Bibbia e non Bibbia, ab. G. Ricciotti, Morcelliana, Brescia, 1935. AIT DOMINUS?, parte 5. Eliminiamone allora un altro. La Vulgata ha il passo: Heu mihi, quia incolatus meus prolongatus est (Salmo 119 [ebr. 120], 5). Quel prolongatus est è una traduzione sbagliata. Il testo ebraico dice: Aimè! son peregrino in Meshek, dimoro fra gli attendamenti di Qedar! Ed è un testo correttissimo; al salmista infatti, attorniato da ostili rivali, sembra di stare fra tribù selvagge: tali erano Meshek (il prolongatus est della Vulgata), che è il popolo dei Moschi abitante nel Caucaso, e Qedar, la tribù araba dei Cedareni. Mi si dice che il passo, heu mihi... prolongatus est, viene applicato non di rado alle anime del purgatorio. Una «accomodazione»; ma di che cosa? Non certo della «lettera di Dio », ma di uno sbaglio dell’uomo. Eliminiamone ancora un altro. Quando si vuole esprimere l’idea che, pur aumentando il numero delle persone, spesso non si accresce la potenza di una data collettività, si cita talvolta il passo, Multiplicasti gentem, et non magnificasti lætitiam (Isaia 9, 3 [2]); lo citava in tal senso, poco tempo fa, anche un senatore italiano in un suo scritto. Le tre parole gentem et non sono uno sbaglio, e non della sola Vulgata, ma anche del testo ebraico; è anzi uno sbaglio assai antico, come risulta dalla variante del «qerē» e dei testi aramaico e siriaco. Non c’è dubbio, ad ogni modo, che ivi sia da leggersi con tenue correzione il gaudio; cioè moltiplicasti il gaudio, accrescesti la letizia. Segnaliamo anche un caso, che sta fra lo sbaglio e l’inesattezza, e che ad ogni modo è servito da innocente tranello a qualcuno. La Vulgata ha questo testo in Proverbi 5: 15. Bibe aquam de cisterna tua, et fluenta putei tui: 16. Deriventur fontes tui foras, et in plateis aquas tuas divide. 17. Habeto eas solus, nec sint alieni participes tui. Questa traduzione, confrontata con l’ebraico, è quasi esatta: l’unica divergenza sostanziale è in quell’imperativo divide, in luogo del quale l’ebraico ha il sostantivo le divisioni [cioè i ruscelli] delle acque. Se consultiamo il contesto, troviamo che il passo è tutto una metafora; l’autore parla, prima e dopo, della donna procace e illegittima, alla quale qui contrappone la consorte legittima: questa è la cisterna e il puteus, di cui deve dissetarsi e contentarsi l’israelita onesto. Tanto elegante è la metafora, quanto ne è chiaro il senso. Ma il vers. 16, com’è dato dalla Vulgata, crea un’insuperabile difficoltà; quel deriventur ha forza imperativa, e un vero imperativo è quel divide: bisognerebbe quindi concludere che qui l’autore inviti l’onesto israelita a cui parla, a rendere accessibili a ognuno quelle sue acque simboliche e distribuirle in mezzo alle piazze. Cosa, non solo mostruosa e impensabile in sé, ma formalmente contraddetta dal versetto seguente, habeto eas solus, nec sint alieni participes tui; e come potrebbe avvenire ciò, se le acque sono state distribuite in mezzo alle piazze? Non sono mancate le solite applicazioni del testo della Vulgata. Deriventur fontes tui foras, sarebbero le fonti dello zelo che erompono diffondendosi al di fuori, e distribuiscono le acque dell’apostolato in plateis. Sennonché, astraendo da tutto il resto, in tale applicazione rimarrebbe da sistemare quanto dice appresso, nec sint alieni participes tui: mentre lo zelo mira proprio agli alieni. Seguendo il consiglio di sant’Agostino, di ricorrere ai testi più antichi, il problema si risolve facilmente. Il testo ebraico non ha, come si è visto, divide, e legge il versetto in questo modo: Si effondono le tue sorgenti al di fuori, lungo le piazze i ruscelli delle acque. Ma è da notare che quel si effondono non è un imperativo, bensì l’impreciso imperfetto ebraico; esso perciò può stare qui benissimo in senso interrogativo, pur non essendo preceduto dalla solita particella interrogativa ebraica ha-; dunque, a un dipresso, [avverrà forse che] si effondano... i ruscelli delle acque? Se poi si trovasse poco spontaneo questo senso interrogativo attribuito al verbo, non c’è che da seguire la lezione greca dei Settanta - ed è forse meglio - la quale premette al detto verbo un bellissimo non, tagliando il nodo gordiano: Non si effondano... i ruscelli delle acque! La Vulgata invece, mentre ha l’imperativo divide, non ha né la negazione non a principio, né il punto interrogativo in fondo: quindi dal suo solo testo, se non si segue il consiglio di sant’Agostino, non si può estrarre il senso genuino della «lettera di Dio». Per concludere, ecco il bellissimo passo debitamente corretto: 15. Bevi le acque della tua cisterna, e le scaturigini dell’interno della tua fonte! 16. Si effonderanno le tue sorgenti al di fuori, lungo le piazze i ruscelli delle acque? (ovvero, seguendo la lezione dei Settanta: 16. Non si effondano le tue sorgenti al di fuori, lungo le piazze i ruscelli delle acque!) 17. Siano essi per te, per te solo, e non per estranei teco! Ecco quanto dice la «lettera di Dio». Chi non diventa fanciullo non entra nel regno dei cieli: è sentenza di Cristo, e quindi otterrà l’assenso di ogni buon cristiano. Perciò si potrà essere spiritualmente fanciulli, nel senso in cui parla Cristo, anche avendo oltrepassato la fanciullezza fisica, e la gioventù, e la virilità, e pur essendo in piena vecchiaia. Accordo perfetto. Ma allude a questa fanciullezza spirituale la celebre frase puer centum annorum (Isaia 65, 20)? È stato asserito da taluno, che ha riferito il puer alla puerizia spirituale, e il centum annorum alla vita fisica. Una pia accomodazione, che non ha alcuna base nel testo. Tanto più che il centum annorum non è un attributo di puer, «il fanciullo di cento anni», bensì un complemento temporale del verbo. Il profeta infatti parla della longevità che si avvererà ai tempi messianici, ed eccone il passo nel suo contesto: Non vi sarà da allora in poi, bimbo di [pochi] giorni, e vecchio che non compia i suoi giorni: bensì il giovane morirà a cent’anni ecc. Quest’ultimo emistichio è reso dalla Vulgata con puer centum annorum morietur: onde è chiarissimo che centum annorum si riferisce, non a puer, ma a morietur: « morirà a cent’anni». ...