Che cosa s’intende per «pace fredda»? Risponde Papa Pio XII nel Radiomessaggio di Natale (anno 1954). È chiaro che la semplice coesistenza - dice - non merita il nome di pace, quale la tradizione cristiana ha definito «tranquillitas ordinis». La «pace fredda» è soltanto una calma provvisoria, il cui durare è condizionato dalla sensazione mutevole del timore, dal calcolo oscillante delle forze presenti; mentre non ha nulla dell’ordine giusto, il quale suppone una serie di rapporti convergenti in un comune scopo giusto e retto. Escludendo poi qualsiasi vincolo d’ordine spirituale tra i popoli - prosegue - la «pace fredda» è ben lontana da quella predicata e voluta dal Divino Maestro, fondata cioè sull’unione degli spiriti nella medesima fede, e che san Paolo definisce «pax Dei», la quale impegna le intelligenze ed i cuori, e si esercita in armonica collaborazione di opere in tutti i campi della vita, non escluso quello politico, sociale ed economico.

È impressione comune, ricavata dalla semplice osservazione dei fatti, - riflette - che il principale fondamento, su cui poggia il presente stato di relativa calma, sia il timore. Ciascuno dei gruppi, nei quali è divisa l’umana famiglia, tollera che esista l’altro, perché non vuole perire egli stesso. Evitando in tal modo il fatale rischio, i gruppi non convivono, ma coesistono. Non è stato di guerra, ma neppure è pace: è una «fredda calma». In ciascuno dei gruppi è assillante il timore per la potenza militare ed economica dell’altro, è viva l’apprensione per gli effetti catastrofici delle nuovissime armi. Con attenzione piena d’angoscia ciascuno segue lo sviluppo tecnico degli armamenti dell’altro e le sue capacità di produzione economica, mentre affida alla propria propaganda di trarre profitto dall’altrui timore, rafforzandone ed estendendo il senso.  

L’assurdo più evidente che emerge da un così miserevole stato di cose - rileva il Pontefice - è questo: la odierna prassi politica, pur paventando la guerra come somma catastrofe, le concede tutto il credito, quasi sia l’unico espediente per sussistere e l’unica regolatrice dei rapporti internazionali. In un certo senso, si confida in ciò da cui supremamente si aborre. È innegabile - prosegue - che l’economia, avvalendosi dell’incalzante progresso della tecnica moderna, ha raggiunto con attività febbrile sorprendenti risultati, tali da far prevedere una trasformazione profonda della vita dei popoli, anche di quelli creduti finora alquanto arretrati. Tuttavia l’economia, con la sua capacità apparentemente illimitata di produrre beni, e con la molteplicità delle sue relazioni, esercita presso molti contemporanei un fascino superiore alle sue possibilità e su terreni ad essa estranei.

L’errore di una simile fiducia riposta nella moderna economia accomuna ancora una volta le due parti, in cui il mondo d’oggi è smembrato. In una di esse s’insegna che se l’uomo ha dimostrato tanto potere da creare il meraviglioso complesso tecnico-economico di cui oggi si vanta, avrà anche la capacità di organizzare la liberazione della vita umana da tutte le privazioni e tutti i mali di cui soffre, e di operare in tal modo una sorta di autoredenzione. D’altra parte, invece, guadagna terreno, la concezione che dall’economia, e in particolare da una sua forma specifica, quale è il libero scambio, si deve attendere la soluzione del problema della pace.

Il corso degli avvenimenti - rileva il Papa - ha dimostrato quanto sia ingannevole l’illusione (anche mistica) di confidare la pace al solo libero scambio. Infatti, mentre in una delle parti coesistenti nella «pace fredda», la libertà economica, tanto esaltata, in realtà ancora non esiste; nell’altra è addirittura rigettata come principio assurdo. Vi è fra ambedue un diametrale contrasto nel concepire i fondamenti stessi della vita. Mentre una delle parti fonda la sua coesione interna sopra un’idea falsa, anzi lesiva dei primari diritti umani e divini, ma tuttavia efficace; l’altra, dimentica di averne già in sé una, vera, provata con buon successo nel passato, sembra invece dirigersi verso princìpi politici evidentemente dissolutori dell’unità.

Molti stimano che la politica stia per ritornare al tipo di Stato nazionalistico, chiuso in se stesso, accentratore delle forze, irrequieto nella scelta delle alleanze, e quindi non meno pernicioso di quello in auge nel secolo scorso. Si è dimenticato l’enorme cumulo di sacrifici di vite e di beni estorto da questo tipo di Stato e gli schiaccianti pesi economici e spirituali da esso imposti. La sostanza dell’errore consiste nel confondere la vita nazionale in senso proprio con la politica nazionalistica: la prima, diritto e pregio di un popolo, può e deve essere promossa; la seconda, quale germe d’infiniti mali, non sarà mai abbastanza respinta. Presagisce: È chiaro che se la comunità europea s’inoltrasse in questa via, la sua coesione risulterebbe ben fragile in paragone a quella che ha di fronte.

Soltanto lo spirito, immagine di Dio ed esecutore dei Suoi disegni, - conclude - può stabilire sulla terra ordine ed armonia, e vi perverrà nella misura in cui si renderà interprete fedele e docile strumento dell’unico Salvatore Gesù Cristo, pace Egli stesso. Cfr. Dizionarietto di Dottrina politica dei Papi (Ed. L’alleanza italiana, 1960, Vol. 1, pag. 132 segg.).

Carlo Di Pietro da Il Roma