Il Sillabario del Cristianesimo, mons. F. Olgiati, Vita e Pensiero, Milano, 1942. La lettura della Bibbia. La Bibbia - proclama san Gregorio Papa - è la lettera che Dio invia alla sua creatura. Bisogna, dunque, leggere questa lettera divina (su SVRSVM CORDA stiamo ripubblicando, a puntate, anche BIBBIA E NON BIBBIA dell’abate Ricciotti, proprio sulla corretta lettura della Bibbia, NdR), nella quale - al dir di sant’Ambrogio - noi rinveniamo le nostre vittorie e le nostre allegrezze. Cosa strana! Si divorano con avidità le opere antiche; si gettano avidi sguardi su tutti i grandi monumenti della letteratura e della storia; basta la notizia della scoperta di alcune Deche di Tito Livio per mettere a rumore, non solo il mondo dei dotti, ma persino i giornali quotidiani; il delirio di gioia del Quattrocento, quando gli Umanisti disseppellivano dalle Biblioteche i codici polverosi e gli scritti dell’antichità pagana, ha ancora una eco potente nei cuori di tutte le persone mediocremente colte; un filosofo arrossirebbe se non conoscesse le opere di Platone, di Aristotele, di Cartesio, di Kant e di Hegel; un letterato avrebbe vergogna di sé, se non avesse meditato Omero, Virgilio, Dante, Petrarca, Ariosto, Tasso e Manzoni; e viceversa, i cristiani non si danno nessuna cura di leggere la Bibbia, di scorrere anche una sol volta la lettera di Dio all’umanità, di prendere visione della parola scritta che, insieme alla tradizione orale, costituisce la fonte purissima della rivelazione divina. Al «libro» per eccellenza, noi moderni abbiamo sostituito gli opuscoli nostri ed i nostri manualetti. I piccoli uomini dell’oggi [...] vogliono i piccoli libri, a differenza dei grandi Padri della Chiesa e dei primi fervorosi seguaci del Cristianesimo nascente, i quali amavano la Sacra Scrittura. La lettura ed il commento della Bibbia formavano parte della Messa dei catecumeni; ed i brani delle Lezioni, delle Epistole e dei Vangeli, che ancor oggi si leggono nel Sacrificio Eucaristico, sono un residuo dell’uso antico. La Bibbia era allora così venerata e meditata, che i persecutori prendevano occasione da essa per le loro battaglie contro i cristiani. Nel 303 Diocleziano emanava un editto per imporre ai fedeli di Cristo di consegnare i Libri sacri; e lo stesso Eusebio di Cesarea ci racconta come «una ingente moltitudine di martiri» subì tormenti gravissimi e la morte per la Scrittura. Sant’Irene venne bruciata viva per non aver voluto obbedire all’ordine del tiranno; e molti credenti portavano sul petto il santo Vangelo. Splendida è la scena, che troviamo negli Atti dei martiri, a proposito di sant’Euplio. Tradotto dinnanzi al giudice Calvisiano, per essere stato scoperto coi Vangeli, alla domanda del giudice, rispose: «Sì, mi hanno trovato con essi». E Calvisiano: «Leggili». Euplio, aprendo il libro, disse: «Beati quelli che sono perseguitati...». Dopo il lungo interrogatorio, fu appeso al suo collo il Vangelo, che aveva quando fu arrestato... Ed egli, dopo di aver reso grazie al Signore, piegò la testa, che gli venne mozzata dal carnefice. Tutti i Padri - come ci attestano le loro opere rimaste - non facevano altro che commentare la Scrittura. La loro predicazione era basata su questa, poiché non volevano che echeggiasse la loro parola, bensì la parola di Dio. San Giovanni Crisostomo non lasciava passare settimana senza rileggere le lettere di San Paolo: e basterebbe - per tacere d’altro - il nome di san Gerolamo, per ricordarci cosa significasse la Bibbia per lui. Là, sull’Aventino dapprima, sul colle avvolto come da un mistico ammanto di bellezza e di storiche memorie, il casto cenacolo, composto da Marcella, da Asella, da Paola, da Blesilla, da Paolina, da Eustochio, da Leta, da Fabiola, da altre nobili matrone e da altre vergini, Gerolamo illuminava le pie e dotte discepole sulle questioni più ardue del Vecchio e del Nuovo Testamento. Una biblioteca apposita serviva a quelle anime, ardenti di amore per la divina Scrittura; il latino, il greco, l’ebraico risuonavano sulle loro labbra; e ad imitazione delle altre sorelle in Cristo, Blesilla, durante la lunga infermità che doveva trascinarla al sepolcro, non depose mai né i Profeti, né il Vangelo. Da quella scuola, dove fioriva la coltura ed un sistema di pedagogia biblica, Gerolamo passò a Betlemme; ed a tutti è noto come nella solitudine betlemitica e fra i monasteri moltiplicantisi sulla terra di Gesù, egli ordinasse la sua opera di traduttore e di cultore dei Libri sacri. «Oh torni adunque - deve esclamare ogni cristiano con le parole del Card. Maffi - torni la Santa Scrittura ad essere il mio libro, e dalle mani non cada giammai! Mi conforti Giobbe col suo esempio, mi scuotano i Profeti con la loro parola, mi agiti san Paolo col suo zelo, mi commuova Israele con la sua storia di dolori e di benedizioni, mi alletti san Giovanni con le sue speranze, mi sostengano i Maccabei con la loro intrepidezza, mi inspiri Davide il gemito della preghiera, e soprattutto mi attragga Gesù Cristo esemplare nel Vangelo. Nulla deve impedirci di far nostra ogni giorno una pagina - sia pure una sola - della sacra lettera, che il Signore si è degnato mandarci».