Un giorno a Scete, il padre Arsenio si ammalò e perciò ebbe bisogno di una camicia: non avendo il denaro per comperarla, accettò da uno la carità e disse: «Ti ringrazio, Signore, perché mi hai concesso di ricevere la carità per il tuo nome» (92d; PJ VI, 3). Si raccontava che la sua cella era lontana trentadue miglia. Usciva raramente; altri gli prestavano i servizi necessari. Quando Scete fu devastata uscì piangendo: «Il mondo ha perso Roma e i monaci Scete» [paragona questo grande danno per i monaci al danno costituito per il mondo dal saccheggio di Roma] (93a; PJ II, 6). Il padre Marco domandò al padre Arsenio: «È bene non avere alcun conforto nella propria cella? Ho visto un fratello che aveva un po’ di piantine e le stava estirpando». Il padre Arsenio rispose: «È bene, ma dipende dalle disposizioni di ciascuno: se infatti non avrà la forza di vivere così, ne pianterà delle altre» (PJ X, 7). (Citazioni scelte da www.padrideldeserto.net).