Un vero prodigio nella Chiesa cattolica fu la vita di San Rocco della Croce. Egli nacque nella città di Montpellier. Dai genitori fu ottenuto per voto e, appena venuto alla luce, ebbero la cura di consacrarlo alla Regina dei Cieli. Allo scocco dei vent’anni rimase orfano del padre e della madre, cominciò finalmente a pensare alle cose del Cielo. Vendette una buona porzione delle sue grandi proprietà per dispensare elemosine ai poveri, lasciò ad un suo zio l’amministrazione del resto, vestì l’abito del Terz’Ordine di San Francesco e venne in pellegrinaggio nell’Italia nostra. Era delicatissimo nel fisico, ma s’armò di coraggio e giunto in Italia, mischiato fra la turba dei pellegrini, camminava sempre a piedi e spesso domandava il pane della carità. In quei giorni la nostra bella Penisola era flagellata dalla peste e Rocco, tutto carità, iniziò ad assistere gli appestati in qualunque luogo li avesse potuti rinvenire. Recatosi nell’ospedale di Piacenza, venne colpito egli stesso dal terribile morbo. La peste gli aprì una grande piaga nella gamba sinistra, tanto da non riuscire a trattenere le grida strazianti. Credendo di poter recare disturbo ai poveri ammalati con le sue continue grida, un giorno pensò di lasciare l’ospedale e d’andarsi a nascondere nel ventre di un bosco, vicino all’ospedale medesimo. Povero giovane! Chi gli recherà un poco di cibo? Chi l’assisterà in quella solitudine? L’acqua d’un ruscelletto gli refrigerava alquanto il dolore della gamba, un cane gli recava il cibo... E come faceva quel cane a sostenere in vita il povero ammalato? Un tal signore di Piacenza, di nome Gottardo, aveva un cane che ogni giorno rubava un pezzo di pane dalla mensa del padrone, l’addentava e scappava di casa con grande rapidità. Il padrone un bel giorno se ne accorse e volle seguire il pietoso cane. Gottardo rimase sbalordito quando, non perdendo mai di vista il cane, entrò nel bosco e vide che l’animale, quasi fosse una ragionevole creatura, andò a deporre nelle mani d’un ammalato il pane che teneva in bocca. «Come mai questo portento?», disse quel signore a Rocco. Questi sorridendo rispose: «La divina Provvidenza mi ha mandato ogni giorno il cibo per mezzo di questo cane. Benediciamo insieme, fratello, questa divina Provvidenza». Gottardo non finì mai d’ammirare un tale portento, e, rifuggito il mondo con tutte le sue vanità ed albagie (presunzioni, ndR), decise d’andare a chiudersi in un chiostro, ove santamente finì i suoi giorni. Fra le altre bestemmie e calunnie che lanciò alla Chiesa cattolica l’infelice Alberto Mario, una fu quella d’aver rimproverato alla stessa la menzogna del corvo di San Paolo e del cane di San Rocco. Alberto, invece di dire coi cattolici che la Chiesa fa menzione del corvo e del cane, diceva addirittura che essa aveva posti su gli altari il corvo ed il cane. Però l’infelice Alberto Mario morì d’un cancro alla lingua! (Tratto da Giacinto Belmonte cappuccino, Racconti miracolosi, 1887, con permesso dei Superiori, vol. II, pagine 317-319).

A cura di Carlo Di Pietro

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