Nel 1917 Papa Benedetto XV si rivolge ai Capi dei popoli belligeranti. Dice: «(È necessario accordarsi e deliberare) per una pace giusta e duratura … Il punto fondamentale dev’essere che sottentri alla forza materiale delle armi la forza morale del diritto … Stabilito così l’impero del diritto (ovvero: solo dopo aver stabilito l’impero del diritto moralmente vincolante), si tolga ogni ostacolo alle vie di comunicazione dei popoli con la vera libertà e comunanza dei mari: il che, mentre eliminerebbe molteplici cause di conflitto, aprirebbe a tutti nuove fonti di prosperità e di progresso … Ma questi accordi pacifici, con gli immensi vantaggi che ne derivano, non sono possibili senza la reciproca restituzione dei territori attualmente occupati. (Quindi si garantiscano a tali  territori) la piena indipendenza politica, militare ed economica …, (dunque si restituiscano) le colonie» (Dès les début, 1.8.1917). Il Pontefice si concentra su circostanze ben specifiche.

Nel 1945 Papa Pio XII insegna: «L’edificio della pace riposerebbe sopra una base crollante e sempre minacciosa, se non ponesse fine a un siffatto totalitarismo, il quale riduce l’uomo a non essere più che una pedina nel gioco politico, un numero nei calcoli economici. Con un tratto di penna esso muta i confini degli Stati; con una decisione perentoria sottrae l’economia di un popolo, che pure è sempre una parte di tutta la vita nazionale, alle sue naturali possibilità; con una mal dissimulata crudeltà scaccia anch’esso milioni di uomini, centinaia di migliaia di famiglie, nella più squallida miseria, dalle loro case e dalle loro terre, e le sradica e le strappa da una civiltà e una cultura, alla cui formazione avevano lavorato intere generazioni. Anch’esso pone arbitrari limiti alla necessità, e al diritto di migrazione e al desiderio di colonizzazione». Tutto ciò costituisce «un sistema contrario alla dignità e al bene del genere umano. Eppure, secondo l’ordinamento divino, non è la volontà e la potenza di fortuiti e mutevoli gruppi d’interesse, ma l’uomo nel mezzo della famiglia (unità economica, giuridica, morale e religiosa) e della società col suo lavoro, il signore del mondo» (Negli ultimi sei anni, 24.12.1945).

Sempre Papa Pio XII - nel 1954 - commenta: «L’Europa attende ancora il risveglio di una propria coscienza. Frattanto, in quello che essa rappresenta come saggezza e organizzazione di vita associata e come influsso di cultura, sembra che perda terreno in non poche regioni della terra. In verità tale ripiegamento riguarda i fautori della politica nazionalistica, i quali sono costretti ad indietreggiare dinanzi ad avversari che hanno fatto propri i loro stessi metodi. Specialmente tra alcuni popoli fino ad ora considerati coloniali, il processo di maturazione organica verso l’autonomia politica, che l’Europa avrebbe dovuto guidare con accorgimento e premura, si è rapidamente mutato in esplosioni nazionalistiche, avide di potenza. Bisogna confessare che anche questi improvvisi incendi, a danno del prestigio e degli interessi dell’Europa, sono, almeno in parte, il frutto del cattivo suo esempio».

Si tratta di un momentaneo smarrimento per l’Europa? Risponde il Papa: «L’Europa, conforme alle disposizioni della divina Provvidenza, potrà essere ancora vivaio e dispensatrice di quei valori, (solo) se saprà riprendere consapevolezza del suo proprio carattere spirituale e abiurare la divinizzazione della potenza. Come nel passato le sorgenti della sua forza e della sua cultura furono eminentemente cristiane (ovvero cattoliche), così ella dovrà imporsi un ritorno a Dio e agli ideali cristiani (ovvero cattolici), se vorrà ritrovare la base e il vincolo della sua unità e della sua vera grandezza». (A tutto il mondo, 24.12.1954). Cfr. Dizionarietto di Dottrina politica dei Papi (Ed. L’alleanza italiana, 1960, Vol. 1, pag. 143) ed altrove.

Monsignor Pasquazi si domandava: «Per quali titoli i popoli civili possono conquistare militarmente territori abitati da popoli di inferiore grado di civiltà e sottometterli al proprio dominio politico?» (Teologia morale, Roberti-Palazzini, 1957, v. Colonialismo). Risponde col noto domenicano Francisco Vitoria (Relectiones theologicae, cap. De India). Tra i vari titoli che «possono addursi per giustificare la colonizzazione, intesa nel senso sopra esposto, non è evidentemente titolo legittimo il diritto di conquista, perchè esso non è che la conseguenza della superiorità della forza materiale». Neppure può ritenersi legittimo «il titolo della cosiddetta superiorità di razza o di stirpe, poiché … si deve soprattutto tener presente che i diritti naturali e, tra essi, il diritto alla indipendenza e libertà, sono comuni a tutti i popoli a qualsiasi razza appartengano e di qualsiasi grado di civiltà». Non può ammettersi neppure il titolo detto «diritto del primo occupante». Neppure «il proposito di portare il dono della civiltà ai popoli che ne mancano», può giustificare «la conquista di territori per costituirvi proprie colonie». Certamente «i popoli civili hanno l’obbligo morale di favorire l’incivilimento dei popoli inferiori e questi hanno l’obbligo morale di tendere ad una maggiore civiltà», tuttavia «a questo dovere di ordine morale dei popoli incivili non corrisponde un vero diritto d’imporre loro la civiltà, privandoli dell’indipendenza e libertà politica». Si deve però fare una eccezione a questo principio generale: «Sarebbe infatti lecito l’intervento (da parte di quella Civiltà veramente virtuosa), anche mediante l’uso della forza, presso popoli incivili se nel loro territorio vi fossero usi e costumi inumani».

Carlo Di Pietro da Il Roma