum; ciò che è di Dio, a Dio; ciò che è dell’uomo, all’uomo, sia costui un eretico che altera tendenziosamente la «lettera di Dio», sia un pio lettore che la ritocca per falsa pietà, sia un amanuense che la guasta sotto il torpore di sonnolenti sbadigli. Conosciamo benissimo la vecchia obiezione. Ci si dirà: Per il cattolico di rito latino il testo genuino della Bibbia è la Vulgata latina, dichiarata autentica dal concilio di Trento; egli quindi potrà, e forse anche dovrà, fare a meno di ogni altro testo biblico. - La risposta è facile: quale sia la vera portata dell’ invocato decreto del Tridentino, è stato nettamente delineato dai teologi più moderni e più sicuri; a noi basterà rimandare in proposito a una pubblicazione che va per le mani di tutti e che, se non ha valore ufficiale, ne ha uno ufficioso, insieme con sovrabbondanti garanzie di ortodossia, cioè al testo per seminarii pubblicato dal Pontificio Istituto Biblico, De textu S. Scripturarum auctore P. A. Vaccari S. ]., Romæ 1926, p. 222 ss.; da esso risulta che il decreto del Tridentino non proibisce lo studioso dal ricorrere ad altri documenti antichi, fuori della Vulgata, per stabilire il testo genuino della Bibbia. - Ma a chi ricorresse, ancora oggi, a quella obiezione si può rispondere anche invitandolo ad un esame di coscienza. È inesorabilmente passato il tempo in cui poteva venire in mente a qualche teologo, digiuno naturalmente di studi storico-critici, che la Vulgata fosse testo autentico etiam quoad omnes litteras et apices, anzi che fosse addirittura ispirata, in quanto versione latina, dallo Spirito Santo. Questo tempo è passato: e oggi unanimemente si interpreta il decreto del Tridentino come limitato ai passi della Bibbia toccanti la fede e i costumi, e come riferito alla Vulgata in confronto con altre traduzioni latine, non con i testi originali (ebraici, aramaici e greci), né con antiche traduzioni orientali. Chi, dunque, può ancora, invocare quel decreto? Guardiamoci bene negli occhi, egregio contradittore, e parliamoci con sincerità. È proprio lo zelo per l’ortodossia e per la disciplina che vi spinge ad invocare quel decreto, o non piuttosto il desiderio di trovare una giustificazione alla vostra imperizia? Credete voi che un decreto d’un concilio ecumenico possa autorizzare la vostra ignoranza, e sanzionare la vostra incompetenza? Se voi non siete in grado di fare quanto è necessario per stabilire il genuino testo della Bibbia, che volete citare anche fuori di passi toccanti la fede e i costumi, fareste molto meglio a non citarla, per non far passare per parola di Dio ciò che non è punto tale. Credete voi che le scienze teologiche non progrediscano e non si perfezionino? Se volete convincervene, e se siete buon cattolico, ispiratevi, oltreché ai decreti della Chiesa interpretati legittimamente e non violentemente, anche alla pratica ufficiale ed ufficiosa della Chiesa stessa. Quando voi dite «Vulgata latina», di quale sua edizione intendete parlare? Certamente di quella pubblicata, per corrispondere al desiderio del concilio di Trento, da Sisto V (1590) e poi nuovamente con mutazioni da Clemente VIII (1592) e da quel tempo diffusa ovunque a centinaia di edizioni. Ebbene, sappiate che la Chiesa stessa ha confermato col suo giudizio ciò che i dotti ammettevano da lungo tempo, cioè che quella edizione contiene mende ed imperfezioni: per toglier le quali ha costituito, già dal 1907, la «Commissione per la revisione della Vulgata» che sta assiduamente lavorando nell’immane fatica con benedettina pazienza, ed ha già prodotto i primi frutti. Ad ogni modo ciò riguarda soltanto il testo latino della Vulgata, che è uno solo dei mezzi critici con cui si può ricostruire il genuino testo primitivo della «lettera di Dio». Guardate perciò quel che stanno facendo, per ottenere questa ricostruzione, i migliori e più sicuri studiosi del campo cattolico. Limitatevi pure ai rappresentanti di due scuole, diverse sì, ma tanto competenti quanto ortodosse, e che sono in qualche modo l’espressione ufficiosa della pratica della Chiesa. Se voi scorrete la rivista Biblica, del Pontificio Istituto Biblico di Roma, troverete quasi in ogni annata delle lunghe Notes philologiques, che, ripudiando un testo, sostituendone un altro, migliorandone un terzo, ecc., tendono appunto a stabilire il testo genuino, correggendo i testi correnti nelle varie copie o traduzioni antiche. Lo stesso fanno gli scrittori della Revue biblique e della dipendente serie delle études bibliques: anche qui, nei vari articoli e studii, si cerca in primo luogo di stabilire con ogni serio e prudente mezzo critico il testo genuino della «lettera di Dio». A sentir voi, dunque, sarebbero tutto tempo perso queste ardue e delicate ricerche, dal momento che c’è la Vulgata latina con la relativa dichiarazione del concilio di Trento! Ma vi dirò di più, anche a costo di scandalizzare la vostra pusillanime imperizia (spesso è salutare lo scandalum pusillorum): anche in passi toccanti la fede e i costumi vi sarà lecito - non dico rigettare la Vulgata latina, perché ciò sarebbe in diretta opposizione col decreto conciliare — bensì integrare, schiarire e confermare il testo di essa, adducendo o il relativo testo originale o quello di altre traduzioni antiche. ...

ATTENZIONE: L’Autore - Abate Giuseppe Ricciotti - non sta affatto incentivando il metodo storico-critico tipico dei modernisti. Tutto sarà chiarissimo leggendo, settimana dopo settimana, le pagine del suo libro, qui riportate per episodi. Abbiamo ritenuto opportuno precisarlo! (ndR)

«EPISTOLA DEI», parte 2. Da Bibbia e non Bibbia, ab. G. Ricciotti, Morcelliana, Brescia, 1935. SS n° 9, p. 5