Un esponente del cosiddetto “mondo gay”, sulle pagine del Roma, ha recentemente dichiarato che «Dio non è omofobo». Questi sostiene che «il popolo del (“gay”) Pride prega», che «Dio non sbaglia», che «Dio ci ha voluti ognuno come siamo», facendo così scaricabarile. Per conseguenza Dio non sarebbe “omofobo” (parola di genesi partitica e di difficile esegesi), ma sarebbe la Chiesa, nella sua frangia “intollerante”, a discriminare i “gay”.

Rispondo che il peccato non viene da Dio (Gen. III, 6), che Dio non nega il libero arbitrio (Dt. XXX, 19), che la preghiera è un dovere (Mc. XIV, 38), che la preghiera è utile alla redenzione e non alla dannazione (cf. Somma Theologiae, q. 83, a. 16).

Adesso dimostrerò, veracemente e contro i sofismi addotti dall'esponente del cosiddetto “mondo gay”, perché «Dio non è “omofobo”» e perché la Chiesa non discrimina i “gay”, anzi, con somma carità (1Cor. XIII), Essa governa, istruisce (Gv. XXI, 15) e santifica (Lc. XXII, 19) per la salvezza delle anime (Ef. IV, 11-24), proprio come vuole Dio (Mc. XVI, 15-16). Chi si antepone a Dio, chi non crede nell’anima e chi non desidera la salvezza, non può accusare Dio di “omofobia” e la Chiesa di “intolleranza”, difatti: «Chi si oppone all’ordine stabilito da Dio, si attira (da sé) addosso la condanna» (Rom. XIII, 2). Dall’Apocalisse ed altrove (es. Mt. XXV, 41; 1Cor. VI, 10) conosciamo la «seconda morte» del peccatore: «per i vili e gl’increduli, gli abietti e gli omicidi, gl’immorali, i fattucchieri, gli idolàtri e per tutti i mentitori è riservato lo stagno ardente di fuoco e di zolfo» (Apoc. XXI, 8).

Vengo al tema senza voler giudicare alcuno, ma solo preoccupandomi dell’onore di Dio e delle mie miserie. Insegna Pio XI: «Non vi può essere ragione alcuna, sia pur gravissima, che valga a rendere conforme a natura ed onesto ciò che è intrinsecamente contro natura. E poiché l’atto del coniuge è, di sua propria natura, diretto alla generazione della prole, coloro che nell’usarne lo rendono studiosamente incapace di questa conseguenza, operano contro natura e compiono un’azione turpe ed intrinsecamente disonesta» (Casti Connubii).

Il Matrimonio è, dunque, l’unione monogamica ed indissolubile dell’uomo e della donna, celebrata per la procreazione della prole. Si tratta di un «contratto naturale» che, fra battezzati, è elevato alla dignità di Sacramento. Alle doti che lo caratterizzano come «contratto naturale» e Sacramento si oppongono il divorzio, l’adulterio, la contraccezione, la sterilizzazione volontaria, la fecondazione artificiale, l’aborto, le cosiddette “unioni civili” (cf. Dizion. Crist., p. 304; cf. S. Th., Suppl. q. 41, aa. 1-4; qq. 42-48; q. 49; qq. 50-59).

La lussuria, che aggredisce anche il Matrimonio, è uno dei sette vizi capitali consistente nella brama disordinata del piacere sessuale. Il peccato che ne segue è sempre grave, perché contrasta col finalismo della natura, che subordina quel piacere alla legge dell’amore fecondo, lecito unicamente nel contesto della vita coniugale (S. Th., II-II, qq. 153-154).

Fra gli atti che «gridano vendetta al cospetto di Dio» (Catech., san Pio X) troviamo il «peccato impuro contro natura». Il Dragone (Comm. al Catech., p. 238) dice: «Creando i due sessi distinti ed istituendo il Matrimonio, Dio ha concesso agli uomini l’inestimabile privilegio di essere suoi collaboratori nel propagare la vita sulla terra. Egli vuole che siano osservate le leggi divine e naturali che regolano il Matrimonio. Chi cerca di impedire che si propaghi la vita, commette un gravissimo peccato che grida vendetta al cospetto di Dio. I sodomiti furono puniti di questo peccato col fuoco disceso dal cielo, che li incenerì con la loro città (Gn. XIX, 1-29)». La Scrittura narra ancora questa vicenda storica: «Onan ogni volta che si univa alla moglie del fratello, disperdeva (il seme) per terra, per non dare una posterità al fratello. Il Signore fece morire anche lui» (Gn. XXXVIII, 9-10).

«La sodomia è l’unione sessuale contro natura, tra persone DEL MEDESIMO O DI DIVERSO SESSO. Si tratta di un disordine morale gravissimum et turpidissimum» (S. Th., II-II, q. 154, aa. 11-12; cf. Dizion. Crist., p. 492). Il Catechismo, con san Tommaso e sant’Agostino, definisce la pratica della sodomia: «Maximum peccatum inter species luxuriae» (S. Th., II-II, q. 154, a. 12 e De bono coniugii, 8). Questo «maximum peccatum» si oppone direttamente anche alla famiglia, che è la prima comunità umana composta di genitori e figli, fondamento della stirpe, della nazione, della Società umana. Istituzione naturale, non semplicemente «prodotto della cultura», la famiglia è anteriore ad ogni aggregato politico, ad ogni convenzione e legge positiva, essendo fondata sulla complementarietà dei sessi (cf. Dizion. del Cristian., p. 192).

Il sesto Comandamento - dettato sempre da Dio (cf. Es. XX, 14; Mt. V, 27-28) - dice «Non fornicare», la cui violazione è «un peccato gravissimo ed abominevole innanzi a Dio ed agli uomini; avvilisce l’uomo alla condizione dei bruti, lo trascina a molti altri peccati e vizi, e provoca i più terribili castighi in questa vita e nell’altra» (Catech. Magg., san Pio X).

Se la trasgressione è pubblica, se è ostentata, il reo si oppone anche al quinto Comandamento («Non uccidere» - Es. XX, 13 etc.), che ci proibisce di arrecare danno alla vita materiale e spirituale. Lo scandalizzatore, punito da Dio con atroci castighi (Mt. XVIII, 6 par.), è colui il quale porge al prossimo occasione di peccare, distogliendolo dal bene o incitandolo al male: tenta di uccidere la vita soprannaturale del prossimo.

Chi non rispetta i Comandamenti odia: «perché l’amore consiste nell’osservare i comandamenti di Dio» (Lc. X, 27 par.; es. Rom. XIII, 9; Gal. V, 14; 1Gv. V, 3; etc.).

Quanto qui accennato, concetti di fede e morale basilari ed abbastanza elementari, probabilmente susciterà rabbia in alcuni estremisti ed in esponenti del modernismo (ossia ignoranti che occupano materialmente le nostre chiese - cf. Pascendi Dominici gregis, san Pio X e Humani generis, Pio XII), tuttavia è espressione integrale (1Gv. II, 4) e non arbitraria della fede cristiana (Gv. XVI, 13).

Credo di aver dimostrato che Dio non è “omofobo”, in quanto vuole che tutti si salvino smettendo di peccare (Lc. XIII, 20-28), e che la Chiesa non discrimina i cosiddetti “gay”, dato che queste prescrizioni di Dio sono valide per il bene di tutti gli uomini (me per primo) e non semplicemente per i “gay”.

Non vorrei essere nei panni delle tante «guide cieche» (Lc. VI, 39), «falsi profeti» (2Pt. II, 1) e «cani muti, incapaci di abbaiare» (Is. LVI, 10), che approvano il male o tacciono il bene, i quali comunque «renderanno conto a Colui che è pronto a giudicare i vivi e i morti» (1Pt. IV, 5)

Carlo Di Pietro da Il Roma