Le disuguaglianze del secondo gruppo, ossia quelle connesse alle differenze di funzioni e di professioni nella società, la Chiesa le riconosce fruttuose ed utili, a condizione che siano rispettate la giustizia e la carità (ossia l’osservanza di Comandamenti, Precetti e doveri di stato - cf. I san Giovanni, V, 3, par.). Esse sono, in sé, un bene dal punto di vista della società, difatti Papa Leone XIII insegna: «Si deve sopportare la condizione propria dell’umanità: togliere dal mondo le disparità sociali, è cosa impossibile. Lo tentano i socialisti, ma ogni tentativo contro la natura delle cose riesce inutile. Poiché la più grande varietà esiste per natura tra gli uomini: non tutti posseggono lo stesso ingegno, la stessa solerzia, non la sanità, non le forze in pari grado: e da queste inevitabili differenze nasce di necessità la differenza delle condizioni sociali. E ciò torna a vantaggio sia dei privati che del civile consorzio, perché la vita sociale abbisogna di attitudini varie e di uffici diversi, e l’impulso principale, che muove gli uomini ad esercitare tali uffici, è la disparità dello stato» (Rerum Novarum).

Nulla si può fare contro le disuguaglianze del primo gruppo (di sesso, di salute, d’intelligenza, di talento), ricorda il Guerry (Op. cit., pag. 71), tuttavia la Dottrina sociale della Chiesa ricorda il principio del rispetto della persona umana, soprattutto dei più deboli: dei pusilli, degli anziani, degli handicappati, etc. Tali disuguaglianze legate alle funzioni, così come quelle differenze di natura, non devono essere ritenute, in se stesse, un impedimento.

Papa Pio XII insegna: «In un popolo degno di tal nome, il cittadino sente in se stesso la coscienza della sua personalità, dei suoi doveri e dei suoi diritti, della propria libertà congiunta col rispetto della libertà e della dignità altrui. In un popolo degno di tal nome, tutte le ineguaglianze, derivanti non dall’arbitrio, ma dalla natura stessa delle cose, ineguaglianze di cultura, di averi, di posizione sociale - senza pregiudizio, ben inteso, della giustizia e della mutua carità - non sono affatto un ostacolo all’esistenza ed al predominio di un autentico spirito di comunità e di fratellanza. Che anzi esse, lungi dal ledere in alcun modo l’uguaglianza civile, le conferiscono il suo legittimo significato, che cioè, di fronte allo Stato, ciascuno ha il diritto di vivere onoratamente la propria vita personale, nel posto e nelle condizioni in cui i disegni e le disposizioni della Provvidenza l’hanno collocato» (Radiomessaggio del 24 dicembre 1944).

Provvidenza, accettazione, rassegnazione, obbedienza, doveri: concetti quasi totalmente sconosciuti all’uomo contemporaneo, quello “illuminato” e “liberato” dalle sette massoniche, il quale uomo preferisce la ribellione, la droga, il giuoco d’azzardo, il raggiro, il vizio, la psicanalisi, infine la rivoluzione. L’uomo moderno, più o meno consapevolmente, rigetta la santa e logica proposizione: «Pater, si vis, transfer calicem istum a me; verumtamen non mea voluntas sed tua fiat» - «Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà» (san Luca, XXII, 42). L’uomo moderno sbraita, con Lucifero, «Non serviam» per esprimere un radicale rifiuto alla volontà di Dio - «A saeculo confregisti iugum tuum, rupisti vincula tua et dixisti: “Non serviam”» (Geremia, II, 20).

Il pensiero cristiano della società è quello evocato dall’immagine del corpo preso da san Paolo - «Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte (…) se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui» (cf. I Corinzi, XII, 26-27, par.); contro cui si sviluppa il pensiero cosiddetto “laico”, ossia egoistico della società, che si cerca di rattoppare con qualche millantata filantropia.

Alla proclamazione del dogma della Regalità Sociale di Cristo, Papa Pio XI insegna dalla Suprema Cattedra: «La peste della età nostra è il così detto laicismo (laicità, ndR) coi suoi errori ed i suoi empi incentivi (…); tale empietà non maturò in un solo giorno ma da gran tempo covava nelle viscere della società (…); si cominciò a negare l’impero di Cristo su tutte le genti (…); si negò alla Chiesa il diritto - che scaturisce dal diritto di Gesù Cristo - di ammaestrare le genti, di far leggi, di governare i popoli per condurli all’eterna felicità. (…) I pessimi frutti (di) questo allontanamento da Cristo da parte degli individui e delle nazioni (sono) la discordia sparsa dappertutto, (…) gli odii e le rivalità tra i popoli (…), l’intemperanza delle passioni (…), le discordie civili che ne derivano (…), l’unione e la stabilità delle famiglie infrante, infine la stessa società scossa e spinta verso la rovina» (Quas Primas). Prosegue …

Carlo Di Pietro da Il Roma