Il 19 marzo del 1937 Papa Pio XI promulga la Divini Redemptoris. Il Sommo Pontefice, sin dal principio, ricorda che «la lotta fra il bene e il male rimane nel mondo come triste retaggio della colpa originale»: l’antico tentatore «non ha mai desistito dall’ingannare l’umanità con false promesse» e, purtroppo, interi popoli «si trovano nel pericolo di ricadere in una barbarie peggiore di quella in cui giaceva la maggior parte del mondo all’apparire del Redentore».

Pio XI ritiene necessaria la promulgazione di questo ulteriore «solenne documento» di analisi e di condanna del Comunismo. Egli spiega che il Comunismo «nasconde in sé un’idea di falsa redenzione. Uno pseudo-ideale di giustizia, di uguaglianza e di fraternità nel lavoro, pervade tutta la sua dottrina, e tutta la sua attività d’un certo falso misticismo, che alle folle adescate da fallaci promesse comunica uno slancio ed un entusiasmo contagioso».

Questo «pseudo-ideale» si vanta «come se fosse stato iniziatore di un certo progresso economico, il quale, quando è reale, si spiega con ben altre cause, come con l’intensificare la produzione industriale in paesi che ne erano quasi privi, valendosi anche di enormi ricchezze naturali, e con l’uso di metodi brutali per fare ingenti lavori con poca spesa». La dottrina che il Comunismo «nasconde sotto apparenze talvolta così seducenti, in sostanza oggi si fonda sui princìpi già predicati da C. Marx del materialismo dialettico e del materialismo storico».

Questa dottrina pretende che «esista una sola realtà, la materia, con le sue forze cieche, la quale evolvendosi diventa pianta, animale, uomo. Anche la società umana - dicono i comunisti - non ha altro che un’apparenza e una forma della materia che si evolve nel detto modo, e per ineluttabile necessità tende, in un perpetuo conflitto delle forze, verso la sintesi finale: una società senza classi». In tale dottrina «non vi è posto per l’idea di Dio, non esiste differenza fra spirito e materia, né tra anima e corpo; non si dà sopravvivenza dell’anima dopo la morte, e quindi nessuna speranza in un’altra vita».

I comunisti «pretendono che il conflitto, che porta il mondo verso la sintesi finale, può essere accelerato dagli uomini». Quindi «si sforzano di rendere più acuti gli antagonismi che sorgono fra le diverse classi della società; e la lotta di classe (in verità si tratta di contrasti accesi dai vizi dei singoli uomini), con i suoi odi e le sue distruzioni, prende l’aspetto d’una crociata per il progresso dell’umanità. Invece, tutte le forze, quali che esse siano, che resistono a quelle violenze sistematiche, debbono essere annientate come nemiche del genere umano».

Il Comunismo «spoglia l’uomo della sua libertà; toglie ogni dignità alla persona umana e ogni ritegno morale contro l’assalto degli stimoli ciechi». Alla persona «non è riconosciuto, di fronte alla collettività, alcun diritto naturale della propria personalità, essendo essa, nel Comunismo, semplice ruota e ingranaggio del sistema». Nelle relazioni degli uomini «è sostenuto il principio dell’assoluta uguaglianza, rinnegando ogni gerarchia e ogni autorità che sia stabilita da Dio, compresa quella dei genitori; ma tutto ciò che tra gli uomini esiste della cosiddetta autorità e subordinazione, tutto deriva dalla collettività come da primo e unico fonte».

Il Comunismo «non accorda agli individui diritto alcuno di proprietà sui beni di natura e sui mezzi di produzione, poiché, essendo essi sorgente di altri beni, il loro possesso condurrebbe al potere di un uomo sull’altro. Per questo dovrà essere distrutta radicalmente questa sorta di proprietà privata, come la prima sorgente di ogni schiavitù economica».

Il Comunismo «rifiuta alla vita umana ogni carattere sacro e spirituale», fa del matrimonio e della famiglia «un’istituzione puramente artificiale e civile, ossia il frutto di un determinato sistema economico; viene rinnegata l’esistenza di un vincolo matrimoniale di natura giuridico-morale che sia sottratto al beneplacito dei singoli o della collettività, e, conseguentemente, l’indissolubilità di esso».

Per il Comunismo «non esiste alcun legame della donna con la famiglia e con la casa. Esso, proclamando il principio dell’emancipazione della donna, la ritira dalla vita domestica e dalla cura dei figli per trascinarla nella vita pubblica e nella produzione collettiva nella stessa misura che l’uomo, devolvendo alla collettività la cura del focolare e della prole». È negato, infine, ai genitori «il diritto di educare, essendo questo concepito come un diritto esclusivo della comunità, nel cui nome soltanto e per suo mandato i genitori possono esercitarlo».

Il Comunismo produce «una collettività senz’altra gerarchia che quella del sistema economico». Alla collettività il Comunismo «riconosce il diritto, o piuttosto l’arbitrio illimitato, di aggiogare gli individui al lavoro collettivo, senza riguardo al loro benessere personale, anche contro la loro volontà e persino con la violenza. In essa tanto la morale quanto l’ordine giuridico non (sono) se non un’emanazione del sistema economico del tempo, di origine quindi terrestre, mutevole e caduca». In breve il Comunismo «pretende di introdurre una nuova epoca e una nuova civiltà, frutto soltanto di una cieca evoluzione: una umanità senza Dio». [Cfr. Dizionarietto di Dottrina politica dei Papi (Ed. L’alleanza italiana, 1960, Vol. 1, pag. 166 segg.)]. Prosegue la prossima settimana...

Carlo Di Pietro da Il Roma