Un tal Dositeo, che, nel sesto secolo, fu allevato come paggio nella corrotta corte di Costantinopoli, sebbene avesse ricevuto il battesimo, viveva in una completa ignoranza delle principali verità della religione cristiana. Quel Dositeo era proprio simile a tantissimi cattolici dei giorni nostri, i quali non sanno spiccicare bene neppure le prime parole dell’orazione domenicale. Al giovine paggio venne il desiderio d’andare a visitare Gerusalemme, di cui aveva sentito raccontare tante meraviglie. In quella misteriosa città lo aspettava la misericordia del Signore per farne un santo. Giunto a Gerusalemme, Dositeo entra in una chiesa, guarda verso un muro e vi scorge, dipinta, una scena terribile. Si vedevano soggetti infelici con atti e sembianze di disperazione, immersi in un mare di fuoco, con ai fianchi orribili mostri che accanitamente li tormentavano, e si facevano gioco dei loro spasimi!... «Che vuole rappresentare questa scena terribile?», domandò Dositeo ad una persona che lo accompagnava nella visita della chiesa. «Signor mio, questo è l’Inferno, gli rispose subito la persona». E Dositeo meravigliato: «L’Inferno? E che cosa è l’Inferno?». «È il luogo - rispose di nuovo la persona - ove sono tormentati i peccatori, i nemici di Dio». «E dimmi - proseguì Dositeo - questi tormenti quanto tempo dovranno durare?». «Voi sbagliate la domanda, signor mio - rispose la persona. Nell’Inferno non c’è tempo, ma eternità. I tormenti dei dannati dovranno durare eternamente...». Allora il povero Dositeo, quasi fuori di sé per lo spavento, fece immediatamente alla persona queste due domande: «E non potrei pure io cadere in quel mare di tormenti? Che cosa mi conviene fare per preservarmene?». La persona gli dette ammonizioni ed istruzioni al medesimo tempo, così il paggio della corte di Costantinopoli, invece di far ritorno a quella corte corrotta e pagana, prese la via del deserto, s’andò a mettere sotto la rigida disciplina di san Doroteo, e divenne santo. Una pittura dell’Inferno, dunque, cambiò in un santo un giovane di mondo e gli fece evitare i supplizi eterni dei dannati. Noi spesso vediamo simili pitture. Anche dai predicatori sentiamo fare pitture (descrizioni, ndR) terribili delle pene dei dannati; ma il nostro cuore è come quello del giovine Dositeo?

(Tratto da Giacinto Belmonte cappuccino, Op. cit., 1887, con permesso dei Superiori, vol. II, pagine 186 - 188).

A cura di Carlo Di Pietro

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