Ormai, dopo queste riflessioni, è facile capire in che consista la Redenzione. Il Verbo Incarnato ha accettato di prendere su di sé tutti i nostri peccati; si è messo volontariamente al nostro posto; ed ha soddisfatto il debito nostro in modo sovrabbondante. L’umanità -- dice l’Apostolo san Pietro - è stata riscattata «non da cose corruttibili, quali l’argento e l’oro, ma col sangue prezioso dell’Agnello senza macchia, il sangue di Cristo, che è stato predestinato già prima della creazione del mondo». Sull’Uomo-Dio il Padre pose l’iniquità di tutti noi ed Egli ha sofferto ed è morto per tutti gli uomini, sia per quelli che l’avevano preceduto, come per quelli che sarebbero venuti dopo di Lui. «Con un gran prezzo» - per usare l’espressione di san Paolo - Cristo ha ottenuto la nostra redenzione; e, anche prescindendo dalla sua vita privata e pubblica, basta rivolgere un pensiero alla sua Passione, per comprendere quanto Gesù Cristo abbia sofferto per noi. I tormenti di quelle ore di strazio e d’angoscia si possono dividere in tre classi: a) I dolori delle sue membra immacolate. -- La flagellazione, che lo rese una piaga sola; la fronte trafitta, il capo «percosso, piagato, bruttato di sangue ed esposto al ludibrio sotto la corona di spine»; l’ascesa al Calvario sotto il pesante legno della Croce; le tre cadute, la crocifissione, le tre ore lente di agonia sul patibolo infame e la morte, furono un seguito di dolori inenarrabili. La feroce crudeltà dei carnefici non poteva essere maggiore; il «Dio umanato» ha sofferto un mare di dolori. Anche oggi, dopo tanti secoli, basta tendere l’orecchio e subito ci giunge l’eco dei colpi di martello, che cadevano inesorabili sui chiodi traforanti le mani ed i piedi del Giusto. b) Anche l’anima di Gesù fu invasa dall’amarezza, causatagli dalle circostanze stesse della sua Passione. Il tradimento di Giuda; l’abbandono degli Apostoli; la triplice negazione di Pietro; l’ingratitudine d’un popolo beneficato, che solo pochi giorni prima, gli aveva cantato l’osanna ed ora urlava il crucifige e lo posponeva a Barabba; le umiliazioni procurategli da ipocriti come Anna e Caifa, da crudeli come Pilato e la soldataglia, e persino da un immondo come Erode; le bestemmie dei nemici, l’insulto dei sacerdoti del tempio; la visione dell’avvenire in cui milioni e milioni di anime avrebbero irriso a Lui e calpestato il suo sangue divino; e soprattutto l’incontro con la Madre e le sue lacrime desolanti, tutto contribuiva a rendergli più angosciosa la terribile espiazione, che Egli subiva per i nostri peccati. c) Questo era poco ancora, in confronto dell’immenso dolore che si scatenò sopra Gesù, come una tempesta violenta, tra gli olivi del Getsemani e lo gettò boccone a terra, in un’agonia più opprimente della morte ed in un freddo sudore di sangue. Un dramma quale mai la terra aveva contemplato o contemplerà, si svolse nell’anima divina di Lui. L’Uomo-Dio, l’innocente, anzi la stessa Innocenza, la stessa Purezza, la stessa Bontà, in quel momento sentì tutti i peccati degli uomini sopra di sé. L’ammasso spaventoso delle colpe - come lo chiama Bossuet - che si erano commesse prima di Lui e che dopo la sua morte sarebbero state compiute; i peccati di tutte le creature, delle nazioni, delle famiglie e degli individui; tutte le nefandezze più obbrobriose, le più oscene viltà, le vergogne più innominabili, le ignominie più detestabili, le immoralità più sconce; tutta questa fiumana di fango Dio poneva sulle sue spalle e gravava sul suo Cuore immacolato. Egli sentì di sostituire allora i colpevoli e gli parve di scomparire in quell’oceano di lordure e di delitti. Il contrasto più vivo ed angoscioso lacerava la sua anima purissima, che in quell’ora provava la nausea più ributtante. «Padre! - esclamò - Se è possibile, passi da me questo calice! Tuttavia, non sia fatta la mia, ma la tua volontà». Ma il Padre fu inesorabile. Fino all’ultima feccia doveva Egli bere il calice amaro, perché - come dice san Paolo con una energica espressione - «Colui che non conosceva affatto il peccato, Dio l’aveva fatto peccato», essendo Egli la divina vittima per l’espiazione del peccato, simile - nella natura umana da Lui assunta - ai peccatori, e rappresentando non solo i peccatori, ma in certo senso lo stesso peccato. [Gesù NON peccò mai, ndR]. Fu allora che sudò sangue e si sentì spezzare il Cuore, quasi stritolato sotto i colpi della divina Giustizia e della umana fragilità; ed è parlando di questo tormento, che un giorno, a santa Margherita Maria, Gesù doveva dire: «È qui che ho più sofferto interiormente, che in tutto il resto della mia Passione, vedendomi in un abbandono generale del Cielo e della terra, carico dei peccati di tutti gli uomini. Io sono comparso innanzi alla Santità di Dio, che senza aver riguardo alla mia innocenza, mi ha infranto nel suo furore, facendomi bere il calice che conteneva tutto il fiele dell’amarezza del suo sdegno, come se Egli avesse dimenticato il nome di Padre per sacrificarmi alla sua giusta collera. Non vi ha creatura che possa comprendere la grandezza dei tormenti che soffersi allora». Tutto ciò, se ci ricorda che ognuno di noi è stato la vera cagione dei dolori di Cristo e della sua crocifissione, ci proclama però anche la dolce e consolante verità che per tutti Egli è morto e che, come lo definisce san Paolo, Egli è il Mediatore fra Dio e gli uomini. Da Cristo solo dipende la nostra salvezza, il perdono e la santificazione; per questo, Egli anche è il capo di tutti gli eletti che ha salvati per mezzo del Suo sacrificio. A Cristo Redentore si avvicinano, quindi, tutte le anime; e come - il paragone è di santa Teresa del Bambino Gesù - se sopra un braciere ripieno di carboni ardenti si getta una goccia d’acqua, questa scompare in un attimo, così in questo fuoco del divino amore di Cristo noi gettiamo i nostri peccati, sicuri che vengono distrutti. Venti secoli son passati e le generazioni umane sempre continuano a rivolgersi al Crocifisso, che tutti attende con la testa chinata, con le braccia aperte quasi in attesa di darci il suo divino abbraccio, col costato trafitto per mostrarci il Cuore che tanto ha amato gli uomini. Questo Cuore volle mostrarlo, dice santa Caterina, «affinché l’affetto dell’anima fosse tutto alle cose alte e l’occhio dell’intelletto contemplasse nel fuoco». Con la voce del cuore e del sangue Cristo ripete ad ognuno di noi: «Voi non siete fatti d’altro che d’amore». Lo spirito grande di san Paolo si perdeva in questo oceano d’amore ed alcune espressioni immortali delle sue Epistole ci danno un segno della sua commozione. Quando egli dice: «Se qualcuno non ama nostro Signor Gesù Cristo, sia scomunicato»; quando si gloria di non arrossire del Vangelo e di predicare solo Cristo Gesù e questo crocifisso; quando proclama che non c’è salute se non nel Redentore e perciò la sua vita è Cristo, san Paolo non fa altro se non innalzare il suo grido d’amore, che vivifica tutta la sua dottrina teologica ispirata, intorno all’Incarnazione ed alla Redenzione. Nel Crocifisso s’appuntano i pensieri e gli affetti dei buoni. San Francesco d’Assisi riceverà nelle sue membra il suggello glorioso del martirio divino e tutti i Santi porteranno le stimmate impresse nella loro coscienza. Le abnegazioni più alte, gli eroismi più generosi, i sacrifici più disinteressati trovano in Cristo, che pende dalla Croce, l’ispirazione e la forza. E gli stessi bestemmiatori, come un giorno sul Calvario, finiscono col Centurione a battersi il petto, confessando: «Veramente Costui è il Figlio di Dio». Qualche retore di cattivo gusto può talvolta divertirsi a confrontare la morte di Cristo con quella di Socrate, o con la morte di altri uomini celebri; ma non si riesce mai a scoprire nessuno, per quanto illustre e famoso, che possa ripetere, come Gesù ripete da secoli ad ogni coscienza: «Io, io sono la risurrezione e la vita».

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