Cenni storici. - Si hanno tracce d’indulgenze fino dai primi tempi della Chiesa: è comunemente ritenuta una concessione d’indulgenza la mitigazione del castigo inflitto all’incestuoso di Corinto, accordata da San Paolo (2 Cor. 2, 6-8). La Chiesa tuttavia, nel corso dei secoli, non sempre nello stesso modo e nella stessa forma esercitò tale potere. Nei primi secoli infatti le indulgenze appariscono sotto forma di diminuzione o mitigazione delle pene stabilite nei canoni penitenziali. In seguito, a cominciare dal secolo VII, abbiamo le redenzioni e le peregrinazioni romane, le quali costituivano un titolo a sostituire o ridurre la pena. Nel secolo XI appariscono le indulgenze propriamente dette, fra le quali di particolare risonanza quelle per le Crociate. Nel secolo XV si hanno le indulgenze per i defunti, e l’uso di esse cominciò ad essere più frequente fino al Concilio di Trento, che definì la potestà della Chiesa circa le indulgenze, e l’utilità di esse per il popolo cristiano, ed eliminò tutti gli abusi che si erano venuti a verificare.

Definizione e natura. - L’indulgenza, dal latino indulgere, viene definita: «La remissione davanti a Dio della pena temporale dovuta per i peccati, già rimessi quanto alla colpa, che l’autorità ecclesiastica concede dal tesoro della Chiesa per i vivi a modo di assoluzione e per i defunti a modo di suffragio» (can. 931 CIC). Da tale definizione appare che l’indulgenza può dirsi il complemento del sacramento della penitenza: nella confessione, infatti, viene rimessa la colpa e condonata la pena eterna, che segue qualunque colpa grave, ma non sempre o almeno non del tutto viene rimessa la pena temporale, che tien dietro a qualunque peccato. Tale pena temporale può essere rimessa in questa vita con le opere satisfattorie o con le indulgenze, oppure dovrà essere rimessa nell’altra vita, in Purgatorio. La concessione d’indulgenza è un atto di giurisdizione, che richiede nel concedente la potestà e nell’acquirente lo stato di grazia: fino a che vi è colpa mortale, non può esservi remissione di pena. Tale remissione di pena, che opera non solo in foro esterno ma anche in foro interno, viene concessa per i vivi a modo di assoluzione, ossia di remissione per un atto di potestà giudiziale, che non può esercitarsi se non sui propri sudditi: per i defunti, invece, viene concessa a modo di suffragio, in quanto in base al dogma della Comunione dei Santi, la Chiesa o i singoli fedeli, usufruendo delle largizioni della Chiesa, offrono a Dio i meriti di Cristo e dei Santi, fatti propri dall’individuo attraverso l’acquisto dell’indulgenza perché Iddio li voglia accettare come mezzo di soddisfazione per il debito di giustizia, che eventualmente rimanesse al defunto o ai defunti da soddisfare ancora (S. Theol, Suppl. 25, a. 2 ad 1).

Fondamento. - Il fondamento delle indulgenze è costituito dal tesoro della Chiesa, «tesoro di supererogazione, come dice Sant’Alberto Magno, in cui la Chiesa possiede le ricchezze dei meriti e della passione di Gesù Cristo e della gloriosa Vergine Maria, di tutti gli Apostoli e Martiri, e di tutti i Santi di Dio, vivi e defunti» (San Tommaso, In IV Sent., D. XX, q. 1, a. 2). Tale tesoro viene applicato per mezzo della Comunione dei Santi, secondo la quale la Chiesa trionfante, purgante e militante costituisce un solo corpo, di cui Cristo è il capo ed i fedeli sono le membra, e che lo Spirito Santo anima e vivifica con la sua grazia. In virtù di tale Comunione i beni della famiglia cristiana sono propri dei singoli e può pagare l’uno per l’altro il debito contratto dinanzi alla giustizia divina (1 Cor. 12, 26).

Potestà. - La potestà di accordare le indulgenze risiede nella Chiesa: affermare il contrario sarebbe negare un dogma di fede. Tale verità è stata definita dal Concilio di Trento (Sess. XXV, decr. De indulg.), ed è fondata nella Sacra Scrittura, nelle parole cioè che Gesù rivolse a San Pietro (Mt. 16, 19), con le quali gli diede le chiavi del regno dei Cieli, promettendogli di legare o sciogliere in Cielo tutto quello ch’egli avrebbe legato o sciolto in terra; gli conferì cioè il potere di aprire il Paradiso ai peccatori penitenti. Ora per entrare in Paradiso non basta ottenere il perdono del peccato e la remissione della pena eterna, ma occorre altresì la remissione della pena temporale.

Divisione. - Le indulgenze si dividono: a) In plenarie e parziali. È plenaria l’indulgenza che, secondo la mente del concedente, rimette tutta la pena temporale: essa può essere plenaria in modo assoluto o relativo (totaliter o relative) secondo le disposizioni dell’acquirente (can. 926). Se non è detto espressamente il contrario, l’indulgenza plenaria può lucrarsi una sola volta al giorno: quando può acquistarsi più volte al giorno viene chiamata indulgenza plenaria toties quoties: tra tali indulgenze è molto nota quella della Porziuncola, detta anche Perdono d’Assisi. È parziale l’indulgenza che rimette una parte soltanto della pena: se non è detto espressamente il contrario, essa può lucrarsi più volte al giorno, b) In personali, reali e locali, secondo che sono concesse direttamente a certe persone o a ceti di persone, oppure vengono annesse all’uso di oggetti di devozione, ovvero sono concesse per la visita a determinati luoghi sacri, c) In perpetue o temporanee, secondo che sono concesse senza o con limitazione di tempo, d) In indulgenze per vivi o per defunti, oppure per vivi e defunti.

Condizioni. - Le condizioni che comunemente sogliono imporsi per l’acquisto dell’indulgenza plenaria sono: Confessione, Comunione, visita ad una chiesa o pubblico oratorio, ovvero ad un oratorio semipubblico, per coloro che legittimamente ne usano, e preghiera secondo l’intenzione del Sommo Pontefice (:esaltazione della fede, sconfitta delle eresie, eccetera ...). La Confessione, se viene imposta, va fatta anche da coloro che non hanno peccato gravemente, entro otto giorni prima od otto giorni dopo al giorno a cui è affissa l’indulgenza. La Comunione dev’essere sacramentale: vale la Comunione pasquale, purché non si tratti di Giubileo, e vale parimenti se ricevuta per viatico. Comunque deve essere fatta entro nove giorni, dalla vigilia all’ottava del giorno al quale è affissa l’indulgenza (can. 931 § 1). La visita va regolata dal decreto della Sacra Penitenzieria Apostolica del 20 settembre 1933; essa va accompagnata da qualche orazione sia orale, sia mentale. La preghiera, a norma del can. 934 § 1, dev’essere non soltanto mentale, ma orale: essa però è lasciata all’arbitrio del fedele. Secondo il decreto della Sacra Penitenzieria Apostolica del 20 settembre 1933 basta la recita di un Pater, Ave e Gloria: se però trattasi d’indulgenza plenaria toties quoties occorre recitare per ogni visita 6 Pater, Ave e Gloria (AAS, 25 [1933], 446; AAS, 22 [1930], 363). Per le indulgenze parziali si suole apporre la clausola almeno col cuore contrito, la quale clausola più che condizione, va intesa come disposizione, nel senso che occorre lo stato di grazia, requisito essenziale per l’acquisto di qualsiasi indulgenza. (Decr. auth., n. 427).

Avversari. - I precursori dei nemici delle indulgenze furono i Valdesi, che apparvero nel secolo XIII: il loro capo fu condannato nel III Concilio Lateranense (1179) e la bolla di scomunica del Papa Lucio III (1184) colpì i suoi seguaci. Ma i veri e diretti avversari delle indulgenze furono i Wiclefiti e gli Ussiti condannati nel Concilio di Costanza: tale condanna fu promulgata dal Papa Martino V con la bolla lnter cunctas del 22 febbraio 1418 (Mansi, XXVII, 1209, 1212; Denz., 622, 676 ss.). Nella seconda metà del secolo XV apparvero in Germania due avversari delle indulgenze: Giovanni Ruchrath di Wesel e Wessel Gansfort di GrÖningen e, quasi nello stesso tempo, nella Spagna, Pietro di Osma, che fu condannato dal Papa Sisto IV con la bolla Licet ea del 9 agosto 1478. Ma fu la discordia religiosa sorta agli inizi del secolo XVI, che segnò la lotta più violenta contro le indulgenze ad opera principalmente di Martin Lutero che in principio sembrò attaccare soltanto il commercio delle indulgenze, ma in seguito impugnò le indulgenze stesse, che chiamò pie frodi inventate per far denaro. Egli fu condannato da Leone X con la bolla Exsurge Domine del 15 giugno 1520. Subito dopo Lutero comparvero Michele Baio e Michele Molinos, ai quali tennero dietro i Giansenisti, che furono condannati con la bolla Auctorem fidei del 28 agosto 1794.

Indulgenze apocrife. - Numerose furono le indulgenze apocrife, che nel corso dei secoli circolarono nel popolo cristiano ad opera specialmente di coloro che erano destinati a raccogliere le elemosine per l’acquisto delle indulgenze, detti quaestores o quaestuarii. La Chiesa, però, che ebbe sempre la più grande cura nel difendere questo preziosissimo tesoro delle indulgenze, non esitò ad usare ogni mezzo per ovviare a tanto male; sicché in parecchi Concili celebrati a tale scopo condannò le indulgenze false. Basta ricordare il Concilio di Trento, che abolì non solo l’ufficio ma anche il nome dei quaestores e stabilì che per l’avvenire le indulgenze dovessero essere concesse del tutto gratuitamente. In seguito, alcune Congregazioni romane, specialmente la Sacra Congregazione del Sant’Ufficio, continuarono in quest’opera di vigilanza, dichiarando false non poche indulgenze; opera proseguita dalla Sacra Congregazione delle Indulgenze, sorta per eliminare gli abusi e condannare le indulgenze apocrife. Non pochi furono i documenti al riguardo: basterà ricordare il decreto del 26 maggio 1898, col quale vennero condannati parecchi fogli contenenti preghiere con indulgenze assolutamente esagerate, fogli che ancora oggi purtroppo si vedono circolare tra i fedeli (AAS, 31 [1939], 727).

Dal Dizionario di Teologia morale, Roberti - Palazzini, Studium, Roma, imprimatur 1957.