I beni della Chiesa non sono essi della nazione? No, perché altro è la nazione, altro la Chiesa; alla nazione appartengono tutti i cittadini anche gli Ebrei e i Valdesi, e vi apparterrebbero gl’idolatri, se fossero tra noi, laddove alla Chiesa non appartengono che i soli Cristiani cattolici.

Da questo che cosa volete inferirei? Voglio inferire, che se la Chiesa e la nazione sono due cose affatto distinte, quello che è dell’una, non può essere dell’altra, come, sono distinti i diritti, le prerogative, sono distinte le proprietà; e perciò i beni della Chiesa non sono della nazione, altrimenti, secondo quanto abbiamo detto, essendo nella nazione anche gli Ebrei e i Valdesi, ne verrebbe, che i beni donati alla Chiesa per il mantenimento del culto cattolico sarebbero donati agli Ebrei ed agli eretici, il che è insieme assurdo e ridicolo.

Avreste qualche altra prova da addurre a meglio dimostrare questa verità? Sì; il fatto costante di molti secoli. Primieramente i beni che possiede ancora nel Piemonte la Chiesa, in gran parte già erano della medesima più secoli prima che questi nostri Stati fossero riuniti in nazione. In ogni tempo poi, ed ogniqualvolta si trattò di vendere, o di permutare un qualche podere della Chiesa, furono sempre le autorità della Chiesa stessa, i Vescovi, il Romano Pontefice che ciò fecero, non le autorità civili, non la nazione; ma alienare beni, permutarli, spetta a colui che ne ha la padronanza; dunque i beni della Chiesa sono una proprietà di lei, non della nazione.

A che servono questi beni? Al sostentamento degli ecclesiastici, i quali, siccome prestano la loro opera alla Chiesa, è giusto che dai beni di essa ricavino la propria sussistenza. Tutto quello che loro avanza, lo impiegano in opere pie, e particolarmente a sollievo dei poveri. A questo proposito voglio narrarvi un piccolo fatto, che pochi anni sono, succedeva alle Camere di Francia. Un membro di esse propose, che dal governo si diminuisse l’assegnamento fatto all’Arcivescovo di Parigi, perché superava il bisogno ch’egli ne potesse avere; si alzò un altro, e fece osservare, che il palazzo arcivescovile era ogni dì frequentato dai poveri, i quali certamente non si sarebbero così spesso colà raccolti, se loro non fosse stata fatta la elemosina, e che però quello che si voleva togliere all’Arcivescovo, in realtà si sarebbe levato non a lui, ma ai poveri. Piacque questa riflessione alla Camera, e l’assegnamento restò intatto.

Questioni XIX - XXII. Dal Catechismo cattolico sulle rivoluzioni, S. Sordi, De Agostini, Torino, 1854. SS n° 6, p. 5