Ho però inteso dire alcune volte, che chi non ha data la vita, non la può togliere. L’avrete inteso da chi non sa quel che dice. Se ciò fosse vero, neppure sarebbe permesso di ammazzare un uomo per propria difesa, cum moderamine in culpatae tutelae; neppure sarebbe mai lecito il far la guerra, la quale è inseparabile dalla morte di molti uomini.

Ma sento dire, che vi sono varie questioni tra i filosofi sul diritto d’imporre la pena di morte. I filosofi hanno voluto spargere le dubbiezze in tutte le materie, anche le più evidenti; e quindi non è meraviglia, se per trovare nella suprema autorità l’origine del diritto d’imporre la pena capitale, si siano divisi in molli partiti, senza concludere nulla di accordo fra loro. A noi basti il sapere, che Iddio tante e tante volte ha dichiarata giusta questa pena (Gen. 9,6; Item Prov. 1,16; Apoc. 13, c. 10). Basti ancora il riflettere che certi delitti fan riconoscere l’uomo qual pubblico nemico abituale, e capace di esser continuamente un ingiusto aggressore (Eccl. 1,15); e quindi la potestà può e deve sgombrarne la terra. Ciò sparge nel popolo un salutevole terrore, impedisce le vendette private, e si è sperimentato utile, anzi indispensabile da tutte le nazioni, ed in tutti i tempi: sicché ben può dirsi, che questo consenso così generale sia una voce della natura. Si prenda l’esempio dall’umano corpo: è cosa per sé irragionevole ed illecita che l’uomo facciasi troncare un piede o una mano; ma pure, se guasto il piede o la mano minacci di corrompere tutto il corpo, il taglio diventa subito e necessario e lodevole e salutare.

Per altro non si può negare, che la clemenza in un Principe fu ognor lodata. Sì, la vera clemenza, quella cioè di cui l’esercizio non torna in danno della società; non quella clemenza inumana, che coll’impunità del delitto rende più audaci i delinquenti, e fomenta le violenze, le rivolte, i disastri, gli sconvolgimenti, e le stragi delle intere nazioni.

Volete dire, che una clemenza di tal natura sacrifica molti innocenti per risparmiare pochi colpevoli? È chiaro. Per meno male che vadan le cose in una congiura o in un allentato di ribellione, quante vittime non restano immolate, anche nel semplice conflitto, per altro sì necessario, del potere legittimo colla fazione dei rivoltosi? E si dovrà dire un atto di umanità quello, per cui s’immolano dieci, cento, e talvolta anche migliaia alla morte, in cambio di un solo o al più di pochi? Aggiungasi l’alto pericolo, ond’è minacciata tutta la repubblica, la costernazione universale, il pervertimento delle massime, lo scandalo, che apre le porte alle scene più spaventose, il timore, che toglie la pubblica confidenza, l’agitazione che tiene i sudditi insieme col Sovrano in uno stato di continua violenza; e poi si dica, ch’è veramente una clemenza straordinaria il punire tutti indebitamente di tanti mali, solo per risparmiare ad alcuni la pena dovuta. ...

Questioni XXXIII - XXXVI. Dal Catechismo cattolico sulle rivoluzioni, S. Sordi, De Agostini, Torino, 1854. SS n° 10, p. 6