Fortes in Fide, don A. Bussinello, S.A.T., Vicenza, 1922. Gesù in famiglia. Se nulla ci dice il Vangelo dell’infanzia di N. S. Gesù Cristo, molto poco ci dice anche della sua giovinezza: ci dice che «stava soggetto a loro» (S. Luca, II, 51) ossia a Maria ed a Giuseppe, che «cresceva in sapienza, età e grazia presso Dio e presso gli uomini» (Idem, 52) e che era conosciuto e chiamato «il figlio del fabbro» (S. Matteo, XIII, 55). Sicché tutta la vita privata che Gesù passò a Nazareth fino ai trent’anni si può raccogliere in tre parole: preghiera, ubbidienza, lavoro. Preghiera. Quelle parole che l’Evangelista San Luca dice della vita pubblica di Gesù: «se ne andò sulla montagna a pregare e passò la notte in orazione» (S. Luca, VI, 12) le possiamo ritenere anche per la vita privata del Salvatore: pur non avendone bisogno, ma solo per insegnarlo a noi, Egli pregò tanto a Nazareth nell’intimità della famiglia e nel tempio di Gerusalemme tra lo splendore delle sacre Funzioni. Come c’è un pane per il corpo, o giovani, così c’è un pane per l’anima, ed è la preghiera. Avviene però troppo spesso che, mentre parecchi giovani non dimenticano la colazione o la cena, scordano invece al mattino od alla sera l’orazione, e non nutrono così l’anima loro che ha bisogno assoluto della preghiera per vivere la vita della grazia. Non si richiede poi gran cosa! Un po’ d’orazioni al mattino ed alla sera : il Pater noster, l’Ave Maria, il Gloria, il Credo, la Salve Regina, l’Angele Dei, aggiungendo alla sera il De profundis od alcune Requiem e l’Atto di contrizione oppure il Gesù d’amore acceso. Anche durante il giorno è santa cosa innalzare la mente a Dio con qualche breve giaculatoria, col recitare qualche brevissima preghiera passando davanti alla Chiesa o davanti a quell’immagine di Maria, e nei momenti di tentazione. Alle feste poi dovete ascoltare devotamente la S. Messa, pregando per voi e per i vostri cari, e non come si fa da tanti che assistono al grande Sacrificio senza aprire bocca, oppure aprendola per ciarlare, senza chiedere grazie al Signore, senza ringraziarLo dei benefìci che ci concede. Se voi seguite col cuore le preghiere che durante la S. Messa diciamo insieme qui all’Oratorio, voi accumulate del gran bene che troverete un giorno. Dopo la S. Messa dovete intervenire alle Sacre Funzioni, dove venite istruiti nella scienza del Cielo, nella Religione. Durante la settimana, quando vi è possibile, ascoltate la S. Messa e, verso sera, fate una breve visita a Gesù nel S. Tabernacolo... ma tutto e sempre con spirito di fede. Preghiamo, o giovani, è l’unico mezzo per ottenere la grazia di Dio e per giungere a salvezza; ricordiamo il gran detto di sant’Alfonso: chi prega si salva, chi non prega si danna! Ubbidienza. «Il figlio di Dio, dice san Bernardo, il Creatore del Cielo e della terra, che sta soggetto agli uomini, li supera immensamente e senza confronto in grandezza, sapienza e potenza». E perché si abbassò tanto il Figlio di Dio? Per insegnare a noi come dobbiamo ubbidire. Non solo Egli ha dettato ed inculcato un Comandamento apposito: «onora il padre e la madre!», ma nei trent’anni di Sua vita privata, anzi diciamo in tutta la Sua vita, Egli lo ha messo in pratica nel modo più perfetto, perché facciamo altrettanto anche noi. Egli ubbidisce da fanciullo, da giovinotto, da uomo, ubbidisce nei più umili uffici, nelle cosette domestiche, nel lavoro, in tutto quello che gli viene comandato dalle Sue creature, ma che sa essere rivestite dell’autorità del Padre Suo. È una lezione cara, o giovani, è un esempio bello che deve farci pensare... Noi così ostinati, così risentiti, così superbi, noi che non vogliamo stare soggetti o che ubbidiamo di mala voglia, se più non rispondiamo tante volte arrogantemente ai genitori, non volendo superiori di sorta alla nostra sacra maestà. Quando si comincia a guadagnare qualche franco al lavoro, o spunta qualche pelo sotto il naso... oh! allora guai a chi comanda, si vuol fare di propria testa, a costo anche di rompersela alla prima cantonata... Quanto siamo piccini, o giovani! Se Gesù ha ubbidito sempre, vuol dire che è bene, che è dovere ubbidire; se l’ha fatto a nostro esempio, vuol dire che lo dobbiamo imitare, vuol dire che dobbiamo rispettare nei nostri genitori l’autorità di Dio e nel loro comando il comando di Dio stesso. Ogni volta che si disubbidisce ai genitori e superiori si disubbidisce a Dio, e un giorno bisogna a Lui renderne stretto conto. Noi dobbiamo sempre ubbidire, eccetto il caso in cui ci venisse comandata cosa contro coscienza e in opposizione ai Comandamenti di Dio (Se ne parlerà diffusamente nel IV Comandamento). Lavoro. Con la preghiera e l’ubbidienza, Gesù fanciullo ci ha dato a Nazareth l’esempio di alacrità nel lavoro. Aveva bisogno Egli di lavorare per guadagnarsi il pane? Mai più, era il Padrone di tutto!... Poteva comandare ciò che voleva agli Angeli ed a tutte le altre creature, e subito sarebbe stato servito. Invece volle sudare sulla sega e sulla pialla per insegnare a noi la necessità, la nobiltà, la santità del lavoro. Lo si chiamava «il figlio del fabbro», dice il Vangelo. Si ritiene comunemente che san Giuseppe fosse non fabbro-ferraio, ma fabbro-legnaiuolo, o, come diciamo noi, falegname. Impariamo da Gesù, dal Figlio di Dio, che tutti, o col braccio o con la mente, siamo obbligati a lavorare; perché nessuno il Signore ha escluso dal lavoro. Tutti, ricchi e poveri, nello stato di vita nel quale Iddio ci ha voluto, tutti dobbiamo ubbidire alla gran legge del Signore: «mangerai il pane col sudore della tua fronte» (Genesi, III, 19). «L’uomo nasce alla fatica, dice il profeta Giobbe, come l’uccello nasce per il volo» (Giobbe, V, 7). Eppure quanti fannulloni oggidì, quanti che fuggono in tutti i modi la fatica e cercano il dolce far niente, eterni oziosi, ripieni di vizi, disonore delle loro famiglie e dei paesi ove abitano! Giovani, amate il lavoro, esso vi terrà sani, allegri e lontani dal peccato! Lavorate con retta intenzione, offrendo a Dio le vostre fatiche, e il vostro lavoro sarà allora meritorio e vi gioverà per la vita eterna. L’esempio del Salvatore, del Padrone dell’universo, chino sulla pialla, che suda e santifica il lavoro, deve esserci di sprone a meritare un pane onorato per noi e per i nostri cari. Chi non lavora, non ha diritto di mangiare, dice san Paolo, «si quis non vult operari nec manducet» (II Ai Tessalonicesi, III, 10). La condizione migliore. In qualunque stato di vita l’uomo si trovi è certo che può salvarsi, tanto è vero che abbiamo Santi di tutte le diverse condizioni sociali: questo però non toglie che sia più facile salvarci in uno stato che in un altro. E quale è questo stato? Quello del lavoro. Tutti gli uomini quaggiù o son ricchi, e hanno da vivere senza lavorare, o son poveri, e hanno bisogno della carità, oppure sono in una via di mezzo e vivono del lavoro delle loro braccia. I primi possono fare del gran bene, acquistarsi dei meriti con opere di carità, ma chi è ricco, è troppo tentato di godere i beni del mondo e quindi in pericolo più degli altri di dannazione eterna. Ecco perché Gesù ha detto: «è difficile per un ricco entrare nel Regno dei Cieli» (S. Matteo, XIX, 23). I secondi sarebbero nella condizione più propizia. Anche Gesù ha voluto esser povero, anzi ha detto: «beati i poveri» (S. Luca, VI, 20); ma, purtroppo, molti non sanno sopportare la povertà e si rivoltano contro la Divina Provvidenza. Restano i terzi i quali occupano il loro tempo nel lavoro comandato da Dio, fuggono l’ozio, obbedendo ad un precetto del Signore e nello stesso tempo pregano, perché il lavoro fatto volentieri e per amor di Dio è preghiera. Pratica. Giovani, preghiamo, ubbidiamo, lavoriamo, non abbiamo bisogno di altro per entrare in Paradiso!