Comunicato numero 97. L’aspetto fisico di Gesù

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• § 189. Dell’aspetto fisico di Gesù le fonti degne di fede non dicono assolutamente nulla. Un accenno si è voluto trovare nel racconto del pubblicano Zaccheo; costui, essendo Gesù giunto a Gerico, cercava di vedere Gesù (per conoscere) chi fosse, e non poteva a causa della folla, perché di statura era piccolo: e fatta prima una corsa in avanti, salì su un sicomoro per vederlo, perché di là stava per passare (Luca, 19, 3-4). Dalle quali parole si è voluto concludere che Gesù era piccolo di statura. Questa interpretazione, già proposta un tre secoli fa, è una pura stramberia senza alcun fondamento, sebbene sia stata rinnovata recentemente da R. Eisler (§ 181): è chiaro infatti che il soggetto di tutto l’episodio non è Gesù ma Zaccheo, quindi egli di statura era piccolo, e appunto per questo si arrampica sull’albero; del resto ben poco gli sarebbe giovata la sua arrampicatura, se si fosse trattato di vedere un uomo di bassa statura assiepato da molta folla.

• § 190. A questa mancanza di notizie la cristianità successiva, naturalmente, non si rassegnò, né nel campo artistico né in quello letterario. Per il campo artistico un ostacolo gravissimo alla produzione di una vera e storica effigie di Gesù era stata la circostanza che egli era nato, vissuto e morto in Palestina, ove l’ortodossia giudaica interdiceva ogni raffigurazione di esseri animati per paura dell’idolatria: la prima generazione cristiana, provenendo in enorme maggioranza dal giudaismo, non poteva quindi avere alcun motivo e desiderio di trasmettere un’effigie di Gesù. Al contrario, se Gesù fosse vissuto fuori della Palestina e la maggior parte dei primi cristiani fosse appartenuta alla civiltà greco-romana, non è improbabile che qualche delineazione del suo aspetto fisico sarebbe stata curata fin da quei tempi. E così le più antiche raffigurazioni superstiti di Gesù sono in Occidente quelle delle catacombe (II-III secolo) e in Oriente le pitture bizantine (IV secolo), le quali tutte non riproducono lineamenti storici, ma dipendono esclusivamente da motivi ideali e sono creazioni di fantasia. Nel campo letterario dipendono egualmente da motivi ideali le più antiche descrizioni dell’aspetto fisico di Gesù, e si dividono in due correnti totalmente diverse. I motivi ideali sono passi dell’Antico Testamento riferentisi egualmente al Messia, il quale però è presentato sotto aspetti diversi. In uno dei carmi del «servo di Jahvè» s’era stato affermato: Figura egli non aveva né beltà, e lo guardammo e non (aveva) sembianza tal che lo pregiassimo (Isaia, 53, 2); d’altra parte un canto messianico, in forma di mistico epitalamio, aveva esclamato: Bellissimo tu sei fra i figli d’uomo: soffusa è la grazia sulle tue labbra (Salmo, 45, 3 ebr.). Indubbiamente testi di questo genere non miravano alle fattezze fisiche del futuro Messia, ma valevano come semplici allegorie, adombrando il primo i dolori e il secondo i trionfi di Lui. Tuttavia non mancarono scrittori cristiani che li presero alla lettera, pretendendo ritrovarvi descrizioni dell’aspetto fisico di Gesù; il quale perciò fu creduto brutto o bello, a seconda della citazione da cui si traeva argomento.

• § 191. I partigiani della bruttezza di Gesù sono in genere più antichi; ma di solito, o esplicitamente o implicitamente, essi si riferiscono al citato passo di Isaia, mostrando con ciò di mirare più all’idea del Messia sofferente che alle fattezze fisiche di Gesù, cosicché non è sempre possibile precisare il loro pensiero. Per San Giustino martire Gesù era deforme (Dialogo Cum Tryfone, 88; cfr. 100, 85); per Clemente Alessandrino era brutto il viso (Pædag., III, 1); secondo Tertulliano era privo di beltà ed il suo corpo nec humanæ honestatis corpus fuit (De carne Christi, 9; cfr. Adv. Marcion., III, 17; Adv. Judæos, 14; ecc.); Sant’Efrem siro lo dice alto tre cubiti, cioè poco più di metri 1,35 (in Lamy, S. Ephrem syri hymni et sermones, tomo IV, col. 631). Origene, che riporta l’obiezione del pagano Celso (§ 195) secondo cui Gesù era piccolo, sgraziato e senza avvenenza, non sembra dissentire molto su questo punto dal suo avversario (Contra Celsum, VI, 75); ad ogni modo egli riporta anche la curiosa opinione di certi cristiani, secondo cui Gesù a volta a volta appariva brutto agli empi e bello ai giusti, e confessa che tale opinione non gli sembra incredibile (in Matth. series, 100; in Migne, Part. Gr., 13, 1750). Più numerosi, ma più recenti, sono i partigiani della bellezza di Gesù, quali Gregorio di Nissa, Giovanni Crisostomo, Teodoreto, Girolamo, ecc. Anche costoro partono di solito da ragioni non storiche ma ideali, e specialmente dal passo del Salmo citato sopra. Tuttavia fin qui sono affermazioni vaghe, di bruttezza o bellezza generica. Più tardi cominciano le precise descrizioni di Gesù e sempre come di uomo specioso.

• § 192. L’anonimo pellegrino di Piacenza che verso l’anno 570 visitò la Palestina, vide in Gerusalemme la pietra sulla quale Gesù stette ritto quando auditus est a Pilato, ubi etiam vestigia illius remanserunt. Pedem pulchrum, modicum, subtilem, nam et staturam communem, faciem pulchram, capillos subanellatos, manum formosam, digita longa imago designat, quæ illo vivente picta est et posita est in ipso prætorio (Geyer, Itinera Hierosol., pag. 175). Verso l’anno 710 Andrea metropolita di Creta, dopo aver parlato del ritratto di Gesù dipinto secondo la tradizione da Luca, soggiunge: Ma anche il giudeo Giuseppe racconta che il Signore è stato visto nella stessa maniera: con sopracciglia congiunte, con occhi belli, con viso lungo, alquanto curvo, di buona statura come certamente appariva dimorando insieme con gli uomini; similmente (descrive) anche l’aspetto della Madre di Dio, come oggi si vede (dall’immagine) che taluni chiamano anche la Romana (frammento in Migne, Patr. Gr., 97, 1304). Questa descrizione proviene certamente, non già dal giudeo Giuseppe (Flavio), ma da una precedente tradizione bizantina, e sembra anche risentire dell’opposta opinione che credeva alla bruttezza di Gesù (di cui è forse traccia l’aggettivo alquanto curvo, interpretato qui benignamente). Ad ogni modo gli elementi principali di questa descrizione sono ripetuti ancora nella tradizione successiva, che li mescola con altri tratti desunti da fonti ignote o anche dalla fantasia. Il monaco Epifanio verso l’800 a Costantinopoli era in grado di affermare che Gesù era alto circa 6 piedi (circa metri 1,70), con capigliatura bionda, con una leggiera inclinazione del collo in modo che il suo aspetto non era del tutto perpendicolare, col viso non rotondo ma alquanto allungato come quello di sua madre, alla quale del resto egli rassomigliava in tutto (Vita Deiparæ, testo critico in Dobschütz, Christusbilder, in Texte u. Untersuch, N. F. III, vol. 18, pas 302**). L’altezza di Gesù è invece di soli 3 cubiti (poco più di metri 1,35) secondo la Lettera sinodale dei Vescovi di Oriente dell’anno 839 (in Dobschütz, Op. cit., pag. 303*** - 304***; cfr. Migne, Part. Gr., 95, 349) e secondo il discorso di un anonimo bizantino sull’immagine della Vergine (in Dobschütz, Op. cit., pag. 246** ultima riga), i quali documenti del resto sostengono la bellezza di Gesù, pur ripetendo meccanicamente elementi sparsi delle descrizioni già viste.

• § 193. In seguito ancora gli stessi elementi passarono in Occidente, e confluirono fra l’altro anche nella Leggenda aurea di Giacomo da Varazze (Varagine) del secolo XIII. Verso lo stesso tempo fu composta la cosiddetta Lettera di Lentulo, che ebbe gran fortuna in Occidente fra i secoli XIV-XV e si presenta come inviata al Senato romano da un favoloso predecessore di Pilato, di nome Lentulo; in essa è contenuta la seguente descrizione, il cui inizio dipende evidentemente dal famoso testimonium flavianum (§ 91), mentre il seguito tradisce reminiscenze delle descrizioni precedenti: Apparuit temporibus istis et adhuc est homo (si fas est hominem dicere) magnæ virtutis nominatus Jesus Christus, qui dicitur a gentibus propheta veritatis, quem ejus discipuli vocant filium Dei, suscitans mortuos et sanans (omnes) languores, homo quidem statura procerus mediocris et speetabilis, vultum habens venerabilem, quem possent intuentes diligere et formidare, capillos habens coloris nucis avellanæ praematuræ, planos fere usque ad aures, ab auribus (vero) circinnos crispos, aliquantulum ceruliores et fulgentiores, ab humeris ventilantes, discrimen habens in medio capitis, juxta morem Nazarænorum, frontem pianam et serenissimam, cum facie sine ruga et macula (aliqua), quam rubor (moderatus) venustat: nasi et oris nulla prorsus (est) reprehensio; barbam habens copiosam capillis concolorem, non longam, sed in mento (medio) parum bifurcatam; aspectum habens simplicem et maturum, oculis glaucis variis et claris existentibus; in increpatione terribilis, in admonitione blandens et amabilis, hilaris servata gravitate; aliquando flevit, sed nunquam risit; in statura corporis propagatus et erectus, manus habens et brachia visu delectabilia, in colloquio gravis, rarus et modestus, ut merito secundum prophetam diceretur: «Speciosus inter filios hominum» (in Dobschütz, Op. cit., pagina 319***). Quest’ultima citazione è certo edificante, fatta com’è dal presunto pagano Lentulo; ma è costituita appunto dal Salmo (45, 3 ebr.) che sopra abbiamo citato come principale ispiratore di quella corrente cristiana che ha parteggiato per la bellezza fisica di Gesù. Intanto tutto il Medioevo cristiano era convinto di possedere, in siffatte descrizioni letterarie e nelle relative immagini pittoriche, la vera effigie di Gesù, chiamata anche con termine in parte bizantino la «vera icone», che il volgo personificò in Veronica. Qual è colui, che forse di Croazia - Viene a veder la Veronica nostra, - Che per l’antica lama non si sazia, - Ma dice nel pensier fin che si mostra: - Signor mio Gesù Cristo, Dio verace, Or fu si fatta la sembianza vostra? (Dante, Paradiso, XXXI, 103-108). Movesi il vecchierel canuto e bianco - Del dolce loco ov’ha sua eta’ fornita - E da la famigliola sbigottita - Che vede il caro padre venir manco: - Indi traendo poi l’antico fianco - Per l’estreme giornate di sua vita, - Quanto più può col buon voler s’aita - Rotto dagli anni e dal cammino stanco. - E viene a Roma, seguendo il desio - Per mirar la sembianza di colui - Che ancor là su nel ciel vedere spera... (Petrarca, Canzoniere, XII). L’opera utilizzata è la rigorosa «Vita di Gesù Cristo» (Imprimatur 1940, 7a Edizione, Rizzoli & C. Editori, Milano - Roma, 1941). Fine.

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Da «Vita di Gesù Cristo», Imprimatur 1940, Giuseppe Ricciotti (preghiamo l'Eterno riposo ...), 7a Edizione, 32° - 36° migliaio, Encomio solenne della Reale Accademia d’Italia, Rizzoli & C. Editori, Milano - Roma, 1941.