La Sacra Scrittura dice che è meglio dare anziché ricevere (Act. XX, 35); e in un altro (luogo) ci fa sapere che chi non si lascia comperare dai regali vivrà (Prov. XV, 27). San Cirillo considera i regali come un amo dorato che coglie l’avaro; come il prezzo mediante cui si conchiude la vendita di chi li riceve; li ha in conto di peste, di veleno, di debito pericolosissimo, di lievito di iniquità, di scuola di mali, di causa di discordie (Homil.). Chi fa buon viso ai regali, mette a prezzo la sua libertà (...). Perciò il Signore aveva dato nel Deuteronomio quel precetto: «Non riceverete doni di sorta, perché essi accecano i sapienti e cambiano le parole in bocca ai giusti» (Deuter. XVI, 19). Da ciò si vede che i doni producono due funesti effetti: 1° accecano lo spirito; 2° cambiano il linguaggio e la sentenza dei giudici; perché ingenerano nel loro cuore l’affetto; Ed oh, quanto è facile che l’affetto faccia velo al giudizio ed intorbidi la ragione! E allora chi è così forte che non pieghi a giudicare in favore di chi ha presentato regali? Conveniamo pure col Savio, che «i regali e i donativi accecano gli animi dei giudici, e rattengono le loro riprensioni, rendendoli come muti» (Eccli. XX, 31). Ancorché aveste occhi di aquila, basteranno i regali ad accecarvi (...); l’accettare regali è come dar caparra di servitù. «I doni accecano, dice il Crisostomo: e come freno che stringe la bocca, impediscono e travolgono le testimonianze (Homil. ad pop.)». Perciò sono pericolosi e cattivi i regali, dice san Gregorio Nazianzeno, perché accecano anche gli assennati. Gli uomini si lasciano prendere dall’oro come gli uccelli dalla pania (sostanza collosa estratta dalle bacche del vischio che, spalmata su bastoncini di legno, serve a catturare piccoli uccelli, ndR); quando l’oro parla, ogni ragionamento tace; quello persuade anche stando muto (In Distich.). A ragione pertanto il Cardinal Gaetano asserisce che i regali mutano il cuore, cancellano, scusano e fanno perdonare i torti; e san Pier Damiani scriveva a proposito di certuni che facevano lieto viso ai regali: «Quando vogliono alzare la voce in nome della giustizia, la parola esce loro fiacca dalla strozza e come soffocata dai doni. Questi, quando sono accettati, rallentano il vigore della censura, tolgono ogni libertà all’eloquenza, e benché non corrompano tutta l’equità del giudizio, snervano l’autorità del giudice. Rigettiamoli, e ci serberemo intiera la libertà di condannare o di assolvere, secondo le norme della giustizia, e cesseremo di essere schiavi del denaro» (Lib. II, epist. II). E infatti, la Sacra Scrittura parlando dei figli di Samuele, dopo di aver detto che si lasciarono corrompere dall’avarizia e ricevettero doni, soggiunge immediatamente che diedero sentenze ingiuste (I Reg. VIII, 3). Non avete mai letto, diceva sant’Ilarione agli anacoreti, quel che i regali costarono a Giezi ed a Simon Mago? A Giezi (servo del profeta Eliseo, ndR) che ne aveva ricevuto, a Simon Mago che ne aveva offerto? (Vit. Patr.). Al contrario, leggiamo di Samuele che citò il popolo a dichiarare al cospetto di Dio, s’egli avesse mai ricevuto da alcuno di loro qualche regalo: che in questo caso egli si sarebbe condannato da se medesimo su l’istante ed avrebbe restituito quanto gli fosse venuto da loro (I Reg. XII, 3). Daniele, al re Baldassarre che gli prometteva grandi regali, se gli avesse decifrato le misteriose lettere scritte da mano invisibile sul muro, disse tra il rammaricato ed il cortese: «Tieni pure, o re, i tuoi doni, e i tesori della tua casa serba per gli altri; io per me ti leggerò lo scritto e te ne aprirò il senso, ma non accetterò dono» (Dan. V, 17). Sant’Ambrogio non sa cessare dall’encomiare la condotta di Abramo il quale non volle prendersi niente del bottino, frutto della vittoria da lui riportata, e generosamente rifiutò quello che gli veniva offerto. Farsi pagare un trionfo, è un diminuirne il valore, è un oscurare la bellezza del combattimento; perché immensa differenza vi corre tra l’operare per la gloria con disinteresse, e operare per amore del guadagno. Perciò Abramo meritò di udire dal Signore quelle preziose parole: «Io sono il tuo protettore, e sarò tua mercede impareggiabile» (Gen. XV, 1). «Perché non dimandò la sua paga agli uomini, l’ebbe da Dio» (Serm.).

I Tesori di Cornelio Alapide.