Sta poi qui tutta la libertà, che promettono? Non quella che promettono, ma quella che danno è tutta qui: essa è un insulto atroce, che fanno alla gente. Poiché in cambio d’una famiglia reale, da cui per lunga serie di anni sono stati governati e protetti i nostri maggiori, e della quale incontriamo ad ogni passo monumenti di grandezza e di beneficenza, e dei suoi ministri, ci danno per capo un oscuro fazioso, che ordinariamente non conoscevano neppure, prima ch’egli si manifestasse, degno solo delle forche; e dicono che siamo noi che abbiamo fatto liberamente sì bella scelta; sentiamo d’improvviso promulgare leggi e decreti, quasi in ogni momento; per cui viviamo in una incertezza terribile, né possiamo sapere la mattina ciò che ci aspetta alla sera, né la sera ciò che ci aspetta alla mattina: e dicono, che siamo noi che liberamente ci diamo le leggi. C’impongono, come già agli Ebrei, di non farci vedere in pubblico senza il segnai dell’infamia: e dicono che siamo noi, che abbiamo liberamente adottato quella nuova divisa. Insomma, per noi tutta la libertà si riduce, quanto alla religione, ad un’empietà; quanto poi alla vita civile, ad un insulto amarissimo (San Pietro 1, Epist., c. 2,16; Epist. 2, c. 2, v. 1). Può bensì avvenire talvolta, che per illudere pongano alla testa del governo qualche persona anche onesta, strascinandola in un certo modo o con la seduzione o col timore; ma in questo caso egli non è, che uno strumento obbligato della canaglia ribelle, la quale sola porta corona, ed esercita l’usurpato potere.

Che rapporto ha, dunque, la libertà di costoro con la libertà a noi recata da Gesù Cristo? Il rapporto delle tenebre con la luce, del male col bene, del demonio con Gesù Cristo medesimo. Il Figliuolo di Dio ci ha tolto dalla schiavitù dell’inferno, del peccato, delle nostre passioni; e così si dice a giusto titolo ch’Egli ci ha donato la vera libertà; poiché da una parte ci ha restituito il dominio proprio dell’uomo, cioè della miglior parte di noi, ch’è la ragione tiranneggiata prima ed oppressa dal demonio e dal senso; e dall’altra ci ha rimesso nei diritti sublimi di conseguire l’ultimo e beatissimo nostro fine, cioè la signoria, più alla, opposta a quella bassissima schiavitù. E però il Sacro Testo, affinché intendessimo bene, qual è l’incomparabile verissima libertà, di cui si parla, premise «omnis qui facit peccatum, servus est peccati», e poi soggiunse: «si ergo vos Filius liberaverit, VERE liberi eritis». I maestri delle rivoluzioni al contrario intendono per libertà quella, che dal Vangelo viene definita servitù; darsi in balìa delle passioni, a segno di fare quanto ci suggerisce ogni capriccio, ogni inclinazione malnata e lo stesso diavolo; senza che alcuna legge o autorità né divina né umana possa o contrastare o impedire questo brutale servaggio della ragione: intendono rimetterci sotto il giogo più infame, da cui Cristo ci volle liberi, voglio dire, sotto il giogo del peccato e dell’inferno. Vedete, se si poteva mai stravolgere con maggiore empietà o ignoranza la libertà dei figliuoli di Dio.

Questioni IX - X. Dal Catechismo cattolico sulle rivoluzioni, S. Sordi, De Agostini, Torino, 1854. SS n° 3, p. 5