Addentrandoci ancor più profondamente nella natura della Chiesa, vediamo che essa non è una fortuita comunità di cristiani, ma una società costituita con eccellente ordinamento di Dio stesso, con il fine diretto e naturale di portare la pace e la santità nelle anime; e poiché essa sola ha da Dio i mezzi a ciò necessari, ha le sue leggi ben determinate, determinati doveri, e segue nel governo dei popoli cristiani metodi e vie conformi alla sua natura. Ma l’esercizio di questo governo è difficile e con frequenti contrasti. La Chiesa guida popoli sparsi su tutta la terra, differenti per razze e costumi, i quali, vivendo nei singoli Stati secondo le proprie leggi, devono obbedire contemporaneamente al potere civile e a quello ecclesiastico. Questi due doveri sono congiunti nella stessa persona, ma non contrastanti fra loro - come abbiamo detto - e neppure confusi, perché l’uno riguarda la potestà dello Stato, l’altro il bene proprio della Chiesa: ambedue istituiti per il perfezionamento dell’uomo. Posta questa delimitazione di diritti e di doveri, è evidente che i governanti sono liberi nell’amministrazione dei loro Stati, e questo non certamente con l’ostilità della Chiesa, ma anzi con il suo pieno aiuto, poiché inculcando l’osservanza della pietà religiosa, che è un atto di giustizia verso Dio, essa promuove con ciò stesso l’ossequio verso il principe. Ma con intendimento molto più nobile il potere della Chiesa tende a governare gli uomini tutelando «il regno di Dio e la sua giustizia» (Mt. 6,33), dedicandosi totalmente a realizzarlo. Nessuno può dubitare, salva la fede, che alla sola Chiesa sia stato assegnato questo particolare governo delle anime in modo che non è rimasto spazio alcuno alla potestà civile; infatti Gesù Cristo ha affidato le chiavi del regno dei cieli non a Cesare ma a Pietro. Con questa dottrina politico-religiosa sono connesse alcune altre questioni di non lieve importanza, delle quali in questo documento non vogliamo tacere. La società cristiana dista moltissimo da ogni tipo di governo politico. Anche se ha somiglianza e forma di regno, senza dubbio ha un’origine, una ragion d’essere e una natura molto diversa dai regni terreni. Pertanto è diritto della Chiesa vivere e conservarsi con leggi e istituzioni conformi alla sua natura. Essa, essendo non soltanto una società perfetta, ma superiore a qualunque altra società umana, si rifiuta di seguire, per suo diritto e per il suo fine, le vicende dei partiti e di adeguarsi alle esigenze mutabili della vita civile. Per la stessa ragione, custode del proprio diritto, rispettosissima dell’altrui, afferma che non appartiene alla Chiesa esprimere preferenze sulla forma di governo e con quali istituzioni la società civile dei popoli cristiani debba reggersi: fra le varie forme di governo non ne condanna nessuna, purché siano rispettate la religione e la morale dei costumi. A questo contegno devono essere indirizzati i pensieri e le azioni dei singoli cristiani. Non v’ha dubbio che sia lecita in politica una giusta lotta, naturalmente quando si combatte secondo verità e giustizia, affinché prevalgano quelle opinioni che appaiono più conformi delle altre al bene comune. Ma trascinare la Chiesa a partecipare all’attività di qualche partito, oppure pretendere di averla come aiuto per superare gli avversari è di coloro che vogliono abusare smoderatamente della religione. Al contrario la religione deve essere santa e inviolata per tutti. Nella politica stessa, che non può prescindere dalle leggi morali e dai doveri della religione, si deve precipuamente e sempre cercare ciò che è più conforme al nome cristiano. Se talora appare che questo è in pericolo ad opera degli avversari, allora deve cessare ogni divergenza, e con intendimento concorde degli animi si deve prendere la difesa della religione, che è il massimo bene comune a cui devono rapportarsi tutti gli altri. Il che conviene che sia da Noi esposto più diffusamente. Prosegue qui ...

Leone XIII, «Sapientiae christianae»