Afferma Pio XI nella Caritate Christi Compulsi (3.5.1932): «In questa lotta (contro il materialismo ateo) si discute veramente il problema fondamentale dell’universo e si tratta la più importante decisione proposta alla libertà umana: per Dio o contro Dio, è questa la scelta che deve decidere le sorti della umanità tutta: nella politica, nella finanza, nella moralità, nelle scienze, nelle arti, nello Stato, nella società civile e domestica, in Oriente e in Occidente, dappertutto si affaccia questo problema come decisivo per le conseguenze che ne derivano. Il credere in Dio è il fondamento incrollabile di ogni ordinamento sociale e di ogni responsabilità sulla terra».

Ed il Salmista esclama: «Beatus populus, cui Dominus est Deus» (Liber Psalmorum, V, 144) - Beato quel Popolo il cui Signore è il suo Dio.

Insegna Leone XIII nella Immortale Dei  (1.11.1885): «L’uomo è naturalmente ordinato alla società civile. Alla convivenza civile è necessaria l’autorità che la regga: la quale proviene dalla natura e perciò da Dio stesso. Ne consegue che il potere pubblico per se stesso non può provenire che da Dio. Solo Dio, infatti, è l’assoluto e supremo Signore delle cose, al quale tutto ciò che esiste deve sottostare e rendere onore: sicché chiunque sia investito del diritto di governo non lo riceve da altri se non da Dio. È chiaro che una società costituita su queste basi deve assolutamente soddisfare ai molti e solenni doveri che la stringono a Dio con pubbliche manifestazioni di culto».

Dunque: «La natura e la ragione, che comandano ad ogni singolo individuo di tributare a Dio pii e devoti atti d’ossequio - poiché tutti siamo in Suo potere e tutti, da Lui originati, a Lui dobbiamo ritornare - impongono la stessa legge alla società civile. Gli uomini uniti in società non sono meno soggetti a Dio dei singoli individui, né la società ha minori doveri dei singoli verso Dio».

Al contrario di quello che sostengono i moderni e falsi pastori, nonché i demagoghi travestiti da politici: «Come a nessuno è lecito trascurare i propri doveri verso Dio - e il più importante di essi è professare la religione nei pensieri e nelle opere, e non quella che ciascuno preferisce, ma quella che Dio ha comandato e che per segni certi e indubitabili ha stabilito essere l’unica vera - allo stesso modo le società non possono, senza sacrilegio, condursi come se Dio non esistesse, o ignorare la religione come fosse una pratica estranea e di nessuna utilità, o accoglierne indifferentemente una a piacere tra le molte; ma al contrario devono, nell’onorare Dio, adottare quella forma e quei riti coi quali Dio stesso dimostrò di voler essere onorato».

Per concludere: «Santo deve essere il nome di Dio per i Governanti, i quali tra i loro più sacri doveri devono porre quello di favorire la (vera) religione, difenderla con la loro benevolenza, proteggerla con l’autorità e il consenso delle leggi, né adottare qualsiasi decisione o norma che sia contraria alla sua integrità». Poiché: «Da ciò dipende la completa e perfetta felicità degli uomini, il conseguire il fine di cui s’è detto è cosa di tale importanza per ognuno, che nulla può essere di maggior momento».

Nella Quod Apostolici Muneris (28.12.1878) sempre Leone XIII asserisce: «Le audaci macchinazioni degli empii traggono principio ed origine da quelle velenose dottrine, che sparse (dalle conventicole) nei tempi passati come velenosi semi in mezzo ai popoli, diedero a suo tempo frutti così amari. La guerra implacabile mossa fin dal secolo XVI dai novatori contro la Fede Cattolica, e che venne sempre crescendo fino ai giorni nostri, ha per scopo di aprire la porta ai delirii della ragione abbandonata a se stessa, tolta via ogni Rivelazione e rovesciato ogni ordine soprannaturale».

Questo errore: «Che a torto prende nome dalla ragione, siccome solletica e rende più viva l’innata bramosia d’innalzarsi, ed allenta il freno ad ogni sorta di cupidigie, senza difficoltà s’introdusse non solo nella mente di moltissimi, ma giunse anche a penetrare ampiamente nella società civile».

Cosicché: «Con empietà nuova, sconosciuta perfino agli stessi pagani, si costituirono Stati senza alcun riguardo a Dio ed all’ordine da Lui prestabilito; si andò dicendo che l’autorità pubblica non riceve da Dio né il principio, né la maestà, né la forza di comandare, ma piuttosto dalla massa popolare la quale, ritenendosi sciolta da ogni legge divina, tollera appena di restare soggetta alle leggi che essa stessa a piacere ha sancite».

Per conseguenza: «Combattute e rigettate come nemiche della ragione le verità soprannaturali della fede, si costringe lo stesso Autore e Redentore del genere umano ad uscire insensibilmente e a poco a poco dalle università, dai licei e dai ginnasi e da ogni pubblica consuetudine della vita (dalla società e dalla famiglia). Infine, messi in dimenticanza i premi e le pene della eterna vita avvenire, l’ardente desiderio della felicità è stato rinserrato entro gli angusti confini del presente».

Adesso: «Non deve recare meraviglia che, scossa, vacilli ormai ogni pubblica e privata tranquillità, e che l’umanità sia giunta quasi alla sua estrema rovina».

Tale, ricorda San Pio X nella Notre Charge apostolique (25.8.1910), è la funesta sorte di «una certa democrazia che giunge fino a un tal grado di perversità da attribuire al popolo la sovranità nella società».

Carlo Di Pietro da Il Roma