Mettiamo in “standby” il nostro discorso sull’uguaglianza e sulla fratellanza, princìpi sui quali torneremo la prossima settimana, per parlare di un tema di immediata e mediatica attualità: la legittima difesa.

Chi, per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui, riguardante l’incolumità personale, od un bene prezioso in proprio possesso, contro il pericolo attuale di un’aggressione ingiusta, ferisce o uccide l’aggressore, si dice agire per legittima difesa, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa (cf. Enciclopedia Cattolica, Vol. IV, Col. 1581 ss.). Contro l’ingiusto aggressore, difatti, è lecito difendersi nella misura in cui si rende necessaria questa difesa per evitare, respingere o ridurre i danni dell’offesa (cf. Dizionario del Cristianesimo, E. Zoffoli, pag. 140).

Tale legittimità si basa sul principio naturale della prevalenza del diritto alla vita ed altri beni dell’innocente, sul diritto alla vita ed altri beni dell’ingiusto aggressore, nei casi in cui il conflitto è inevitabile o viene recepito come tale dall’aggredito. Pertanto, come vuole la Chiesa, la responsabilità del male che l’ingiusto aggressore subisce è esclusivamente sua, non potendo pretendere che la vittima non reagisca, come e quanto gli sia necessario per difendersi (niente affatto per odio).

È vero che il quinto comandamento «Non ammazzare, ci proibisce di recar danno alla vita sia naturale che spirituale del prossimo e nostra» (Catechismo di san Pio X, n° 193), tuttavia vi sono alcune eccezioni. Vediamo innanzitutto cosa vieta, senza eccezione alcuna, questo comandamento: vieta l’assassinio, la vendetta, il suicidio, l’eutanasia, l’aborto, i duelli, le percosse, le ingiurie, le imprecazioni, le mutilazioni inique, lo scandalo, etc… Il quinto comandamento impone l’amore del prossimo col rispetto al massimo bene nostro ed altrui, dunque ci proibisce di togliere o di danneggiare la vita naturale a noi stessi ed al prossimo; inoltre ci proibisce di danneggiare la vita soprannaturale (scandalo). Dio solo è il padrone della vita, pertanto non è mai lecito uccidere.

«Eccetto in tre casi: 1) In guerra. Quando la guerra è giusta (difensiva o anche offensiva) il soldato può uccidere il nemico senza peccato. Praticamente chi viene mobilitato non è tenuto a far ricerche per sapere se la guerra è giusta o ingiusta. È invece obbligato chi si arruola volontario. 2) Per legittima difesa. Quando non vi sia altro mezzo per difendere e salvare la nostra vita o quella dei nostri cari, o anche per difendere beni di grandissimo valore (virtù, beni necessari alla vita), è permesso uccidere l’aggressore, purché si faccia solo allo scopo di difendersi, e non per vendetta o per altro motivo. Se basta fuggire, chiamare aiuto per salvarsi, o immobilizzare, ferire l’assalitore, non è permesso uccidere. 3) Dall’autorità competente. L’autorità pubblica può infliggere la pena di morte ai malfattori che sono di grave danno e pericolo alla società, sia per eliminare il pericolo, sia per punire il reo ed ammonire gli altri ad evitare simili delitti» (Spiegazione del Catechismo, Padre Dragone, pag. 242).

La Chiesa ci insegna che la natura stessa comanda di proteggere la propria vita (cf. Denzinger, 3268, 3270, 3970); in forza della legge divina e naturale è proibito, al di fuori di una pubblica procedura, uccidere o ferire un uomo, eccetto che per legittima difesa (Denzinger, 3272). Viene altresì condannata l’uccisione di innocenti per comando dell’autorità pubblica (Denzinger, 3790).

San Tommaso (Summa Theologiae, II-II, q. 64, a. 7) spiega: «Dalla difesa personale possono seguire due effetti, il primo dei quali è la conservazione della propria vita; mentre l’altro è l’uccisione dell’attentatore. Orbene, codesta azione non può considerarsi illecita, per il fatto che con essa s’intende di conservare la propria vita: poiché è naturale per ogni essere conservare per quanto è possibile la propria esistenza. Tuttavia un atto che parte da una buona intenzione può diventare illecito, se è sproporzionato al fine».

Non si può dimostrare in alcun modo dalla Sacra Scrittura l’illiceità della legittima difesa, «perché i passi di Mt. 5, 38-39; 26, 52; Rom. 12, 18-19, che parrebbero presentare qualche difficoltà, vietano soltanto la cupidigia della vendetta. Una fonte della dottrina della Chiesa è anche il Magistero ecclesiastico [che dice …] è dunque lecita la legittima difesa prima di tutto contro colui che è formalmente ingiusto aggressore. È anche lecita contro chi è aggressore ingiusto solo materialmente, perché all’atto pratico un simile esame è quasi sempre impossibile e d’altra parte l’argomento tratto dalla coercibilità del diritto vale contro qualsiasi tipo di ingiusto aggressore», chiude lapidaria l’Enciclopedia Cattolica

Carlo Di Pietro da Il Roma