Raccontavano del padre Daniele che, quando i barbari fecero incursione a Scete, i padri fuggirono. Ma l’anziano disse: «Se Dio non si prende cura di me, perché dovrei vivere?». E passò attraverso i barbari, ed essi non lo videro. Disse allora a se stesso: «Ecco, Dio si è preso cura di me e non sono morto. Fa’ tu ora ciò che spetta all’uomo, e fuggi come gli altri padri» (153b). Un fratello chiese al padre Daniele: «Dammi un precetto e lo osserverò». Gli dice: «Non intingere la mano nella scodella con una donna e non mangiare con lei, e così ti allontanerai un poco dal demone della concupiscenza» (153bc). Il padre Daniele raccontò che a Babilonia la figlia di un alto funzionario era posseduta dal demonio. Suo padre era molto amico di un monaco, che gli disse: «Nessuno può curare la tua figliola se non quegli anacoreti che conosco. Ma, se li inviti a venire, non verranno per umiltà. Facciamo così: quando vengono al mercato, “fingete” di volere comperare la loro merce. E, quando vengono per riscuoterne il prezzo, diciamo loro di pregare e credo che guarirà». Andarono al mercato e trovarono un discepolo dei padri seduto a vendere la sua merce, e lo fecero venire a portare i suoi canestri e a ritirare il denaro. Quando il monaco entrò in casa, l’indemoniata gli andò incontro e gli diede uno schiaffo. Egli porse anche l’altra guancia, secondo il precetto del Signore . Il demonio ne fu tormentato e gridò: «Ahimè, il comando di Gesù mi caccia con violenza!». E subito la fanciulla fu mondata. Quando i padri giunsero, venne loro riferito l’accaduto. Ne glorificarono Dio dicendo: «Accade sempre così alla superbia del diavolo, di cadere di fronte all’umiltà del precetto di Cristo» (153c-156a; PJ XV, 14). Da Vita e detti dei Padri del deserto, edizione Città Nuova, 1999.

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