Si può trascurare, a torto o a ragione, qualsiasi problema. Un solo problema, anche non volendo, bisogna per forza affrontare e risolvere: è il problema della vita. Io posso disinteressarmi della questione sociale; posso non degnare d’uno sguardo le vicende storiche della Cina; posso alzare le spalle dinanzi ai dibattiti per il classicismo e per il romanticismo; posso proclamare col Pascoli che il mio partito politico è quello degli uomini senza partito; posso scagliare un’insolenza contro tutti i filosofi, tutti gli scienziati, tutti i poeti; posso dire: a questi problemi non voglio neppure pensare. Commetterò una corbelleria, agendo con questo metodo; ma mi torna possibile mettermi in una simile posizione spirituale ed assumere tale atteggiamento. Viceversa, non posso trascurare il problema della mia vita. Se fossi uno scettico, che ride di tutto e di tutti, e vivessi da dilettantista o da buffone, non sarebbe questa una soluzione del problema? Se fossi un pessimista con occhiali neri neri e mi sparassi un colpo di rivoltella, non avrei forse col mio gesto pazzo risolto il problema? Insomma, chi vive e chi muore, vive e muore in un determinato modo, ossia non sfugge mai alle morse di questa tenaglia. La varietà delle soluzioni individuali è indefinita: chi conduce una vita da bruto e chi da santo; chi con Orazio vuole coronarsi di rose, perché domani morremo, o con Goethe vuol godere l’attimo fuggente; chi tende a realizzare in sé il superuomo di Nietzsche, e chi, invece, si appaga di vivere comodamente di rendita, con la visita quotidiana ai giardini pubblici o con una tranquilla partita di bocce. Alcuni vivono in alto nei cieli della cultura; altri preferiscono il fango delle paludi. Per gli uni il campo delle lotte politiche sarà risonante di appelli suggestivi; per gli altri la voce più forte sarà quella della Borsa, delle Alpi, dei teatri, dell’agricoltura, dell’officina, dell’osteria, e via dicendo. Un ammalato non saprà a quali rimedi ricorrere per prolungare di pochi giorni un’esistenza dolorosa; ed un sano finirà i suoi giorni ingoiando veleno. Ognuno, poi, risolve in un modo tutto particolare il problema della sua esistenza. Tuttavia, prescindendo dalla varietà dei viandanti, ognuno dei quali cammina col proprio passo, noi possiamo distinguere alcune grandi strade, che l’uomo percorre. Le ho accennate in un mio lavoro sui Primi lineamenti di pedagogia; del resto, basta una semplice riflessione per convenire nelle constatazioni, che noi andremo facendo. 1. - La vita disorganizzata. La prima strada, ampia e frequentatissima, è scelta coloro che vivono atomisticamente la loro vita. Nessuno si turbi, sentendo discorrere di «vita atomistica». Non è una frase enigmatica, se non in apparenza. Non siamo noi forse nel secolo delle organizzazioni? Oggi si organizza tutto: si organizzano gli operai e si organizzano gli industriali; l’azione cattolica è una organizzazione; un partito politico è un’altra organizzazione; i trusts americani del carbone sono organizzazioni; oramai è organizzato quasi tutto: l’assistenza mediante la mutuo-soccorso, gli ex-alunni di un collegio, il commercio, la vendita delle patate; e ciò che non è organizzato, od è organizzato imperfettamente, si cerca di organizzarlo a perfezione. È la tendenza dei nostri tempi, dopo la disgregazione dell’epoca individualistica. Succede, però, questo fatto strabiliante; spesso, persino coloro che organizzano gli altri ed hanno il bernoccolo di veri organizzatori, non organizzano la loro vita, vale a dire vivono atomisticamente, compiendo un’azione dopo l’altra, ma senza collegare la molteplicità delle azioni in una unità organica. Due esempi io portavo nel volumetto citato: l’esempio del bruto e quello del ciarlatano. Mi pare che rispecchino mirabilmente la situazione e ce ne diano una fotografia fedele. Un bruto dorme, si desta, mangia, beve, lavora, si riposa. Qual differenza trovate voi con la vita di molti, che vivacchiano, faticano, si divertono e si agitano come bruti? Anch’essi, simili ad un cane, vivono alla giornata, momento per momento; oggi capita un incidente, domani un altro; oggi si può menare la coda e domani ci si arrabbia e si abbaia; oggi si lecca una mano e domani si morde; ma in tutto questo succedersi di atti non esiste un nesso voluto, che congiunga i vari istanti secondo un dato ideale od un determinato scopo; ed è per questo motivo che la vita, dice Shakespeare, diventa simile ad una storiella raccontata da un imbecille: like a tale told by an idiot. Il ciarlatano è il simbolo più adeguato della vita atomistica. Egli è là sulla piazza e grida: «Signori miei, se volete la fortuna, ascoltate le mie parole. Non sapete voi, che nel Pianeta Marte vi sono canali ed abitanti? E credete forse che il fenomeno fascista possa essere impunemente trascurato? Credetelo a me, signori miei; nulla di più importante della coltivazione delle barbabietole e della utilizzazione dei concimi chimici. Proprio a quest’ora, ad Orvieto, in Piazza del Duomo, passa un individuo con la pipa in bocca e se qualcuno si occupa di politica estera, saprà meglio di me che la questione della Ceco-Slovacchia è connessa con la pace europea. Lasciamo stare Lenin e gli Stati Uniti; ma non vi pare, o signori miei, che il municipio di Gambolò dovrebbe prendere come sindaco il signor Checchino? Il problema è serio; e le villeggiature oggi, come la moda femminile, dovrebbero occupare l’attenzione nazionale, per la gloria e la prosperità della patria. Poiché, o miei signori, chi mai può mettere insieme, in un solo pasto, risotto alla milanese, maccheroni di Napoli, patate e fagioli, zucche e peperoni, olio di ricino e un fiaschetto di Chianti, in onore dell’isola di Creta?». Ah, voi ridete?... Scusatemi tanto: non sareste, per caso, anche voi un ciarlatano? Il ciarlatano è ciarlatano, non già perché dice delle falsità o delle corbellerie, ma perché enuncia pensieri sconnessi; manca un senso nelle sue proposizioni; manca l’unità nelle sue parole. E la vostra vita non sarebbe per caso slegata nelle sue azioni, proprio come il discorso ciarlatanesco? Le signore che mettono insieme la Messa, il flirt, la pesca di beneficenza, il veglione del carnevale, la predica del quaresimalisia brillante, la moda di andar attorno vestite quasi unicamente - come Eva - della loro... innocenza, e magari anche, con tutto questo, la frequenza alla Comunione, cos’hanno da invidiare al ciarlatano? Certi contadini, che si alzano, brontolano la loro preghiera, vanno magari alla prima Messa in aurora, escono, vanno a bere un numero edificante di bicchierini d’acquavite, accompagnando la devota libazione con una discreta litania di bestemmie, e, poi, se è giorno festivo, indossano alle funzioni sacre la divisa dei Confratelli del Santissimo Sacramento, per recarsi, dopo la Dottrina (il catechismo, ndr), in un gruppo di amici anticlericali dove ascoltano un’altra spiegazione della Dottrina, non precisamente uguale a quella del parroco, e finiscono la giornata - soprattutto se è la festa parrocchiale - con una sbornia solenne..., non assomigliano forse al ciarlatano? Certe signorine di buona famiglia, che frequentano i Sacramenti, ma si appassionano anche per i romanzi di Guido da Verona; certi giovani, che appartengono forse ad ottime associazioni e, pur proclamandosi cattolici, sciupano cretinescamente la fresca floridezza dell’età e dell’animo con vizi vergognosi e nefandi, non fanno forse concorrenza al ciarlatano? Ogni vita, senza la luce d’un pensiero, senza il soffio unico d’un principio ispiratore, con mille e mille azioni, ognuno delle quali è proprio simile a bolla, che da morta gora pullula un tratto e si risolve in nulla, è una vita atomistica. Essa si può paragonare al cadavere di un naufrago, che è sbattuto dalle onde ora a destra, ora a sinistra, in attesa di esser gettato sul lido della morte; non al pilota, che sa dirigere la sua navicella, anche in mezzo alle tempeste, con la sua mano franca al timone. In breve: la caratteristica essenziale d’una vita atomistica è quella di essere senza nesso, senza unità, senza senso; e come voi non chiamereste mai «un libro» alcuni fogli stampati, dove vi fossero delle parole accatastate, ma prive di significato, così non potete definire come «vera vita» quella descritta e che, purtroppo, è la vita di una moltitudine sterminata di incoscienti.

Il problema della vita. Da Il Sillabario del Cristianesimo, mons. F. Olgiati, Vita e Pensiero, Milano, 1942. SS n° 3, p. 3 - 4