Comunicato numero 100. I razionalisti e la vita di Gesù (Terza parte)

Stimati Associati e gentili Sostenitori, proseguiamo nell’analisi cristiana, benché critica, di alcune «Interpretazioni razionaliste della vita di Gesù» usando la rigorosa «Vita di Gesù Cristo» - Imprimatur 1940, 7a Edizione, Rizzoli & C. Editori, Milano e Roma, 1941 - dell’Abate Giuseppe Ricciotti: riposi in pace.

• § 202. Gli attacchi più numerosi vennero, naturalmente, da parte dei protestanti conservatori, con a capo l’Hengstenberg, i quali accusavano il Baur di radicalismo demolitore; ma l’attacco più interessante, per chi abbia di mira soprattutto lo svolgimento logico delle idee, fu quello sferrato da un suo quasi omonimo, Bruno Bauer (1809-1882), con cui si assodarono alcuni studiosi olandesi. Costoro, infatti, accusavano il Baur, non già di radicalismo, ma di conservatorismo e di essersi fermato illogicamente a mezza strada. Il Bauer, hegeliano anch’esso, accettava molti principii del Baur, come pure accettava il giudizio dello Strauss che negava ogni base storica al IV Vangelo considerandolo come un’elaborazione mistica; ma, spingendosi avanti, egli si domandò se tale giudizio non doveva essere esteso anche ai tre Sinottici, che lo Strauss aveva parzialmente salvati. Proprio poco prima (1838) il Weisse e il Wilke, indipendentemente tra loro, avevano affermato che, nell’ordine cronologico dei Sinottici, Marco è da considerarsi più antico di Matteo e di Luca, mentre tanto lo Strauss quanto il Baur avevano seguito l’antica idea di un Marco epitomatore di Matteo e Luca; la priorità di Marco fu accettata dal Bauer, che perciò riversò la testimonianza degli altri due Sinottici nel solo Marco, da cui i due sarebbero dipesi. Stabilito ciò, egli negò che fra il IV Vangelo e l’unico Sinottico indipendente (Marco) esistesse una sostanziale differenza quanto al valore storico-documentario; ambedue contengono dati, in quantità più o meno abbondante e di colorito alquanto diverso, ma che sono storici solo apparentemente. Ciò che avrebbero fatto le prime generazioni cristiane, creando inconsciamente il mito secondo lo Strauss, oppure consciamente le varie tendenze di partiti secondo il Baur, lo avrebbe fatto invece da solo il primo Evangelista sinottico, e il suo lavoro poi sarebbe stato ampliato dagli altri tre. Delineata questa teoria, dopo alcune riserve e incertezze, il Bauer dapprima richiamò in dubbio e infine negò l’esistenza storica di Gesù: con ciò egli capovolse il procedimento dello Strauss, in quanto considerò la creazione mitica, non come un prodotto, ma come un produttore della comunità cristiana. Gli scritti del Bauer sul IV Vangelo (1840) e sui Sinottici (1842) gli attirarono nel 1842 la proibizione d’insegnare. Inviperito, egli dapprima si occupò di storia politica, quindi ritornò agli antichi argomenti con metodi sempre più radicali, negando l’autenticità dell’intero epistolario di San Paolo, comprese le quattro Lettere già risparmiate dal Baur. Fini poi elaborando una fantastica ricostruzione fra lo stoicismo e il giudaismo ellenistico. Il Bauer non lasciò, nè poteva praticamente lasciare, una scuola dietro a sé. Ma ciò ha scarsa importanza, mentre ne ha molta la questione della coerenza logica del suo sistema in relazione ai principii da cui parte; si domanda cioè se, ammessi i generici principii filosofici e critici che servono da basi allo Strauss e alla Scuola di Tubinga, non meno che al Bauer, non sia proprio il Bauer lo straussiano più consenguenziario o il tubinghiano più coerente.

• § 203. Dopo lo Strauss e la Scuola di Tubinga, che rappresentarono indirizzi veramente nuovi (e deliranti, ndR) negli studi sulla vita di Gesù e sul cristianesimo primitivo, la critica protestante entrò in un lungo periodo che fu in parte di assestamento e in parte di compromesso. Diradatasi alquanto la tempesta suscitata dalle due scuole, l’ortodossia protestante diffidò per principio d’ogni teoria delineata con originalità nuova, perché le recenti esperienze dimostravano che siffatte teorie frantumavano le basi stesse della fede protestante, poggiata unicamente sulla parola di Dio scritta (e non anche sulla Tradizione, ndR). D’altra parte i teologi protestanti non erano certo disposti a retrocedere sulle antiche posizioni luterane, riducendosi a considerare il Nuovo Testamento semplicemente come un libro ispirato da Dio e come il primo dei libri teologici; queste antiche posizioni, più che per opera di un Reimarus, di un Paulus, di uno Strauss e dei Tubinghiani, erano state minate e rese praticamente insostenibili per opera dell’Illuminismo, di un Kant, di un Hegel e delle altre correnti filosofiche (di falsa scienza, ndR) formatesi nella patria di Lutero. Si aggiunga che, proprio col declino della Scuola di Tubinga, la critica delle origini dei Vangeli entrava in un nuovo periodo. Il IV Vangelo, sebbene non proprio teoricamente, almeno praticamente era tuttora scartato come fonte storica, come già avevano fatto lo Strauss e la Scuola di Tubinga; ma a differenza di costoro, che mettevano come ultimo della serie cronologica dei Sinottici Marco, si cominciò invece a mettere questo brevissimo fra i Sinottici proprio in cima alla serie dei tre (come già vedemmo aver fatto anche il Bauer), per farlo servire insieme con i Logia di Papia quale fonte agli altri due (§ 148). Molti critici poi supposero l’esistenza di un Proto-Marco, che sarebbe stato una forma più antica dell’odierno Marco; qualcuno suppose pure, ma senza incontrare favore, l’esistenza di un Proto-Luca, e anche di un Proto-Giovanni. Ora, questa nuova visione dell’origine letteraria dei Sinottici portò insieme a rialzare di molto le rispettive date: non si parlò più, come avevano fatto lo Strauss e la Scuola di Tubinga, di secolo II inoltrato quale epoca dei Vangeli, ma si risalì complessivamente al secolo I e per taluni scritti si giunse fino all’anno 60 dopo Cristo. Stabilito ciò, la critica protestante aveva una solida base per ricostruire la biografia storica di Gesù senza troppo urtarsi con l’ortodossia luterana. Col rialzo cronologico dei Sinottici, le teorie dello Strauss e del Baur rovinavano in pieno (come del resto i rispettivi autori avevano ipoteticamente concesso); le tre o quattro decine d’anni, che andavano dalla morte di Gesù ai primi scritti confluiti nei Sinottici, erano certamente un periodo troppo angusto per permettere tutto quel lavorìo di «miti» e di «tendenze» ch’era fondamentale nelle due teorie. Infine il nuovo studio minuzioso delle caratteristiche di ciascun Sinottico permetteva di affermare ch’essi dipendono in gran parte da testimoni diretti degli avvenimenti narrati, e che - pur mostrando ciascuno scopi e coloriti diversi - non lasciano scorgere tutto quel complesso di contrastanti «tendenze» ch’erano state attribuite ad essi; e anche queste conclusioni di critica interna rassodavano la nuova base messa a disposizione della critica protestante per una biografia storica di Gesù. Senonché queste conclusioni erano un’arma a doppio taglio: indubbiamente esse erano gradite all’ortodossia protestante, ma non accrescevano forse grandemente le difficoltà di una interpretazione «razionale» dei Vangeli? Confessata o no, la principale mira comune a tutte le teorie elaborate dal Reimarus in poi - anche lasciando da parte gli antichi Celso e Porfirio - era stata quella di spogliare di ogni elemento soprannaturale e miracoloso il contenuto dei Vangeli; adesso invece quel contenuto riceveva dalle ultime conclusioni della critica un nuovo credito, sia per l’antichità sia per l’obiettività degli informatori, e il nuovo credito faceva da baluardo protettivo del soprannaturale. Né è da supporre che, verso questo soprannaturale, i teologi protestanti del paese di Kant e di Hegel fossero in genere meglio disposti dopo il fallimento delle varie teorie dal Reimarus fino alla Scuola di Tubinga: vi furono in realtà dei dotti non ostili al soprannaturale, ma i loro scritti esercitavano influenza più sui fedeli e sui pastori protestanti che non sugli studiosi e sulle università, mentre la maggioranza cercò il compromesso fra i risultati della critica riavvicinatasi alla tradizione e il dogmatismo laico della filosofia imperante. Ne risultò un indirizzo teologico-storico che si esplicò in numerosi tentativi, differenti a seconda delle disposizioni individuali, e che fu designato collettivamente col termine politico allora in voga di Scuola liberale.

• § 204. La Scuola liberale mostra le caratteristiche dei periodi di transizione e degli stati di compromesso. Rinunzia alle posizioni nette e precise di un Reimarus o di un Paulus pur accettandone praticamente varie conclusioni, ma aborrisce anche dalla logicità conseguenziaria di un Bruno Bauer pur ammettendone molti principii; sfugge di solito a fondamentali dichiarazioni preliminari, ma poi le lascia intravedere applicate tacitamente; messa di fronte a questioni decisive costituite dalla spiegazione di determinati fatti, preferisce aggirarle, non pronunciandosi sul fatto in sé e dilungandosi invece sulle opinioni che del fatto si ebbero nell’antichità; col proiettare idee e sentimenti moderni sullo sfondo dei tempi antichi, dice molte cose di cui uno storico non sente affatto bisogno, mentre poi non dice altre cose nettamente affermate dai riaccreditati documenti storici, trovandole in contrasto con idee e sentimenti moderni; non è certo l’erudizione la dote che manchi alla Scuola liberale, ma si può domandare se non le manchi la dote della franchezza. Il protestante radicale Schweitzer, storico di questi studi, deplorava nel 1904 che la teologia contemporanea non fosse «totalmente sincera» (ganz ehrlich) (Von Reimarus zu Wrede, pag. 249). Le biografie di Gesù, e specialmente gli studi critici sui Vangeli, che videro la luce durante questo periodo furono in gran numero e di graduazione diversa. Dalla destra conservatrice rappresentata dallo Zahn e in parte da Bernardo Weiss, si passa al centro in cui emerge H. J. Holtzmann, per finire sempre più verso la sinistra radicale con lo Schenkel, il Beyschlag, il Weizsäcker, il Wellhausen, ecc. La figura di Gesù, quale è tratteggiata o in biografie o in vari studi di critica letteraria, è messa in luce soprattutto sotto l’aspetto psicologico, come quella d’un maestro che avrebbe insegnato niente più che una nuova dottrina morale tutta fondata sul sentimento della paternità di Dio: il regno di Dio annunziato da Gesù avrebbe avuto un senso puramente spirituale interno, o tutt’al più un vago senso escatologico difficilmente precisabile; le affermazioni di Gesù sulla propria qualità di Messia sono volentieri, dai meno conservatori, attenuate o anche eliminate; l’appellativo di «figlio dell’uomo» è spesso interpretato come designazione dell’umanità astratta, o anche come indicazione personale di colui stesso che parla; l’altro appellativo di «figlio di Dio» non può avere che un senso morale, essi dicono, in corrispondenza al concetto della paternità universale di Dio; sulle qualità soprannaturali attribuitesi da Gesù, come pure sui miracoli fisici attribuitigli dai Vangeli, si sorvola liberamente. Queste sono pur con numerose e anche notevoli differenze individuali - le idee seguite più comunemente dai protestanti liberali; sui quali però il non sospetto Renan dà il seguente giudizio (riferito a due soli di essi, ma facilmente estensibile agli altri): «Ammettono, certamente, un Gesù storico e reale; ma il loro Gesù storico non è né un messia, né un profeta, né un Giudeo. Non si sa che cosa abbia egli voluto: non si capiscono né la sua vita né la sua morte. Il loro Gesù è un eroe a suo modo, un essere impalpabile, intangibile. La pura storia non conosce esseri di tal fatta».

• § 205. Nella Scuola liberale spetta il seggio più eminente ad A. von Harnack (1851-1930) per le sue moltissime pubblicazioni sia sul Nuovo Testamento sia sul resto della letteratura cristiana antica, delle quali buona parte ha un valore permanente. Quanto al Nuovo Testamento egli sostenne che i Logia, da cui dipenderebbero i Vangeli di Matteo e di Luca, sono opera dell’apostolo Matteo e composti verso l’anno 50 o anche prima; di poco posteriore sarebbe il Vangelo di Marco; il Vangelo di Luca, come pure gli Atti degli Apostoli, furono scritti dal medico Luca, discepolo di Paolo, non dopo l’anno 63; il IV Vangelo è opera di Giovanni il Presbitero (§ 158), che avrebbe in esso seguito la tradizione di Giovanni l’Apostolo. Nel suo divulgatissimo libro su L’essenza del cristianesimo (1900) l’Harnack riassunse riguardo alla vita e alla dottrina di Gesù le sue opinioni, che concordavano in gran parte con quelle della Scuola liberale; al centro della dottrina di Gesù sarebbe stata l’idea della rivelazione di Dio come padre, da cui si sarebbe sviluppata in Gesù la coscienza di esser Figlio di Dio, e quindi Messia; ma «come egli sia giunto alla coscienza della sua forza, e a quella del dovere e del compito ch’erano conseguenza di quella sua forza, è il suo segreto che nessuna psicologia può spiegare». I miracoli di Gesù furono distribuiti dall’Harnack in cinque categorie, per poter esser man mano eliminati con procedimenti che ricordano in parte quelli del Paulus e in parte quelli dello Strauss: cioè 1) miracoli che sono ingrandimenti di fatti naturali; 2) miracoli dovuti a una proiezione nel concreto o di precetti o di parabole o di processi psicologi vari; 3) miracoli immaginati come avveramento di profezie dell’Antico Testamento; 4) miracoli ottenuti dalla forza spirituale di Gesù; 5) miracoli estranei alle precedenti categorie e la cui spiegazione è irraggiungibile. Ad ogni modo la vera dottrina religiosa di Gesù, del tutto spoglia di dogmi, si mantenne pura e genuina solo durante l’epoca apostolica, egli asserisce; più tardi essa entrò sotto la diretta influenza del pensiero filosofico ellenistico, e di qui sorsero i dogmi e le supercostruzioni speculative.

• § 206. Non appartiene alla Scuola liberale, anzi le si professa avverso, un autore che ebbe risonanza larghissima nel mondo latino cattolico ma piuttosto ristretta in quello tedesco protestante, cioè E. Renan (1823-1892). La sua famosa «Vita di Gesù» che faceva parte di una Storia delle origini del cristianesimo, apparve nel 1863; la 13a edizione, apparsa nel 1867 con talune modificazioni, rimase definitiva per le innumerevoli edizioni e traduzioni successive. Nella questione delle fonti il Renan era relativamente conservatore: Marco rappresenta «il tipo primitivo della tradizione sinottica e il testo più autorizzato», dipendente dalla predicazione di Pietro, sebbene la redazione odierna non corrisponda precisamente alla forma originale; Matteo è costituito dai Logia autentici dell’Apostolo Matteo, ai quali poi è stata aggiunta una raccolta di notizie biografiche su Gesù; il III Vangelo e gli Atti sono di Luca, che avrebbe scritto dopo la distruzione di Gerusalemme dell’anno 70. Nella questione del IV Vangelo il Renan, staccandosi dalla critica tedesca, modificò le sue idee: nella 1a edizione lo attribuì all’Apostolo Giovanni, almeno quanto alla sostanza, mentre nella 3a edizione ne fece autore un discepolo di Giovanni, tuttavia in ambedue i casi attribuì particolare valore storico a questo Vangelo (in perfetto contrasto con la critica tedesca), pur considerandone non autentici i discorsi. Ma, nonostante questa critica relativamente moderata, i risultati pratici raggiunti dal Renan sono negativi, anche più di quelli della Scuola liberale e quasi quanto quelli dello Strauss. Di Gesù, infatti, noi non sappiamo con certezza se non «che è esistito. Che era di Nazareth in Galilea. Che predicò con incanto, e lasciò nella memoria dei suoi discepoli aforismi che vi s’impressero profondamente. I due principali dei suoi discepoli furono Cefa e Giovanni figlio di Zebedeo. Suscitò l’odio dei Giudei ortodossi, che riuscirono a farlo mettere a morte da Ponzio Pilato, allora procuratore della Giudea. Fu crocifisso fuori della porta della città. Si credette poco dopo che fosse risuscitato... Fuori di questo il dubbio è permesso». Questo dubbio, inoltre, si estende a domande così fondamentali come le seguenti: «Si considerò egli Messia?... S’immaginò di far miracoli? Gliene furono attribuiti quand’era vivo?... Quale fu il suo carattere morale?...». Questo scetticismo programmatico non impedì tuttavia al Renan di scrivere una biografia abbastanza voluminosa, traendone il materiale da varie parti. Contrariamente alle biografie tedesche, che erano ricostruzioni fatte in biblioteca da chi non aveva visto né luoghi né costumi, il Renan scrisse la sua durante la missione archeologica che diresse in Fenicia negli anni 1860-1861, e che gli dette occasione di visitare anche la Palestina. In questa visita la storia evangelica, «che da lontano sembra vagare tra le nubi d’un mondo irreale, prese talmente corpo e solidità che mi stupirono. Il sorprendente accordo fra testi e luoghi, la meravigliosa armonia fra l’ideale evangelico e il paesaggio che gli fa da cornice, furono per me una rivelazione. Ebbi davanti agli occhi un quinto Vangelo...». In realtà, a questo «quinto Vangelo» il Renan ricorse molto poco per ciò che riguarda la geografia storica e tanto meno l’archeologia (che, del resto, ai suoi tempi erano appena agli inizi), e quando vi ricorse per queste materie non si salvò da gravi abbagli; ad ogni modo chi ha visitato la Palestina dopo di lui, cioè dopo che vi sono stati compiuti molti ed importanti scavi, e l’ha visitata più a lungo di lui e con più agio e comodità che ai tempi di lui, vi ha certo ritrovato parecchie cose, ma non già un «quinto Vangelo», almeno se la fantasia del successivo visitatore era calma e tranquilla. Ma gli è che il Renan visitò il paese di Gesù più come artista che come storico, prendendo come dati oggettivi quelle ch’erano semplici proiezioni soggettive: cosicché quando egli esclamava: «Per comprendere ciò bisogna essere stato in Oriente!», ricorreva in realtà a un argomento che ai suoi tempi era incontrollabile per la massima parte degli studiosi, mentre quasi sempre era un’importazione ideale da lui fatta nell’Oriente.

• § 207. Del resto, il metodo con cui egli trattò il suo «quinto Vangelo» è analogo a quello con cui trattò gli altri quattro. Dal momento che i dati sicuri della biografia di Gesù erano quei pochissimi testé elencati, non rimaneva che ricorrere alla ricostruzione psicologica: la quale infatti fornì al suo libro molto altro materiale, e materiale ben appropriato al carattere di cui il Renan aveva rivestito il suo biografato. In realtà, “chi vorrebbe fare di Gesù un sapiente, chi un filosofo, chi un patriota, chi un uomo di bontà, chi un moralista, chi un santo. Egli non fu nulla di tutto questo. Fu un incantatore», afferma Renan. Questo «incantatore», tuttavia, ha fondato una religione, anzi non una ma la religione: «Gesù ha fondato la religione nell’umanità, come Socrate vi ha fondato la filosofia... Gesù ha fondato la religione assoluta, non escludendo niente, non determinando niente, salvo il sentimento»; se poi scendiamo più al particolare, troviamo che «un culto puro, una religione senza sacerdoti e senza pratiche esteriori, poggiata tutta sui sentimenti del cuore, sull’imitazione di Dio, sul rapporto immediato della coscienza col Padre celeste, erano le conseguenze di tali principii», quelli cioè predicati da Gesù (egli asserisce). Come ognuno vede, ci ritroviamo in sostanza davanti alla figura di Gesù tracciata da quella Scuola liberale che il Renan riprovava; qualche decennio più tardi l’Harnack presenterà un Gesù ben poco differente da questo (§ 205). Concordano anche, in gran parte, le idee attribuite a Gesù circa il suo stesso essere e circa i punti fondamentali della sua missione. «Gesù non espresse mai l’idea sacrilega ch’egli fosse Dio... Egli è figlio di Dio: ma tutti gli uomini sono o possono divenire tali in gradi diversi. Tutti ogni giorno devono chiamar Dio loro padre... Il titolo di “Figlio di Dio”, o semplicemente di “Figlio”, diventò per Gesù un titolo analogo a “Figlio dell’uomo” e, come questo, sinonimo di Messia». «Titolo da lui preferito era quello di “Figlio dell’uomo”; titolo di umile apparenza, ma in rapporto con le speranze messianiche. Tale è il nome con cui indicava se stesso: onde in bocca sua “Figlio dell’uomo” era sinonimo di “Io”, che gli ripugnava d’usare». Quanto all’elemento soprannaturale e miracoloso dei Vangeli, il Renan fin dal principio fa una netta dichiarazione di metodo: chi studia, cioè, questi documenti, «non deve preoccuparsi né di edificare né di scandalizzare, né di difendere i dogmi né di abbatterli»; tuttavia, poco dopo questa dichiarazione, egli stabilisce il seguente assioma a cui attribuisce tutta la fermezza di un dogma laico: «che i Vangeli siano in parte leggendari è cosa evidente, perché’ sono pieni di miracoli e di soprannaturale». D’altra parte egli afferma che «si mancherebbe al buon metodo storico se, badando troppo alle nostre ripugnanze..., volessimo sopprimere i fatti che agli occhi dei contemporanei apparvero più cospicui», cioè miracolosi; è anzi regolare che ad un innovatore religioso come Gesù si attribuissero miracoli, tanto che «il massimo miracolo sarebbe stato ch’egli non ne avesse fatti». Ad ogni modo il Gesù del Renan, costretto dalle circostanze, «non divenne taumaturgo che assai tardi, e molto a malincuore»; scrive ancora: «... si può ben credere che la reputazione di taumaturgo non l’avesse, ma gli venisse imposta: se egli non resistette molto ad accoglierla, nulla fece però per aiutarla». Venendo però alla conclusione pratica, tutti i miracoli sono eliminati, ricorrendo volta per volta ai precedenti metodi o dello Strauss, o del Paulus, e talvolta del Reimarus, che il Renan applica servendosi anche della sua norma che «è necessario sollecitare dolcemente i testi». In primo luogo «su cento racconti soprannaturali ve ne sono ottanta nati interamente dall’immaginazione popolare»; gli altri venti casi, che rimangono, sono eliminati facendo appello di solito alla mitezza di Gesù, che valeva da eccellente farmaco, giacché «la presenza di un uomo superiore che tratti dolcemente il malato, e lo assicuri della guarigione con qualche segno sensibile, è spesso un rimedio decisivo». All’efficacia di questo farmaco vengono sottratti, naturalmente, casi come quello della resurrezione di Lazzaro; per spiegare questo caso, si propongono insieme l’ipotesi di una sincope passeggera e quella del trucco da parte delle sorelle di Lazzaro, e più tardi vi si aggiunge l’ipotesi di un malinteso (§ 493). Insomma, anche nella questione dei miracoli evangelici, il Renan era vicino alla riprovata Scuola liberale ben più di quanto egli credesse. L’incomparabile venustà dello stile letterario assicurò alla «Vita» del Renan una diffusione mondiale, che le massicce e asmatiche «Vite» tedesche non raggiunsero neppur lontanamente; tuttavia la dotta Germania, che prima del 1870 era apparsa al Renan come «un tempio, in cui tutto è puro, elevato, morale, bello e commovente», fu piuttosto ingrata verso questo suo ammiratore d’oltre Reno, non prendendo affatto sul serio il suo scritto e seguitando invece tranquillamente per la sua strada. Prosegue ...

GiuseppeRicciotti.jpg

Da «Vita di Gesù Cristo», Imprimatur 1940, Giuseppe Ricciotti (preghiamo l'Eterno riposo ...), 7a Edizione, 32° - 36° migliaio, Encomio solenne della Reale Accademia d’Italia, Rizzoli & C. Editori, Milano - Roma, 1941.