Il concetto di comunismo è proteiforme ed ondeggiante. Nella sua accezione originaria, che è quella economica, comunismo importa un regime, in cui i beni, in tutto o pressoché in tutto, si attribuiscono alla collettività. La quale può avere un carattere privato, come la società domestica, la società professionale, culturale, economica, e allora si ha la proprietà comune ma particolare o privata; se la società è di natura politica — Stato, provincia, comune e simili — la proprietà che le si attribuisce è comune ma pubblica. La proprietà pubblica, detta talora collettiva, se non è di uso comune forma la proprietà patrimoniale dello Stato; nel caso inverso costituisce la proprietà demaniale. La prima è retta dal diritto privato, la seconda dal diritto pubblico. Nella sua significazione scientifica comunismo suole al presente indicare il marxismo, ossia il sistema inaugurato da Carlo Marx (1818-1883) che ha per sua base filosofica il materialismo, e mira più che ad interpretare il mondo a trasformarlo. Anima del sistema è l’interpretazione economica della storia, sicché non vi ha nulla in essa, che in ultima istanza non sia determinato da relazioni economiche. Leggi, costumi, guerre, istituzioni, letteratura, arte, politica, morale, religione, tutta insomma la civiltà nei suoi prodotti superiori non è che una soprastruttura determinata dalla soggiacente struttura economica. La causalità materiale dà la misura di tutti i valori. 

Nella sua portata sociale il comunismo designa quella corrente, la quale tende a ricostruire la società su base collettivista; ossia in guisa che tutti gli strumenti produttivi, con cui si può sfruttare l’altrui lavoro, vengano sottratti all’appropriazione privata e concessi alla comunità. Sul piano storico il comunismo ha avuto delle manifestazioni molteplici. Tracce di comunismo trovansi anche nelle più remote antichità, ma di un comunismo isolato, che non costituisce, come si volle far credere, una fase universale della primitiva civiltà agricola. Istituzioni a sfondo comunistico si hanno nell’antichità classica, come ci è dato rilevare da scrittori ellenici, segnatamente da Aristotile nella Politica. Si tratta di un comunismo, in cui esula la concezione della generale uguaglianza; di un comunismo sprezzante del lavoro manuale, limitato a classi privilegiate con esclusione dei lavoratori e degli schiavi. 

Si è avuto anche un certo comunismo religioso tanto fuori quanto dentro il Cristianesimo. Fra i primi cristiani di Gerusalemme sorse un "comunimo" spontaneo e parziale, "comunismo" ascetico, che non potè protrarsi a lungo, e si è riprodotto solo negli ordini religiosi e con ben diversi caratteri si è pure manifestato fra gli eretici, come gli Apostolici, i Circumcellioni, gli Albigesi, gli Anabattisti, i Catari, i Poveri di Lione. Non è mancato un comunismo letterario, che si è esaurito in racconti e costruzioni fantastiche di società comunistiche. Ad imitazione di Platone, che elaborò un piano di repubblica ideale, fondata su una comunione integrale, si sono molti altri scrittori esercitati a prospettare ordinamenti immaginari, in cui la esclusione della privata proprietà e la comunione dei beni costituiscono il talismano della felicità terrestre. Famosa in questo genere di letteratura è l'Utopia di San Tommaso Moro, il glorioso cancelliere di Enrico VIII d’Inghilterra, che meritò l’onore degli altari, avendo subito il martirio per essersi professato fedele alla Chiesa romana contro le ingiuste pretese del suo sovrano.

Come il Moro anche altri si sbizzarrirono a sognare strutture sociali a carattere comunistico, non senza qualche ripercussione, per alcuni almeno, sul comunismo contemporaneo. Segnaliamo II mondo dei savi di Francesco Doni, La repubblica delle api di Bonifacio, La città del sole del Campanella, La nuova Atlantide di Bacone ...  e molti altri. Di questo comunismo utopistico si sono avuti dei tentativi anche sul terreno pratico, dei quali la storia deve sopratutto ricordare quello dell’inglese Roberto Owen (1771-1858), che fondò nell’indiana (in America) la New-Armony. La fondazione doveva attuare la perfetta uguaglianza in base alla formula dell’ideale comunista: «Da ciascuno secondo le proprie capacità, a ciascuno secondo i propri bisogni». Contemporaneo dell’Owen fu il francese Carlo Fourier (1772-1837) che creò il Falanstero, comunità di quattrocento famiglie, che in fondo non era che una cooperativa integrale. Questo tentativo, come quello dell’Owen, doveva miseramente fallire, non fosse altro perchè destituito d’una base morale. Per il Fourier, infatti, le passioni sono volute da Dio, e devono lasciarsi a briglia sciolta; mentre per l’Owen l’uomo è il prodotto dell’ambiente, e se si perverte, si deve esclusivamente all’ambiente. Alla luce di questi principii i due utopisti respingevano ogni educazione etica nelle loro formazioni comunistiche. Di qui lo straripamento del costume col seguito dei contrasti e l’epilogo della dissoluzione.

Anche Luigi Blanc (1811-1862) sognò la soluzione del problema operaio non con la Nuova Armonia dell’Owen, né col Falanstero del Fourier, ma con les Ateliers Sociaux, ossia mediante cooperative di produzione formate di lavoratori con capitali forniti dallo Stato. L’Ateliers Sociaux nella concezione del Blanc sarebbe stata la prima cellula, onde per propagazione spontanea sarebbe sorto tutto un mondo collettivista. Data la sua superiorità sulle imprese individuali, l'Ateliers Sociaux ben presto avrebbe con la concorrenza scrollate o assorbite tutte le altre aziende, e così, in breve giro di anni, l’economia mondiale si sarebbe trasformata in economia comunista. Il sogno di Luigi Blanc svanì, col fallimento dei progettati cantieri sociali, che furono insufficienti alla ressa dei disoccupati, e si trasformarono in focolai di parassitismo e di agitazione politica.

Nel secolo scorso il comunismo, senza espellere del tutto gli elementi utopistici, ha per opera del Marx dismesso d’indugiarsi sui particolari disegni della folta e policroma genia dei minuti riformatori sociali, che vengono in blocco bollati col marchio di socialisti borghesi. Il marxismo, ossia il comunismo odierno, si stacca nettamente per alcune sue peculiari caratteristiche dalle forme anteriori del comunismo. Oggi esso dispiega un atteggiamento rivoluzionario; esso, infatti, intende abbattere i piloni su cui si è sempre sorretto l’ordine sociale, ossia la proprietà, la Famiglia, lo Stato, la Religione, per costruire sulle loro macerie una nuova convivenza, che attui il monismo materialistico con tutte le sue sequele. La sua è una dottrina totalitaria che intende affrontare e risolvere i fondamentali problemi dell'uomo e del cosmo. 

Oggi si distingue dal socialismo primieramente per il suo carattere rigidamente dommatistico, e per una più cieca fede nella futura e radicale palingenesi della società. Deciso nemico di ogni patteggiamento e compromesso, non tollera scrupoli d’alcuna sorta sui mezzi per raggiungere lo scopo e sui metodi di azione. L’illegalità e la violenza, la rivolta e la strage, il pugno implacabile o la mano tesa, nulla disdegna per assicurarsi il trionfo, non esclusa talora qualche concessione e limitazione transeunte, che non ne intacchino lo spìrito essenzialmente rivoluzionario. Il socialismo invece non è così intransigente e brutale, rifugge dal viaggiare sul treno lampo della rivoluzione, e preferisce per lo più la via, a suo credere più sicura e indubbiamente assai più comoda, dell’evoluzione, attuata mediante progressive riforme.

Il comunismo inoltre mira nell’uomo più il consumatore, donde la sua formula preferita: «A ciascuno secondo i propri bisogni»; mentre il socialismo, che rivolge particolare attenzione al produttore, adotta la formula: «A ciascuno secondo il proprio lavoro», formula che solo in via transitoria, in un primo tempo, viene tollerata dal comunismo. Ma se le due frazioni del movimento proletario divergono sui metodi, coincidono però sui fini. «L’intento prossimo dei comunisti, leggiamo nel Manifesto, è quel medesimo che è proprio a tutti gli altri partiti proletari: formazione del proletariato in classe, rovina della signoria borghese, conquista del potere politico da parte del proletariato». Secondo il Berdiaeff il comunismo non si distinguerebbe dal socialismo se non che per la riforma più esasperata. Se poi vogliamo appellarci ad un altro russo, ancora più autorevole in questa materia del Berdiaeff, al Lenin, diremo che il socialismo è la prima ed inferiore fase della società comunistica.

La sostanza teorica rimane identica nei due sistemi, ma poiché nella vita vissuta i principii erronei si sfaldano, bisogna notare che nel socialismo tendono ad attenuarsi o a diluirsi i principii della lotta classista, nel materialismo storico, dell’abolizione della proprietà. Di qui quei programmi del riformismo socialista che ha molti e molti punti d’incontro con i programmi dettati dai partiti dell’ordine. Ad ogni modo il socialismo è in discesa e non ha più il potere seducente di un tempo. Le ragioni sono ovvie: da una parte non può più levar la voce come una volta contro gli abusi del capitalismo, essendo stati soppressi i più gravi e manifesti: dall’altra parte esso è stato svuotato dai vari partiti, che nella politica sociale propugnano le più audaci riforme. Oramai il socialismo è assai logoro e non ha più nulla di nuovo da agitare come per l’addietro fra le folle popolari. La sua stessa pirotecnica verbale è stantia e somiglia in qualche modo al lampeggiamento innocuo delle notti estive.

Meno invecchiato parrebbe il comunismo e più ricco di immediate e mirabolanti promesse. D'altronde il fenomeno bolscevico, che è il primo esperimento marxista in grande stile, si considera dalla massa dei superficiali quale dimostrazione vivente della possibilità e dell'utilità per le nazioni di darsi una struttura sociale ed economica comunistica. E’ necessario in queste ore decisive per la restaurazione del Paese dissipare questi equivoci, che vorrebbero ingolfarci in un altro esperimento non meno totalitario e disastroso di quello che ci ha, tra continue ubbriacature, condotti all’estrema catastrofe. Bisogna dunque denudare il comunismo e disvelarne la profonda irrazionalità e le fondamentali contraddizioni; contraddizioni che hanno indotto l’insigne sociologo alemanno storiografo del capitalismo, il Sombart, a definirlo «un non concetto, un non senso, un cerchio quadrato, un ferro da cavallo d’oro, una fisica morale, una chimica sentimentale».

Se si tolgono al comunismo i paludamenti e le maschere, di cui lo ricopre la propaganda interessata, esso si risolve in un vuoto immenso. Il nostro lavoro vuol mostrare questo vuoto, che ha una quadruplice dimensione; giacche è il vuoto della concezione economica, il vuoto della concezione sociologica, il vuoto della concezione politica, il vuoto della concezione etico-religiosa.

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Il Comunismo

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