Somma Teologica, Seconda parte della seconda parte. Dalla Questione 64. • Articolo 7. (...) Niente impedisce che un atto abbia due effetti, di cui l’uno intenzionale e l’altro involontario. Gli atti morali però ricevono la specie da ciò che è intenzionale, non da ciò che è involontario, essendo questo un elemento accidentale, come sopra abbiamo visto. Perciò dalla difesa personale possono seguire due effetti, il primo dei quali è la conservazione della propria vita; mentre l’altro è l’uccisione dell’attentatore. Orbene, codesta azione non può considerarsi illecita, per il fatto che con essa s’intende di conservare la propria vita: poiché è naturale per ogni essere conservare per quanto è possibile la propria esistenza. Tuttavia un atto che parte da una buona intenzione può diventare illecito, se è sproporzionato al fine. Se quindi uno nel difendere la propria vita usa maggiore violenza del necessario, il suo atto è illecito. Se invece reagisce con moderazione, allora la difesa è lecita: infatti il diritto stabilisce, che «è lecito respingere la violenza con la violenza nei limiti della legittima difesa». Non è quindi necessario per la salvezza dell’anima che uno rinunzi alla legittima difesa per evitare l’uccisione di altri: poiché un uomo è tenuto di più a provvedere alla propria vita che alla vita altrui. Siccome però spetta solo alla pubblica autorità uccidere un uomo per il bene comune, come sopra abbiamo detto, è illecito che un uomo miri direttamente a uccidere per difendere se stesso, a meno che non abbia un incarico pubblico che a ciò lo autorizzi per il pubblico bene: com’è evidente per il soldato che combatte contro i nemici e per le guardie che affrontano i malviventi. Anche questi però peccano, se sono mossi da risentimenti personali. ...

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