Comunicato numero 83.  Le fonti storiche su Gesù (Parte prima)

Stimati Associati e gentili Sostenitori, grazie a Dio oggi iniziamo lo studio di alcune «Fonti storiche» che riguardano Gesù. Abate Giuseppe Ricciotti («Vita di Gesù Cristo», Imprimatur 1940, 7a Edizione, Rizzoli & C. Editori, Milano - Roma, 1941),

• § 87. Di Gesù parlano numerosi scritti antichi, che spontaneamente si raggruppano in due categorie: scritti non cristiani, e scritti cristiani. Questo criterio morale di raggruppamento ha un’evidente importanza scientifica, per valutare l’imparzialità delle rispettive testimonianze; tuttavia non può essere l’unico, perché insieme con esso dovrà anche applicarsi il criterio cronologico, secondo il quale una testimonianza è di solito tanto più autorevole e preziosa, quanto più è antica e vicina ai fatti attestati. Nel caso nostro è praticamente più agevole seguire il criterio morale, che lascia campo a poche contestazioni, mentre l’assegnazione cronologica dei vari scritti implica questioni numerose assai dibattute: naturalmente di tali questioni bisognerà tener conto anche seguendo la ripartizione fra scritti non cristiani e cristiani.

• FONTI NON CRISTIANE. I Giudei, conterranei e coetanei di Gesù, dovrebbero offrirci riguardo a lui le prime testimonianze; ma purtroppo non è così, giacché le fonti giudaiche, pur non essendo del tutto mute in proposito, sono taciturne e avare di notizie attendibili, quasi quanto le fonti pagane.

• Giudaismo ufficiale. Con la distruzione di Gerusalemme e dello Stato giudaico avvenuta nel 70 dell’Era Volgare, cioè un quarantennio dopo la morte di Gesù, la vita spirituale del giudaismo palestinese rimase rappresentata esclusivamente dalla corrente dei Farisei; i quali, conforme ai loro principii, si dedicarono totalmente a raccogliere e perpetuare la «tradizione» orale che, insieme con la Bibbia, formava ormai l’unico patrimonio morale del giudaismo. I dottori farisei, datisi a questo lavoro lungo i secoli I-III, furono chiamati i Tannaiti, e ad essi tennero dietro gli Amorei, che operarono fino al termine del secolo V. Ai Tannaiti è dovuto il codice della Mishna; agli Amorei, il commento alla Mishna; dall’unione della Mishna col suo commento è sorto il Talmud, nella doppia recensione palestinese e babilonese. Ma il Talmud, pur contenendo materiali che possono risalire a prima della distruzione di Gerusalemme, non fu messo definitivamente in iscritto che tra i secoli V e VI, giacché in precedenza il suo contenuto era stato trasmesso solo oralmente, affidato alla memoria dei vari dottori, benché con fedeltà verbale. Il Talmud, così redatto, divenne la roccaforte spirituale del giudaismo e ricevette, insieme con la Bibbia, carattere ufficiale. Ma contemporaneamente al Talmud si elaborava altro materiale, che parimenti fu messo in iscritto soltanto dopo una lunga trasmissione esclusivamente orale, sebbene i suoi primi elementi possano risalire all’epoca dei Tannaiti. Gli scritti così sorti, fra cui primeggiano per estensione e numero i vari Midrashim, non rivestirono carattere ufficiale come il Talmud, tuttavia ricevettero un valore subordinato e complementare.

• § 88. Troviamo pertanto che, in questi scritti del giudaismo ufficiale, la persona e l’opera di Gesù sono certamente note, sebbene spesso si alluda ad esse solo indirettamente ed in maniera anonima e velata. Riunendo poi i dati precisi che se ne possono estrarre, si trova che essi non hanno riscontro in nessun altro documento antico, e non senza contraddizioni e incongruenze se ne ottiene il seguente schema biografico. Gesù il Nosri (Nazareno) nacque da una pettinatrice di nome Maria; il marito di questa donna è chiamato talvolta Pappos figlio di Giuda e talvolta Stada, sebbene si trovi anche la donna stessa chiamata col nome di Stada. Il vero padre di Gesù fu un certo Pantera; i perciò si trova che Gesù è chiamato tanto figlio di Pantera, quanto figlio di Stada. Di questo strano nome (Pantera), che appare anche sotto le varianti di Panteri, Pantori, Pandera, è stata data la seguente spiegazione. Dopo il definitivo distacco del cristianesimo dal giudaismo, i Giudei udivano dai cristiani di lingua greca asserire che Gesù era figlio di «parthènou», ossia d’una vergine; e quindi il nome comune fu creduto nome proprio, e da appellativo della madre divenne nome personale del padre illegittimo. Questa spiegazione è molto verosimile, e dimostrerebbe una volta di più che il giudaismo non ebbe un suo particolare patrimonio di notizie riguardo a Gesù, ma le prese dal cristianesimo deformandole tendenziosamente. Recatosi in Egitto, Gesù studiò colà magia sotto Giosuè figlio di Perachia. Quanto alla cronologia è da rilevare che, mentre questo Giosuè fiorì verso l’anno 100 avanti l’Era Volgare, il suddetto Pappos fiorì circa 230 anni più tardi. Tornato in patria e respinto dal suo maestro, Gesù esercitò la magia traviando il popolo. Per tali ragioni fu giudicato e condannato a morte. Prima che la condanna fosse eseguita, si attesero quaranta giorni durante i quali un araldo invitava la gente a esporre qualsiasi giustificazione in favore del condannato. Non essendosi presentato alcuno, il condannato fu lapidato e poi appeso al patibolo a Lydda, il giorno di preparazione alla Pasqua. Al presente egli si trova nella Gehenna, immerso in una melma bollente. In relazione con questi dati, e specialmente con la maniera velata con cui sono esposti, si trova che Gesù è designato con l’indicazione di un tale, o con l’epiteto di Balaam (l’antico mago di Numeri, 22 segg.), e con gli appellativi di pazzo, di bastardo, e con un altro anche più obbrobrioso. Per questi dati ed appellativi si vedano Stack e Billerbeck, Kommentar zum Neuen Testament aus Talmud und Midrasch, 4 voll., Monaco, 1922 - 1928; vol. I, pagg. 36 e segg., e i passi segnalati nel vol. IV, pag. 1240, col Ia. L’ultimo appellativo, qui sopra solo accennato, è nel vol. I, pagg. 42-43, e pag. 1040

• 89. Il seguente aneddoto può essere un esempio di come si alludeva a fatti e dottrine di Gesù in maniera anonima, ma non per questo meno precisa. A Rabbi Giosuè figlio di Anania, che fiorì verso l’anno 90 dell’Era Volgare, fu chiesto in Roma da alcuni sapienti: Raccontaci qualche cosa di favoloso! - Egli disse: Ci fu una volta una mula che fece un figlio; a questo fu appesa un’etichetta su cui era scritto che esso doveva ereditare dalla famiglia paterna 100.000 «zuz» (una moneta). - Gli fu risposto: Ma una mula può partorire? - Quello disse: Appunto si tratta d’una favola! - (Poi gli fu chiesto:) Se il sale diventa insipido, con che cosa si dovrà salarlo? - Quello rispose: Con la placenta d’una mula. - (Gli si disse:) Ma una mula (sterile qual è) ha la placenta? - (Quello rispose:) E il sale può diventare insipido? In questo aneddoto è evidente l’allusione al detto di Gesù: Se il sale sia diventato insipido, con che si salerà? (Matteo, 5, 13), di cui si vorrebbe far rilevare l’insensatezza; ma è anche chiaro che i due animali sono un beffardo adombramento di Maria e Gesù, e che tutto l’aneddoto vuol mostrare come il giudaismo sia il genuino sale che non diventerà mai insipido, e come ad ogni modo Gesù meno di ogni altro avrebbe potuto rendergli il naturale sapore. Il racconto di Rabbi Giosuè figlio di Anania è tratto da Bekoroth, 8 b; cfr. Stack e Billerbeck, Op. cit., vol. I, pag. 256. Anche fuori degli scritti giudaici, questi dati sono attestati parzialmente come provenienti dal giudaismo. A metà del secolo II il palestinese Giustino martire, nel suo Dialogo col (giudeo) Trifone, vi accenna più d’una volta, accusando i dottori giudei di diffondere ovunque calunnie e bestemmie a carico di Gesù. Più nettamente si ritrovano gli stessi dati impiegati dal pagano Celso nel suo Discorso veritiero scritto poco prima dell’anno 180, di cui si tratterà in seguito (§ 195); sembra certo che Celso abbia attinto questi dati ad una fonte scritta. Finalmente, ampliati sempre più, gli stessi dati costituirono il libello intitolato Toledoth Jeshua, «Generazioni (cioè, Storia) di Gesù», che circolava in varie recensioni già verso i secoli VIII-IX, e che per il giudaismo rimase quale ufficiosa biografia di Gesù fino a poche decine d’anni addietro. Ora, tutte queste affermazioni potranno attestare le disposizioni d’animo che il giudaismo aveva verso Gesù nei primi secoli cristiani; ma non sarebbe cosa né seria scientificamente né dignitosa moralmente anche solo discuterli quali autorevoli documenti per la biografia di Gesù. Del resto la discussione sarebbe oggi inutile: ormai gli stessi Israeliti dotti e coscienziosi considerano questi elementi come del tutto leggendari; altrettanto fanno dal canto loro gli studiosi razionalisti, che di solito aggiungono allo stesso verdetto parole molto severe, come ad esempio il Renan che definisce l’insieme di questi racconti una leggenda burlesca ed oscena.

• Flavio Giuseppe. § 90. Giuseppe, sacerdote gerosolimitano, figlio di Mattia, nacque tra il 37 e il 38 dell’Era Volgare. Scoppiata nel 66 la rivolta della sua patria contro Roma, egli fu a capo delle truppe insorte che per prime si scontrarono con i Romani nella Galilea; dopo alcune sconfitte ricevute, si consegnò al generale nemico, il futuro imperatore Vespasiano, del quale rimase poi sempre fedele servitore. Distrutta Gerusalemme sotto i suoi occhi, Giuseppe venne a Roma insieme col vincitore Tito, figlio di Vespasiano, ed alla loro gens Flavia - il cui nome egli, come liberto, aveva aggiunto al suo di Giuseppe - prestò i propri servizi di stipendiato storico aulico. Fra gli anni 75 e 79 Giuseppe pubblicò la Guerra giudaica, ove narra le vicende precedenti e tutto lo svolgimento della guerra di cui era stato attore e spettatore; la quale opera, pur essendo macchiata di moltissimi e gravissimi difetti, è insostituibile e di singolare utilità per conoscere lo sfondo storico dei tempi di Gesù. Fra gli anni 93 e 94 Giuseppe pubblicò le Antichità giudaiche, ove narra la storia della nazione ebraica dalle origini fino allo scoppio della guerra contro Roma, ricollegandosi perciò a questo punto con lo scritto precedente. Poco dopo l’anno 95 pubblicò il Contra Apionem ch’è uno scritto polemico in difesa del giudaismo, e dopo l’anno 100 pubblicò la Vita (propria) ch’è un’apologia della sua condotta politica. In tutti questi scritti Giuseppe, benché parli moltissimo di persone del mondo giudaico o romano nominate anche nei Vangeli, non nomina mai né Gesù né i cristiani, salvo in tre passi. In uno parla con onore di Giovanni il Battista e della sua morte (Antichità giud., XVIII, 116-119); in un altro riferisce, egualmente con onore, la morte violenta di Giacomo fratello di Gesù, chiamato il Cristo (ivi, XX, 200): e sull’autenticità di questi due passi, nonostante l’incertezza di pochi studiosi moderni, non vi sono ragionevoli dubbi.

• § 91. Diversamente stanno le cose riguardo al terzo passo ch’è il seguente, reso in traduzione letterale: Ora, ci fu verso questo tempo Gesù, un uomo sapiente, seppure bisogna chiamarlo uomo: era infatti facitore di opere straordinarie, maestro di uomini che accolgono con piacere la verità. E attirò a sé molti Giudei, e anche molti dei Greci. Costui era il Cristo. E avendo Pilato, per denunzia degli uomini principali fra noi, punito lui di croce, non cessarono coloro che da principio lo avevano amato. Egli infatti comparve loro al terzo giorno nuovamente vivo, avendo già detto i divini profeti queste e migliaia d’altre cose mirabili riguardo a lui. E ancora adesso non è venuta meno la tribù di quelli che, da costui, sono chiamati i Cristiani (Antichità giud., XVIII, 63-64). Questo passo, conosciuto comunemente come testimonium flavianum, è contenuto in tutti i codici delle Antichità giudaiche, e nel secolo IV era già noto ad Eusebio che lo cita più d’una volta (Hist. eccl., I, Il; Demonstr. evang., III, 3); né, fino al secolo XVI, alcuno studioso dubitò mai della sua autenticità. In quel tempo furono mossi i primi dubbi, ma fondati soltanto su ragioni interne, in quanto cioè sembrava che il giudeo e fariseo Giuseppe non potesse parlare in modo così onorifico di Gesù: si concluse, quindi, che il passo era stato interpolato da un’ignota mano cristiana. La questione si è prolungata fino ai nostri giorni, e oggi esistono sia fautori sia avversari dell’autenticità in ogni campo: ad esempio, il razionalista Harnack ha difeso l’autenticità, mentre il cattolico Lagrange ha supposto l’interpolazione. Una soluzione incontrastabile non si troverà probabilmente mai, sia per mancanza di documenti, sia perché le ragioni addotte contro l’autenticità sono soltanto di ordine morale e quindi variamente giudicabili. Non essendo qui il caso di sottoporre a nuovo esame i vari argomenti, rimandiamo il lettore a quello che ne facemmo noi stessi altrove, limitandoci a riportare qui il periodo finale: «In conclusione, a noi sembra che il testimonium com’è oggi possa essere stato interpolato da mano cristiana, benché il suo fondo sia certamente genuino; tuttavia la stessa possibilità, e anche una maggiore probabilità, concediamo all’altra opinione secondo cui esso sarebbe integralmente genuino e vergato, così come oggi, dallo stilo di Giuseppe» (Flavio Giuseppe tradotto e commentato, vol. I, pag. 185).

• Scrittori romani ed altri. § 92. Nel secondo decennio del secolo II tre scrittori romani parlano di Cristo e dei cristiani. La celebre lettera scritta verso il 112 da Plinio il Giovane all’imperatore Traiano (Epist., X, 96) non dice nulla circa la persona di Gesù; attesta soltanto che nella Bitinia, governata da Plinio, erano molto diffusi i cristiani, i quali erano soliti stato die ante lucem convenire carmenque Christo quasi deo dicere. Poco anteriori all’anno 117 sono gli Annali di Tacito, che è il meno avaro sull’argomento. Trattando di Nerone e dell’incendio di Roma dell’anno 64, egli dice che quell’imperatore, per dissipare le voci che l’incendio fosse stato comandato, ne presentò come rei e colpì con supplizi raffinatissimi coloro che il volgo, odiandoli per i loro delitti chiamava Cristiani. L’autore di questa denominazione, Cristo, sotto l’impero di Tiberio era stato condannato al supplizio dal procuratore Ponzio Pilato; ma, repressa per il momento, l’esiziale superstizione erompeva di nuovo, non solo per la Giudea, origine di quel male, ma anche per l’Urbe, ove da ogni parte confluiscono e sono esaltate tutte le cose atroci e vergognose (Annal., XV, 44); segue poi la descrizione dei supplizi usati contro i cristiani nella persecuzione neroniana. Come appare subito, questa testimonianza pagana della lontana Roma conferma alcune fondamentali notizie della vita di Gesù che circolavano in Palestina già nel secolo precedente. Qualche anno dopo, verso il 120, Svetonio conferma genericamente che sotto Nerone furono sottoposti a supplizi i Cristiani, razza d’uomini d’una superstizione nuova e malefica (Nero, 16); ma, quando tratta del precedente impero di Claudio, fornisce una notizia nuova, riferendo che costui espulse da Roma i Giudei i quali, ad impulso di Cresto, facevano frequenti tumulti (Claudius, 25). Questa espulsione, confermata da quanto dicono gli Atti, 18, 2, avvenne fra gli anni 49 e 50. Non si può ragionevolmente dubitare che l’appellativo di Cresto di Svetonio sia il termine greco «christòs», traduzione etimologica del termine ebraico «messia» (§ 81); tanto più che, come ha già fatto Tacito nel passo qui sopra riportato, anche in seguito i cristiani saranno chiamati crestiani (Tertulliano, Apolog., 3). Si può concludere quindi che a Roma, circa un ventennio dopo la morte di Gesù, i Giudei ivi dimoranti avevano assidui e clamorosi contrasti riguardo alla qualità di «Cristo», o Messia, attribuita allo stesso Gesù, la quale evidentemente da alcuni gli era riconosciuta e da altri negata: i primi erano senza dubbio i cristiani, specialmente quelli convertiti dal giudaismo. Svetonio, che scrive 70 anni dopo gli avvenimenti ed è ben poco informato del cristianesimo, s’immagina che il suo Cristo sia stato presente personalmente a Roma e vi abbia provocato i tumulti. Dell’imperatore Adriano abbiamo una lettera indirizzata verso l’anno 125 al proconsole d’Asia, Minucio Fundano, e conservataci da Eusebio (Hist. eccl., IV, 9): vi si impartiscono solo norme per i processi contro i cristiani. Allo stesso imperatore è attribuita una lettera indirizzata verso il 133 al console Serviano (Flavio Vopisco, Quadrigæ tyrannorum, 8, in Script. Hist. Aug.), ove sono incidentalmente nominati Cristo e cristiani. Si noti pertanto come questi scrittori romani non riportino mal il nome di Gesù, ma solo quello di Cristo (Cresto).

• § 93. Da scrittori non romani dei primi due secoli non si ricava di più. Il sarcastico Luciano, semita ellenizzato, beffeggia spesso i cristiani, ma fa rare allusioni a Gesù: le più sicure sono quelle contenute nel Peregrino (11 e 13), di circa l’anno 170, ove si ricorda che il primo legislatore dei cristiani, sofista e mago, fu crocifisso in Palestina. Di un altro semita, Mara figlio di Serapione, abbiamo una lettera in siriaco, indirizzata a suo figlio Serapione, che contiene un’allusione a Gesù (in Cureton, Spicilegium syriacum, pag. 43 segg.); insieme con Socrate e Pitagora vi è nominato, in maniera onorifica, un sapiente re dei Giudei messo a morte dalla propria nazione, la quale perciò è stata punita da Dio con la distruzione della capitale e con l’esilio. È chiaro, dunque, che la lettera fu scritta dopo gli avvenimenti palestinesi del 70; ma è impossibile una datazione più precisa della lettera, che può essere benissimo del secolo II molto inoltrato, come neppure risulta con sicurezza se l’autore sia un cristiano dissimulato oppure un pagano stoico ammiratore del cristianesimo. Prosegue ...

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Da «Vita di Gesù Cristo», Imprimatur 1940, Giuseppe Ricciotti (preghiamo l'Eterno riposo ...), 7a Edizione, 32° - 36° migliaio, Encomio solenne della Reale Accademia d’Italia, Rizzoli & C. Editori, Milano - Roma, 1941.