Lo spettacolo che nei Martiri sorprende e commuove di più, è il vederli allegri e giubilanti in mezzo ai più crudeli supplizi. Cantando inni di ringraziamento a Dio, ripetevano col grande Apostolo: «Come abbondano in noi i patimenti di Cristo, così abbonda in noi, per la grazia di Gesù Cristo, la consolazione e la gioia» (II Cor. I, 5). Ovvero: «Noi godiamo e giubiliamo tra le pene che ci straziano» (Ib. VII, 4). Camminando dietro le orme di Gesù Cristo, cercavano anch’essi, a Suo esempio, la felicità e la gioia nella croce (Hebr. XII, 2). San Vincenzo, per esempio, burlandosi del tiranno Daciano, chiamava nuziale convito le più orribili torture e diceva di averlo sempre desiderato e che nessun altro lo aveva servito meglio di lui in questo suo desiderio (Surio, In Vita).  Tanto grande e sicuro era il bene che i martiri si aspettavano; tanto gloriosa la mercede loro promessa e così dolce il possesso, scrive sant’Agostino, che la luce di quaggiù era per loro un nulla; disprezzavano la spada come irrugginita, schernivano i supplizi come impotenti; il cuore nuotava nell’allegrezza. Andavano dal rogo al cielo! (De Martyr.). La gioia dei Martiri fra le torture è il trionfo di Dio stesso, dice san Girolamo. Non solamente i Martiri godevano tra i supplizi, ma l’allegrezza loro cresceva col moltiplicarsi e crescere dei loro patimenti. Quella gioia veniva loro dal cielo, sgorgava dal cuore di Gesù Cristo ed era un saggio anticipato del gaudio eterno.

I Tesori di Cornelio Alapide.