Sappiamo che Gesù Cristo è l’amore, è la delizia , è l’oggetto di tutte le divine compiacenze, all’onor del quale debbono concorrere tutti gli angeli e tutti gli uomini. Sappiano, che Gesù Cristo tollera al presente, dissimula, sopporta tanti loro insulti, o perché s’emendino mentre sono in tempo, o perché rimanga poi giustificata più ampiamente la Sua condotta quando li condannerà: ma che non per questo gli sfugge o un pensiero, o un atto, o un respiro, di cui non debbano dargli strettissimo conto. Ricordino, che Gesù Cristo è giudice dei vivi e dei morti, davanti al quale si dovranno presentare tremanti, poiché non potranno negare le accuse, né sfuggire la sentenza, né impedirne l’esecuzione. Rammentino, che Gesù Cristo ha un carcere eterno, dove può precipitare i Suoi nemici, e stringerli in catene insolubili, e darli a rodere ad un verme immortale, e cruciarli con fiamme inestinguibili. Ricordino che Gesù Cristo in formali parole ha protestato, che non avrebbe riconosciuto mai, presso Suo Padre, chi non avesse riconosciuto Lui qui sulla terra. Ricordino, che ha già espresso nel Suo Vangelo perfino la sentenza del «Nescio vos», (non vi conosco, ndR), con cui tratterà i Suoi insolenti nemici. Ricordino, che non gioveranno a mitigare le loro pene né gli applausi che avranno riportato quassù dai compagni libertini, né gli onori a cui furono innalzati, né gli agi, né i piaceri, né la libertà che si procacciarono con la noncuranza di Lui. Se Gesù Cristo fu mortale una volta, fu povero, fu servo, fu vittima, lo fu perché lo volle: ma non rapinam arbitratus est esse se aequalem Deo; ed essendo uguale a Dio Padre, perché Dio Egli stesso, saprà con un soffio della Sua bocca divina disperdere quegli insetti schifosi, che dal loro fango alzano così audaci la testa contro di Lui. Troppi altri ne ha schiacciati, che valevano alcuna cosa meglio di loro: né Gli tremerà ora il braccio contro di essi, né paventerà le dimostrazioni, benché numerose. Ma, lasciando questa digressione, rimettiamoci sull’argomento: per quale motivo finalmente si ritraggono dalle pratiche di religione? Io l’ho accennato in un altro capo:  qui farò solo osservare che è per rispetto di esseri così vili ed abietti, che non meritano nessun riguardo. Quelli che deridono le cose divine, non sono e non possono essere altro. L’esperienza - dice Padre Franco - fa conoscere che il dileggio delle cose sante non si trova mai sul labbro di un uomo grave, di un uomo assennato, che si regga a princìpi. Questi, quando anche hanno la sventura di non aver religione, si guardano bene dal farsene un vanto, e molto più dallo spregiarla, poiché rispettano i princìpi altrui. I grandi spregiatori delle pratiche religiose non sono se non certi pollastroni imberbi, i quali tanto sono più arditi a vilipendere le cose sante, quanto meno le conoscono. Sono certi omacci carnali, i quali, secondo Gesù Cristo, non possono più intendere nulla di quello che è spirito, sono capi sventati, che, in letture frivole, irreligiose ed empie, hanno perduto quel pochissimo cervello che pure avevano; sono donne che trovano impossibile la religione, perché, in abito più o meno elegante, sono femmine di partito. Ora è appunto a questa genia perversa che il rispetto umano sacrifica le pratiche esteriori della fede, l’onore di Gesù Cristo e l’anima propria. I Santi chiamano tal procedere una specie di apostasia e di tradimento, poiché come Giuda vendette Cristo ai Suoi nemici per trenta danari, così costoro Lo rinnegano per molto meno, cioè per sfuggire una burla, una beffa, una diceria, una meschinità. Da tutte queste cose, voi potete ormai far ragione di quel che valga la formula così comune: «Io sono cattolico, ma non pratico». Voi sapete che cosa significhi, da qual sorgente essa muova, e però qual caso sia da farne. In sé è una contraddizione: muove da ignoranza, o da accidia, o da malcostume, o da umano rispetto, o da tutte insieme queste cagioni: riesce ad un tradimento nerissimo contro Gesù Cristo. Ripetetela ora se avete coraggio! Per il capitolo completo cliccare qui: Credente non praticante ...

da Padre Franco «Risposte alle obiezioni più popolari contro la religione», ed. IV, Capo XLV, Roma, Civiltà Cattolica, 1864, con Imprimatur, dalla pagina 429 alla pagina 438

(a cura di CdP)