In Italia il cosiddetto “testamento biologico” è oramai legge (una pretesa legge). Al netto delle coloriture di propaganda pseudo-politica, si tratta dell’apertura all’eutanasia. Sospendiamo, quindi, l’abituale analisi del programma politico del C.P.I. e dedichiamo le nostre attenzioni all’apostasia del “suicidio legalizzato”. Di che si tratta? Cosa deve sapere chi si professa cattolico? Rispondiamo fornendo una puntuale sintesi della voce «Eutanasia» tratta dall’Enciclopedia Cattolica (Vaticano, Imprimatur 1950, Vol. V, Coll. 864-866), nonché citando altri fondamentali documenti.

Eutanasia vorrebbe significare «la pietosa uccisione non dolorosa di un malato ritenuto ormai inguaribile e tormentato da sofferenze intollerabili» (Enc. Catt.). Riflettiamo:

§1. Se un malato viene ritenuto da certi uomini «oramai inguaribile», significa che gli stessi credono impossibile un intervento miracoloso del Padre Eterno, dunque abbiamo a che fare con degli scettici, con degli atei almeno de facto. Usiamo le adeguate etichette;

§ 2. Il cattolico anela espiare, Dio permettendolo, le eventuali «pene temporanee» in questa vita, piuttosto che in Purgatorio, prima che sia aperto l’ingresso nel Regno dei cieli (cf. Concilio di Trento, Sess. VI, can. 30);

§ 3. Rimessi con una valida assoluzione i peccati, è rimessa la pena eterna meritata col peccato mortale, tuttavia, se non si ha una contrizione perfettissima (o piuttosto a causa dei peccati veniali), rimane ordinariamente da scontare, in questa o nell’altra vita, la «pena temporanea». In questa vita si sconta con la paziente sofferenza per amore di Dio, con la penitenza, con la mortificazione, con le opere di misericordia, etc. (cf. Catechismo, Papa san Pio X, n° 381 segg.);

§ 4. L’eutanasia è inaccettabile, come violazione del quinto comandamento: «non uccidere» (l’innocente) che si erge, come barriera insuperabile, ad ammonire che Dio solo è padrone assoluto della vita e non è lecito dar morte. Addirittura i pagani (es. Pitagora e Cicerone) ebbero chiaro nella mente ed espressero nelle loro opere il concetto che è illecito allontanarsi dalla vita senza il comando di Colui che l’ha data (cf. Enc. Catt.; Cicerone, De senectute, 20, 73; Somnium Scipionis, 3, 7);

§ 5. Il suicidio è assolutamente illecito, inoltre l’omicidio grida vendetta al cospetto di Dio. L’uccisione di se stessi è contro l’inclinazione naturale alla sopravvivenza e contro la carità con la quale uno deve amare se stesso. Quindi il suicidio è sempre peccato mortale, essendo incompatibile con la legge naturale e con la carità. Ciascun uomo è parte della società, quindi è essenzialmente della collettività. Perciò uccidendosi (o facendosi uccidere per “testamento” - un assurdo!) fa un torto anche alla società. La morte «è l’ultimo e il più tremendo» tra i mali della vita presente; cosicché darsi la morte per sfuggire le altre miserie di questa vita, equivale ad affrontare un male più grave (la morte e poi l’Inferno) per evitarne uno minore (la sofferenza temporanea). A Dio soltanto appartiene il giudizio di vita e di morte, secondo le parole della Scrittura: «Sono io a far morire e far vivere» (cf. Summa Theologiæ, San Tommaso d’Aquino, II-II, q. 64, a. 5);

§ 6. Il fine della medicina è quello di conservare il più a lungo possibile la vita umana e di opporsi alla morte, l’omicidio liberatore dalle sofferenze - come pure il procurato aborto - non si può ammettere in quanto opposto al suddetto fine (cf. Enc. Catt.); 

§ 7. Non si può avere l’assoluta certezza della inguaribilità del male, poste anche la possibilità d’una diagnosi errata, le impensate risorse dell’organismo, il continuo progresso dei mezzi di cura (Ibid.).

§ 8. Se il tipo di infermità è tale da invalidare, in quel preciso istante, l’autoconsenso, benché esso sia stato consegnato prima ma in circostanze e condizioni differenti, questo diviene inefficace, non essendo espressione di libera volontà.

§ 9. L’eteroconsenso, negli incapaci, è cosa illecita per la mancante volontà, del paziente da una parte, dall’altra per il possibile grave rischio di fini occulti egoistici e criminosi degl’interessati (cf. Enc. Catt.).

§ 10. L’apparente «fine di bene» facilmente diviene, come già in altri paesi, il pretesto per mascherare i più turpi interessi (es. eliminare gli handicappati, i depressi ed indigenti, gli indifesi). La «pietosa morte» inflitta è, infine, l’arbitraria anticipazione, nel campo rigoglioso della «delinquenza evoluta» (cf. Enc. Catt.), di una morte altrimenti troppo tarda a venire per il desiderio degli interessati (es. lo Stato avido e nel contempo avaro, gli eredi, i debitori, etc.).

§ 11.  Non può considerarsi altruistico il fine dell’eutanasia, il movente «appare materiato dal raffinato egoismo di non voler patire il patimento altrui, o volersi liberare dal peso di una penosa assistenza». La carità cristiana viene distrutta e la, già inutile in assenza di fede, filantropia sociale si risolve nel più colpevole egoismo (cf. Enc. Catt.).

§ 12. L’eutanasia è inaccettabile, poiché «la libertà d’agire (del singolo, della collettività o dell’Autorità) non deve mai travalicare i limiti stabiliti dalle leggi di natura e divine» (cf. Immortale Dei, Leone XIII). Il volere di chi governa non deve mai «ripugnare al volere ed alle leggi di Dio». L’autorità umana, difatti, «è nulla quando non vi è giustizia», quando si «perverte la giustizia», quando si «eccede la misura della potestà» (cf. Diuturnum Illud, Leone XIII);

§ 13. L’eutanasia o “suicidio legalizzato” è una misura tirannica. Spiega l’Angelico che «il tiranno per qualche interesse terreno abbandona la via della giustizia» e priva se stesso, ma talvolta anche i suoi sudditi, della «gloria del regno celeste» (cf. De Regimine principum, San Tommaso d’Aquino);

§ 14. Concludo: madrina dell’eutanasia fu la femminista Margaret Sanger. Fra le sue frasi celebri ricordiamo: «Non è necessario che circoli l’idea che vogliamo sterminare la popolazione nera», nel contempo sterilizziamoli; «(Poveri ed immigrati) generano esseri umani che non dovrebbero mai venire al mondo»; «Il controllo delle nascite consiste, né più né meno, nell’eliminazione delle persone inadeguate»; «Penso che il peccato più grande di tutti sia mettere al mondo dei figli che hanno malattie a causa dei loro genitori, che non avranno la possibilità di diventare esseri umani degni di questo nome».  

Carlo Di Pietro da Il Roma